martedì 5 aprile 2022

Michael Pergolani: commento al libro "NUDO" e doppia intervista

 


La vita è tempo, quindi la musica è l’arte di misurare il tempo

(Agostino d'Ippona, 354 - 430)


Quello che mi accingo a presentare è un lungo, lunghissimo articolo, totalmente dedicato a Michael Pergolani.

Le dimensioni “allargate” dello scritto hanno una loro ragione specifica, che nasce dalla mia esigenza sempre più forte di aggrapparmi con tenacia al periodo formativo della mia vita - gli anni Settanta - attraverso il ricordo di chi, quegli anni, li ha vissuti da protagonista, compensando quindi il mio antico status di mero spettatore. L’argomento è “LA MUSICA” e tutto ciò che girava - e ancora gira - attorno.

Non ricordo il modo in cui sono arrivato a Pergolani, probabilmente attraverso una “normalissima” richiesta di amicizia a cui Michael avrà risposto ad occhi chiusi, come atto di estrema gentilezza.

In una fase successiva trovai uno suo commento sul mitico concerto degli Stones a Londra, quello del 5 luglio 1969 a Hyde Park, celebrazione forzata della morte di Brian Jones, un evento in cui prendeva vita, anche, il fenomeno King Crimson: gli chiesi il permesso di pubblicarlo nei miei spazi, tanto per avere la testimonianza diretta di chi c’era, e così fu. Tutto qui.

Ad inizio anno realizzo che mi piacerebbe approfondire e carpire il suo pensiero; lo contatto e lui accetta di rispondere ad alcune domande. In quell’occasione scopro che è appena uscito il suo libro, “Nudo”, per cui ci accordiamo per risentirci dopo la mia lettura e posticipo l’uscita di un commento che, nel frattempo, sta prendendo corpo.

Per riassumere, nelle righe a seguire sono fruibili in successione tre momenti differenti:

1)Il mio commento a “Nudo”

2)La prima intervista di fine gennaio

3)L’intervista conclusiva di fine marzo


Chi sia stato… chi sia Michael Pergolani... beh, con qualche ricerca in rete ci si può arrivare: personaggio iconico per molti, tutto da scoprire per le nuove generazioni, ma posso sottolineare cosa rappresentasse per un adolescente della provincia quale io ero, amante da sempre della musica “Rock”, indottrinato dall’unica fonte di informazione cartacea rappresentata, in quei primi seventies, da CIAO 2001.

Ma Pergolani prese un volto in movimento attraverso “L’Altra Domenica”, la trasmissione su RAI 2 “gestita” dal genio Renzo Arbore circondato dai suoi collaboratori. Tra questi emergeva un pazzo, vestito in modo poco ortodosso, dal parlare concitato e dalla voce roca, portatore in ogni occasione di interessanti novità. Londra per noi giovanissimi era quel luogo irraggiungibile dove tutto nasceva, tutto poteva accadere e tutto sembrava potesse passare dalle mani di Pergolani.



Una vita incredibile che è raccontata dall’autore nel libro “NUDO”, edito da “L’ALTRACITTA’”, un bel tomo di 458 pagine rilasciato nello scorso dicembre.

 


IL COMMENTO 


Nudo” è qualcosa di spiazzante e credo possa essere assorbito in maniera differente da chi conosce un po' di quella vita, rispetto ad una mente vergine - per stato anagrafico o per cultura -, perché la sostanza e la forma - il contenuto certificato e il modo in cui viene proposto - possono raggiungere in modo alternativo i diversi tipi di lettore.

Provo ad essere meno criptico.

Chi come me si avvicinerà al book con aspettative precise, dovute ad un minimo di conoscenza del personaggio, le troverà soddisfatte, con l’aggiunta di piacevoli novità: convivono un elemento storico e un iter evolutivo con una sua “pazza” cronologia che tende alla narrazione dei fatti. Accanto all’oggettività esiste poi una forma precisa, che snobba la consequenzialità temporale, che miscela differenti lingue, che ignora - ma lo dichiara - la grammatica ortodossa. Il perché di tutto questo emergerà nel corso dell’intervista a seguire.

Immagino poi che possa fiorire una seconda tipologia di fruitore, quello che, magari incuriosito da una copertina su di uno scaffale, dopo aver letto la sinossi decide di acquistare al buio. Saranno grandi in quel caso... la sorpresa al cospetto della bellezza estetica, lo stupore per il modo in cui MP decide di raccontare la sua vita, la delicatezza quasi poetica con cui emergono situazioni pesanti come macigni.

È immagine ovvia e comune quella che abbina automaticamente il mestiere di giornalista a quello di scrittore, ma parlare di sé in modalità “zero veli” e al contempo riuscire a dare al tutto una buona copertura è cosa di livello superiore, e questa affermazione esce dalla sfera delle opinioni e si assesta all’interno del contenitore denominato “certezze”.

Tracciare bilanci quando la vita è ormai a buon punto è situazione naturale: c’è chi si dedica alla pittura, chi preferisce la creta, chi crea un album fatto in casa, chi diventa poeta… ma la cosa più easy è scrivere una bella biografia, in fondo ogni persona possiede una storia da raccontare, anche se è comprensibile che appaia più allettante frugare negli anfratti di chi ha avuto il privilegio di interpretare ruoli carichi di visibilità, e poco importa se il successo è conseguenza di reale talento, a volte la casualità indirizza le nostre vite senza chiederci consiglio…

 

Il destino ha vie che non possiamo cambiare

(Kahlil Gibran)


E allora… chissà cosa avrà mai scritto Michael! Quante star avrà toccato con mano e chissà come le descriverà!

E invece no, nulla di tutto questo, e quando nel corso della lettura fanno tenui apparizioni figure immense, come Zappa, Hendrix, Harrison, la loro presenza è tutt’altro che ingombrante, anime gettate nella mischia come tante altre che hanno riempito l’intensa vita dell’autore, forse per pudore, forse per mantenere un caratterizzante low profile.

La storia di Pergolani è stata sino ad oggi incredibile, forse l’equivalente di dieci vite vissute da un comune mortale…

Nelle note di copertina si fa riferimento ad un “blues grondante disperazione”, un concetto sintetico perfetto per descrivere la vena di dolore che diventa fil rouge del libro. Il blues è musica, suoni che nascono proprio per lenire la sofferenza, un racconto e al contempo uno sfogo, contro i demoni che incombono, quelli che ci scegliamo o che arrivano senza essere cercati. Il blues è anche un modo di pensare che parte dall’incubo sintetizzato nella sua radice più profonda, quel "to have the blue devils" che contiene l’idea di tristezza, agitazione, depressione.

La storia si snoda su differenti piani temporali, tra passato presente e futuro, con l’autore che si divide in tre, protagonista con i suoi alter ego di situazioni spesso complicate e dolorose, dove emergono delicate situazioni famigliari, dove abbandoni e incontri convivono, dove la guerra dura non può mancare, dove gli eccessi appaiono come necessità imprescindibili: sesso, droga & rock ‘n’ roll cantava Ian Dury nel ‘77, una sorta di mantra che poteva sembrare una certificazione di un’epoca, ma che Pergolani ci racconta nei dettagli, sottolineando le morti e la perdita degli affetti, amicizie solide scacciate via dalla “malattia”, mentre i concerti si susseguono, le avventure si rincorrono, gioia e sofferenza diventano facce della stessa medaglia.

Come accade a molti, Michael ha le scarpe piene di sassolini fastidiosi che potrebbero essere tolti, ma non c’è tempo per la battaglia, considerata un’inutile perdita di energia e sostituita da un tratto che fa parte del DNA dell’autore, quel senso di superiorità, magari un po’ arrogante, che nella pratica significa snobbare “l’avversario” di turno. È questa la risposta: ignorare guardando oltre diventa il superamento del concetto comprensibile ed umano di "rivalsa a tutti i costi".

Ma il centro della vita di Michael Pergolani sono state le donne, amate, sostituite, “usate”, con uno spazio privilegiato per quella che lui chiama a più riprese “meine mutti”, una madre da amare, da odiare, da capire, da accontentare, da rendere orgogliosa, magari oggi, con un libro in cui la figura materna appare come ispiratrice e fondante per tutto ciò che il piccolo Michael - nato a Lubecca il 14 gennaio 1946 - diventerà nel tempo.

L’intrecciarsi delle memorie e delle vicende - così come l’alternarsi dei sentimenti - diventa ad ogni svoltare d’angolo dramma puro, e forse una lettura ragionata, se possibile con un minimo di distacco e minor coinvolgimento, potrebbe permettere un giudizio più obiettivo, probabilmente più tecnico di quello che riesco a fornire io in questo momento. Certo è che la partecipazione istintiva porta all’immedesimazione e alla condivisione di stati d’animo, in questo caso non sempre gioiosi, spingenti con forza verso una decisa riflessione.

Una lettura che stupisce, spiazzante, innovativa, probabilmente unica… già, chi ha fatto il giornalista può permettersi, anche, di scrivere un libro!


“Adesso niente, non c’è nulla che può nascondere nudità e rossori, nemmeno la tenebra alcoolica”

 


Intervista - 1° parte - 25 gennaio 2022


Il nome di Michael Pergolani mi evoca due attività in particolare che ti riguardano, quella all’interno di Ciao 2001 e la collaborazione con Arbore ne “L’altra domenica”, il che è fortemente riduttivo, ma è quello il mio periodo formativo e quindi indelebile. Mi potresti raccontare il percorso di vita che ti ha condotto al tuo lavoro di giornalista, attore, autore, fotografo ecc…?

Fin dalle elementari amavo scrivere. Gli anni delle medie e del liceo rafforzarono questa attitudine attraverso una serie di racconti e poesie. Mia madre sognava che diventassi scrittore ed io cominciai per renderla orgogliosa di me. Nel 1966 come poeta e scrittore entrai a far parte dello Studio 4 insieme ad amici artisti che provenivano dal Liceo Artistico di Via Ripetta. Cominciai a fare il giornalista per Ciao 2001 credo nel 1969 spinto da Emanuela Moroli, giornalista interna al giornale diretto allora da Sergio Marchetti. Poi partii per Londra e divenni corrispondente free lance per Ciao 2001, Playmen e il quotidiano Paese Sera. Cominciai occupandomi di arte figurativa, di pop art inglese, di artisti come Francis Bacon e poi la musica mi travolse.

Ho qualche anno in meno di te, per cui ho vissuto gli anni ’70 da adolescente: come ricordi - e che giudizio dai, a posteriori - di quel periodo?

Per la prima volta nella storia i giovani, la nostra generazione, divenne “protagonista” della storia del mondo occidentale, lottando contro i padri e cercando di cambiare le “loro” regole. Basta guerra, basta colonialismo, basta con la cultura della sopraffazione e dello sfruttamento. Basta Vietnam, ogni Vietnam del mondo. E poi creatività, arte, cinema, e sesso, sesso per la prima volta senza tabù, le donne mettono la minigonna, il sesso si libera dal matrimonio, si fa sesso per il piacere di farlo senza paura di avere figli, era nata la pillola anticoncezionale e poi musica, tantissima musica di qualità inimmaginabile, i Beatles, gli Stones, i Pink Floyd, Bob Dylan, Neil Young ecceteraecceteraeccetera… il miglior periodo musicale del secolo ricchissimo di talenti strepitosi e rari… anni eccezionali che hanno ospitato anche il terrorismo, le brigate rosse, le droghe, gli sballi ad ogni costo… sì tanta felicità, tante esperienze, tanta incoscienza, tanta utopia ma anche tante vittime, vite rovinate e il business dello spaccio che divenne centrale nella crescita e nell’espansione globale delle mafie. Un giudizio su questo periodo? Felice di averlo vissuto nel bene e nel male.

Esiste un momento particolare, una sliding door che ha indirizzato la tua vita professionale?

Un momento chiave è stato l’incontro con Fiorella Gentile, che fu responsabile del mio ingresso nel cast dell’Altra Domenica di Arbore.

Qual è stato - o quali sono stati - l‘incontro maggiormente gratificante dal punto di vista umano e lavorativo, qualcosa da raccontare con orgoglio ai posteri?

Niente di cui essere particolarmente orgogliosi ma fondamentali nella mia vita sono state le donne, tutte credo, ma le mie compagne in particolare, quelle che mi sono state accanto e che, sopportando il mio narciso infantile, mi hanno permesso di amare, di sentire il bisogno, di sentirmi protetto ed accudito… direi che loro, e sono state quattro la compagne/spose, m’hanno dato più di quanto io abbia mai dato a loro e le ringrazio vergognandomi un po’… a questo pugno di ragazze tutte molto belle ed intelligenti si aggiunge naturalmente, come una dea seduta nell’olimpo germanico, meine mutti.

Com’era il lavoro in team di quei giorni? Hai mantenuto i contatti con i “colleghi” dell’epoca?

Si lavorava bene “insieme”. Coi miei collaboratori a Londra formavamo una sorta di Combact Troupe. Vivevamo insieme sempre, nel lavoro come nella vita privata. Brothers, fratelli legati insieme da fili invisibili, da voglia d’avventura e voglia di stupire ed avere successo… il lavoro era gioia, la gioia era il lavoro. La Combact Troupe sapeva anche come proteggersi dall’invidia e da chi voleva ci schiantassimo.

Tra i tuoi tanti lavori nel campo artistico, quale prediligi?

Non lo so… le cose che ho maggiormente amato fare sono state l’Altra Domenica, DEMO su Radio 2 e www.900.it, uno spettacolo di danza realizzato nel 1999 insieme ai 300 ragazzi e ai coreografi dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma capitanati da Joseph Fontano. Ho amato molto questa regia per aver portato sul palco la storia del balletto del secolo scorso, dalle Sylphides su musica di Chopin al rap dei 99 Posse, con i ragazzi e le ragazze dell’Accademia la cui età andava dagli 11 ai 18 anni. Una fatica, persi 6 chili di peso ma il successo fu indimenticabile, credo che gli applausi andarono avanti per circa 20 minuti.

Il concerto che ricordi con maggior piacere? Perché?

Il concerto d’addio dei Cream alla Albert Hall. Strepitoso, unico, sconvolgente e la sensazione d’aver partecipato ad un pezzo della storia del Rock mondiale. Insomma “io c’ero…”.

Se magicamente potessi riannodare i fili della tua storia, cosa cambieresti? Hai qualche rimpianto?

No, solo che avrei voluto fare cinema più di quanto sia riuscito a fare. Colpa mia senza dubbio, ma non mi piaceva l’ambiente, né mi piaceva trovare soldi per realizzare un progetto. In qualche modo mi dispiace aver lasciato che questo treno lasciasse il mio binario.

Hai fatto giornalismo in un momento in cui il termine “social media” non era ancora accostato all’attuale modello comunicativo: cosa salvi di questo tipo di coinvolgimento globale?

Trovo che si hanno le notizie e ogni tipo d’informazione a portata di clik - e questo è magnifico - ma anche che la stupidità e la cattiveria viaggiano e si spandono ormai alla velocità della luce. Il web ha messo in luce il meglio dell’umanità ma con altrettanta facilità anche il peggio

Cosa c’è nel futuro professionale di Michael Pergolani?

E chi lo sa? Forse un atto unico per il teatro.

  

Con Frank Zappa

Intervista - 2° parte - 27 marzo 2022


Credo che ogni essere pensante, arrivato ad un certo momento della vita, senta la forte necessità di tracciare un bilancio del suo percorso, una sorta di testamento per i posteri, o forse soltanto bisogno di catarsi. Non tutti sono in grado di farlo e ad ogni modo, tra quelli che possono, le vie scelte possono essere diversificate. Nel tuo caso era ovvio l’utilizzo della scrittura, seppur poco convenzionale. Come ti è nata l’idea di scrivere “Nudo”?

Finita la Radio, finito DEMO, ho sentito la necessità di dare voce definitiva all’antico e materno “imprinting”, ovvero quello dello scrivere. Herta meine mutti sognava che diventassi scrittore e siccome lei era di Lübeck in Germania dovevo diventare il nuovo Thomas Mann e magari scrivere i nuovi Buddenbrook, mica bruscolini, come direbbero a Roma. Fatto è che per andarle contro - e dal romanzo si capisce perché - ho fatto di tutto nella mia vita artistica, televisione, teatro, cinema, tanta radio, eventi musicali live.

È stato un parto complicato? Mi riferisco sia alla decisione che alla stesura.

Complicato? Sì, certe cose sono complicate nel deciderle, poi diventano semplici man mano che si va avanti nella storia o, come nel mio caso, man mano che la storia ti prende per mano e ti porta nei tuoi luoghi dell’anima, quindi niente ordine temporale, niente situazioni causa ed effetto ma vere evasioni di parole dette e pensate da tre me stessi, da Michael, Miky il mio alter ego e da Tolomeo il mio alter ego storico fratello, amante e sposo di Cleopatra d’Egitto. Lei è l’archetipo del femminile e rappresenta tutte le donne che ho veramente amato e quella futura che nasce nel 2028…

Hai usufruito di qualche ausilio dal punto di vista della raccolta delle idee o dell’impostazione generale?

No, scrivo sul Mac e adopero il programma di scrittura. È tutto quello che mi serve.

L’iniziale nota editoriale fa riferimento ad un elemento importante, ovvero ad un utilizzo della forma grammaticale che devia dall’ortodossia: decisione naturale o forzata dal mantenimento della tua immagine “alternativa”?

Parli del fatto che non adopero maiuscole? Potrebbe sembrare un vezzo ma non lo è, le pagine per me erano come il mare, le maiuscole impedivano il flusso della marea, era come trovarsi davanti al Mose… no le correnti dovevano intrecciarsi senza barriere da dover superare… c’erano già i punti e le virgole per definire il percorso delle parole e il suono delle stesse e la musica… io leggo a voce alta e quello che leggo deve essere la mia musica.

Con lo scorrere della pagine - tantissime - mi sono chiesto se non fossero stati faticosi i salti temporali che caratterizzano “Nudo”: come è avvenuto, tecnicamente parlando, l’assemblaggio mentale e fisico di episodi molto lontani tra di loro?

Non lo so. Sinceramente. Il mio dubbio era se alla fine ci si capisse qualcosa. Non ero sicuro, mi sembrava di sì ma non ero sicuro che un'altra persona diversa da me avrebbe potuto capire, entrare nel ritmo della narrazione e assecondarlo. Cercai degli editors per confrontarmi. Li trovai, anzi dovrei dire “le” trovai entrando in contatto con L’Altracittà, con le quattro ragazze che sarebbero divenute le mie Editrici… fantastiche! Pazienti ed entusiaste, puntigliose e, soprattutto, piene di passione.

Ti sei aperto, credo, totalmente; sei entrato negli anfratti della memoria e hai condito la tua intensa e variegata vita personale con aspetti di dominio pubblico: quanto è stato doloroso riannodare i fili della tua storia?

A volte doloroso, specie l’abbandono iniziale da parte dei miei, gli amici morti per overdose, il tentato suicidio di mia madre, ma altre no, era una gioia stare lì a scrivere le cose ch’avevo vissuto - la musica per esempio - dar voce ai volti che avevo conosciuto, far parlare i miei fantasmi più o meno fraterni.

Ad inizio lettura, per chi come me ti ha conosciuto da lontano attraverso i media dell’epoca, un tuo libro avrebbe potuto essere una mera cronologia dei tuoi eventi professionali, sicuramente non comuni e da evidenziare. Invece i tuoi incontri stratosferici, quelli che alimentano l’ego dei comuni mortali, diventano nel libro corollario ad una incredibile storia di vita: come hai fatto a non cedere alla tentazione, del tutto comprensibile, di esaltare la figura fuori dagli schemi di M.P?

Ecco, bravo! Non volevo fare un romanzo sulle “avventure del diabolico da Londra”, questo m’è stato chiaro sin dal primo momento, non avrei mai scritto il romanzo autobiografico ed autoincensante di uno che aveva fatto tv ed era diventato popolare. Ero così convinto di questo che non si è posto mai il problema di fare un libro di aneddoti. Volevo e voglio fare letteratura. Ci sono riuscito? Non sta a me dirlo ma forse sì…

Non mi pare di aver trovato nel libro forti stroncature verso terzi, giudizi negativi, tendenza alla sentenza, anzi, spesso si trovano giustificazioni ad incomprensioni del passato. Solo in un caso ho trovato sottolineature negative, bocciature incondizionate: mi riferisco ad alcuni tuoi “colleghi”, poco… adeguati a ruoli ottenuti in virtù di elementi lontani dal concetto di competenza, quella legata, quasi sempre, alle esperienze personali. Non ti chiederò i nomi - alcuni li posso immaginare - ma solo come hai vissuto certe relazioni nel tempo, ovvero se hai avuto modo di trovare soddisfazione, ammesso che fosse importante ottenerla.

Nessun duello, nessuna soddisfazione. Di solito funzionava il mio innato snobismo e se la faccenda, per caso, s’aggravava, qualche parolaccia e un vaffa… dicevo basta e me ne andavo. Devo aggiungere che non ho mai portato rancore verso nessuno, il narciso ch’era in me sapeva come sentirsi superiore e non cadere nella pozzanghera del risentimento. Ho litigato con molti, ma non ho mai subito, tanto per capirci, il ricatto del lavoro.

Il momento del commiato, dell’allontanamento definitivo, non è lontano, lo dicono i numeri, vale per te e anche per me: io ne sono terrorizzato, e tu?

Anch’io e man mano che passano gli anni il problema s’acuisce… questa non so proprio come risolverla ma tant’è…

Ti ho inviato le prime domande a fine gennaio. Tra quel giorno ed oggi è iniziata una nuova guerra, una delle tante, come quelle che anche tu racconti a tratti nel tuo libro: fuor di retorica, facile in questi casi, regalami la tua idea in proposito, qualcosa che sappia tanto di Pergolani, di “saggezza alternativa”, di vita vissuta, di luce oltre il tunnel…

La pace è tutto. Io sono del 46, quando sono stato concepito negli occhi dei miei c’era la guerra, probabilmente sono nato il giorno in cui Hitler si suicidò, ho dentro di me immagini terribili di città rase al suolo, non tanto di Lubecca colpita solo in parte, quanto di Amburgo dove vivevano le mie zie, montagne di macerie ovunque a perdita d’occhio, di Norimberga dove c’era mio nonno italiano che mi portava a volare l’aquilone - fatto con carta di giornale e colla di farina - da sopra una montagnola di macerie, la “montagnola dell’aquilone” l’avevamo chiamata. Detto questo e avendo comunque ben chiare le sofferenze familiari dico che non possiamo lasciare gli ucraini in mano a Putin che è un farabutto e che non è diverso dai tanti dittatori che lo hanno preceduto nella storia. Aggiungo solo che non vorrei mai vivere sotto uno come Putin e che comunque mi difenderei da lui, Morire? Se fosse per me, chissenefrega, vivere da sottomessi per me è peggio di morire.

 


C’è un altro quesito che avrei voluto porre, trattenendomi alla fine, perché in fondo, leggendo “Nudo” - e i pensieri che emergono dalle interviste - tutto dovrebbe prendere luce, tra indizi e certezze oggettive, ma la domanda, apparentemente banale, è quella che pesa di più ad un certo punto della vita… delle vite, quelle in cui mi rispecchio quotidianamente:

Michael… sei stato un uomo felice? Sei un uomo felice?”

Lascio sospeso nell’aria il mio punto interrogativo, lo tengo per futuri incontri, con Michael o con chiunque abbia una vita alle spalle da raccontare…