Difficile spiegare a parole cosa significhi essere accompagnati
per tutta una vita da un certo tipo di musica, da determinate artisti capaci di
creare ciò che resterà per sempre del loro significativo passaggio terreno. C’è
poco di razionale in tutto questo… accade e basta. Ricordi e malinconie di
uomini “antichi”? Forse, ma molteplici dubbi nascono quando un pugno di giovani
decidono di dedicare tutto il loro tempo libero a rielaborare e riproporre
brani nati quarant’anni fa, con un entusiasmo e una devozione paragonabile a
quella di chi ha avuto la possibilità di vivere la storia un po’ più in “real
time”. Questione di età! Ma certa musica è sempre attuale, e l’energia che
sprigiona la musica dei The Who è
assolutamente immutata.
Un paio di mesi fa Roger
Daltrey, di passaggio in Italia, ha rammentato a chi lo avesse dimenticato
come stanno le cose.
I Naked Eye sono un neo gruppo di Genova, e ho assistito al loro secondo
concerto come tribute band degli Who.
La musica, come spesso dico e scrivo, è un’arte imbattibile
nella cancellazione delle barriere anagrafiche, e quando lo scorso anno ho
conosciuto casualmente Matteo Malvezzi, leader dei N.E., ho trovato
immediata empatia. Troppo bello e sincero il suo amore per gli Who per passare
inosservato.
In quell’occasione estiva, la band era impreziosita dalla
presenza di un pezzo di storia della musica italiana - Martin Grice dei Delirium, padre di Jonathan, il bassista-, e dalla vocalist Selene Schirinzi, oltre al batterista Alessandro Paolessi, il Keith
Moon dei Naked Eye.
La formazione attuale prevede quattro elementi: Matteo, Jonathan, Alessandro e
la new entry Cristian Lo Re alla
voce.
Per conoscere nei dettagli un po’ di storia può essere utile
il filmato a seguire:
Venerdì 8 giugno erano di scena al “Mare di Note”,
un locale un pò decentrato nella zona di Voltri.
Non semplicissimo da trovare, necessita di una buona
pubblicità, perché potrebbe diventare un punto di riferimento per la musica
live di qualità in Liguria… i luoghi mancano davvero.
Pubblico contenuto - elemento caratteristico della maggior
parte degli eventi live- ma la voglia di suonare porta a superare ogni
difficoltà e così i N.E. si esibiscono in un vasto repertorio Who che
ripercorre la storia della band inglese.
Vedendoli suonare ho immaginato a cosa poteva accadere a
Londra e dintorni alla fine degli anni ’60.
E in quel locale, venerdì, esisteva una continuità che non si può
trascurare.
Tra i presenti Martin
Grice, che ha avuto la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento
giusto, attorno ai vent’anni, uno che ha visto gli albori del rock che, come
diceva Townshend, è nato nel Regno
Unito, utilizzando una base di stampo americano.
Grande grinta e prova di forza e di incisività, soprattutto
considerando che si tratta di una genesi e che ogni meccanismo va oliato.
Volumi forse alti per il luogo -chiuso- ma per suonare brani
come My Generation occorre spingere
al massimo. Matteo conosce probabilmente tutto degli Who, e utilizza dei
protettori auricolari, perché alla sua età non c’è il rischio di sentirsi dire
da Pete: “It’s too late… it’s too late!”.
Dal punto di vista prettamente tecnico tutti e quattro
presentano un’ottima preparazione, ma il talento personale non basterebbe da
solo a dare certezza di buon amalgama e di risultato soddisfacente. Ciò che però
riescono a “tirare fuori” i N.E. piace, ed è incoraggiante, soprattutto per
loro che acquisteranno fiducia ed efficacia espressiva.
Forse mancava una cosa per clonare al massimo antiche
situazioni… la distruzione della Gibson ma, di questi tempi, chi possiede una
nuovissima SG la deve coccolare con le dovute attenzioni. Una questione di
rispetto!