martedì 18 novembre 2008

Il Viaggio di Colombo


Il genere Progressive sta riemergendo.
Il vinile è nuovamente oggetto di culto.
E' stato davvero emozionante avere tra le mani la copertina de "Il Viaggio di Colombo", album de Il Cerchio d'Oro, gruppo storico di Savona.


Inutile soffermarsi sul fascino dell'involucro, elemento noto a tanti della mia generazione; semmai risulta una sorpresa il CD , veramente curato e solo un figlio minore, per dimensione, del Long Playing.
 Ma la sostanza?
E chi è il Cerchio d'Oro? 
Partiamo dal secondo punto, dal chi sono questi "ragazzi" che propongono musica di nicchia.
 Su "contrAPPUNTI" di qualche mese fa scrivevo, tra le altre cose :
"Il Cerchio d’Oro, nasce attorno al 1974, su iniziativa di Franco Piccolini (tastiere), Gino (batteria/voce) e Giuseppe Terribile (basso/voce). Ai tre si aggiungono Giorgio Pagnacco (tastiere) e Roberto Giordana (chitarre)".
Poi la vita conduce questi musicisti verso strade diverse sino a che, dopo 25 anni, il gruppo si ricompone , e al nucleo originario si uniscono Giordana e Piuccio Pradal.

 "Spinti dall’amore, mai venuto meno per il genere Progressive, e dalla voglia di creare ancora .. si lanciano in un nuovo progetto, “Il Viaggio di Colombo”, negli intenti un vero concept album , in puro stile seventies prog".

Ed eccomi quindi alla sostanza, il disco, dal 18 ottobre ufficialmente sul mercato.
 Ho avuto il privilegio di ascoltarlo in anteprima, un anno fa, e a distanza di tempo ho confermato il mio giudizio positivo.
Da molto tempo conosco i gemelli Terribile, e ho stretto una salda amicizia con Piccolini.
E' anche questo il motivo per cui ho chiesto aiuto per la recensione... per essere sicuro dell'obiettività di giudizio.
 E' venuto in mio soccorso Ferdinando Molteni, esperto di musica rock, e alla fine il suo pensiero sarà molto vicino al mio.

Leggiamolo.
I primi anni Settanta sono stati, per la musica italiana, un momento d'oro. Chi c'era, probabilmente, non se ne rese completamente conto. Erano anni difficili, tuttavia. Di lì a poco autoriduttori e teppisti avrebbe svuotato il Belpaese da rockstar (ricordate le fughe di Zeppelin e Santana?) e cantautori (il “processo” a De Gregori?). Eppure, in quegli anni, la musica italiana vendeva all'estero, si meritava il rispetto degli appassionati di tutto il mondo, riempiva i sogni di tanti adolescenti.

A quegli anni – quelli belli del progressive e della nuova canzone d'autore – fanno riferimento i cinque ex-ragazzi del Cerchio d'Oro. Ma il loro approccio è tutto meno che nostalgico. Il quintetto fa, con questo album-concept “Il viaggio di Colombo”, un'operazione squisitamente e appassionatamente artistica. Decide, per esprimere creatività, talento compositivo, gusto esecutivo, di far riferimento ad un'epoca ben determinata, cioè i primi cinque anni, grosso modo, del decennio Settanta. Fa esattamente quello che un jazzista fa quando decide di suonare hard-bop o swing, oppure un gruppo rock quando si immerge nel brit-pop o nel rock-blues. Fa, in definitiva, una scelta artistica ed estetica perché il linguaggio prog è quello che meglio si attaglia al suo mondo.
Detto questo, veniamo al disco. Che dire? “Il viaggio di Colombo” è davvero il disco che non ti aspetti di ascoltare. Quelle voci, quei suoni deliziosamente vintage, quei testi un po' così (il prog ci ha abituato a musicalissime bizzarrie linguistiche), quei cambi di tempo, e le aperture melodiche (che ricordano, per funzione, più l'aria d'opera che il ritornello di una pop song), gli assolo, gli impasti; tutto congiura a far sì che “Il viaggio di Colombo” sia uno di quei dischi che difficilmente l'appassionato riuscirà a togliere dal piatto.
Le composizioni (undici) sono tutte di livello equivalente. Ogni canzone (anche se il termine in qualche caso è riduttivo) contiene un'idea, uno spunto melodico, o ritmico, e legato all'arrangiamento. Ogni frammento di questo disco ha una sua ragion d'essere. E ce l'ha perché dietro c'è un sacco di lavoro, di passione, di tempo. Quel tempo che oggi, gli ex-ragazzi del Cerchio d'Oro, strappano alle loro vite di tutti i giorni, ma che rappresenta la conquista più preziosa.
I cinque musicisti hanno tutti decenni di musica sulle spalle. Musica sovente assai diversa da quella che suonano in questo album e che, probabilmente, suoneranno dopo questo album.
Molti di noi (chi scrive, chi va ai concerti, chi strimpella nel segreto della propria stanza uno strumento) hanno desiderato, una volta nella vita, di fare un disco così. Un prodotto di cui essere fieri, da poter consegnare al pubblico con la serenità di aver ben lavorato. Loro, il Cerchio d'Oro, l'hanno fatto. La speranza è che, in realtà, questo non sia che un inizio. Quanto meno di una nuova bella storia di musica, fatta soprattutto di concerti.
Di solito, quando si ascolta un disco “di genere”, bisognerebbe citare tutto il citabile. Io proverò a non farlo (conosco anche io Balletto di Bronzo, Rovescio della Medaglia, i Trip del grande Joe Vescovi e conosco ovviamente Genesis, Nice, Yes e compagnia). Non lo voglio fare perché sarebbe irriguardoso nei confronti di musicisti che hanno scelto liberamente un linguaggio col quale esprimersi. Che non è tutto loro, ma che è anche loro.
Viva il Cerchio d'Oro e viva “Il viaggio di Colombo”, dunque. Ora smetto di scrivere. Voglio riascoltare “Sognando la meta”. Lo confesso: è la mia preferita.

Ascoltiamoli e vediamoli in abiti d'epoca

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