giovedì 13 agosto 2015

Federico Milanesi-"Anima Mundi"


L’album di cui mi occupo oggi è Anima Mundi, di Federico Milanesi.
Come spesso accade nei miei commenti esiste una parte dedicata al pensiero dell’artista e credo che nella lunga intervista che segue Milanesi riesca a fornire un profilo personale che lascia poco spazio all’immaginazione, e l’ascolto dell’album è la perfetta chiusura del cerchio.
Parlare di fermature e di punti di arrivo è però in contrasto col messaggio del concept, che affronta un lungo viaggio interiore il cui termine è solo apparente, giacchè la fine di un percorso coincide quasi sempre con l’inizio di una nuova fase, spesso indipendente dalla volontà di chi agisce.
Mentre rileggevo i pensieri dell’autore, ascoltando le tracce in sequenza, nasceva spontanea la riflessione su come un album del genere abbia bisogno di vita vissuta, di esperienza, di sofferenza, di misticità applicata alla realtà… il talento sarà poi quello che permetterà un passaggio chiaro del messaggio.
La scelta di comunicare in lingua inglese ha il suo perché -ed è questo oggetto di precisa domanda- ma credo che l’anima del racconto possa emergere in modo universale, commuovendo e provocando scossoni interni, passo dopo passo.
Un viaggio, lungo un giorno o una vita; un personaggio senza nome, perché tutti quanti siamo i potenziali protagonisti di Anima Mundi; una sequenza di immagini che cambiano con buona rapidità, tanto da donare un movie che i più navigati e abituati al mare aperto sapranno riconoscere all’istante, forse con speranza, sicuramente con un briciolo di rammarico; per tutti gli altri, che si trovano all’inizio del sentiero, l’augurio è che la metafora si trasformi in didattica, in esempio da seguire.
Sedici tracce, quasi settanta minuti di musica per dare un obiettivo e un volto -direi comune- al protagonista, che da sano pensatore si interroga cercando il significato delle cose, di ciò che è giusto, la verità, la bellezza, la giustizia, il valore dello spirito in comparazione con la materia. E alla fine qualche certezza arriverà.
La dimensione musicale di Milanesi riconduce ad un certo intimismo, e il suo modo espressivo, quasi sottovoce, misurato, caldo, pacato, lo trasforma in un crooner dei nostri giorni, un performer che arriva all’obiettivo senza imporre la forza fisica, ma usando l’arma della sensibilità applicata all’azione, e tutto questo passa con forza prorompente e arriva al segno.

Ciò che ho provato a descrivere è molto più che fare musica… è il regalo di un pezzo di sé, consistente e motivato, e di questo non possiamo che ringraziare Federico Milanesi, in attesa di un suo nuovo racconto.


L’INTERVISTA

Potresti sintetizzare la storia di Federico Milanesi per gli appassionati di musica che ancora non ti conoscono?

Forse un incontro personale lascia più spazio a domande come questa, le cui risposte rischiano sempre di essere in pericoloso equilibrio tra il didascalico e l’apologetico, mentre il guardarsi negli occhi spesso lascia molto più spazio a una comunicazione non verbale, fatta di sfumature difficili da rendere in contesti quali questo. Spero di non cadere in uno dei due estremi…!
Bene, innanzitutto la mia anomala storia di musicista parte ancora dalla prima infanzia, quando la mia spiccata passione per la musica si esprimeva in interminabili ascolti dei dischi di musica classica dei miei genitori. La rivoluzione avvenne con il regalo, durante un indimenticabile Natale, di un armonium elettronico Farfisa. Quindi il pianoforte, gli studi classici: tutto di rito. Quello che si discostava però dalla norma era il fatto che io preferissi – fin da subito – dedicarmi alla creazione di musica. Intendiamoci, ho amato e amo immensamente Bach, Mozart, Wagner… Il piacere che vivevo anche solo nello studio di una sonata di Beethoven è qualcosa che mi portava “altrove”. Eppure, in quell’altrove potevo anche attingere per creare nuove forme.
A diciassette anni, la prima band, con brani miei, poi il lavoro con una tribute band dei Pink Floyd, come cantante e tastierista. Ad un nostro un concerto vedemmo che un gruppo di gente se ne andava. Ci domandavamo che cosa fosse successo, non avevamo poi suonato tanto male… Uno dei nostri fan più affezionati raggiunse il gruppo di persone che stavano andando via, domandandogli come mai si allontanassero. Con stupore, scoprimmo che la “fuga” non era dovuta a una qualche nostra pecca. “Se voglio ascoltare il disco così come è,  lo metto su a casa, non ho bisogno di venire al concerto!”, gli risposero.  Ammetto che fu un episodio piacevole, oltre che simpatico.
Quella parentesi si chiuse, come molte altre peraltro, e da lì in poi di me non si è praticamente più sentito parlare (non che se ne fosse mai parlato tanto in realtà!!!).
Sì, è vero, sono stato più tempo chiuso nella mia stanza a comporre che a propormi come musicista. Poi ci furono gli anni della mia ricerca. Parlo di ricerca interiore, che ha coinciso con la ricerca musicale. Anni in cui – nel gruppo Halia (sconosciuto ai più) –  abbiamo esplorato gli effetti del suono sull’emotivo e sulla mente, abbiamo studiato i modi in cui la musica può favorire stati di apertura interiore e contatto con la parte più profonda e autentica di sé. Intendiamoci, niente a che fare con l’approccio superficiale che credo abbia caratterizzato il movimento New Age: furono anni di ricerca seria, in cui l’oggetto di osservazione erano le sensazioni generate in noi stessi e in terze persone in seguito all’utilizzo di un determinato suono, lo studio dell’innumerevole gamma di sfumature prodotte nello stato interiore di chi ascolta attraverso l’utilizzo del suono. Un lavoro intenso, che è proseguito per anni e ancora sarebbe potuto proseguire. Le tracce di quanto è stato fatto rimangono solamente in alcuni cd del gruppo Halia pubblicati negli anni Novanta e nei primi anni Duemila dall’Adea Edizioni.
Il mio approccio alla composizione non parte necessariamente dal “brano cantato” - anche se non conto più quanti brani cantati ho scritto - ma comprende anche molta musica puramente strumentale. Quanta libertà si vive nella musica strumentale! In più, essendo la musica un linguaggio emotivo, è ancora più universale, perché intesa da chiunque. La ritengo un vero linguaggio oggettivo. Quindi, proseguendo il racconto, mi è stato chiesto di scrivere, e suonare ovviamente, la colonna sonora del film di Beppe Arena “Perché il fuoco non muore – La vita agra di Tina Modotti”.
Pensa che la produzione aveva fretta di presentare il film a Venezia, e così mi ha dato un tempo tecnico per fare la colonna sonora di una settimana! Per di più, non potevo lavorarci tutto il giorno, perché avevo degli impegni lavorativi che non potevo sospendere… Se ci penso! Ebbene, tutta questa fase di studio è proseguita senza sosta fino ad oggi e proseguirà ancora, sempre, o almeno spero! Quello che in realtà mi ha tenuto fuori dalle scene era un parallelo percorso di formazione interiore, un cammino di ricerca, che ha assorbito tutto il mio tempo e il mio desiderio. Semplicemente, potevo benissimo fare l’artista professionista ma… sentivo che dovevo dedicarmi alla ricerca di qualcosa di più elevato che desse un senso più alto alla mia vita piuttosto che ad una affermazione personale. Ora molte condizioni sono cambiate e, comunque, mi propongo agli estimatori e non certo al mainstream, anche per raggiunti limiti di età!!!
Ora, a 49 anni, mi sento più pronto a entrare in gioco in prima persona, un po’ per amore, un po’ per forza… Questa crisi ha colpito duro.

La tua formazione classica non ti ha impedito di avvicinarti ad un certo rock, seppure di impegno: riesci a delimitare delle zone di genere o pensi che non esistano paletti, se non quelli tra la qualità e la pochezza musicale?

Grazie per la domanda. Anche qui, una risposta seria richiederebbe davvero molto tempo.
Non si può dividere qualcosa che è unito… No Athos, per me i generi non sono “confini”.
Io trovo che la tendenza della mente umana a separare tutto sia un grave problema del nostro pianeta. Se una risposta c’è, è nell’unità di tutto quello che ci circonda.
Vedi ad esempio la medicina allopatica, la nostra “classica” medicina ufficiale. Per inciso, è la forma di medicina più giovane tra tutte le esistenti, ed ha la presunzione di essere la migliore, tipicamente ignorando, quando anche non demonizzando, migliaia di anni di esperienza scientifica compiuta nella storia umana da altre modalità di cura. Non voglio  però divagare… A cosa approda la “nostra” medicina? Viziata, appunto, dall’idiosincrasia della “separazione”, divide il corpo umano in aree. E così ecco il ginecologo, il neurologo,  l’otorinolaringoiatra, il nefrologo… Non otterremo nulla dalla divisione. La risposta è l’unità. Nell’unità, ovviamente, permangono delle sacrosante diversità. E così, tornando alla musica, certamente si diversifica, ma senza “barriere” di generi…!
Devo dire purtroppo che una certa visione della musica in compartimenti è vissuta anche da un certo tipo di musicisti, convinti di dedicarsi al genere “migliore”. Io lo trovo molto infantile, un po’ come quando da bambini si faceva la gara a chi è più forte. Dobbiamo ancora crescere molto: tutti quanti noi, compresi gli artisti, che pure sono i portavoce di una parte dell’umanità dotata di intensa sensibilità. La vera differenza, tornando al discorso dei generi musicali, semmai, la fa la passione. Quell’amore per quello che fai, quel rapimento, quel fuoco interno che ti porta a continuare nonostante tutto, a cercare nuove soluzioni, a esplorare sempre più il tuo strumento, ad esprimere sempre più con la tua voce, all’ascolto completo e totale nell’immersione più completa, all’apprezzare e, anzi, amare il lavoro di altri più bravi di noi. Questo fa parte dell’arte musicale. Pop, Progressive, Jazz, Lirica, Classica, Contemporanea, Concreta, Minimalista, Romantica, Antica, Barocca, Punk, Metal, Rock, Funky, Soul, Blues… E’ tutta arte se fatta con passione. Io sono felice di ascoltare e anche di suonare o comporre in qualsiasi modalità o genere. La musica fatta senza passione non è detto che sia brutta musica, solo manca di cuore. In questo caso non possiamo parlare di arte, anche se in qualche occasione può esprimere una certa bellezza.

Trovi maggior soddisfazione nella composizione, nel canto o nel suonare uno strumento?

Difficile rispondere, penso alla composizione perché è un momento che, per come lo vivo, si avvicina alla meditazione.

Esiste un artista o una band che ti hanno segnato profondamente, indirizzando per sempre la tua strada?

Ho ascoltato di tutto. A suo tempo ho vissuto un momento bellissimo ai primi ascolti dei Beatles. Mi sembrava di scoprire un mondo. Improvvisamente, mi trovai nel mondo moderno! Prima di allora (parliamo dei miei 14 anni) ascoltavo infatti solo musica classica. Poi non posso non citare i primi Genesis, la mia seconda folgorazione dei 14 anni. Non smettevo di ascoltarli! Ma è ingiusto racchiudere qui la rosa degli ascolti determinanti… David Sylvian, Caroline Lavelle, Mike Oldfield, King Crimson, Cori bulgari, Pink Floyd, Djivan Garparyan, Gurdjieff/De Hartmann, Anne Dudley, Big Big Train, Elbow, Brian Eno, Goran Bregovic, Craig Armstrong, Imogen Heap, Ryuichi Sakamoto, Hans Zimmer, Elliot Smith, Oren Lavie, PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Le Orme, ovviamente Peter Gabriel… Sono i primi che mi vengono in mente, ma sono tantissimi.

La musica è spesso istinto, impatto inaspettato, materia: quanto incide nelle tue creazioni l’aspetto spirituale?

In “Mother Form”, brano di Anima Mundi, il protagonista si chiede quali segreti nasconda la forma, la materia che è nostra Madre, e si interroga sui misteri contenuti nel tempo e nello spazio. Di certo non credo allo spirito “prigioniero” nella materia, ma penso sicuramente che la musica possa fare da ponte tra queste realtà apparentemente separate. Spirito e Materia sono un’unica cosa, la musica può a volte addirittura svelarlo: è il caso dei brani sublimi che generano in tutti emozioni profonde. Questo per dirti che ogni volta che scrivo, non posso che rappresentare un poco il mio percorso, che è stato profondamente segnato dalla ricerca spirituale.

Nel 2013 è stato rilasciato il tuo album di debutto, Anima Mundi: potresti descrivermi il contenuto? Trattasi di concept?

E’ un concept album. E’ l’ideale storia di un protagonista che sente dentro sé la reminiscenza di “qualcosa” che non trova riscontro nella sua vita. Una rimembranza di una realtà più ampia, un istante di bellezza in una vita densa di contraddizioni, di paure e di domande irrisolte. E’ il primo brano “Do you remember?”. Da qui inizia il cammino verso la ricerca e la realizzazione di quel misterioso riflesso di Luce, quella reminiscenza che dà il via ad un processo di cambiamento profondo attraverso un lungo percorso interiore, fissato da alcune “tappe” importanti. I brani seguono questo ideale filo rosso, cercando di descrivere, o meglio tratteggiare quei momenti di passaggio. Così una triste riflessione sulla condizione umana (“Clouds”) a cui fa posto una più viscerale tensione verso “qualcosa” ancora di indistinto, ma che si agita potentemente in lui (“Burning Soul”). La coscienza della non libertà e il desiderio di essere liberati dalle proprie catene, invocando l’aiuto di un “vero amico” (“Chains”) … e quindi gli aspetti della ricerca, non separata dalla vita sociale, ma anzi partecipe e sofferente dei problemi dell’umanità (“Everyone is a stranger”), il riconoscere che in realtà non si  conosce nulla di se stessi (“Me Unknown”), e quindi la preghiera, il momento di rottura con tutto il mondo della cosiddetta illusione (“The abysses of all”), finalmente la risposta al desiderio di verità del nostro protagonista, nei brani successivi, e alla fine la rinascita… Protagonista che rimane senza nome: sono io, è Athos, è ognuno di noi, in tempi diversi e con modalità per ciascuno diverse. Ma il cammino è uno per tutti.

La scelta di cantare in lingua inglese ha a che fare con la maggiore musicalità di quell’idioma, con l’esigenza di una maggior internazionalità o cos’altro?

Mi piace pensare a questo lavoro come il tentativo di dire qualcosa a più persone possibili. Questo attualmente solo la lingua inglese lo può assicurare.

Come definiresti, a parole, la tua musica?

Aiuto! E come faccio a risponderti? Ognuno è il peggior giudice di se stesso! Ne ho poi scritta così tanta e così diversa… Posso arrendermi?

Quanto ami l’uso della tecnologia e della sperimentazione in fase di creazione?

Amo profondamente la tecnologia, e sono sempre un affascinato esploratore di tutte le innovazioni meravigliose che provengono dalla mente geniale dell’uomo.
In fase di creazione, senza la tecnologia non potrei fare nulla: se consideri che per il 99% la mia musica nasce nel mio studio… Adoro la ricerca tecnologica applicata al suono e la follia di alcuni fantastici ricercatori che vanno a trovare uno strumento in capo al mondo per consentire a noi di suonarlo a casa nostra… E’ bellissimo, non sarò mai loro troppo grato.

Cosa hai pianificato per il tuo futuro prossimo musicale?

Sono alla fine di un lavoro che porterà il titolo “New Knighs”. E’ quasi una ideale prosecuzione del precedente CD.
Anima Mundi si conclude con il protagonista che realizza che, anche se ha toccato qualcosa di elevato, il suo viaggio è solo all’inizio… “New Knights”, come il titolo suggerisce, è ancora un “concept” imperniato – anche se in modo non sempre così intuitivo – sulla necessità estrema in questo nostro mondo dell’intervento di “nuovi cavalieri”. Di persone animate dai principi universali di amore, giustizia, servizio all’umanità, difesa dei più deboli, bellezza e verità che a suo tempo animarono la cavalleria, per portarli a questa umanità sempre più propensa a egoismi individuali, nazionali o religiosi. Sono gli ideali che hanno condotto i padri costituenti al momento della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, e gli stessi ideali che informarono le fondamenta filosofiche più profonde alla base (neanche troppo conosciute) del primo romanticismo. Non è una revisione del mito dell’eroe così come ci è stato propinato in momenti bui della storia né la nostalgia per qualche forma di autoritarismo “illuminato”, intendiamoci: è, come “Anima Mundi”, un messaggio in una bottiglia lanciato in mezzo a un oceano di bellezza e orrori, ingiustizie e nobiltà, speranze e chiusure, rivolto alle tante persone sensibili, dai nobili princìpi, che assistono alla devastazione prodotta dall’ignoranza, dall’identificazione in falsi ideali, dalla paura e dall’egoismo.
Sono tempi bui: c’è bisogno di Luce a questo mondo.