Quando mi è stato segnalato questo “primo lavoro” del Paradiso degli Orchi, ho cercato materiale informativo online, e dalle poche notizie trovate estraggo una “bignamica” biografia.
“Dopo aver ricevuto numerosi consensi per le loro performance live (sempre ricche di improvvisazioni ed esperimenti) e la soddisfazione di vedere una loro canzone ("Where is the light?") inclusa nella compilation di beneficenza internazionale "Rock4Life 2009" e nella compilation del Festival Phonocult di Brescia, il Paradiso degli Orchi debutta sulla lunga distanza con un eponimo lavoro composto da dodici brani (+ una ghost track). Proprio quest'ultima e la prima sono le uniche tracce in italiano di un lavoro (registrato quasi completamente in presa diretta) lisergico, cangiante, ma allo stesso tempo denso di chitarre taglienti e modernità.”
Li ho contattati per cercare di saperne di più e ho loro proposto la mia solita serie di domande. L’elevata ridondanza delle risposte ha fatto dubitare Michele Sambrici, voce e chitarra del gruppo, che il tutto fosse pubblicabile, ma non avendo io vincoli di spazio, ho inserito per intero i concetti espressi, unico modo che conosco per inquadrare artisti che rendono così visibili le proprie idee musicali, il loro credo e la loro filosofia di vita, elementi importanti perché condizionano il risultato finale e cioè la musica proposta.
Nella scheda tecnica a fine post l’album è catalogato come “rock/psichedelico”.
Io faccio fatica (quasi sempre) a “inscatolare” una musica nuova, preferendo ricondurre tutto alla grande famiglia del rock. Ciò che ho ascoltato nei 12 brani ha diversi tipi di contaminazione che, mi pare, non hanno radici collocabili in un solo periodo storico ma, partendo dagli anni 70, raccolgono i venti degli anni successivi, miscelando il tutto e regalando un ottimo risultato sonoro.
Credo sia il marchio del primo album, quando tutti gli sforzi e le esperienze devono essere mostrate dopo l’acccumulo, quasi come una liberazione. Ed è un “sano rilascio” che regala momenti di piacevole ascolto.
Si passa dalla già citata “Where is the light”, dolce ballata sognante, a brani più “prog”, come “Sofa” o “Pig War”, dove i tempi e la voce di Sambrici riportano a tracce di Van der Graaf. Il tutto passando attraverso un “Remember” più anni ’90 e alla “durezza” di “Panic Station”.
Mi sono fatto l’idea di un album “specchio” delle differenti esperienze dei protagonisti, che necessariamente porta ad espressioni multiple, anche lontane tra di loro. Il risultato è un disco gradevole, non di nicchia( grosso pregio) e sicuramente incoraggiante. Date le caratteristiche, difficile rimanere delusi.
Ma scopriamo qualcosa di più sul Paradiso degli Orchi.
L’INTERVISTA
Un prima curiosità riguarda il nome del gruppo, che è anche il titolo di un romanzo di Pennac. Quando ci si avvicina a “qualcosa” di nuovo, spesso le prime indicazioni (e briciole di curiosità) arrivano proprio da questo elemento. Ha qualche significato particolare per voi “Il Paradiso degli Orchi?”.
Il significato è arrivato solamente dopo la scelta del nome, anche se da tempo l’idea di utilizzare un titolo dei libri di Daniel Pennac mi ispirava moltissimo. Il concetto stesso che sta alla base delle scelte musicali del gruppo è stato influenzato, se non guidato, dalla lettura di libri come appunto “Il Paradiso degli Orchi”, “La fata carabina”, etc. Quando con Marco abbiamo iniziato nel 2006 a improvvisare quelle che poi sono divenute le nostre composizioni, io ero nel pieno della scoperta letteraria di Pennac: il suo mix di personaggi uno diverso dall’altro, ma capaci di creare un affascinante quadro dove ognuno risultava parte importante, era l’immaginario che più mi affascinava. Le sue storie sembravano create da un bambino che metteva insieme tutto ci che più lo colpiva senza troppi pregiudizi o paletti di realtà. Cosi doveva essere la nostra musica: nessun limite o guida di sorta al nostro linguaggio musicale. Ci piace una cosa? Dentro! Al nostro primo concerto eravamo ancora “anonimi”. Una sera l’organizzatore mi chiamò per avere assolutamente un nome da mettere nella programmazione e la cosa più naturale fu dire “Il Paradiso degli Orchi”. Pensavo che nel comunicarlo il giorno seguente al resto del gruppo sarei stato sommerso di insulti, ma invece tutti approvarono la scelta a pieni voti. E cosi come ora non riusciamo a vedere una soluzione differente: è un nome che richiama fantasia, stravaganza, stranezza, contrasto, ignoto, che piace a molti e non piace ad altrettanti. Noi lo adoriamo, anche se ci rendiamo conto che adottarlo è una scelta azzardata.
La stabilità della vostra formazione si è concretizzata a due anni dalla sua nascita, e come spesso accade la line up evolve in funzione di un obiettivo, Quale era il vostro progetto iniziale e… si è modificato cammin facendo?
L’idea di fondo non è mai cambiata, e cioè creare canzoni in grado di fondere le differenti personalità del gruppo tenendo ben presente che la musica deve essere comunicazione e quindi trasmettere emozioni. Sin dall’inizio è stato importante raggiungere un compromesso tra il nostro essere musicisti che amano sviluppare le proprie capacità tecniche e il nostro animo più artistico e “pop”. Il cambio di line-up non è mai avvenuto per motivi prettamente legati alle nostre scelte stilistiche: man mano che il progetto cresceva chi ha deciso di staccarsi lo ha fatto per poter seguire altre attività o progetti con più attenzione, mai per contrasti artistici. Evolversi e migliorarsi credo sia un obbiettivo obbligatorio di ogni gruppo ma richiede tempo e anche sacrificio e ognuno da precedenza alle proprie priorità. La formazione attuale è comunque la più unita e omogenea, e anche la più temeraria. In un anno (2009) siamo riusciti a raggiungere molti obbiettivi e a concretizzare le composizioni più particolari e complicate. Abbiamo tutte e quattro una grossa passione per i differenti filoni del progressive, per la musica alternativa e per l’improvvisazione (a volte riusciamo a improvvisare per 20/30 minuti senza pause), anche se infine ognuno porta le sue particolarità: io tendo ad essere l’animo più pop e psichedelico, Marco e Andrea quello più progressive e Iran quello etnico. A cambiare molto è stato l’approccio al live: i concerti sono diventati molto più energetici e il tiro si è fatto pesante e deciso, abbiamo cominciato a proporre improvvisazioni che a sorpresa hanno raccolto consensi, e vorremmo puntare il più presto possibile a rendere “più colorate” le nostre esibizioni.
Quale musica e quali artisti sono risultati decisivi per la formazione della vostra cultura musicale?
Credo che l’ispirazione principale venga comunque dai grandi classici, quelli che da ragazzino ti fan desiderare di imbracciare una chitarra, cantare a squarcia gola e pestare sulle pelli. In primis i Queen, sopra tutti. Poi naturalmente Pink Floyd, Genesis, Doors, Iron Maiden, Led Zeppelin, Yes, etc. Rock, Psichedelica e Progressive sono i generi che più ci stanno guidando. Ma altri nomi è doveroso citare: Julian Cope è un punto fisso, assolutamente. Frank Zappa e King Crimson, Talking Heads, Radiohead, Vines, Marillion, Angra. In modo particolare i Muse e Flaming Lips. E molti altri. Non dimentichiamo la scena italiana con Ivan Graziani, Battiato, Litfiba, PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Biglietto per l’Inferno, Teatro degli Orrori, Perturbazione, Quintorigo. Citare tutti questi artisti può sembrare pretenzioso, ma oltre ad essere i nomi indelebili sui nostri i-Pod sono quelli che spesso citiamo in sala prove quando siamo in fase di arrangiamento o ricerchiamo le sonorità.
Che cosa significa per voi l’esibizione dal vivo? Che tipo di interazione riuscite a stabilire con il pubblico?
Per “Il Paradiso degli Orchi” il live è il fondamento. E’ il motivo per il quale abbiamo realizzato il nostro primo disco di debutto: poter suonare il più possibile dal vivo. Lavoriamo molto affinché i nostri concerti possano essere il più coinvolgenti possibile, carichi di energia e suonati come si deve. Ci piacerebbe arricchirli con effetti, colori, luci ma per ora possiamo solo concentrarci sulla musica. Ci diverte molto la reazione del pubblico che viene spiazzato dai continui cambi di tempo e che a fine canzone aspetta una manciata di secondi per applaudire in modo da capire se la canzone sia effettivamente finita. Non siamo abili oratori ed è per questo che per portare il pubblico dalla nostra parte la nostra esibizione deve essere il più intensa possibile. Ci ha particolarmente colpito in questi mesi il modo in cui il pubblico segue le nostre improvvisazioni psichedeliche e prog (che non sfociano mai in virtuosismi) portandoci a realizzare nuovi espedienti come il tema del telefilm Batman unito ad un brano di Frank Zappa. Speriamo di riuscire a coinvolgerlo sempre di più e a presentarci ogni volta con un “regalo” che lo invogli a seguirci.
Perché l’autoproduzione? Precisa scelta legata alla libertà di espressione o necessità contingente?
L’autoproduzione è stata una scelta ma anche un obbligo: assolutamente le scelte artistiche dovevano essere nostre e legate solamente ai nostri obbiettivi e gusti musicali . Dall’altra parte non c’era nessuno disponibile a collaborare con noi. Essendo ancora novelli e per lo più sconosciuti ci rendiamo conto che questo disco è un passo obbligatorio per creare interesse attorno a noi e quindi trovare in futuro collaborazioni, e appunto per questo volevamo presentarci con tutte le nostre carte scoperte senza dover accettare compromessi di nessun genere.
Cosa pensate dell’evoluzione del businnes musicale e come lo vedete in prospettiva futura?
Non abbiamo ben chiari quali meccanismi muovano il business musicale, ne ad alti ne a bassi livelli. La sensazione è che il mercato stia spremendo la musica leggera il più possibile in modo da guadagnarci fino all'ultimo centesimo prima che si esaurisca. Per quanto riguarda il main streaming la proposta diventa il più standard possibile e, gusti personali a parte, sempre meno stimolante. In questo modo anche i generi più di nicchia ci perdono perché l'ascoltatore non ha più lo stimolo ad uscire da quello che i media principali propongono e anzi... viene in un certo modo diseducato. Spesso mi capita di sentire ragazzi anche più giovani di me dire frasi tipo "non ci sono più gruppi come quelli di una volta" o "non c'è più nulla di interessante" e non sanno che MTV è solo la punta di un iceberg. Al di sotto c'è un mondo di musicisti squattrinati con una gran passione, di locali di musica dal vivo che propongo scelte coraggiose e alternative, band che suonano o almeno ricercano un repertorio originale. Ci sono persone che promuovono musica nuova e diversa, cultura e partecipazione, che tengono vivo un mercato alternativo e indipendente dalla luci delle grandi televisioni o radio, e che a volte riescono a far emergere gruppi davvero interessanti e meritevoli. L'unica cosa che guardiamo con dubbio è che il mercato indipendente si muove e si pone sempre di più con gli stessi mezzi e stili del grande business, solo che lo fa su scala ridotta e con meno risorse a disposizione. Ma noi per primi non abbiamo proposte alternative concrete: forse vanno trovati nuovi metodi di produzione e promozione e i gruppi invece di fare dischi interi dovrebbero uscire con degli "episodi" a intervalli più brevi.
Esiste, in Italia, crisi di talenti o di opportunità?
Siamo convinti che non esista crisi di talenti ma di opportunità. Di spazi e situazioni che permettano una maturazione e che stimolino l’artista a sperimentare e ad osare. I locali “dell’underground” fanno un grosso sforzo a proporre musica inedita ma nemmeno loro hanno una base che gli permetta di evolvere: non sono aiutati certamente dalle istituzioni italiane e, riallacciandosi al discorso del businnes musicale, c’è stata una forte diseducazione verso una musica che non sia prettamente “easy listening”. Ho appena scoperto gli americani “Godspeed you! Black Emperor”, e se si da un’occhiata al loro materiale su youtube si capisce che un gruppo simile in Italia non ha molte possibilità di evolvere. Per fortuna ci sono persone che con grande passione tengono viva la cultura della musica indipendente e lo testimonia il crescente aumento delle band che suonano musica propria. Chiudo il discorso con una mia idea: non capisco del tutto la scelta dei locali spostare gli orari dei concerti sempre più sul tardi, pure durante la settimana; il martedì sera alla 22/23 chi va volentieri a vedere un concerto se il giorno dopo alle 6:30 del mattino va al lavoro? Se si anticipassero gli orari scommetto che molta più gente andrebbe a sentire un concerto, è faticoso fare gli orari notturni degli spagnoli e quelli diurni di un inglese (o milanese).
“Where is the light?”, vostro singolo del 2009, fa parte di una compilation internazionale di beneficienza di matrice americana. Quale strada vi ha portato musicalmente oltreoceano?
Il caso credo. La casa di produzione Quickstar Production che ci ha contattati ha un ufficio di giornalisti e aspiranti tali che svolgono un lavoro di ricerca su internet, e tra l’infinito numero di band nel globo sono finiti sul nostro profilo myspace. “Where is the light?” li ha colpiti sin da subito e ci hanno proposto di collaborare a questa compilation internazionale di beneficenza, un lavoro molto interessante e che ospita band provenienti da tutti i continenti! Per noi personalmente è stato un grande stimolo a proseguire in un periodo in cui la band doveva ripartire con la nuova formazione e quindi re-inventarsi da capo.
C’e’ spazio nella vostra musica e nella vostra filosofia di lavoro per la sperimentazione e per le innovazioni tecnologiche?
Non essendoci regole particolari che guidano la scelta del nostro stile posso dire che la sperimentazione è all’ordine del giorno. Durante le prove lontane dai concerti le nostre improvvisazioni sono all’insegna della ricerca sonora ed espressiva. Anche le innovazioni tecnologiche sono le benvenute, ma al momento il nostro approccio si ferma alla fase compositiva: canzoni come “Margherita” e “Pig War” sono nate come dei veri e propri brani di musica elettronica. La formazione attuale esiste da soli due anni nei quali ci siamo concentrati maggiormente alla resa live e alla produzione del disco di debutto,in cui abbiamo voluto includere tutto ciò che fino ad ora era stato fatto. Sicuramente nei nuovi lavori la sperimentazione verrà ampliata se non in alcuni casi esasperata (sempre che i risultati siano concreti e credibili), anche se canzoni dal tiro più pop non mancheranno mai.
Cose vorreste accadesse al PDO nei prossimi 5 anni?
Sono tante, ma soprattutto vorremo suonare dal vivo il più possibile. Trovare quindi un’agenzia di booking disposta a collaborare con noi: fino ad ora i “no” sono stati tanti ma speriamo che il disco convinca qualcuno. Se questo investimento porterà i risultati e gli stimoli sperati continueremo su questa strada, altrimenti ci chiuderemo in sala prove a sperimentare e pubblicheremo piccole uscite ad intervalli brevi. Un nostro desiderio è comunque quello di pubblicare un disco di improvvisazioni esasperate e perché no realizzare una colonna sonora. Naturalmente il massimo sarebbe rendere la nostra musica qualcosa di più di un hobby!
Il Paradiso degli Orchi sono:
Michele Sambrici (voce, chitarra), Marco de Giacomi (batteria), Iran Fertonani (percussioni) e Andrea Corti (basso).
Scheda tecnica dell’album:
Artista: Il Paradiso degli Orchi
Titolo dell'album: "Il Paradiso degli Orchi"
Formato: CD
Distribuzione: piattaforme digitali
Etichetta: Orquestra Records
Uscita: 28 gennaio
Genere: rock/psichedelico
Artista: Il Paradiso degli Orchi
Titolo dell'album: "Il Paradiso degli Orchi"
Formato: CD
Distribuzione: piattaforme digitali
Etichetta: Orquestra Records
Uscita: 28 gennaio
Genere: rock/psichedelico
TRACKLIST:
01 INTRO
02 WHERE IS THE LIGHT?
03 MY SIN
04 SAD SONG #51
05 MY DAMNED MIND
06 MARGHERITA
07 SOFA
08 PIG WAR
09 REMEMBER
10 UGLY MAN
11 PANIC STATION
12 SAD SONG #4