Degli “amici” non sempre ci si può fidare, ma quando un consiglio musicale arriva da un’eminenza grigia, un musicista che ha realmente partecipato alla costruzione della gloriosa epopea del rock, beh… non si può sbagliare.
Sonia Scialanca, la cantautrice romana di cui voglio parlare
oggi, non credo si offenderà se parto dal… mediatore, un certo Maartin
Allcock, per tre anni con i Jethro Tull, oltre 200 album alle spalle e
ultimamente in tour con Cat Stevens.
Conosco bene Maart, ed oltre al genio musicale ne apprezzo
l’infinità umiltà.
Un piccolo aneddoto chiarificatore.
Maartin è in Italia e viene a suonare nella mia
città, set acustico e strumentazione minimalista. Per non avere sovraccarico mi
chiede una chitarra elettrica decente e con enorme gratificazione gli porto la
mia Stratocaster. La guarda soddisfatto e… mi chiede il permesso di cambiare
le corde e inserire le sue D’Addario. Ovvia la risposta. Si mette in un
angolino, cercando di rimpicciolirsi per sparire dalla scena, e con una certa
meticolosità e naturale destrezza inserisce le “sue” strings, che non ho più
avuto il coraggio di cambiare!
Pochi giorni fa, attraverso le pagine di facebook,
mi ha suggerito di ascoltare Sonia, che ha da poco realizzato l’album Demoni:
potevo ignorare le sue parole?
Ho scoperto con grande piacere una cantautrice
atipica, che appare unica in una massa stereotipata.
Chitarrista -soprattutto, ma non solo- intreccia il
suo strumento con la voce davvero particolare, raccontando i suoi stati
interiori attraverso liriche un po’ nascoste e ricercate, privilegiando il lato
musicale, che vede un mix di rock e jazz, con importanti sfumature prog che
tendono a sfociare in una ritmica ben precisa, quella caratterizzata dai tempi
dispari che tanto ama.
“Sgrungezz”
è il termine da lei utilizzato per identificare la sua musica, un contrasto tra
durezza del sound e trame raffinate, apparenti contraddizioni con cui dobbiamo
convivere, non solo quando il tema è la musica.
L’album è tutto da scoprire, e il video a seguire
può essere il giusto documento capace di stimolare la curiosità e l’effetto
domino conseguente.
Edito dall’etichetta indipendente Terre Sommerse
per la nuova collana LaChimera Dischi, è disponibile in digitale e nei
migliori negozi di dischi.
Lo scambio di idee e pensieri che propongo sarà
utile per gettare i contorni alla figura di una grande musicista, Sonia
Scialanca.
L’INTERVISTA
Facciamo
conoscenza. Potresti sintetizzare la tua storia musicale, dalla passioni
iniziale sino all’attualità?
Ho
iniziato cercando di riprodurre qualsiasi cosa che sentissi attraverso i tasti
bianchi e neri di una tastiera. Poi sono stata affascinata dalle sei corde e
più tardi dal jazz e dal prog. Ho fatto la chitarrista per qualche progetto
originale, finché non ho sentito il bisogno di esprimermi con cose mie, un
bisogno che non si è mai spento e che mi porta ancora adesso ad una continua
ricerca compositiva.
Sono
arrivato a te attraverso Maartin Allcock che mi ha suggerito l’ascolto della
tua musica: come è nato l’incontro con Maart e Sophya Baccini, con cui ti ho
visto in fotografia?
Per
caso, come tutti gli incontri speciali! Maartin ed io abbiamo un amico
musicista in comune: un giorno Maart, attraverso questo amico, ha visto il mio
profilo facebook e mi ha contattata. Io gli ho mandato la mia musica e lui l’ha
subito apprezzata, lasciandomi letteralmente incredula: tante belle parole arrivate
da un musicista del suo calibro! Quando ho saputo che sarebbe venuto a Napoli
per produrre il disco dei Cirque des Rêves ne ho approfittato per andare a
conoscerlo di persona, benché io sia di Roma. Maartin stesso mi ha poi fatto scoprire
Sophya Baccini, altra musicista che apprezzo molto e con cui condivido gusti
musicali.
E’
appena uscito il tuo album “Demoni”: mi parli dei contenuti, tra musica e
messaggi?
In
realtà “Demoni” è nato molto tempo
fa, ma a volte la musica fa dei giri larghi per venire fuori… e così ci è
voluto qualche anno prima che il disco venisse pubblicato con Terre Sommerse, cioè
prima che i miei “Demoni” uscissero finalmente allo scoperto. E’ un album di
ricerca, in cui ho voluto unire il formato canzone con il prog e con il jazz,
ma senza per questo perdere la linearità melodica. I testi, invece, sono molto
introspettivi, devo ammettere, spesso criptici, ma forse perché mi interessa
che arrivi più la musica delle parole.
Mi ha
colpito una frase che ho trovato sulla tua bacheca, una sorta di apologia dei
tempi dispari: quanto ami la musica progressiva che ha permesso di prendere
confidenza, anche, con i ritmi composti?
In
generale mi piace molto quando la musica mi sorprende, quando non riesco a
prevederla o ad incanalarla in stilemi preconfezionati. Il prog è un po’ così:
una serie di intuizioni, a volte sperimentali, che portano l’ascoltatore a
intraprendere nuovi viaggi per terre sconosciute. In particolare mi rendo conto
che spesso le melodie che costruisco suonano su tempi dispari, 5/4, 7/8, ma la
cosa avviene per me in maniera del tutto naturale: semplicemente ho in testa
questi ritmi e quasi non riesco a farne a meno. Per dirla
come i King Crimson in Barber Shop: “So
settle back to have some fun and tap your foot in twenty-one”.
So che
hai coniato una definizione particolare per la tua musica: puoi spiegare?
E’
sempre stato difficile per me descrivere la mia musica, proprio perché
sperimentale, mentre tutti cercano sempre un riferimento, un marchio,
un’etichetta da affibbiarti per renderti riconoscibile, come il pesce al
mercato. Ecco, io non vorrei nessuna etichetta e visto che mi sembra di essere
frutto di un mix ibrido, sia carne che pesce, ho coniato un nuovo termine per
definirmi. Io suono “sgrungezz”. Questa parola racchiude in sé il suono grezzo del
rock grunge, nel senso di “sporco”, “ruvido” e la raffinatezza del jazz, che
contamina le armonie dei miei brani: l’energia che cerco di spingere nella
musica che faccio.
Che cosa
accade nei live di Sonia Scialanca?
Cerco di far arrivare tutta questa energia
insieme alla mia band! In genere suoniamo in quartetto: due chitarre, basso e
batteria, a volte con un gradito e bravissimo ospite al sax tenore, Michele
Leiss. Ultimamente, però, ho riscoperto l’amore per la loop station, che
utilizzo, in genere, quando suono da sola, ma poco tempo fa ho sperimentato
anche la formazione chitarra-batteria, registrando dei loop dal vivo e sovraincidendoci
sopra in tempo reale.
Dallo
studio del piano sei arrivata al tuo vero amore strumentale, la chitarra: hai
abbandonato la tastiera? Come componi i tuoi brani?
Beh,
non lo chiamerei un vero e proprio studio! In effetti, quando ero piccola,
mettevo le mani sulla tastiera da autodidatta, il che mi ha dato sicuramente una
sorta di “imprinting” a livello armonico/melodico, però il mio vero amore è
nato a 11 anni proprio con la chitarra. Ho avuto una formazione jazzistica per
un po’, dopodichè ho abbandonato il jazz e ho cominciato a comporre. La mia
ispirazione parte spesso da una sequenza di accordi che mi suonano in testa e
che provo a raggiungere con le dita sul manico della chitarra, a volte
prendendo posizioni improbabili, per la gioia dei musicisti che suoneranno
quelle parti nei miei live! Altre volte, invece, ho l’intuizione di qualche
sequenza di parole, che racchiude in sé già un ritmo e una melodia.
Mi dai
una tua opinione sullo stato di benessere -o malessere- della musica nel nostro
paese?
Questo
è un tasto dolente: sappiamo tutti che crisi stia passando il settore musicale,
specialmente in Italia. E’ sempre difficile proporre cose nuove, sia perché c’è
un appiattimento culturale che non ha eguali nel passato, sia perché ora la
tecnologia ha dato i mezzi a tutti, ma proprio a tutti, per uscire con un prodotto
e buttarsi nel calderone musicale, creando una sorta di rumore di fondo in cui
è arduo distinguere qualcosa di veramente interessante. Grazie ai fantastici
software che manipolano ogni cosa, si può fingere di essere grandi strumentisti
o cantanti. Il danno vero, però, è che ormai le orecchie del pubblico sono
abituate a queste sonorità e le vanno cercando: se la tua voce non è modulata
da un plug-in di auto-tuning sembrerà stonata anche quando non lo è. Non mi
sembra possibile che si sia arrivati a questo, ad eliminare completamente
l’umanità dell’esecutore. In mezzo a tante proposte tutte uguali, tutte
appiattite, il pubblico non è più in grado di distinguere il vero dal falso e
non ha più neanche la pazienza di ricercare il bello in quello che ascolta.
Mi
indichi il nome di qualche musicista o band che sono stati fondamentali per il
tuo attuale “lavoro”, e che continuano ad essere fonte di ispirazione?
Su
tutti, ovviamente, i King Crimson, ma anche il progressive italiano, come la
PFM. Attualmente seguo molto anche Steven Wilson. Per quanto riguarda i testi, invece,
prediligo il cantautorato di un certo tipo, come Andrea Chimenti, Cristina Donà.
Che cosa
vorresti che ti accadesse, musicalmente parlando -e restando sul possibile- nell’immediato
futuro?
Mi
piacerebbe avere una collaborazione con Maartin Allcock nel prossimo disco che
verrà… chissà se sono rimasta nel possibile?