Ho da poco conosciuto gli AriA, band piemontese nata molti
anni fa, ma rimasta un po’… nascosta. Per presentare correttamente la filosofia
musicale del gruppo e delineare la loro storia, ho curiosato un po’, ponendo loro
qualche domanda e scoprendo cose interessanti.
Forse è giunto il momento di recuperare il tempo
perso, per far sì che gli amanti del genere prog vengano a conoscenza di questo
ensemble la cui dimensione è, a mio giudizio, nota in uno spazio
geografico troppo ristretto. E se è vero che di questi tempi c’è chi ama
costruire muri, al contrario, chi si occupa di musica - MAT2020 in prima linea
- si pone come obiettivo quello di abbattere le barriere e condividere le
espressioni di qualità.
Il loro ultimo album, Nemesi,
è un gioiellino, una proposta che unisce gli stilemi del prog più classico e la
significatività delle liriche.
Non è lavoro concettuale, ma l’atmosfera distopica è
il comune denominatore, un profumo di fondo che contiene in sé il problema e la
speranza… la spinta a trovare il bilanciamento tra la negatività del quotidiano
e una sorta di giustizia che ponga fine a quella sgradevole sensazione che induce
a pensare che la natura sia indifferente alle sorti umane.
Per oltre un’ora questo gruppo affiatato ci porta in
viaggio, un percorso che obbligatoriamente facciamo nostro, un lungo spazio che
la musica ci aiuta a coprire, coinvolgendo chi ha la fortuna di sapersi facilmente
sintonizzare.
Inserire l’album nel filone prog è sicuramente
appropriato, anche se poco importante.
Ampie trame melodiche si susseguono, e l’utilizzo
della tecnologia diventa un buon ausilio e rende possibile, tra l’altro, l’efficacità
live, fatto non certo scontato (l’intervista a seguire permette di scoprire
alcuni dettagli importanti).
Nel contenitore AriA
convivono aspetti psichedelici, romantici e classici, e ho trovato
particolarmente di gusto l’inserimento de “La
danza della fata confetto”, di Tchaikowsky, e la rivisitazione in chiave
rock de “La marcia turca”, di W.A. Mozart.
E quando cala il ritmo e la tensione sfocia in
serenità espressiva, ci si può stupire al cospetto di “Milo”, un brano acustico di pregevole fattura (con Angelo Calvia al violoncello).
Ho catturato qualche frammento dal concerto di
Torino, all’interno dalla manifestazione Prog To Rock… riprese di qualità
modesta, ma resta l’idea di cosa possa dare questa band, ed è mia speranza che
la curiosità spinga all’approfondimento e alla conseguente condivisione
selvaggia.
L’INTERVISTA a Italo
Vercellina (chitarre), Giuliano Miglietta (tastiere), Daniele Gianoglio (basso)
e Fuvlio Capri (batteria)
Mi occupo di musica, soprattutto di prog, eppure… non vi
conoscevo: mi riassumete la storia della band?
La band è nata
nel 1989 come gruppo pop rock ed aveva una formazione diversa. Della formazione
originale è rimasto il bassista, Daniele Gianoglio. Dopo alcune defezioni, dalla
fine degli anni ’90 sono stabili nel gruppo il batterista Fulvio Capri (ex Filo
Continuo), il chitarrista Italo Vercellina ed il tastierista Giuliano Miglietta
(entrambi ex-Horus). Con questa formazione gli ARIA hanno preso una direzione
decisamente più progressive.
Giuliano Miglietta
Dopo l’incontro di pochi giorni fa al Prog To Rock ho cercato
vostre tracce in rete, tra siti e youtube, ma non ho trovato molto, fatto
anomalo in un’era in cui si arriva facilmente ovunque -ed è forse questo
l’unico pregio dell’evoluzione tecnologica applicata alla diffusione della
musica: precisa scelta, avversione per certi risvolti mediatici o cos’altro?
In realtà è
vero, sono anni che ne parliamo, ma sappiamo che per arrivare ad un numero di
persone elevato bisogna fare dei buoni prodotti. Non ci piaceva l’idea di avere
dei video su youtube che avessero una immagine fissa e la musica sotto, ma
avremmo voluto creare qualcosa che potesse colpire chi li guardava e così
pensando... pensando... abbiamo perso un mucchio di tempo!
Avete provocato una buona reazione nel pubblico allo Spazio
211: come giudicate l’esperienza?
Grande
soddisfazione nel vedere che c’è chi apprezza la nostra musica. Questo ci
risolleva da anni di concerti con 20 persone, magari con chi ti veniva a
chiedere se gli facevi una polka o gestori di locali che per farti suonare ti
chiedono quanta gente porti. E’ indispensabile che ci siano manifestazioni come
Prog To Rock, che raccolgono gli appassionati del settore, proprio per evitare
quelle situazioni deprimenti.
Mi ha colpito la chitarra
di Italo Vercellina, che non avevo mai visto in
quella forma, o almeno non ne ho memoria: qual
è la storia?
La chitarra che
utilizzo è una G-707 della Roland, del 1985. In quegli anni ho lavorato a
Milano in Roland Italy e mi occupavo anche di dimostrazioni. Sono stato uno dei
primi chitarristi ad usare la chitarra synth. Lo strumento, in realtà, era
costruito dalla Ibanes per la Roland. Monta due pick up humbucker molto
potenti. Inoltre, anche un pick up esafonico (il GK-2). Questo è composto di
sei parti che rilevano la vibrazione delle corde. Il segnale analogico viene
inviato alla pedaliera synth (un GR-33 Roland) che mi fornisce suoni di vario
genere (campionati e sintetici) che abbino al suono della chitarra elettrica,
la quale, invece, è collegata ad una pedaliera multi effetti Boss GT-10. Il segnale digitale lo invio anche al
VG-88, una pedaliera che ricrea suoni per modelli fisici. Questa la sfrutto
principalmente per avere suoni reali di 12-corde, sitar, chitarra classica e
quant’altro. E’ bellissimo, ad esempio, l’abbinamento 12-corde/suono clean
della chitarra elettrica col chorus. Dovremmo essere in due per ricreare questo
suono senza queste macchine! Naturalmente nel mio arsenale di chitarre (più di
20), ho anche Fender, Gibson, Ibanez, Ramirez, che non sono MIDI.
Italo Vercellina
Sto ascoltando in questi giorni
il vostro ultimo album, “Nemesi”, e mi pare un grande lavoro: come è possibile
che un disco del genere resti un po’ in ombra nel panorama italiano di
riferimento che, seppur di nicchia, sta vivendo buoni momenti? Non pensate che
ci sia qualcosa da rivedere sul discorso “pubblicizzazione”?
Assolutamente sì!
Proprio per il discorso di prima pensavamo che la nostra musica fosse per
“addetti ai lavori”, e quindi con un mercato troppo piccolo per poterla
proporre ad un pubblico più vasto che potesse apprezzare. Troppe volte ci siamo
sentiti dire: “…sì, bravi, però è troppo
difficile questa musica”, e forse abbiamo pensato che tutto ciò fosse vero.
Il mercato è dominato dalle major che promuovono solo ciò che produce più
business e noi abbiamo creduto, forse sbagliando, che alla nostra età e col
nostro genere fossimo fuori mercato.
Mi raccontate il contenuto di “Nemesi”, sia dal punto di vista delle liriche che da quello meramente
musicale? Trattasi di concept album?
No, non è un
concept album. Il titolo stesso racconta ciò che vorremmo, un mondo che
sconfigga le ingiustizie e pareggi il conto per ognuno di noi. Inoltre è
l’incontro delle varie anime che sono presenti nel gruppo e che danno il colore
ai nostri brani, e un carattere che speriamo sia “nostro” un pò come un marchio
di fabbrica. In genere i brani, tranne alcuni casi in cui uno di noi arriva con
un pezzo già bello che fatto, li creiamo nel nostro studio partendo da un’ idea,
e la sviluppiamo tutti insieme, ognuno per il suo strumento. Il bello è che noi
abbiamo delle passioni che non sono solo prog, e cerchiamo di mettercele dentro
tutte; facciamo tante prove e proviamo diverse soluzioni fin quando il pezzo
non ci piace, e se provando sbagliamo ci mettiamo a ridere! E’ bellissimo e ci
divertiamo un sacco! I testi sono a volte autobiografici, ma non
necessariamente, e vogliono raccontare la vita vera, quella che ti prende a
calci nel culo senza guardare se sei buono o cattivo e senza girarci tanto
intorno.
Fulvio Capri
All’interno trovano spazio due tracce “classiche”- Tchaikovsky
e Mozart: mi spiegate i motivi di tale scelta?
Volevamo
aggiungere nei nostri concerti qualcosa che fosse più facilmente digeribile per
il pubblico. Avevamo pensato ad alcuni brani di musica classica, ma quelli che
tutti hanno già sentito almeno qualche volta, anche perchè riteniamo sia la più
somigliante al prog, con molti cambi di tempo (provate a mettere la batteria a
un brano di classica!), momenti romantici e subito dopo aggressivi, pieni
mostruosi e subito dopo minimali... stiamo studiando in questo periodo “Una notte sul monte Calvo”, di
Mussorgsky, l’hanno fatta in tanti, ma noi vogliamo fare la nostra versione, e
troviamo che sia un pezzo decisamente prog.
Mi date una possibile definizione di “Musica Progressiva”?
E’ libertà di
espressione, la possibilità di fare ciò che ti piace senza essere costretto a
fare intro-strofa-strofa-ritornello-strofa-ritornello-finale, che è quanto di
più banale si possa trovare in un brano. Ci piacciono le soluzioni che non ti
aspetti e non ci piacciono i brani fatti di quattro accordi. Diamo molto spazio
alla parte strumentale perchè la musica ti entra dentro più delle parole. Non
deve essere tradotta e scatena emozioni più profonde e irrazionali, imho!
Meglio il live o lo “studio”?
Il live è più
emozionante perchè c’è il pubblico che, se apprezza, ti gasa, ti rende euforico
e adrenalinico. Lo studio ti dà la possibilità di fare cose che dal vivo non
sarebbero possibili. Per esempio, l’intro del brano Nemesi è registrato in studio perchè altrimenti avremmo dovuto
essere in venti dal vivo, così lo abbiamo messo su una traccia in wav e
caricato su una pedaliera e serve per iniziare il concerto. Quella è, peraltro,
l’unica traccia che usiamo, perchè per noi suonare dal vivo significa suonare e
non fare finta, anche se questo vuol dire portarsi dietro un mare di attrezzature,
perchè come hai visto io uso quattro pedaliere, e il tastierista usa quattro
tastiere più il mobile rack. Siamo decisamente ingombranti!
Daniele Gianoglio
Avete qualche rammarico per
qualche treno passato e mai preso, restando nel campo delle esperienze
musicali?
Purtroppo da
giovani si fanno un sacco di cazzate, probabilmente non si è data importanza a
qualche opportunità che avrebbe meritato un interesse diverso e magari
contemporaneamente si sono inseguite occasioni dimostratesi poi fallimentari,
ma spesso gli obiettivi sono diversi anche tra i membri dello stesso gruppo,
perchè c’è chi vuole suonare e guadagnare, chi vuole suonare per la
soddisfazione e dei soldi non gliene frega niente, chi vuole soddisfare il suo
ego e fare il figo. Ora che siamo più, diciamo maturi, ci piace stare insieme e
divertirci, fare la musica che ci piace. Non siamo rammaricati, ma consci di
aver perso sicuramente delle occasioni, più a livello individuale che a livello
di gruppo, ma in quel momento non ce ne siamo resi conto. Inoltre, per molti
anni chi faceva prog era come un appestato. Abbiamo conosciuto musicisti mostruosamente
bravi che hanno passato la vita a suonare in una cantina sperando che il futuro
riservasse loro qualcosa.Torino non ha fatto molto per il prog negli ultimi
25/30 anni!
Che cosa avete pianificato per il futuro prossimo?
Ci piacerebbe
far ascoltare Nemesi a un pò di gente
che lo sappia apprezzare, come quella del Prog To Rock, perchè la soddisfazione
di vedere qualcuno che è contento di ascoltare la tua musica è enorme. Poi,
abbiamo altro materiale su cui lavorare per preparare un nuovo CD, e in più,
come dicevo prima, vogliamo inserire nei nostri concerti qualche brano di
musica classica riarrangiato, per cercare di catturare l’attenzione di più
persone possibile. Ci piace metterci alla prova. Pensa che un pò di tempo fa
avevamo pensato di fare contemporaneamente agli AriA una cover band degli ELP
ma poi abbiamo pensato che dai 40 anni in giù probabilmente è molto più famoso
Rocco Siffredi di Keith Emerson, e ho detto tutto!
Immagini fornite
gentilmente da Marta Busto, supporter
fotografico degli AriA