Giuseppe Scaravilli prosegue l’attività di musicista prestato alla saggistica specifica, e mette a disposizione della cospicua comunità dedita al Prog un libro focalizzato sulla storia dei Van der Graaf Generator, dalle origini in poi. Sottotitolo: “Generatori di Emozioni-Dagli inizi ai giorni nostri”, edito da il Cuscino Di Stelle.
È sempre un piacere per me commentare gli avvenimenti
musicali, siano essi nuovi album o book, ma i VdGG occupano uno spazio speciale
nel mio cuore, e ciò potrebbe portarmi a pensare più a loro che all’opera di
Scaravilli, in ogni caso mi pare doveroso fare un piccolo accenno a ciò che mi
lega in modo indissolubile alla band britannica.
Avrei potuto raccontare diversi aneddoti all’autore, a partire
dal primo live della mia vita, il 30 maggio 1972 all’Alcione di Genova,
passando per il concerto di Albenga del 5 agosto, arrivando al 29 novembre del ’75
per poi terminare con il ritorno a Genova del maggio 2022, esattamente 50
anni dopo la mia prima volta, un evento nato un paio di anni prima e rallentato dall’effetto
“Covid”. E poi, l’amicizia coltivata nel tempo con David Jackson me ne ha fatto
apprezzare, anche, le doti umane.
La foto a seguire fa parte dell’archivio di Oliviero
Lacagnina, tastierista dei Latte e Miele, gruppo “spalla” in quella tournée
estiva italiana del 1972.
Erano tempi in cui l’informazione musicale era veicolata sui
pochi binari disponibili, cartacei e radiofonici, e fu proprio il Carlo Massarini
citato dall’autore che, attraverso una puntata di “Per voi giovani”, mi fece
conoscere “Man Erg”.
Ecco, “Pawn Hearts”, il loro capolavoro, è uno degli album
della mia vita, di quelli che non mi stancherei mai di ascoltare e consigliare.
Ma torniamo alla pregiata opera di Scaravilli, suddivisa in
modo impeccabile tra la giusta rigidità di informazione legata ai fatti
oggettivi e il commento personale: cronaca e sentimenti.
Esiste un perfetto ordine cronologico che tiene conto dei
concerti proposti in giro per il mondo, dei dischi di gruppo e personali (Peter
Hammill), delle tante separazioni e reunion che hanno caratterizzato l’iter
evolutivo - o involutivo - della band, un gruppo che nel tempo ha visto
svariati protagonisti, ma che il pubblico identifica quasi sempre con il
quartetto “anomalo”, poco ortodosso, senza chitarra elettrica e basso, dove
emerge la voce di Peter Hammill, l’abilità tastieristica di Hugh
Banton, il funambolismo percussivo di Guy Evans e l’ecletticità del
fiatista Dave Jackson.
Ovviamente nel libro c’è spazio per ogni minimo cambiamento di
line up.
Ma ci sono momenti evidenziati dall’autore che fanno parte
della storia di quei giorni, frammenti di vita che si tramandano di voce in
voce, amplificate dalla possibilità fornite oggi dai social, trasformandosi a
volte in leggende metropolitane di cui non si conoscono i contorni della verità.
Ce ne sono un paio raggruppati in un ristretto spazio
temporale - 5 giorni - che hanno a che fare con la guerriglia urbana in atto in
Italia a metà dei seventies, che, nel contesto musicale, aveva come obiettivo
dichiarato quello di fruire gratuitamente dei concerti.
A questo proposito apro una parentesi che credo possa essere
utile per comprendere come in quei giorni l’utilizzo di una “falsa ideologia” fosse
una sorta di giustificazione per azioni sconsiderate.
Da un racconto che catturai da Pino Tuccimei, uno dei primi e
massimi promoter dell’epoca, si evince come il suo arrivo in Mercedes (quella
che lui definiva una vecchia carcassa!) in uno dei tanti festival dell’epoca da
lui organizzato, diede lo start alla contestazione, con centinaia di presenti
decisi ad entrare senza pagare.
Uno di loro, particolarmente agitato, fu fermato e nelle sue
tasche fu trovato un ricco rotolo di banconote da 10 mila lire: non era un
ladro, ma il rampollo di una famosissima famiglia di industriali!
Ma cosa accadde invece ai VdGG?
Senza entrare troppo nei particolari, evitando quindi opere
di spoileraggio, posso raccontare che il 27 novembre del 1975 suonarono al
Palazzo della Tecnica e delle Esposizioni a Padova, occasione in cui scapparono
dal pericolo dei disordini appena creatisi rifugiandosi nel furgone adibito a
soccorso acanto al palco, fuggendo poi dal caos sfondando con il mezzo l’intera
vetrata della struttura ospitante.
Si arriva poi al famigerato concerto romano del 1° di
dicembre, quello che vide il furto dei loro strumenti - poi recuperati -, fatto
raccontato nei dettagli da Scaravilli ma che conserva ancora lati oscuri in
tutte le sue dinamiche.
Fatto sta che tutti questi accadimenti allontanano dal nostro
paese la band, e il solo Peter Hammill farà capolino dalle
nostre parti un lustro dopo, ovvero quando il prog, così come lo avevamo
conosciuto, non era più una musica per le masse, soppiantato dal punk o dal
reggae.
Ed è proprio in accoppiata con uno dei paladini del genere
giamaicano - Peter Tosh - che il solo Hammill decise di rimettere piede su
di un nostro palco per realizzare un connubio improbabile, quello tra un maestro
dell’esposizione intimistica e un menestrello di una proposta fatta di linee
melodiche semplici e una ripetitiva base ritmica. Avrebbe potuto
reggere, il buon Peter, come “spalla” di Tosh?
Scrive Scaravilli: “Hammill e Tosh avevano in comune solo
il nome di battesimo. La musica proposta dall’uno era esattamente l’opposto rispetto
a quella dell’altro. E così i fan del reggae giamaicano, ballabile e
inneggiante alla festa, non potevano in alcun modo rimanere attratti dalle
dolenti elucubrazioni dell’ex leader di VdGG”.
Un’idea bizzarra portatrice di grandi sofferenze: “Non
poteva funzionare e non funzionò!”.
Hammill era già rodato a proposito delle accoglienze italiane negative in veste di solista, perché nel dicembre del ’72, a quattro mesi di distanza dallo scioglimento dei VdGG, si trovò sul palco con Le Orme, come ospite, e verificò il suo calo di popolarità, legato, in quel caso, soprattutto alla delusione dell’audience rispetto alla fine di un gruppo amato sin dalle prime apparizioni, prima ancora che diventasse famoso in patria.
I concerti importanti, i dischi e gli avvenimenti collaterali
vengono sviscerati e le 290 pagine risultano intense e piacevoli, grazie all’alternanza
tra svolgimento cronologico e aneddoti, con questi ultimi che risultano il
valore aggiunto del saggio musicale.
Segnalo anche una sezione fotografica significativa, tra il
colore e il bianco e nero, che copre 50 anni di vita comune, perché artisti e
fan proseguono un percorso parallelo che trova continui punti di condivisione.
Prefazione di Arturo Stalteri, Maestro del Pianoforte e della Divulgazione Musicale, conosciuto in ambito prog per aver fatto parte dei Pierrot Lunaire.
Un libro che consiglio, ovviamente, agli intrisi di rock
progressivo, ma l’opera di Giuseppe Scaravilli non è certo settoriale, al
contrario, si prefigge di aprire la porta di una stanza all’interno della quale,
i curiosi e neofiti, potranno trovare idee e materiale con cui colmare vuoti o,
più semplicemente, entrare in contatto con un mondo che potrebbe essere tutto da scoprire.