martedì 23 giugno 2015

Sonia Scialanca


Degli “amici” non sempre ci si può fidare, ma quando un consiglio musicale arriva da un’eminenza grigia, un musicista che ha realmente partecipato alla costruzione della gloriosa epopea del rock, beh… non si può sbagliare.
Sonia Scialanca, la cantautrice romana di cui voglio parlare oggi, non credo si offenderà se parto dal… mediatore, un certo Maartin Allcock, per tre anni con i Jethro Tull, oltre 200 album alle spalle e ultimamente in tour con Cat Stevens.
Conosco bene Maart, ed oltre al genio musicale ne apprezzo l’infinità umiltà.
Un piccolo aneddoto chiarificatore.
Maartin è in Italia e viene a suonare nella mia città, set acustico e strumentazione minimalista. Per non avere sovraccarico mi chiede una chitarra elettrica decente e con enorme gratificazione gli porto la mia Stratocaster. La guarda soddisfatto e… mi chiede il permesso di cambiare le corde e inserire le sue D’Addario. Ovvia la risposta. Si mette in un angolino, cercando di rimpicciolirsi per sparire dalla scena, e con una certa meticolosità e naturale destrezza inserisce le “sue” strings, che non ho più avuto il coraggio di cambiare!


Pochi giorni fa, attraverso le pagine di facebook, mi ha suggerito di ascoltare Sonia, che ha da poco realizzato l’album Demoni: potevo ignorare le sue parole?

Ho scoperto con grande piacere una cantautrice atipica, che appare unica in una massa stereotipata.
Chitarrista -soprattutto, ma non solo- intreccia il suo strumento con la voce davvero particolare, raccontando i suoi stati interiori attraverso liriche un po’ nascoste e ricercate, privilegiando il lato musicale, che vede un mix di rock e jazz, con importanti sfumature prog che tendono a sfociare in una ritmica ben precisa, quella caratterizzata dai tempi dispari che tanto ama.
Sgrungezz” è il termine da lei utilizzato per identificare la sua musica, un contrasto tra durezza del sound e trame raffinate, apparenti contraddizioni con cui dobbiamo convivere, non solo quando il tema è la musica.
L’album è tutto da scoprire, e il video a seguire può essere il giusto documento capace di stimolare la curiosità e l’effetto domino conseguente.
Edito dall’etichetta indipendente Terre Sommerse per la nuova collana LaChimera Dischi, è disponibile in digitale e nei migliori negozi di dischi.

Lo scambio di idee e pensieri che propongo sarà utile per gettare i contorni alla figura di una grande musicista, Sonia Scialanca.


L’INTERVISTA

Facciamo conoscenza. Potresti sintetizzare la tua storia musicale, dalla passioni iniziale sino all’attualità?

Ho iniziato cercando di riprodurre qualsiasi cosa che sentissi attraverso i tasti bianchi e neri di una tastiera. Poi sono stata affascinata dalle sei corde e più tardi dal jazz e dal prog. Ho fatto la chitarrista per qualche progetto originale, finché non ho sentito il bisogno di esprimermi con cose mie, un bisogno che non si è mai spento e che mi porta ancora adesso ad una continua ricerca compositiva.

Sono arrivato a te attraverso Maartin Allcock che mi ha suggerito l’ascolto della tua musica: come è nato l’incontro con Maart e Sophya Baccini, con cui ti ho visto in fotografia?

Per caso, come tutti gli incontri speciali! Maartin ed io abbiamo un amico musicista in comune: un giorno Maart, attraverso questo amico, ha visto il mio profilo facebook e mi ha contattata. Io gli ho mandato la mia musica e lui l’ha subito apprezzata, lasciandomi letteralmente incredula: tante belle parole arrivate da un musicista del suo calibro! Quando ho saputo che sarebbe venuto a Napoli per produrre il disco dei Cirque des Rêves ne ho approfittato per andare a conoscerlo di persona, benché io sia di Roma. Maartin stesso mi ha poi fatto scoprire Sophya Baccini, altra musicista che apprezzo molto e con cui condivido gusti musicali.  

E’ appena uscito il tuo album “Demoni”: mi parli dei contenuti, tra musica e messaggi?

In realtà “Demoni” è nato molto tempo fa, ma a volte la musica fa dei giri larghi per venire fuori… e così ci è voluto qualche anno prima che il disco venisse pubblicato con Terre Sommerse, cioè prima che i miei “Demoni” uscissero finalmente allo scoperto. E’ un album di ricerca, in cui ho voluto unire il formato canzone con il prog e con il jazz, ma senza per questo perdere la linearità melodica. I testi, invece, sono molto introspettivi, devo ammettere, spesso criptici, ma forse perché mi interessa che arrivi più la musica delle parole.

Mi ha colpito una frase che ho trovato sulla tua bacheca, una sorta di apologia dei tempi dispari: quanto ami la musica progressiva che ha permesso di prendere confidenza, anche, con i ritmi composti?

In generale mi piace molto quando la musica mi sorprende, quando non riesco a prevederla o ad incanalarla in stilemi preconfezionati. Il prog è un po’ così: una serie di intuizioni, a volte sperimentali, che portano l’ascoltatore a intraprendere nuovi viaggi per terre sconosciute. In particolare mi rendo conto che spesso le melodie che costruisco suonano su tempi dispari, 5/4, 7/8, ma la cosa avviene per me in maniera del tutto naturale: semplicemente ho in testa questi ritmi e quasi non riesco a farne a meno. Per dirla come i King Crimson in Barber Shop: “So settle back to have some fun and tap your foot in twenty-one”.

So che hai coniato una definizione particolare per la tua musica: puoi spiegare?

E’ sempre stato difficile per me descrivere la mia musica, proprio perché sperimentale, mentre tutti cercano sempre un riferimento, un marchio, un’etichetta da affibbiarti per renderti riconoscibile, come il pesce al mercato. Ecco, io non vorrei nessuna etichetta e visto che mi sembra di essere frutto di un mix ibrido, sia carne che pesce, ho coniato un nuovo termine per definirmi. Io suono “sgrungezz”. Questa parola racchiude in sé il suono grezzo del rock grunge, nel senso di “sporco”, “ruvido” e la raffinatezza del jazz, che contamina le armonie dei miei brani: l’energia che cerco di spingere nella musica che faccio.

Che cosa accade nei live di Sonia Scialanca?

Cerco di far arrivare tutta questa energia insieme alla mia band! In genere suoniamo in quartetto: due chitarre, basso e batteria, a volte con un gradito e bravissimo ospite al sax tenore, Michele Leiss. Ultimamente, però, ho riscoperto l’amore per la loop station, che utilizzo, in genere, quando suono da sola, ma poco tempo fa ho sperimentato anche la formazione chitarra-batteria, registrando dei loop dal vivo e sovraincidendoci sopra in tempo reale.

Dallo studio del piano sei arrivata al tuo vero amore strumentale, la chitarra: hai abbandonato la tastiera? Come componi i tuoi brani?

Beh, non lo chiamerei un vero e proprio studio! In effetti, quando ero piccola, mettevo le mani sulla tastiera da autodidatta, il che mi ha dato sicuramente una sorta di “imprinting” a livello armonico/melodico, però il mio vero amore è nato a 11 anni proprio con la chitarra. Ho avuto una formazione jazzistica per un po’, dopodichè ho abbandonato il jazz e ho cominciato a comporre. La mia ispirazione parte spesso da una sequenza di accordi che mi suonano in testa e che provo a raggiungere con le dita sul manico della chitarra, a volte prendendo posizioni improbabili, per la gioia dei musicisti che suoneranno quelle parti nei miei live! Altre volte, invece, ho l’intuizione di qualche sequenza di parole, che racchiude in sé già un ritmo e una melodia.

Mi dai una tua opinione sullo stato di benessere -o malessere- della musica nel nostro paese?

Questo è un tasto dolente: sappiamo tutti che crisi stia passando il settore musicale, specialmente in Italia. E’ sempre difficile proporre cose nuove, sia perché c’è un appiattimento culturale che non ha eguali nel passato, sia perché ora la tecnologia ha dato i mezzi a tutti, ma proprio a tutti, per uscire con un prodotto e buttarsi nel calderone musicale, creando una sorta di rumore di fondo in cui è arduo distinguere qualcosa di veramente interessante. Grazie ai fantastici software che manipolano ogni cosa, si può fingere di essere grandi strumentisti o cantanti. Il danno vero, però, è che ormai le orecchie del pubblico sono abituate a queste sonorità e le vanno cercando: se la tua voce non è modulata da un plug-in di auto-tuning sembrerà stonata anche quando non lo è. Non mi sembra possibile che si sia arrivati a questo, ad eliminare completamente l’umanità dell’esecutore. In mezzo a tante proposte tutte uguali, tutte appiattite, il pubblico non è più in grado di distinguere il vero dal falso e non ha più neanche la pazienza di ricercare il bello in quello che ascolta.

Mi indichi il nome di qualche musicista o band che sono stati fondamentali per il tuo attuale “lavoro”, e che continuano ad essere fonte di ispirazione?

Su tutti, ovviamente, i King Crimson, ma anche il progressive italiano, come la PFM. Attualmente seguo molto anche Steven Wilson. Per quanto riguarda i testi, invece, prediligo il cantautorato di un certo tipo, come Andrea Chimenti, Cristina Donà.

Che cosa vorresti che ti accadesse, musicalmente parlando  -e restando sul possibile- nell’immediato futuro?

Mi piacerebbe avere una collaborazione con Maartin Allcock nel prossimo disco che verrà… chissà se sono rimasta nel possibile?