Per la seconda volta
in poco tempo mi ritrovo a esprimere il mio feeling da post lettura provocato
da un libro di Luciano
Boero, in questa occasione scritto a quattro mani.
Mi piace considerare Luciano un
buon amico, per via di quell’empatia che spesso nasce senza particolare
motivazione, a dispetto della ridotta frequentazione, ed è stato quindi motivo
di soddisfazione ricevere questo suo nuovo regalo, Soldato da otto soldi.
L’argomento che ci ha accomunato da subito è stata la musica, che lui ha
vissuto in piena era beat, anni ’60, con Gli
Scoiattoli, per poi proseguire con il prog de La Locanda delle Fate,
con cui è ancora molto attivo. Anche in veste di autore si è preso qualche
grossa soddisfazione, scrivendo brani per Anna Oxa e Pierangelo Bertoli.
Ma tutto questo non c’entra con il contenuto del book.
Se nel precedente La mia chitarra suona il rock, Luciano raccontava la sua vita
attraverso tappe significative che portavano alla realizzazione di un quadro
ben preciso, quello di un periodo d’oro, a cavallo tra il boom economico post
bellico e le agitazioni sociali di fine sixties, nella nuova pubblicazione è
presente come testimone… minore, ma è suo il compito di ricucire le vicende del
padre Carlo, e anche in questo caso il racconto diventa pretesto per la
colorazione di un’epoca.
Sono quaderni carichi di appunti quelli che Carlo affida al figlio, uno che
sa scrivere oltreché suonare, e a cui si può delegare la più grande eredità
morale possibile, quella del ricordo, simile a molti altri nei contenuti, ma
con sfaccettature uniche che sanno colpire nel segno.
Chissà se Carlo, tra le infinite cose fatte nella sua lunga vita
(ottantacinque anni sono comunque periodo considerevole…) ha trovato il tempo
per prendere appunti, o se il tutto è frutto del rush finale, quel periodo
della vita in cui si ha chiaro in testa che occorre mettere qualche punto
fisso, fare un minimo di bilancio e regalarlo al mondo!
Una storia nata nel 1915 e terminata nel 2000, tutto sommato felice per
molti anni, nonostante la guerra e la “dignitosa” povertà, tipica dell'era, controbilanciata una
frenetica attività lavorativa, tra i campi e la falegnameria, tra il negozio da
barbiere/pettinatrice e la musica.
Sì, la musica, ecco le passioni che si tramandano, e se Luciano si
innamorerà della chitarra e del basso, Carlo era un virtuoso degli strumenti a
fiato, famoso in tutta la langa piemontese, re delle feste di paese e affini… perché
Carletto… Lui sì che il sassofono lo faceva cantare!
Non ho letto di getto, non mi è risultato facile e ho avuto spesso bisogno
della pausa che, fortunatamente, arriva grazie a capitoli contenuti. Anzi, devo
dire che ho provato dolore, perché tutto quello che ho letto mi era già arrivato
nitido dai racconti familiari, e tutti i paesi citati e le situazioni
raccontate, mi hanno riportato alla condizione di sfollati dei miei genitori,
proprio in quella Dogliani più volte nominata.
Ma sentimenti personali a parte, Soldato
da otto soldi -questa era la paga di un fante nel 1939- è il perfetto
spaccato di un epoca in evoluzione, tra il secondo conflitto mondiale e il
progresso tecnologico.
Ci sono stati tempi in cui ci si sposava alle cinque del mattino, per
nascondere le vergogna dei prodromi della gravidanza…
Ci sono stati tempi in
cui a scuola… In alto c’era il crocefisso; appena sotto il quadro di Papa
Benedetto XV e di fianco quello di Sua
Maestà il Re Vittorio Emanuele III. Infine il tricolore con lo stemma sabaudo. Insomma:
Dio, la Patria, il Re.
Attraverso il sangue
ed il sudore si snoda la storia di Carlo, Vincenzina e Luciano, penetrata dalla
nebbia e dalla neve, elementi naturali che mi sono rimasti maggiormente impressi rispetto al meraviglioso contrasto tra l’azzurro del cielo e il verde delle colline, brand di
quelle zone per molti mesi dell’anno.
I negozi, le stufe,
il dialetto, le feste dei coscritti, la bicicletta, l'auto e la crescente evoluzione
legata alla modernità in arrivo, rappresentano un mondo lontano -anche se temporalmente
dietro l’angolo- che se da un lato mette infinita tristezza, dall’altro riporta
a momenti semplici, felici, di prospettiva. Ma il mostro tipico dei nostri
giorni, quella malattia subdola che si è soliti legare all’attualità, è sempre
stata in agguato, anche se magari era difficile identificarla con nome preciso,
e gli ultimi anni di Carlo diventano difficili quando, probabilmente, il vaso è
colmo e le difese cadono lasciando spazio alla depressione.
La musica è il
continuo sottofondo per la famiglia Boero, un amore che lega indissolubilmente
il passaggio delle generazioni, e che Luciano ha voluto sottolineare ad ogni
inizio capitolo, che si apre con un stralcio di testo appropriato.
Sono molti gli
spunti di riflessione ed ogni anima con qualche anno sulle spalle potrà trovare
un po’ di personale DNA facendo scorrere le pagine, ma mi piace soffermarmi su
alcuni ricordi smossi, che mi hanno riportato alle domeniche mattina di inizio
anni’70, quando, dopo avere fatto il bagno settimanale, e prima di andare a
messa, ascoltavamo tutti assieme la radio, Gran
Varietà, o ancora quando mio padre portò a casa un fantastico ritrovato
della scienza e della tecnica, uno schermo bicolore da applicare alla TV in
bianco e nero, tanto da dare l’idea del TV COLOR!
Un piccolo spunto del
book…
“In cucina c’era una mensola. Ogni tanto
guardavo quel posto vuoto e pensavo come sarebbe stato bello possedere una
radio, dal momento che entrambi adoravamo la musica. Poco prima del Natale del ’54
decidemmo di fare una pazzia e con i nostri pochi risparmi ne comprai una di
seconda mano, una Magnadyne S 34. Che meraviglia!
Alla sera era un piacere sedersi sul divano e godere
dell’intimità della famiglia con le canzoni della radio in sottofondo, mentre
Luciano faceva i compiti e Vincenzina stirava!”.
Beh, gli attimi di
piena comunione restano qualcosa di impagabile, allora come oggi.
Quel mondo non
esiste più, purtroppo o per fortuna, ma è una grande cosa poterne leggere l’essenza,
appropriandosi della storia attraverso i sentimenti umani, e non solo i dati
oggettivi.
Ho un’avversione per quello che è definito il "liscio", musica che viene ancor oggi proposta nelle feste paesane e che è parte della nostra tradizione e cultura; è quasi un malessere fisico quello che mi colpisce, irrazionale, che non ha niente a che vedere con le battaglie giovanili intraprese per imporre la sonorità ed il genere che più si ama; il fatto è che… contrariamente ai propositi gioiosi basici, che prevedono il rallegrare la festa, l’incontro dei sentimenti e la celebrazione di attimi sereni, il valzer suonato sul palchetto di Belvedere Langhe, davanti all’Hotel Bellavista, mi ha sempre fatto precipitare nei ricordi di bambino, a metà anni ’60, in un mondo ancora in bianco e nero, dove probabilmente mi sentivo a disagio.
Forse la saggezza di
Luciano Boero, nel nostro prossimo incontro, servirà a trovare qualche
giustificazione, dando continuità al racconto di suo padre, da lui rimodernato,
e che tanto mi ha saputo dare in termini di ricordi e riflessioni.