Ho conosciuto “da lontano” Zibba, quando
alcuni anni fa ho iniziato a frequentare il Raindogs di Savona. In
quel luogo magico l’ho visto esibirsi con gli Almalibre, ma
non avevo capito la portata della sua proposta.
Successivamente l’ho osservato da vicino scaldare il
pubblico in attesa di Jack Bruce, sulla fortezza del Priamar, e
pochi mesi fa ho verificato l’efficacia della sua fase acustica, in occasione
del tributo a John Lennon.
Qualche eco importante, il Primo Maggio, il Premio
Tenco, ma non ho mai approfondito.
Chissà perché, per me Zibba era “solo” la metà del duo Marco(Traverso)-Zibba,
cioè coloro che hanno portato musica importante (soprattutto blues) a Savona,
due organizzatori capaci di riempire per un giorno intero (nonostante il caldo
e la spiaggia a due passi) tutte le piazze di Varazze con una ventina di
artisti “giganti”.
Pochi giorni fa ho trovato su facebook la notizia
dell’uscita dell’album “Double Trouble"( 21 maggio),
progetto dedicato a Bob Marley e frutto di un paio di
collaborazioni di qualità.
Tutti i dettagli del mondo “Zibba” si possono reperire
al seguente link:
Spinto dalla curiosità l’ho contattato per
approfondire il suo lato artistico.
Le risposte ai miei soliti quesiti via mail sono
arrivate prima dell’ascolto dell’album, e devo dire che non ci sarebbe bisogno
di nessun mio commento, perché attraverso le parole di Zibba il personaggio
emerge con prepotenza e assoluta intelligenza.
Ho avuto l’impressione che anche il buttare giù
qualche riga per “accontentarmi” sia diventato alla fine un mezzo per
comunicare una filosofia di vita, esattamente come il brano di un nuovo album.
Si comunica sempre, anche senza proferire parola, ma lo si può fare con
passione, per obbligo o per altri mille motivi, ma le parole di questo artista
stanno … in piedi da sole, senza che si avverta il bisogno di cambiare una
virgola.
A casa arrivano 2 CD, e non uno come erano gli
accordi.
Forse mi sbaglio, ma è stato un (suo) invito ad
approfondire, a non fermarsi ad un unico episodio, sicuramente non
rappresentativo (anche se significativo) di Zibba & Almalibre.
“Detto questo, caro Zibba, ho dovuto trasformare il
mio intento (solito) di recensire un album, in quello di dipingere un musicista
(con i suoi musicisti) senza seguire i canoni tradizionali, ma lasciandomi
andare a ruota libera, e chiedendo scusa per averti a lungo “trascurato”…
chissà perché ci si occupa sempre dell’erba del vicino e un po’ meno della
propria!”( … i miei articoli, purtroppo, non migliorano la vita a
nessuno, ma analizzando la musica di qualità la mia coscienza si mette a posto…
).
Oltre a Double Trouble ho
quindi ricevuto “Una Cura per il Freddo”, terzo lavoro di Zibba,
uscito da circa un anno, che ho deciso di assumere come il riassunto di quella
che chiamerò “l’essenza Zibba”.
Una delle domande a seguire pone l’accento sul
rapporto musica/liriche, argomento su cui non prendo mai posizione (non credo
ne esista una oggettiva), anche se di base sono propenso a privilegiare la
musica.
A memoria, è questa la prima volta che trovo l’unione
perfetta, che riesco a dare il giusto peso alle parole, integrate dai suoni e
dalla voce.
(vedere i testi:http://wwhttp://www.zibba.it/w.lyricsmania.com/una_cura_per_il_freddo_album_lyrics_zibba.html)
La voce… la modulazione utilizzata in funzione
dell’episodio raccontato, sembra qualcosa di scientifico, anche se credo sia
del tutto naturale, e attraverso quel modo di proporsinasce un forte contrasto
tra due movimenti: quello del “buon burbero” e quello del “sensibile
all’infinito”. E anche un certo linguaggio un po’ spinto non appare mai volgare
e fuori contesto.
Ho ascoltato solitario l’album e al secondo passaggio
mi sono fermato prima della fine, ho cambiato stanza e ho coinvolto “i miei”,
puntando diretto alla traccia numero 8, “Scalinata Donegato”: “…ascoltate
che genio…”. Avevo quasi le lacrime agli occhi e mi sono chiesto: “ … ma
come fa a scrivere cose del genere!?”
Ma che musica fa Zibba? In quale categoria si potrebbe
incasellare questo novelloBuscaglione?
Avendo assunto come assioma che “Una Cura per il
Freddo” è l’anima del lavoro di Zibba & Almalibre, potrei dire
che l’enorme capacità di questi musicisti è anche quella di unire il blues, il
Jazz, il rock, il reggae, lo ska, il folk, a certa musica etnica, con radici
ben salde nelle culture locali. Ce ne sarebbe abbastanza per dipingere un
quadro che determina la confusione totale, e invece no, tutto suona come dosato
al grammo, senza sbavature, con un linguaggio personale e del tutto nuovo…
almeno per me. Di sicuro l’utilizzo di certi strumenti, come il sassofono e il
violino, contribuiscono alla creazione di un sound ”diverso”.
Il "circo" delle musica ha bisogno di
personaggi, e spesso il talento e le capacità, così come “la scuola”, contano
meno dell’ apparire.
Zibba è un personaggio, è bravo, e fresco ed è capace
di mettere in piazza, con semplicità e intelligenza cose estremamente
personali, che di solito si raccontano a pochi intimi.
I musicisti che lo seguono sono decisamente di alto
livello. Conosco personalmente Fabio Biale, il violinista
polistrumentista, ma il resto del gruppo non è da meno.
Una grande sorpresa e una bella realtà e … sono sicuro
che sentiremo sempre più spesso parlare di Zibba & Almalibre.
Formazione:
- Zibba - voce, chitarra
- Andrea Balestrieri - batteria
- Fabio Biale - violino
- Daniele Franchi - chitarra
- Lucas Bellotti - basso
- Stefano Riggi - sassofono
INTERVISTA
Partiamo dal presente, da questo “Double
Trouble" a base di “reggae”. Da dove nasce questo tuo amore per una
musica così particolare, non certo alla base della “nostra”cultura musicale ?
Il messaggio. Marley è stato un grande comunicatore.
Un profeta del nostro tempo. Un essere in grado di veicolare attraverso la
musica qualcosa di importante per l’umanità. Non sono appassionato di Reggae,
ma di Marley (Lo porto tatuato sulla spalla insieme a Hendrix, Totò, Marilyn e
Oscar Peterson, e c’è spazio per altri che si aggiungeranno presto). Marley è
un esempio per molte cose, non per tutto. Il reggae di ora è spesso
distintissimo dalle sue tematiche. Tocca l’omofobia e il razzismo più estremo.
Non è in linea con lo spirito rastafariano e nemmeno con la politica sociale
Marleyana. Per quanto mi riguarda il messaggio che la musica porta con se è
spesso molto più importante della qualità e degli arrangiamenti. E Marley era
stramaledettamente fortissimo in tutte queste cose. Un pezzo importante della
musica. Mi piaceva omaggiarlo a mio modo, e ho trovato due compagni di viaggio
eccellenti che condividono questo pensiero.
Il blues fa parte delle tue radici. Attraverso il
blues si passano messaggi precisi, spesso legati a situazioni di dolore(“non
pain no blues…”). Ma tu sei una sorta di “cantastorie”, un musicista
che ama comunicare, inviare messaggi e fare riflessioni, non necessariamente
pensieri ”neri”. Qual è il tuo rapporto con le liriche? Hanno priorità rispetto
alla musica?
Le liriche sono importantissime, e come dici tu sono
molto legato alla comunicazione di qualcosa attraverso la musica. Fossi nato
duemilaundici anni fa sarei stato tutto il giorno a parlare con Cristo, e se
non fosse esistito me ne sarei inventato uno. Non hanno priorità rispetto alla
musica, ma è vero che la musica dev’essere al servizio del messaggio, e non il
contrario, almeno per me s’intende. Il blues è la madre di tutto, e c’è poco
altro da dire su questa musica meravigliosa. Inoltre l’approccio live della
band Almalibre è molto blues, non solo nel fraseggio ma soprattutto nel modo.
Non si può prescindere dal blues come non si può prescindere dall’onestà di
riconoscere da dove veniamo.
L’ angolo dei ricordi: cosa ti è rimasto maggiormente
nel cuore (e nella mente) dell’esperienza “Raindogs”?
Il Raindogs è stata la mia isola felice nei momenti di
buio, casa mia quando volevo riparo e un posto da maledire altre volte. Ma
soprattutto una grande amicizia con Marco “Jerry” Traverso con il quale posso
dire di aver costruito qualcosa di grandioso e senza il quale non sarei
riuscito ad arrivare dove sono oggi. Il Rain e Marco sono stati importantissimi
per me, e lo sono ancora. Non solo nei ricordi. Il Raindogs c’è sempre. È vivo
in chi lo ha vissuto e nei sogni di chi se lo è perso.
Ho visto che nella tua piccola biografia c’è un
ricordo per tutti i musicisti che non suonano più con te. Quanto conta
l’amicizia per pianificare e seguire un progetto e arrivare al risultato? Non
basta a volte essere “professionisti”?
Si diventa musicisti nel momento in cui lo si decide.
Non quando si è bravi tecnicamente abbastanza. Avrei lo scaffale dei dischi
vuoto se fosse il contrario. Sono la passione, la dedizione, l’impegno e
l’amicizia a fare si che da una cantina o da una sala prove si esca verso
l’esterno e si vada verso qualcosa di importante. Ogni persona che incontriamo
ci regala qualcosa di prezioso. Io sono stato molto fortunato, perché chiunque
abbia suonato con me in questi anni mi ha lasciato molto in molti sensi. E
l’amicizia conta davvero molto. Sapere che accanto a me c’è il Bale da oltre
tredici anni mi fa sentire bene. Rilassato. Sereno. Perché sono con un amico. E
tutto è più bello quando lo fai con un amico. Inoltre per carattere non potrei
lavorare con nessuno che non potrebbe anche essere mio compagno di bevute o di
cene. Con chi lavora con me ci devo poter parlare e ragionare come con un
amico. Sennò meglio lasciar stare.
Sei ancora molto giovane ma… esiste qualche rammarico
per un treno che non hai voluto prendere per eccesso di cautela?
Direi di no. Nessun treno perso. Anzi, quando non ne
passavano me ne sono inventati. Carattere. Tenacia. Non so, forse anche
incoscienza. Ma al mattino mi alzo sereno, e quindi vuol dire che tutto va
bene.
L’ultima volta che ti ho sentito era dicembre,
Filmstudio di Savona, celebrazioni della morte di Lennon. Ricordo come
evidenziasti la mancanza di prove preventive, eppure quel’attimo acustico,
miscelato ad un momento di teatro, è risultato per me assai efficace ed
emozionante. Sei interessato a spettacoli, magari semplici, ma che sappiano
unire differenti forme d’arte?
In realtà lo faccio spesso. Nel mio spettacolo “vocechitarra”
unisco piccole cose teatrali alla mia performance acustica. E in passato ho sperimentato
queste cose anche con la band. Mi piace molto mischiare le arti. Ma in fondo la
musica stessa è un miscuglio di roba. Poesia. Suono. Ritmo. Fantasia. Inoltre
sto iniziando un esperienza come attore, visto che sarò uno dei protagonisti di
“all’ombra dell’ultimo sole”, musical scritto da Massimo Cotto e diretto
da Emilio Russo. Debuttiamo il 1 luglio ad Asti. E sto scrivendo musiche per il
teatro, iniziando dallo spettacolo “commedian blues” dei Turbolenti,
scritto da Matteo Monforte e Lazzaro Calcagno. Mi piace davvero mischiare le
cose e sono contento che la vita mi dia la possibilità di sperimentarne sempre
di nuove.
Che differenza esiste tra l’essere ospite al Premio
Tenco, partecipare al concerto del 1°Maggio o fare “la spalla” a Jack Bruce?
C’è qualcosa di comune alle tre esperienze?
Il Tenco lo sognavo, e ancora non ci credo. Il primo
maggio è stato otto anni orsono, ed è un ricordo sfocato anche se piacevole.
Jack Bruce non mi è piaciuto come persona e nemmeno molto sul palco, ma ho regalato
a Rigo la possibilità di realizzare uno dei suoi sogni (suonare prima di Bruce)
quindi è stata una grande esperienza comunque. Non li accomuna molto, se
non il sudore e un certo appetito preconcerto. Il Tenco credo ce lo siamo
guadagnati con gli anni e spero di tornarvi, il Primo Maggio è stata una botta
di culo allora e ora spero di tornarvi, ma il concerto di Jack Bruce fu una
grande impresa del Raindogs che ricorderò per molto tempo come pietra di un
momento storico in cui si faceva fatica in nome di un qualche impegno malsano
di rieducazione alla musica figa in un paese spesso semimorto. E sono certo che
Marco non mollerà, e continuerà quest’opera iniziata insieme in nome dello
stesso malsano impegno.
Ricordo che un paio di anni fa mi raccontasti
dell’amore di tuo padre per certa musica rock anni ’70. Quanto ti ha
influenzato, o quanto ti ha “lasciato sbattere” la tua famiglia?
La mia famiglia è ed è stata tutto. Sprono e voglia.
Mi hanno tenuto per mano nei miei sogni, e se ne prendono il buono e il brutto.
Come una famiglia dovrebbe fare. Non li ringrazierò mai abbastanza.
Per lungo tempo hai anche organizzato eventi. E’ un
ruolo che ti gratifica, ti preoccupa, ti sta stretto?
Ti ringrazio per averlo detto tu. Mi gratifica, mi
preoccupa e mi sta stretto. Come ogni cosa ha i suoi lati positivi, e quelli
negativi inevitabili che spesso ti fanno dire “ma chi me lo ha fatto fare”. Ora
non lo rifarei, non in questo momento in cui sono molto impegnato nelle mie
cose. Ma l’anima c’è, e in fondo mi piace un sacco perché la parte di gratifica
di mangia le altre due poi…
Che cosa vorresti ti accadesse, musicalmente parlando,
nei prossimi tre anni?
Fare un disco che resti nella memoria delle persone.
Scrivere qualcosa di grandioso magari. Ma in ogni caso, quello che davvero
voglio è stare sul palco. Quanto più possibile. Con gli amici, con gli affetti.
Dividere i piccoli successi quotidiani con la mia famiglia e con i compagni di
viaggio, e non smettere di credere che sono un privilegiato e che per questo
posso e devo trovare nella musica il mio modo di regalare emozioni alle persone
che oggi più che mai hanno bisogno di sentirsi dire che la vita è una figata, e
che vale la pena lottare per essa. Grazie Athos, un abbraccio grande come il
Mississippi…