giovedì 1 ottobre 2015

AriA-"Nemesi"


Ho da poco conosciuto gli AriA, band piemontese nata molti anni fa, ma rimasta un po’… nascosta. Per presentare correttamente la filosofia musicale del gruppo e delineare la loro storia, ho curiosato un po’, ponendo loro qualche domanda e scoprendo cose interessanti.
Forse è giunto il momento di recuperare il tempo perso, per far sì che gli amanti del genere prog vengano a conoscenza di questo ensemble la cui dimensione è, a mio giudizio, nota in uno spazio geografico troppo ristretto. E se è vero che di questi tempi c’è chi ama costruire muri, al contrario, chi si occupa di musica - MAT2020 in prima linea - si pone come obiettivo quello di abbattere le barriere e condividere le espressioni di qualità.
Il loro ultimo album, Nemesi, è un gioiellino, una proposta che unisce gli stilemi del prog più classico e la significatività delle liriche.
Non è lavoro concettuale, ma l’atmosfera distopica è il comune denominatore, un profumo di fondo che contiene in sé il problema e la speranza… la spinta a trovare il bilanciamento tra la negatività del quotidiano e una sorta di giustizia che ponga fine a quella sgradevole sensazione che induce a pensare che la natura sia indifferente alle sorti umane.
Per oltre un’ora questo gruppo affiatato ci porta in viaggio, un percorso che obbligatoriamente facciamo nostro, un lungo spazio che la musica ci aiuta a coprire, coinvolgendo chi ha la fortuna di sapersi facilmente sintonizzare.
Inserire l’album nel filone prog è sicuramente appropriato, anche se poco importante.
Ampie trame melodiche si susseguono, e l’utilizzo della tecnologia diventa un buon ausilio e rende possibile, tra l’altro, l’efficacità live, fatto non certo scontato (l’intervista a seguire permette di scoprire alcuni dettagli importanti).


Nel contenitore AriA convivono aspetti psichedelici, romantici e classici, e ho trovato particolarmente di gusto l’inserimento de “La danza della fata confetto”, di Tchaikowsky, e la rivisitazione in chiave rock de “La marcia turca”, di W.A. Mozart.
E quando cala il ritmo e la tensione sfocia in serenità espressiva, ci si può stupire al cospetto di “Milo”, un brano acustico di pregevole fattura (con Angelo Calvia al violoncello).

Ho catturato qualche frammento dal concerto di Torino, all’interno dalla manifestazione Prog To Rock… riprese di qualità modesta, ma resta l’idea di cosa possa dare questa band, ed è mia speranza che la curiosità spinga all’approfondimento e alla conseguente condivisione selvaggia.


L’INTERVISTA a Italo Vercellina (chitarre), Giuliano Miglietta (tastiere), Daniele Gianoglio (basso) e Fuvlio Capri (batteria)

Mi occupo di musica, soprattutto di prog, eppure… non vi conoscevo: mi riassumete la storia della band?

La band è nata nel 1989 come gruppo pop rock ed aveva una formazione diversa. Della formazione originale è rimasto il bassista, Daniele Gianoglio. Dopo alcune defezioni, dalla fine degli anni ’90 sono stabili nel gruppo il batterista Fulvio Capri (ex Filo Continuo), il chitarrista Italo Vercellina ed il tastierista Giuliano Miglietta (entrambi ex-Horus). Con questa formazione gli ARIA hanno preso una direzione decisamente più progressive.

Giuliano Miglietta

Dopo l’incontro di pochi giorni fa al Prog To Rock ho cercato vostre tracce in rete, tra siti e youtube, ma non ho trovato molto, fatto anomalo in un’era in cui si arriva facilmente ovunque -ed è forse questo l’unico pregio dell’evoluzione tecnologica applicata alla diffusione della musica: precisa scelta, avversione per certi risvolti mediatici o cos’altro?

In realtà è vero, sono anni che ne parliamo, ma sappiamo che per arrivare ad un numero di persone elevato bisogna fare dei buoni prodotti. Non ci piaceva l’idea di avere dei video su youtube che avessero una immagine fissa e la musica sotto, ma avremmo voluto creare qualcosa che potesse colpire chi li guardava e così pensando... pensando... abbiamo perso un mucchio di tempo!

Avete provocato una buona reazione nel pubblico allo Spazio 211: come giudicate l’esperienza?

Grande soddisfazione nel vedere che c’è chi apprezza la nostra musica. Questo ci risolleva da anni di concerti con 20 persone, magari con chi ti veniva a chiedere se gli facevi una polka o gestori di locali che per farti suonare ti chiedono quanta gente porti. E’ indispensabile che ci siano manifestazioni come Prog To Rock, che raccolgono gli appassionati del settore, proprio per evitare quelle situazioni deprimenti.

Mi ha colpito la chitarra di Italo Vercellina, che non avevo mai visto in quella forma, o almeno non ne ho memoria: qual è la storia?

La chitarra che utilizzo è una G-707 della Roland, del 1985. In quegli anni ho lavorato a Milano in Roland Italy e mi occupavo anche di dimostrazioni. Sono stato uno dei primi chitarristi ad usare la chitarra synth. Lo strumento, in realtà, era costruito dalla Ibanes per la Roland. Monta due pick up humbucker molto potenti. Inoltre, anche un pick up esafonico (il GK-2). Questo è composto di sei parti che rilevano la vibrazione delle corde. Il segnale analogico viene inviato alla pedaliera synth (un GR-33 Roland) che mi fornisce suoni di vario genere (campionati e sintetici) che abbino al suono della chitarra elettrica, la quale, invece, è collegata ad una pedaliera multi effetti Boss GT-10. Il segnale digitale lo invio anche al VG-88, una pedaliera che ricrea suoni per modelli fisici. Questa la sfrutto principalmente per avere suoni reali di 12-corde, sitar, chitarra classica e quant’altro. E’ bellissimo, ad esempio, l’abbinamento 12-corde/suono clean della chitarra elettrica col chorus. Dovremmo essere in due per ricreare questo suono senza queste macchine! Naturalmente nel mio arsenale di chitarre (più di 20), ho anche Fender, Gibson, Ibanez, Ramirez, che non sono MIDI.

Italo Vercellina

Sto ascoltando in questi giorni il vostro ultimo album, “Nemesi”, e mi pare un grande lavoro: come è possibile che un disco del genere resti un po’ in ombra nel panorama italiano di riferimento che, seppur di nicchia, sta vivendo buoni momenti? Non pensate che ci sia qualcosa da rivedere sul discorso “pubblicizzazione”?

Assolutamente sì! Proprio per il discorso di prima pensavamo che la nostra musica fosse per “addetti ai lavori”, e quindi con un mercato troppo piccolo per poterla proporre ad un pubblico più vasto che potesse apprezzare. Troppe volte ci siamo sentiti dire: “…sì, bravi, però è troppo difficile questa musica”, e forse abbiamo pensato che tutto ciò fosse vero. Il mercato è dominato dalle major che promuovono solo ciò che produce più business e noi abbiamo creduto, forse sbagliando, che alla nostra età e col nostro genere fossimo fuori mercato.

Mi raccontate il contenuto di “Nemesi”, sia dal punto di vista delle liriche che da quello meramente musicale? Trattasi di concept album?

No, non è un concept album. Il titolo stesso racconta ciò che vorremmo, un mondo che sconfigga le ingiustizie e pareggi il conto per ognuno di noi. Inoltre è l’incontro delle varie anime che sono presenti nel gruppo e che danno il colore ai nostri brani, e un carattere che speriamo sia “nostro” un pò come un marchio di fabbrica. In genere i brani, tranne alcuni casi in cui uno di noi arriva con un pezzo già bello che fatto, li creiamo nel nostro studio partendo da un’ idea, e la sviluppiamo tutti insieme, ognuno per il suo strumento. Il bello è che noi abbiamo delle passioni che non sono solo prog, e cerchiamo di mettercele dentro tutte; facciamo tante prove e proviamo diverse soluzioni fin quando il pezzo non ci piace, e se provando sbagliamo ci mettiamo a ridere! E’ bellissimo e ci divertiamo un sacco! I testi sono a volte autobiografici, ma non necessariamente, e vogliono raccontare la vita vera, quella che ti prende a calci nel culo senza guardare se sei buono o cattivo e senza girarci tanto intorno.

Fulvio Capri

All’interno trovano spazio due tracce “classiche”- Tchaikovsky e Mozart: mi spiegate i motivi di tale scelta?

Volevamo aggiungere nei nostri concerti qualcosa che fosse più facilmente digeribile per il pubblico. Avevamo pensato ad alcuni brani di musica classica, ma quelli che tutti hanno già sentito almeno qualche volta, anche perchè riteniamo sia la più somigliante al prog, con molti cambi di tempo (provate a mettere la batteria a un brano di classica!), momenti romantici e subito dopo aggressivi, pieni mostruosi e subito dopo minimali... stiamo studiando in questo periodo “Una notte sul monte Calvo”, di Mussorgsky, l’hanno fatta in tanti, ma noi vogliamo fare la nostra versione, e troviamo che sia un pezzo decisamente prog.

Mi date una possibile definizione di “Musica Progressiva”?

E’ libertà di espressione, la possibilità di fare ciò che ti piace senza essere costretto a fare intro-strofa-strofa-ritornello-strofa-ritornello-finale, che è quanto di più banale si possa trovare in un brano. Ci piacciono le soluzioni che non ti aspetti e non ci piacciono i brani fatti di quattro accordi. Diamo molto spazio alla parte strumentale perchè la musica ti entra dentro più delle parole. Non deve essere tradotta e scatena emozioni più profonde e irrazionali, imho!

Meglio il live o lo “studio”?

Il live è più emozionante perchè c’è il pubblico che, se apprezza, ti gasa, ti rende euforico e adrenalinico. Lo studio ti dà la possibilità di fare cose che dal vivo non sarebbero possibili. Per esempio, l’intro del brano Nemesi è registrato in studio perchè altrimenti avremmo dovuto essere in venti dal vivo, così lo abbiamo messo su una traccia in wav e caricato su una pedaliera e serve per iniziare il concerto. Quella è, peraltro, l’unica traccia che usiamo, perchè per noi suonare dal vivo significa suonare e non fare finta, anche se questo vuol dire portarsi dietro un mare di attrezzature, perchè come hai visto io uso quattro pedaliere, e il tastierista usa quattro tastiere più il mobile rack. Siamo decisamente ingombranti!

Daniele Gianoglio

Avete qualche rammarico per qualche treno passato e mai preso, restando nel campo delle esperienze musicali?

Purtroppo da giovani si fanno un sacco di cazzate, probabilmente non si è data importanza a qualche opportunità che avrebbe meritato un interesse diverso e magari contemporaneamente si sono inseguite occasioni dimostratesi poi fallimentari, ma spesso gli obiettivi sono diversi anche tra i membri dello stesso gruppo, perchè c’è chi vuole suonare e guadagnare, chi vuole suonare per la soddisfazione e dei soldi non gliene frega niente, chi vuole soddisfare il suo ego e fare il figo. Ora che siamo più, diciamo maturi, ci piace stare insieme e divertirci, fare la musica che ci piace. Non siamo rammaricati, ma consci di aver perso sicuramente delle occasioni, più a livello individuale che a livello di gruppo, ma in quel momento non ce ne siamo resi conto. Inoltre, per molti anni chi faceva prog era come un appestato. Abbiamo conosciuto musicisti mostruosamente bravi che hanno passato la vita a suonare in una cantina sperando che il futuro riservasse loro qualcosa.Torino non ha fatto molto per il prog negli ultimi 25/30 anni!

Che cosa avete pianificato per il futuro prossimo?

Ci piacerebbe far ascoltare Nemesi a un pò di gente che lo sappia apprezzare, come quella del Prog To Rock, perchè la soddisfazione di vedere qualcuno che è contento di ascoltare la tua musica è enorme. Poi, abbiamo altro materiale su cui lavorare per preparare un nuovo CD, e in più, come dicevo prima, vogliamo inserire nei nostri concerti qualche brano di musica classica riarrangiato, per cercare di catturare l’attenzione di più persone possibile. Ci piace metterci alla prova. Pensa che un pò di tempo fa avevamo pensato di fare contemporaneamente agli AriA una cover band degli ELP ma poi abbiamo pensato che dai 40 anni in giù probabilmente è molto più famoso Rocco Siffredi di Keith Emerson, e ho detto tutto!




Immagini fornite gentilmente da Marta Busto, supporter fotografico degli AriA