lunedì 28 ottobre 2024

UNDER 20: programmi Tv per i giovani degli anni '70

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La fame di musica dei giovani degli anni ’70 è la stessa che ha caratterizzato i periodi successivi, con una differenza fondamentale a vantaggio delle nuove leve: la possibilità di comunicare e di informarsi in modo capillare.

I primi seventies portarono musica nuova dall’estero - britannica e americana - e la contaminazione provocò una rivoluzione musicale nel nostro paese che partì da chi era più vicino al “mestiere” - musicisti e operatori del settore - e che avvolse i fan che avevano già abbandonato il mangiadischi dei genitori - quello con Villa, Ranieri e Morandi - a favore del beat, e che stavano per essere contagiati dalla musica progressiva e, subito dopo, dal fenomeno del cantautorato.

I soli canali informativi, ai tempi in cui stava nascendo ARPANET (la rete di dialogo tra computer pensata per scopi militari statunitensi durante la guerra fredda), sintetizzando, si potevano individuare nella radio - “Per Voi Giovani” -, nella stampa cartacea - “Ciao 2001” - e nella televisione, di cui mi appresto a fare accenno.
Esistevano poi i fortunati, quelli che avevano fratelli maggiori e viaggianti che potevano riportare in patria le novità del momento: una nicchia fortunata!

La televisione dicevo: l’unica trasmissione di cui ho memoria, a dire il vero pochissima, è “UNDER 20”.
Andò in onda nel momento in cui il giovane ascoltatore e fruitore di concerti aveva imparato a conoscere il meglio del prog inglese, e le band italiane dedite al rock avevano trovato il coraggio per imboccare una nuova strada, simile a quella dei cugini d’Oltremanica.

Ho immagini sfuocate, ma mi è rimasta addosso l’emozione, l’attesa spasmodica delle ore 19 - mi pare -, momento designato per vedere i miei miti, per almeno un’ora - anche qui… mi pare.
Solo playback, sfacciato in alcuni casi, ma era importante vedere ascoltare la musica proposta dai “capelloni” - era questa la definizione preferita dai genitori!

Ho trovato un commento in rete di un mio probabile coetaneo, che modifica la mia sensazione relativa all’orario!

Bel programma musicale che andò in onda nel 1973-74, il sabato alle 18.30 su Raidue per la regia di Enzo Trapani, curata da Paolo Giaccio e con la voce fuori campo di Raffaele Cascone. Fu un programma innovativo che portò in Tv i nuovi cantautori e gruppi italiani oltre che filmati di musica straniera, però dovette sottostare a dei compromessi, invitando anche personaggi della vecchia scuola e per questo su Ciao 2001 ci fu una sorta di processo al programma a cui Paolo Giaccio replicò.

Purtroppo, Paolo Giaccio non può più ricordare con noi, potrebbe farlo però Raffaele Cascone, e chissà che questo articolo non possa arrivare dalle sue parti e spingerlo a inviarci qualche memoria interessante!

Intanto godiamoci un’ampia sintesi di quel programma che permette di scoprire alcuni dei protagonisti dell’epoca…





Sex Pistols: il 28 ottobre del 1977 usciva “Never Mind the Bollocks, Here's the Sex Pistols”


Il 28 ottobre del 1977 usciva per Virgin Records “Never Mind the Bollocks, Here's the Sex Pistols”, unico album in studio dei Sex Pistols.

L’album è considerato uno dei più influenti e controversi della storia del rock. Pubblicato in piena era punk, sconvolse l'establishment musicale e sociale, dando voce a una generazione di giovani arrabbiati e disillusi.

“Never Mind…” debuttò direttamente al primo posto della Official Albums Chart, guadagnando in breve tempo il disco d'oro nel Regno Unito. Nel 2013 è stato certificato doppio disco di platino dalla British Phonographic Industry. La rivista Rolling Stone nel 2004 lo ha inserito alla posizione n. 41 nella lista dei 500 migliori album di sempre. Nel 2006 l'album è stato selezionato dalla rivista Time come uno dei 100 migliori dischi di sempre. Nel 2016 Rolling Stone lo inserisce al terzo posto dei migliori 40 dischi punk della storia.


Cosa c’è alla base di band e album?

La musica dei Sex Pistols è caratterizzata da una semplicità quasi brutale. I riff di chitarra sono essenziali, la batteria martella ritmi incessanti e il basso fornisce una solida base ritmica. La voce di Johnny Rotten è rabbiosa, graffiante e carica di un'energia che trascina l'ascoltatore in un vortice di emozioni contrastanti.

I testi delle canzoni sono un vero e proprio attacco all'establishment, alla monarchia, alla società consumistica e ai valori borghesi. Brani come "God Save the Queen" e "Anarchy in the U.K." sono diventati inni per una generazione che si sentiva esclusa e disillusa.

L'uscita di "Never Mind the Bollocks" scatenò una vera e propria rivoluzione culturale. Il disco ha ispirato la nascita di numerose band punk in tutto il mondo e ha influenzato generi musicali come il post-punk, il grunge e l'alternative rock. La copertina provocatoria e i testi espliciti hanno generato scandalo e polemiche, ma hanno anche attirato l'attenzione dei media e dei giovani.

A distanza di decenni rimane un disco fresco perché i temi affrontati dai Sex Pistols sono ancora oggi molto attuali e la loro musica conserva tutta la sua energia e la sua potenza.

Sintetizzando "Never Mind the Bollocks" è un album fondamentale per capire la storia del rock e la cultura giovanile degli anni '70, un disco che ha sfidato le convenzioni, ha dato voce a una generazione e ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica.

Non resta che ascoltarlo (cliccare sul titolo) per avere un’idea precisa di un movimento che, con la sua entrata in scena, mandava momentaneamente - e rapidamente - in pensione la musica progressiva.

 

Lato A

Holidays in the Sun – 3:19

Bodies – 3:01

No Feelings – 2:48

Liar – 2:39

God Save the Queen – 3:20

Problems – 4:09

 

Lato B

Seventeen -2:01

Anarchy in the U.K. - 3:31

Submission - 4:10

Pretty Vacant - 3:15

New York - 3:03

E.M.I. - 3:09


Formazione

Johnny Rotten - voce

Steve Jones - chitarra, basso, seconda voce

Glen Matlock - basso in Anarchy in the U.K.

Sid Vicious - basso in Bodies e Holidays in the Sun

Paul Cook - batteria 






domenica 27 ottobre 2024

Tenco, Maigret e i giorni in bianco e nero...



Non ho vissuto bene il periodo a cavallo tra il ’60 e il ’70, diciamo… i giorni delle scuole medie.

Il mio malessere non era motivato da nulla che avesse a che fare con la ragione, e ancora oggi, ripensandoci non mi capacito di quei momenti, credo, tipici di ogni preadolescenza: voglia di scoprire il mondo mentre la TV, tra il 1° e il 2° canale, ci inondava di diversità che arrivavano da altri lidi. Eppure, in quei giorni, regole famigliari imponevano, giustamente, un’etica da rispettare.

E così accadeva che la domenica fosse d’obbligo il cinema pomeridiano (con mamma, papà e fratellino), e al ritorno ci aspettasse lo sceneggiato del dopocena.

Tra i tanti, il più “devastante” mi è sempre sembrato “Il Commissario Maigret”, magnifico, senza dubbio, ma ancora oggi, il connubio tra il bianco e nero tipico di quelle storie - mancava ancora qualche anno all’arrivo del colore - e la canzone di Luigi Tenco mi procura un’esplosione di spleen che col passare dei lustri non si è attenuata di una virgola.

Eppure, riconosco la grandezza di tutti quei protagonisti, ma la sigla di Maigret mi fa sanguinare il cuore, mi tocca nel profondo e mi riporta alla mente quel bambino di 13 anni a cui un mondo in bianco e nero stava già stretto!

Ripropongo la canzone, e per giungere al top della malinconia utilizzo la versione francese, una lingua che amo ma che, se applicata alla musica, diventa particolarmente adatta a rendere triste ogni situazione.

E oggi va così.

La sigla iniziale de 'Le nuove inchieste del Commissario Maigret', è la canzone "Le temps file ses jours", versione in francese di 'Un giorno dopo l'altro' scritta ed interpretata da Luigi Tenco.

La versione in italiano è la sigla finale e il testo della versione iniziale in francese è di Jacques Chaumelle.


Le temps file ses jours

l'eau coule sous les ponts,

sur les bords de la Seine

des ombres s'en vont.

Le temps file ses jours,

rien n'a changé ici,

Montmartre et sa bohéme

dorment sous la pluie.

À chaque jour sa sans qu'on y pense,

la vie s'en va emportant nos souvenirs. 

Le temps file ses jours

à Paris comme ailleurs

et passent les semaines

et l'espoir se meurt. 

À chaque jour sa change

et tous ses pleurs qu'on ne peut pas retenir,

et puis, sans qu'on y pense,

on s'habitue à vivre sans avenir. 

Le temps file ses jour,

l'eau coule sous les ponts,

sur les bords de la Seine

des ombres s'en vont.



 

The Samurai Of Prog Featuring Marco Grieco-"The Samurai Of Prog Featuring Marco Grieco"

 


THE TIME MACHINE

The Samurai Of Prog Featuring Marco Grieco 

Studio Album, ottobre 2024

 

L’abitudine all’ascolto dei The Samurai Of Prog - e quindi a tutte le evoluzioni che riguardano la dinamicità dei musicisti, in continuo cambiamento - mi hanno portato ad individuare in Marco Bernard e Kimmo Pörsti il motore del progetto, ma, almeno dall’esterno, le porte sembrano sempre aperte per chi è in grado di aggiungere qualità, non solo puramente strumentistica, ma anche compositiva.

Kimmo Pörsti

Il nome di Marco Grieco, che nella copertina appare con la denominazione “featuring”, è sempre più presente nella produzione finlandese, ma in questo caso è lui l’autore in toto di un concept che lo vede comporre musica e liriche.

Per il mero fruitore dell’opera dei TSoP, quello che interessa è il risultato, ovvero quell’abitudine/certezza che l’esperienza sonora e visiva che sta per iniziare andrà in una direzione ben precisa.

A di là del mio impegno nel mantenere oggettività di giudizio, devo sottolineare come ogni nuovo loro progetto sia di mia piena soddisfazione, un piacere che, è inutile negarlo, parte da qualcosa che, apparentemente non sembra sostanza, eppure, l’art work proposto in ogni occasione è parte formante della bellezza dei loro album.

Marco Bernard

Non vorrei usare toni troppo roboanti, ma il nuovo impegno, "The Time Machine", dopo il primo ascolto, avvenuto rigorosamente davanti a immagini e testi, mi è sembrato una sintesi perfetta della mia idea di musica progressiva moderna, dove le skills elevate dei singoli portano a realizzare il vero connubio tra trame sinfoniche e la musica rock, tra tecnologia e strumenti acustici, con il desiderio di raccontare un ambizioso concept che, se seguito con un po’ di attenzione, riporta ad una lucida attualità, con un messaggio inequivocabile che sottolinea la crudezza e l’inutilità delle guerre da cui siamo circondati.

Quindi un messaggio contro la guerra e, cosa da evidenziare, tutti i proventi delle vendite saranno devoluti ad un'organizzazione umanitaria a sostegno dei bambini colpiti dal conflitto in Ucraina.

Passiamo al contenuto più specifico, e a questo proposito, cliccando sul link a seguire, sarà possibile avere tutte le info importanti sui crediti, con testi e musicisti impegnati per ogni episodio: 

https://athosenrile.blogspot.com/2024/10/i-samurai-of-prog-e-marco-grieco.html

The Time Machine” è la summa di otto tessere che si sviluppano nell’arco di poco meno di un’ora. Il fil rouge è dichiarato, un iter evolutivo che racconta di un viaggio, quello attraverso i secoli della nostra storia, dagli albori all’attualità, lasciando l’elemento descrittivo al verbo miscelato alle trame sonore, anch’esse in grado di “raccontare”, come accade specificatamente in due tracce, completamente strumentali.

Dice Marco Grieco a tal proposito: “The Time Machine è un album che esplora il passato e il futuro, trascinando l'ascoltatore in un viaggio fantastico che parte dall'alba dell'umanità e si conclude con una riflessione sul nostro presente e futuro. Le otto tracce, che compongono il disco, sono tasselli di un mosaico che raffigura momenti cruciali della storia umana, dal legionario romano che medita sulla guerra, al genio creativo di Leonardo da Vinci, fino a Einstein, simbolo delle sfide morali della scienza moderna”.

Si inizia con The Time machine, e l’orologio che scandisce il passare del tempo lascia il passo al violino di Maria Kovalenko, che introduce la delicatezza vocale di Serge Tiagniryadno. L’esplosione a seguire è uno dei leitmotiv dell’album, un fluttuare di emozioni cangianti nello spazio di un amen.

Il desiderio… macchina del tempo, riportami indietro nei secoli, riscriverò la storia, cambierò il passato e tutto andrà bene…

Ma nel corso del viaggio… mi rendo conto che non posso cambiare ciò che è stato fatto, il passato è stabilito, non può essere annullato; macchina del tempo, portami indietro, al punto di partenza!

A seguire Apes, e la preistoria fa capolino. Restano gli stessi strumentisti “esterni” - cambio solo sull’elettrica che passa a  Roine Stolt - mentre Grieco e la sezione ritmica formata da Bernard e Pörsti saranno presenti per tutto il disco.

Noi siamo le scimmie, le prime della nostra specie; ci chiediamo quale sia il mondo che troveremo alla fine del viaggio… avremo mai le risposte che cerchiamo? 

Certamente, un ascolto di questo tipo, con la lettura della lirica mentre il brano scorre, è capace di influenzare notevolmente il coinvolgimento, ma è un modus che consiglio vivamente, almeno la prima volta, perché “il viaggio delle scimmie”, tanto per restare in tema, prende corpo e fornisce sensazione di realtà.

Strumenti classici del rock si miscelano a sintetizzatori e anche in questo senso il percorso nel tempo assume contorni realistici.

Ma l’excursus di Grieco cammina rapido e si sofferma su guerre antiche e sulla caduta dell’Impero Romano, vicenda raccontata nel brano The Last Legionary:

Mi trovo tra i resti dell'antico regno di un impero, ho assistito a innumerevoli battaglie e ho visto nemici sepolti, ma mentre affronto i miei giorni crepuscolari rifletto sulla scia delle innumerevoli guerre viste, e mi chiedo se fossero evitabili, se vale la pena il prezzo pagato per ottenere potere attraverso lotte sanguinarie.

 Eppure, nel crepuscolo della mia vita, mi ritrovo solo.

Iniziale tono epico e, nel corso della traccia, si fa notare l’intreccio tra il violino della Kovalenko e i fiati, il corno francese di Marc Papeghin e la tromba di Balázs Winkler.

Esprimendo un sintetico giudizio con un aggettivo direi pezzo “aulico”… è questo il senso di sacralità musicale che mi arriva dall’ascolto, con una variabilità unica, quella che solitamente mi porta a dire che è impossibile non trovare qualcosa di proprio gradimento nella generica musica prog, fondata sulla contaminazione e sulla libertà espressiva.

Il time travel è ancora lungo e la macchina fa un paio di soste e incontra in primis Leonardo da Vinci che si dispera; il titolo è Painting Mona Lisa:

Portami con te nell'abbraccio del futuro, dove posso spiccare il volo e i miei talenti possono trovare spazio. Lascia che il mio genio prosperi in un mondo ancora da realizzare… 

Significativo l’intervento chitarristico dell’italiano Roberto Bucci ma mi soffermo sulla figura di un altro musicista di casa nostra, il flautista Giovanni Mazzotti, che ci riporta a sonorità note, tra Johann Sebastian Bach e Jethro Tull.

Magnifico!

Superando i secoli si fa una sosta per dare luce ad Albert Einstein che troviamo in E=MC2    

Ho cercato i segreti, la svolta cosmica, ma nel profondo si agita un conflitto interiore: valeva la pena percorrere quel tipo di sentiero? Ho forse perso il controllo? Una fusione di atomi, una potenza sconfinata, ma con essa sono arrivati gli echi della disperazione. Il peso delle ripercussioni è troppo pesante da sopportare e mi chiedo… avrei potuto cambiare il percorso scelto dal destino?

Nuovo vocalist (sono cinque in totale) - il conosciuto Clive Nolan (Pendragon, Arena) - per un episodio che riproduce le visioni di un genio e le sue preoccupazioni, disegnando con appropriate trame sonore un mondo che propone l’immagine di maggior modernità.

A questo punto subentrano i due strumentali, il primo intitolato Moon, e quindi si suppone che il viaggio sia arrivato al 1969, giorno in cui avvenne il primo allunaggio.

Tensione, emozione, stupore, paura, coraggio, incoscienza… sono questi gli stati d’animo che ho percepito immaginando le immagini di quei giorni collegate a ciò che i Samurai riescono a creare.

Il secondo è un tributo a Nelson Mandela, Madiba's Life,  che vede impegnato il solo Marco Grieco al Grand Piano, due minuti dal forte impatto emotivo, e sottolineo la fotografia scelta, meravigliosa, fruibile attraverso il link su indicato, che presenta un Mandela immortalato da dietro, con una pletora di seguaci che ascoltano e sorridono, immagine di una serenità che non ha certo contraddistinto la storia dell’attivista sudafricano, raggiunta, forse, a fatica, alla fine di un lungo percorso.

Si arriva alla conclusione con Future, commovente monologo interiore di una donna incinta che riflette sul futuro del mondo e sul coraggio necessario per far nascere una nuova vita. Questa chiusura ottimistica incarna la speranza, il messaggio di fondo dell'album: nonostante le difficoltà, l'umanità ha la capacità di plasmare un futuro migliore (Grieco).

Marco Grieco

Per raccontare la storia di una donna viene scelta una vocalist, Christina Booth, che riesce a fornire grande pathos al suo racconto.

Nove minuti di colline, intese come dolcezza e commozione alternate a momenti di grande altitudine sonora, una bellezza che solo la Musica è in grado di generare, se si conoscono alla perfezione le leve di comando, ovvero quando il virtuosismo tecnico si unisce alla sensibilità.

A questo punto è buona cosa leggere la sintesi oggettiva tratta dalle note ufficiali:

Musicalmente, “The Time Machine” è un esempio luminoso di progressivo rock sinfonico moderno, capace di fondere le tecniche classiche del progressive con arrangiamenti orchestrali di grande raffinatezza. Marco Grieco, alla tastiera, guida l'ascoltatore attraverso paesaggi sonori impreziositi da sintetizzatori Moog e chitarre elettriche, creando un'armonia quasi cinematografica. Il tutto è rafforzato dall'inclusione di strumenti classici come flauto, violino, tromba e corno francese, che donano un'ulteriore profondità agli arrangiamenti.

Le collaborazioni con artisti internazionali, tra cui Serge Tiagniryadno e Christina Booth alle voci, e musicisti come il chitarrista Roine Stolt, arricchiscono ulteriormente l'album, rendendo ogni brano un’esperienza variegata e imprevedibile. La sezione ritmica, composta dal bassista Marco Bernard e dal batterista Kimmo Pörsti, fornisce una base solida che permette a queste complesse tessiture musicali di respirare e svilupparsi.

Che altro aggiungere… ho immaginato un ascolto condiviso, con anime pure, mai toccate dal genere… ho immaginato un utilizzo didattico, fatto con pubblico trasversale… prog o non prog questa è arte, è sintesi dello scopo della musica, ormai caratteristica di tutte le proposte dei The Samurai of Prog.

Bernard, Pörsti e Grieco, con tutta la truppa al seguito, ci regalano la certezza che ci sia ancora spazio per vivere la musica al di fuori che di ciò che impone il mainstream… certo, se un album come questo fosse stato pubblicato nel 1973, tanto per citare un anno d’oro, sarebbe entrato nella storia! Ma ora…

 Un assaggio...


Tracks Listing

1. The Time Machine (9:59)

2. Apes (7:35)

3. The Last Legionary (7:44)

4. Painting Mona Lisa (6:37)

5. E=MC2 (8:14)

6. Moon (6:55)

7. Madiba's Life (1:46)

8. Future (9:05)

Total Time 57:55

 

Line-up / Musicians

- Marco Bernard / Shuker basses

- Marco Grieco / keyboards

- Kimmo Pörsti / drums & percussion

 

Music and lyrics by Marco Grieco 

With:

- Serge Tiagniryadno / vocals

- Tony Riveryman / electric guitars

- Maria Kovalenko / violin

- Giovanni Mazzotti / flute

- Roine Stolt / electric guitar

- Bo-Anders Sandström / vocals

- Marc Papeghin / French horn

- Balàzs Winkler / trumpet

- Daniel Fäldt / vocals

- Roberto Bucci / electric guitar

- Clive Nolan / vocals

- Marcel Singor / electric guitar

- Peter Matuchniak / electric guitar

- Christina Booth / vocals


Releases information 

Artwork: Michal Xaay Loranc

www.seacrestoy.com

 

CD Seacrest Oy - SCR-1046 (2024, Finland)

Produced by Marco Bernard, Marco Grieco and Kimmo Pörsti

 

ACQUISTO

https://www.recordshopx.com/artist/samurai_of_prog/the_time_machine/#982012

 





sabato 26 ottobre 2024

Presentazione dell'edizione da collezione Flying V di Joe Bonamassa, la "Amos".

Se si chiedesse a chitarristi esperti di nominare la Flying V più famosa del mondo, è probabile che risponderebbero la "Amos". E non sorprende che Joe Bonamassa abbia questa pregiata chitarra storica nella sua epica collezione di chitarre. 


Solo 50 ricreazioni di questo eccezionale strumento sono state realizzate a mano dagli esperti liutai del Gibson Custom Shop e del Murphy Lab di Nashville, nel Tennessee, come parte di questa straordinaria edizione da collezione.

Una Gibson Flying V originale del 1958 è davvero una cosa rara, e non c'è niente di più leggendario di una Amos. Prende il nome dal suo primo proprietario, Amos Arthur, dell'Arthur's Music Store in Indiana, ma la chitarra ha poi trovato la sua strada nella collezione del leggendario Norman Harris prima di fare un'apparizione sul grande schermo in This Is Spinal Tap.

Ora è di Joe Bonamassa, che la usa regolarmente sul palco e in studio.




26-10 The Who e il manifesto generazionale "Quadrophenia"


Titolo: "Quadrophenia"

Artista: The Who

Pubblicazione: 26 ottobre 1973

Durata: 81:36

Dischi: 2

Tracce: 17

Genere: Opera rock

Etichetta: Track, Polydor, MCA

Produttore: The Who, Kit Lambert, Glyn Johns

 

"Quadrophenia" dei The Who è un album rock epico e senza tempo che meriterebbe un'analisi dettagliata. Ma credo che un disegno superficiale - il mio di oggi - unito al completo ascolto, possa essere più utile alla causa, quella che è finalizzata ad avvicinare i neofiti al rock.

Pubblicato nel 1973, l'album rappresenta uno dei punti più alti nella carriera degli Who e un classico intramontabile del genere.

Si tratta della seconda opera rock della band dopo “Tommy”, ed è anche l'unico album degli Who interamente scritto dal solo Pete Townshend.

L'opera è un concept album che racconta la storia di Jimmy, un giovane mod nella Londra degli anni '60. La trama esplora le sfide e le frustrazioni che affliggono il ragazzo mentre cerca di trovare la sua identità in un mondo caotico e spesso ostile. L'album affronta temi come l'alienazione, la ribellione giovanile, l'amore, l'autodistruzione e l'accettazione di sé.

Musicalmente, "Quadrophenia" è un tour de force. Gli Who dimostrano la loro abilità straordinaria nel creare brani potenti e coinvolgenti, ma ciò  che rende l’album così speciale è l'abilità della band di trasmettere emozioni attraverso la musica. La voce di Roger Daltrey è piena di passione e intensità, catturando perfettamente il tormento interiore di Jimmy. I testi di Townshend sono ricchi di poesia e offrono una narrazione coinvolgente e la sezione ritmica è uno dei punti di forza del disco.

L'album presenta anche una varietà di stili musicali, che vanno dal rock duro ed energetico di brani come "The Real Me" e "5:15" alla delicata ballata "Love Reign O'er Me". L'uso di strumenti orchestrali e arrangiamenti complessi aggiunge ulteriore profondità e dimensione all'opera.

Uno dei punti salienti di "Quadrophenia" è la produzione impeccabile di Kit Lambert e degli Who stessi, capaci di creare un capolavoro assoluto. 

L'album cattura l'anima e lo spirito di un'intera generazione, offrendo una colonna sonora iconica per l'adolescenza ribelle. La sua combinazione di musica eccezionale, testi profondi e narrativa coinvolgente lo rende un album che merita di essere ascoltato e apprezzato ancora oggi.


È stato detto:


“Tutta la grandezza degli Who è racchiusa qua dentro”

 

A distanza di qualche anno, nel 1979, “Quadrophenia” è divenuto un film - diretto da Franc Roddam -, pellicola che ha contribuito e mettere in risalto una cultura, un modo di vivere, un periodo importante amplificato dalla musica degli Who.


Tracce (cliccare sul titolo per ascoltare)

Testi e musiche di Pete Townshend.

 

Lato A

I Am the Sea (strumentale) – 2:08

The Real Me – 3:20

Quadrophenia (strumentale) – 6:15

Cut My Hair– 3:46

The Punk and the Godfather – 5:10

Lato B

I'm One – 2:39

The Dirty Jobs – 4:30

Helpless Dancer – 2:32

Is It in my Head – 3:46

I've Had Enough – 6:14

Lato C

5:15 – 5:00

Sea and Sand – 5:01

Drowned – 5:28

Bell Boy – 4:56

Lato D

Doctor Jimmy – 8:42

The Rock (strumentale) – 6:37

Love, Reign o'er Me – 5:48

 

Formazione

Roger Daltrey – voce

Pete Townshend – chitarra, sintetizzatore, banjo, effetti sonori, voce

John Entwistle – basso, corno, voce

Keith Moon – batteria, percussioni, voce in Bell Boy

Altri musicisti

Chris Stainton – pianoforte (tracce: B2, B3, C1, C3)

Jon Curle – speaker radiofonico


The Who dal vivo nel 1974







Phil Lesh, bassista dei Grateful Dead, muore a 84 anni


 
       

  Phil Lesh, bassista dei Grateful Dead, muore a 84 anni

Il musicista è stato uno dei membri fondatori dell'influente band ed è morto "circondato dalla sua famiglia e pieno di amore"

 

Phil Lesh, l'influente bassista dei Grateful Dead che ha dato impulso a molte delle incarnazioni in tour della jam band dopo la morte di Jerry Garcia nel 1995, è morto. Aveva 84 anni.

La morte di Lesh è stata annunciata sulla sua pagina Instagram. "Phil Lesh, bassista e membro fondatore dei The Grateful Dead, è morto serenamente questa mattina", si legge nella didascalia. "Era circondato dalla sua famiglia e pieno di amore. Phil ha portato immensa gioia a tutti quelli che lo circondavano e lascia dietro di sé un'eredità di musica e amore. Vi chiediamo di rispettare la privacy della famiglia Lesh in questo momento".

Nato il 15 marzo 1940 a Berkeley, California, Lesh ha studiato musica classica per tutta l'infanzia. Trombettista qualificato, ha studiato con il compositore d'avanguardia Luciano Berio e ha suonato con il compositore minimalista Steve Reich. Passò al basso, uno strumento che non aveva mai suonato, nel 1965, dopo essere stato reclutato dai Warlocks, una band guidata dal suo amico Garcia, per uno spettacolo in una pizzeria a Menlo Park, California.

"Ero così emozionato che non dovevo pensarci... ma sapevo che stava succedendo qualcosa di grandioso, qualcosa di più grande di tutti, più grande di me di sicuro", ha detto Lesh al pubblicista e storico ufficiale dei Dead Dennis McNally per il libro del 2002 A Long Strange Trip.

L'impronta di Lesh fu cruciale per il sound iniziale dei Grateful Dead, spesso accreditato insieme a Garcia. Fu coautore di numerose composizioni, tra cui St Stephen, The Eleven e Dark Star, che divennero elementi essenziali del repertorio della jam band.

Tra il 1967 e il 1990, Lesh apparve in tutte le 13 uscite in studio dei Grateful Dead e nei 10 album live ufficiali. Insieme a Garcia, al chitarrista Bob Weir e al batterista Bill Kreutzmann, Lesh rimase una parte fondamentale della formazione in tournée della band improvvisata per 30 anni.

Dopo la morte di Garcia nel 1995 all'età di 53 anni, Lesh è stato un punto fermo degli arrangiamenti successivi della band, inclusi gli Other Ones (1998-1999), i Dead (2003-2004, 2008-2009) e i Furthur (2009-2013).

Ha saltato l'ultima incarnazione della band, i Dead & Company, guidati da John Mayer.

Insieme agli altri membri dei Grateful Dead, Lesh è stato inserito nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1994.

Lascia la moglie Jill e i loro figli Grahame e Brian, entrambi suonatori della Terrapin Family Band, la band di Lesh formatasi negli ultimi anni della sua vita tramite il music hall e ristorante a conduzione familiare a San Rafael, California.




venerdì 25 ottobre 2024

Tracce di Golden Earring

 


I Golden Earring sono stati una delle band rock più importanti e longeve dei Paesi Bassi, con una carriera che si estende per oltre cinque decenni. Sono noti per il loro sound potente e versatile, che spazia dal rock psichedelico degli inizi agli esperimenti hard rock e pop rock degli anni successivi.

Formati a Haarlem nei primi anni '60, iniziarono come un tipico gruppo beat, influenzati da band come Beatles e Rolling Stones. Il loro sound si evolve rapidamente, abbracciando elementi del rock psichedelico e del blues.

La svolta arriva negli anni '70 con album come "Moontan" e "Shot in the Dark", che li portano al successo internazionale. Brani come "Radar Love" e "Twilight Zone" diventano dei veri e propri inni rock, grazie anche a video musicali innovativi per l'epoca.

Negli anni successivi, i Golden Earring continuano a sperimentare con diversi stili musicali, dal hard rock al pop rock, senza mai perdere di vista la loro identità sonora. Album come "Long Live Rock 'n' Roll" e "Cuttings" consolidano la loro posizione nel panorama rock internazionale.

I Golden Earring sono considerati una delle band rock più importanti dei Paesi Bassi, con un'influenza che va ben oltre i confini nazionali. La loro capacità di evolversi e adattarsi ai cambiamenti della scena musicale li ha resi un gruppo longevo e rispettato.

La loro produzione discografica è sterminata!

Il brano simbolo...




giovedì 24 ottobre 2024

“Starless", capolavoro dei King Crimson


Starless" dei King Crimson è un brano che merita un'analisi approfondita, un pezzo monumentale, un vero e proprio viaggio musicale che ha segnato un'epoca nel rock progressivo, ma al di là dei “giudizi universali”, è una di quelle tessere che compongo il mio mosaico ideale, tendente alla perfezione, e qui la passione per il genere c’entra poco.

Uscito nel 1974, inserito nell’album “Red” - ultimo a nome King Crimson negli anni Settanta -, è la composizione più lunga con i suoi dodici minuti di durata.

Inizialmente destinato a trovare spazio in “Starless and Bible Black”, Fripp e Bruford ne decisero la rilocazione nell'album ad esso successivo.

"Starless" è più di una semplice canzone, è un'esperienza. La sua durata, la complessità delle strutture armoniche e ritmiche, l'intensità emotiva, la rendono un vero e proprio masterpiece.

Il brano si apre con un'atmosfera densa e malinconica, dominata da un basso profondo e melodie sospese, con un tessuto di archi al mellotron, una struggente linea di chitarra che si alterna al sassofono e al violino, e poi parte la strofa.

Senza nulla togliere a chi ancor oggi propone la parte vocale, il cantato del compianto John Wetton rimane per me insuperabile.

Questo inizio crea un senso di attesa e di mistero che avvolge l'ascoltatore.

La tensione cresce costantemente, con l'aggiunta di nuovi strumenti e l'intensificazione del ritmo, e la chitarra di Fripp, con le sue note lunghe e sospese, contribuisce a creare uno stato ipnotico.

Dopo un crescendo graduale, il brano raggiunge un apice di intensità con una evoluzione sonora che coinvolge tutti gli strumenti. È un momento di catarsi, un rilascio di tutta l'energia accumulata nei minuti precedenti.

Dopo l'esplosione, il brano si chiude con un ritorno alla calma iniziale, lasciando l'ascoltatore con un senso di profonda soddisfazione.

La struttura di "Starless" è difficile e articolata, con sezioni che si alternano e si sovrappongono. Questa complessità contribuisce a creare un senso di disorientamento e di profondità.

Secondo l'autore del testo, Richard Palmer-James, esso ha a che fare con la rottura tra due amici intimi e di come il futuro senza l'un l'altro sembri "spoglio" e "privo di stelle", ma la grandezza della trama sonora oscura qualsiasi tipo di lirica, anche se, ripeto, la voce di Wetton è tra le più belle mai ascoltate.

"Starless" è a mio giudizio un brano che va oltre la semplice musica. È un'esperienza che coinvolge tutti i sensi e lascia un segno indelebile nell'animo dell'ascoltatore, un pezzo che va ascoltato e riascoltato, ogni volta scoprendo nuove sfumature e nuovi significati.

                                                      


Robert Fripp: chitarra e mellotron

 John Wetton: basso e voce

Bill Bruford: batteria e percussioni

 Ospiti

 Mel Collins sax, Robin Miller, oboe


Traduzione Starless – King Crimson

Testo tradotto di Starless

Sundown dazzling day

Gold through my eyes

But my eyes turned within

Only see

Starless and bible black

Tramonto di un giorno abbagliante,

Oro che mi attraversava gli occhi,

ma i miei occhi si rivolsero in dentro

Vedendo solo

una notte senza stelle e nera come la Bibbia 

Old friend charity

Cruel twisted smile

And the smile signals emptiness

For me

Starless and bible black 

La carità di un vecchio amico

dal sorriso perverso e crudele,

Ma è un sorriso che indica (solo) vacuità,

per me,

senza stelle e nera come la Bibbia

Ice blue silver sky

Fades into grey

To a grey hope that oh yearns to be

Starless and bible black 

Un cielo argentato e azzurro come il ghiaccio

sfuma nel grigio,

in una grigia speranza che – oh – anela ad essere

senza stelle e nera come la Bibbia