Ho appena terminato di leggere “Believe”- Conversazioni con
Fabrizio Poggi”, di Serena Simula -
giornalista - ed edito da Arcana, e il primo pensiero che mi è venuto in
mente riguarda il fatto che il book sarà letto dagli amanti del blues di casa
nostra, e, se verrà tradotto in lingua inglese, da una miriade di americani…
questione di macro numeri, questione di quantità di followers del genere. Ci
saranno poi tutti quelli che Fabrizio e Angelina conoscono - e sono tanti - a cui
si aggiungeranno i conoscenti della brava autrice.
Questa apparente inutile introduzione mi serve per
specificare che parlare di un libro dedicato al blues è, in questo caso, largamente
riduttivo.
Potrebbe entrare in una qualsiasi casa, ed essere utilizzato per
provare a realizzare una sorta di didattica famigliare, in quei luoghi dove
sempre di più appare difficile insegnare alla prole come sia faticoso il
quotidiano, cosa siano i sacrifici, gli obiettivi, i veri valori che ci guidano
nel nostro percorso, quanto incidano gli errori, quanto dolore e amore
provochiamo con le nostre azioni.
Come sostengo da sempre, in ogni percorso di vita vissuta
esistono storie sorprendenti e insegnamenti universali, situazioni che si
nascondono negli anfratti dell’uomo comune e che, se stimolati, possono sgorgare
e diventare didascalia di un pensiero utile alla collettività.
Certo è che Fabrizio Poggi non è una persona qualsiasi, così come la moglie Angelina Megassini, da qui il mio rammarico legato al fatto che, trovare in una libreria una copertina con il viso gioioso di Poggi non garantirà la giusta diffusione, per cui provo a fornire un minuscolo contributo con questo mio commento.
Conosco Fabrizio e Angelina da molti anni, non so nemmeno come ci siamo avvicinati, anche se ricordo che dopo una frequentazione virtuale ho presenziato ad un concerto in una piazza di Albissola Marina.
Da lì non ci siamo più persi e ho seguito costantemente la
sua evoluzione.
I cambiamenti della sua vita sono rimasti impressi tra le
righe che la brava Simula ha miscelato, unendo i ricordi di Fabrizio alla personale
tessitura della cronologia, tanto da evocare con il suo sapiente modo di
scrivere i numerosi incontri tra lei e i coniugi Poggi nella loro casa nei
pressi di Pavia.
Mi sono avvicinato alla lettura pensando ad un atto dovuto,
sicuramente piacevole, ma non credevo di trovare novità, sapendo che ogni persona
in vista - ma non solo quelle - si svela sino al punto che giudica consono,
ponendo una barriera ad un certo punto del sentiero. Sono tanti i racconti
ascoltati nel corso dei concerti o più personali, e questo vale anche per
Angelina, apertasi al mondo con il suo book “Volevo fare la deejay”,
ma sono sempre arrivato sino ad una porta che non ho mai cercato di
oltrepassare, oltre la quale si cela un sentimento che Poggi mette in tavola ad
ogni occasione, fermandosi però al momento giusto. Mi riferisco alla sua
malattia, al suo disagio esistenziale, status di cui parla apertamente nel libro
e che caratterizza maggiormente il concetto di “uscire dal tunnel” - qualunque esso
sia -, e seguire il racconto di Fabrizio, passo dopo passo, mi pare un grande
insegnamento.
Non svelo oltre.
Dal rock adolescenziale sino alla scoperta del blues, dalla
chitarra all’armonica, dai progetti collaterali al successo che, cosa davvero inspiegabile,
è più complicato da raggiungere in patria.
Il racconto diventa favola quando Fabrizio, attraverso i
tanti aneddoti, regala il suo stupore coinvolgente al cospetto di musicisti un
tempo mitici e inarrivabili e all’improvviso amici e vicini.
La musica viene superata dal sottofondo narrativo, perché
sono gli incontri e le situazioni che affascinano, e pare di vederlo, il
Fabrizio, sulla “Legendary Rhythm and blues cruise”, in navigazione nel mar dei
Caraibi, mentre suona e si confronta con i miti americani del blues.
E poi tour su tour, stato dopo stato, in coppia con chi ha
numeri, immagine e storia, quel Guy Davis con cui ha aperto ogni porta
possibile.
Altro aspetto che mi era oscuro riguarda la delusione che lo
ha portato a modificare la band colpevole di ammutinamento, e lo evidenzio perché non avevo mai avvertito frizioni interne, ma l’episodio serve a
sottolineare la necessità per Poggi di avere sempre corretti rapporti umani,
rispetto reciproco e lealtà, perché quando si passa molto tempo assieme,
macinando chilometri e chilometri, da un pub ad una piazza a molte ore di
distanza, il collante non può essere solo la musica, e la relazione deve andare
oltre gli aspetti professionali.
In ogni carriera esiste il momento topico e per Fabrizio coincide
con il 2018, quando arriva una inaspettata candidatura ai Grammy nella
categoria “Best Traditional Blues Album”, ovviamente in coppia con Davis, con l’album
“Sonny & Brownie’s Last Train”, omaggio al duo Sonny Terry &
Brownie McGhee, e dalla lettura emerge il gran merito di Angelina.
Il racconto di quanto accadde a New York, al Madison Square
Garden, è emozionante per chi legge, perché diventa percepibile l’atmosfera di
quella sera, sul Red Carpet, a giocarsi la vittoria con Rolling Stones, Eric
Bibb, Elvin Bishop e R.L. Boyce.
Saranno proprio Jagger e company a prevalere, risultato
abbastanza scontato, ma non c’è delusione, piuttosto la consapevolezza di aver
raggiunto vette impensate.
Un aneddoto personale che trova cesellatura in questi giorni.
Nell’agosto del 2011 organizzai alcuni concerti a Frabosa
Soprana, nel cuneese, e chiamai anche Fabrizio, che quella sera di piena estate
incantò i presenti nella piazza, non abituati alla story teller condita dalla
musica.
Fu un successone di cui si chiacchiera ancora tra i villeggianti.
Pochi giorni fa, parlando con alcuni di loro, ho ricordato che quell’armonicista “scuro”, in continuo dialogo col pubblico, oratore e musicista, portatore di messaggi a tratti mistici, era arrivato in uno dei teatri più prestigiosi al mondo sostenendo una “competizione” vinta poi dai Rolling Stones, mica bruscolini, e dal loro stupore ho capito che anche io avevo ottenuto un po’ di luce riflessa: debolezze umane!
Conclude Fabrizio Poggi:
“Prima o poi scenderò dal treno, e pur dolendomi del fatto di essere retorico e forse scontato, vorrei farlo andando o tornando da un concerto. Vorrei che di me si ricordasse che ho fatto tante cose, magari imperfette, ma sempre cercando l’eleganza nella sofferenza. D’altronde il blues ha l’eleganza di chi, vestito di stracci, cammina a testa alta attraverso le avversità della vita”.
Libro consigliatissimo, trasversale, oltre ogni etichetta e
catalogazione.
E brava Serena Simula.