domenica 29 dicembre 2024

Van der Graaf Generator-“Generatori di Emozioni-Dagli inizi ai giorni nostri”: commento al libro

Giuseppe Scaravilli prosegue l’attività di musicista prestato alla saggistica specifica, e mette a disposizione della cospicua comunità dedita al Prog un libro focalizzato sulla storia dei Van der Graaf Generator, dalle origini in poi. Sottotitolo: “Generatori di Emozioni-Dagli inizi ai giorni nostri”, edito da il Cuscino Di Stelle.

È sempre un piacere per me commentare gli avvenimenti musicali, siano essi nuovi album o book, ma i VdGG occupano uno spazio speciale nel mio cuore, e ciò potrebbe portarmi a pensare più a loro che all’opera di Scaravilli, in ogni caso mi pare doveroso fare un piccolo accenno a ciò che mi lega in modo indissolubile alla band britannica.

Avrei potuto raccontare diversi aneddoti all’autore, a partire dal primo live della mia vita, il 30 maggio 1972 all’Alcione di Genova, passando per il concerto di Albenga del 5 agosto, arrivando al 29 novembre del ’75 per poi terminare con il ritorno a Genova del maggio 2022, esattamente 50 anni dopo la mia prima volta, un evento nato un paio di anni prima e rallentato dall’effetto “Covid”. E poi, l’amicizia coltivata nel tempo con David Jackson me ne ha fatto apprezzare, anche, le doti umane.

La foto a seguire fa parte dell’archivio di Oliviero Lacagnina, tastierista dei Latte e Miele, gruppo “spalla” in quella tournée estiva italiana del 1972.

Peter Hammill e Guy Evans-30 maggio 1972-Teatro Alcione-Genova

Erano tempi in cui l’informazione musicale era veicolata sui pochi binari disponibili, cartacei e radiofonici, e fu proprio il Carlo Massarini citato dall’autore che, attraverso una puntata di “Per voi giovani”, mi fece conoscere “Man Erg”.

Ecco, “Pawn Hearts”, il loro capolavoro, è uno degli album della mia vita, di quelli che non mi stancherei mai di ascoltare e consigliare.

Ma torniamo alla pregiata opera di Scaravilli, suddivisa in modo impeccabile tra la giusta rigidità di informazione legata ai fatti oggettivi e il commento personale: cronaca e sentimenti.

Esiste un perfetto ordine cronologico che tiene conto dei concerti proposti in giro per il mondo, dei dischi di gruppo e personali (Peter Hammill), delle tante separazioni e reunion che hanno caratterizzato l’iter evolutivo - o involutivo - della band, un gruppo che nel tempo ha visto svariati protagonisti, ma che il pubblico identifica quasi sempre con il quartetto “anomalo”, poco ortodosso, senza chitarra elettrica e basso, dove emerge la voce di Peter Hammill, l’abilità tastieristica di Hugh Banton, il funambolismo percussivo di Guy Evans e l’ecletticità del fiatista Dave Jackson.

Ovviamente nel libro c’è spazio per ogni minimo cambiamento di line up.

Ma ci sono momenti evidenziati dall’autore che fanno parte della storia di quei giorni, frammenti di vita che si tramandano di voce in voce, amplificate dalla possibilità fornite oggi dai social, trasformandosi a volte in leggende metropolitane di cui non si conoscono i contorni della verità.

Ce ne sono un paio raggruppati in un ristretto spazio temporale - 5 giorni - che hanno a che fare con la guerriglia urbana in atto in Italia a metà dei seventies, che, nel contesto musicale, aveva come obiettivo dichiarato quello di fruire gratuitamente dei concerti.

A questo proposito apro una parentesi che credo possa essere utile per comprendere come in quei giorni l’utilizzo di una “falsa ideologia” fosse una sorta di giustificazione per azioni sconsiderate.

Da un racconto che catturai da Pino Tuccimei, uno dei primi e massimi promoter dell’epoca, si evince come il suo arrivo in Mercedes (quella che lui definiva una vecchia carcassa!) in uno dei tanti festival dell’epoca da lui organizzato, diede lo start alla contestazione, con centinaia di presenti decisi ad entrare senza pagare.

Uno di loro, particolarmente agitato, fu fermato e nelle sue tasche fu trovato un ricco rotolo di banconote da 10 mila lire: non era un ladro, ma il rampollo di una famosissima famiglia di industriali!

Ma cosa accadde invece ai VdGG?

Senza entrare troppo nei particolari, evitando quindi opere di spoileraggio, posso raccontare che il 27 novembre del 1975 suonarono al Palazzo della Tecnica e delle Esposizioni a Padova, occasione in cui scapparono dal pericolo dei disordini appena creatisi rifugiandosi nel furgone adibito a soccorso acanto al palco, fuggendo poi dal caos sfondando con il mezzo l’intera vetrata della struttura ospitante.

Si arriva poi al famigerato concerto romano del 1° di dicembre, quello che vide il furto dei loro strumenti - poi recuperati -, fatto raccontato nei dettagli da Scaravilli ma che conserva ancora lati oscuri in tutte le sue dinamiche.

Fatto sta che tutti questi accadimenti allontanano dal nostro paese la band, e il solo Peter Hammill farà capolino dalle nostre parti un lustro dopo, ovvero quando il prog, così come lo avevamo conosciuto, non era più una musica per le masse, soppiantato dal punk o dal reggae.

Ed è proprio in accoppiata con uno dei paladini del genere giamaicano - Peter Tosh - che il solo Hammill decise di rimettere piede su di un nostro palco per realizzare un connubio improbabile, quello tra un maestro dell’esposizione intimistica e un menestrello di una proposta fatta di linee melodiche semplici e una ripetitiva base ritmica. Avrebbe potuto reggere, il buon Peter, come “spalla” di Tosh?

Scrive Scaravilli: “Hammill e Tosh avevano in comune solo il nome di battesimo. La musica proposta dall’uno era esattamente l’opposto rispetto a quella dell’altro. E così i fan del reggae giamaicano, ballabile e inneggiante alla festa, non potevano in alcun modo rimanere attratti dalle dolenti elucubrazioni dell’ex leader di VdGG”.

Un’idea bizzarra portatrice di grandi sofferenze: “Non poteva funzionare e non funzionò!”.

Hammill era già rodato a proposito delle accoglienze italiane negative in veste di solista, perché nel dicembre del ’72, a quattro mesi di distanza dallo scioglimento dei VdGG, si trovò sul palco con Le Orme, come ospite, e verificò il suo calo di popolarità, legato, in quel caso, soprattutto alla delusione dell’audience rispetto alla fine di un gruppo amato sin dalle prime apparizioni, prima ancora che diventasse famoso in patria.

I concerti importanti, i dischi e gli avvenimenti collaterali vengono sviscerati e le 290 pagine risultano intense e piacevoli, grazie all’alternanza tra svolgimento cronologico e aneddoti, con questi ultimi che risultano il valore aggiunto del saggio musicale.

Segnalo anche una sezione fotografica significativa, tra il colore e il bianco e nero, che copre 50 anni di vita comune, perché artisti e fan proseguono un percorso parallelo che trova continui punti di condivisione.

Prefazione di Arturo Stalteri, Maestro del Pianoforte e della Divulgazione Musicale, conosciuto in ambito prog per aver fatto parte dei Pierrot Lunaire.

Un libro che consiglio, ovviamente, agli intrisi di rock progressivo, ma l’opera di Giuseppe Scaravilli non è certo settoriale, al contrario, si prefigge di aprire la porta di una stanza all’interno della quale, i curiosi e neofiti, potranno trovare idee e materiale con cui colmare vuoti o, più semplicemente, entrare in contatto con un mondo che potrebbe essere tutto da scoprire.