venerdì 20 maggio 2011

Intervista a Tolo Marton


Fotografia di Nicola Fasolato

Esattamente il 9 aprile, alla fine del concerto tenuto a Genova nel corso della edizione del Genova Prog Festival, Tolo Marton, a tavola col resto della band (Tagliapietra, Pagliuca e Smaniotto), mi raccontava dell’utilizzo di un vecchio distorsore che avevo notato sul palco. Mi era rimasto impresso perché “antico”, uguale (credevo) a quello che io usavo da adolescente, 38 anni fa, e ora inserito nella mia teca dei cimeli. Ci siamo lasciati con la promessa di un scambio di battute e dopo alcuni giorni ho preparato un… questionario. A distanza di un mese e mezzo ho dovuto eliminare una domanda, la prima, perché nel frattempo divenuta obsoleta. Dinamicità del mondo della musica? Non lo so, ma è certo che per qualche motivo il bellissimo progetto nato nel novembre scorso, con l’esibizione alla Prog Exhibition di Roma è terminato, e forse insistere nell’indagine potrebbe essere di scarso interesse e provocare piccoli dispiaceri.

Di Tolo Marton avevo già pubblicato qualcosa:


Fotografia di Cristina Arrigoni

Ma sentiamo cosa ci racconta Tolo.

A Genova ero a pochi metri da te durante l’esibizione e mi ha colpito la tua estrema semplicità, nei movimenti sul palco, nell’uso della tecnologia (vedi sezione effetti), nella relazione con gli altri. E’ qualcosa che un musicista trova con la maturità e l’esperienza o fa parte del tuo carattere?
No, fa parte del mio carattere. Sono nato e cresciuto facendo lunghissime jam session, ascoltando quello che suonano gli altri e interagendo di conseguenza. Il mio udito è sempre stato molto attento a ciò che succede attorno … qualche volta per me è una condanna.

Leggendo la tua biografia, emerge come il tuo punto di partenza sia legato alla musica classica, e il tuo percorso sino ad oggi ti vede protagonista in generi musicali diversi tra loro. E’ la tua natura che ti ha portato a spaziare senza confini o è una necessità legata allo sviluppo personale?
Tutte e due le cose. Per natura ho bisogno di variare, ascoltare musiche differenti e di conseguenza sentirmi suonare cose diverse, non ci sono altri motivi. Mi dispiace però che spesso vengo etichettato solo come un chitarrista blues, questo sì. Ma riflettendo, è un problema di chi lo dice, perché dimostra la propria ignoranza o poca voglia di conoscere un musicista.

Immagino che la tua premiazione a Seattle, da parte del padre di Hendrix, come vincitore del “Jimi Hendrix Electric Guitar Festival”, sia un evento tra i più significativi della tua carriera. Che ricordi ha di quei giorni?
Grande nervosismo e paura di suonare male. La cosa più importante non era vincere, ma riuscire a rendere almeno al 50% delle mie possibilità. Sarebbe stato terribile per me perdere sapendo che la tensione mi aveva impedito di suonare come so suonare. Poi felicità e sollievo, ma non subito, solo quando sono tornato all’hotel. Ricordo Al Hendrix che voleva io stessi al suo fianco sopra il palco, poi quando pronunciò la fatica frase “And the winner is…”. Poi mi diede la chitarra che io gli chiesi di firmare.

Quattro veneti su di un palco fanno pensare a legami importanti, che superano i confini musicali. Secondo la tua esperienza, è più importante la professionalità o l’amicizia, quando ci si riunisce in gruppo e si fissa un obiettivo comune?
Tutte e due, ma prima metterei necessariamente la professionalità.

Credi ci sia crisi di talenti, rispetto al passato, o sono più le idee che mancano, o ancora, pochi sono disposti a investire sulla qualità, preferendo ciò che crea denaro?
I talenti ci sarebbero sempre, ma senza senso critico, coerenza, ricerca dell’arte, del nuovo e ci metto anche la meritocrazia (tutti elementi a cui oggi non viene data alcuna importanza), servono a ben poco.

Se fai un bilancio relativo al collegamento internet/musica, cosa vedi di positivo e negativo?
Positivo per le possibilità infinite di informazioni che internet offre. Negativo quando, in mancanza di una logica e una guida, si perde anche molto tempo. Avere dei maestri in carne ed ossa che sappiano consigliare è sempre importante.

Che cosa stimola particolarmente la tua vena creativa?
Una volta era il bisogno di esprimermi, di farmi ascoltare e pure un certo malessere e insoddisfazione, uniti all’ascolto assiduo e allo studio di grandi artisti. Oggi lo star bene, avere una destinazione certa per ciò che suono o compongo.

Hai qualche rimpianto per un treno che non hai mai preso per eccessiva paura?
Sì, non solo per paura ma anche per senso di responsabilità verso la mia famiglia. Mi spiace non essermi fermato in America quando ero più giovane.

Che cosa vorresti ti accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi cinque anni?
Se la tua domanda riguarda la situazione generale: vorrei che “ai posti di comando” arrivassero finalmente delle persone competenti, a cui interessa la vera musica e non solo la vendita immediata. Alla lunga sono convinto che anche loro avrebbero tutto da guadagnare. Per me auspico di continuare a far musica con serenità e un po’ più di sicurezza.