venerdì 4 febbraio 2011

Red Onions-"Diario d'un uomo qualunque"


I Red Onions propongono un concept album dal titolo “ Diario d’un uomo qualunque”.
Si tratta di 11 tracce legate tra loro da un immaginario percorso dell’uomo comune, viaggio scandito da episodi che si “reggono “ da soli, ma che uniti tra loro giustificano ampiamente la denominazione di album “a tema”.
Le “storie” che vengono raccontate sono quelle che ci circondano nel quotidiano, che qualsiasi osservatore attento (e sensibile) rileva passo dopo passo, constatando che, mediamente, in sede di bilancio, la vita di un uomo è affare davvero complicato.
Essere musicisti, pittori, scultori, poeti, scrittori, da delle opportunità che altri non hanno o meglio, non credono di avere (tutti possono trovare un modo per venire allo scoperto!), e un artista troverà sempre il modo per rendere pubblico il proprio pensiero, per denunciare, per raccontare, per smuovere qualche anima pigra, mettendo a posto la propria coscienza.
L’album dei Red Onions è un po’ anomalo, positivamente anomalo, perché “il viaggio”, le conseguenti osservazioni e il modo utilizzato per il racconto, sono da “antico “ cantautore anni ’70, con l’abbinamento inusuale di liriche attente al sociale e musica di estremo impegno compositivo e realizzativo.
Nel corso dell’intervista a seguire questo un aspetto viene sviscerato, sino ad arrivare a coniare una sorta di “prog d’autore”, utilizzando termini poco conciliabili nel passato.
E anche il loro “fare prog” ha qualcosa di nuovo, perché tra le tante componenti che portano alla definizione di musica progressiva, uno spazio importante è storicamente occupato dalle “ Keyboards” e da coloro che le governano (Hackett, estremizzando, diceva che nessuna musica prog sarebbe esistita senza il mellotron).
Anche in questo i Red Onions sono innovativi, rinunciando alle tastiere e mantenendosi allineati su strumenti spesso caratteristici di gruppi più “semplicemente rock”. Il risultato è originale, piacevole e autorizza a sperare nella continuità. Quello che poi è stato indicato come un punto debole, la voce,(ma dall’intervista si evince il cambiamento già in atto), non mi pare tale e trovo invece sia funzionale alla proposta, e parte integrante del messaggio che il gruppo invia agli ascoltatori.
Una bella sorpresa per una band che farà parlare, bene, di sé.
Biografia:



L’INTERVISTA
Ath: Partiamo da una domanda banale, il nome del gruppo. Spesso è una scelta casuale, ma a volte esiste un link con qualcosa che fa parte di un progetto iniziale. Da dove nasce “Red Onions”?
Leone: Red Onions nasce dall’imminente esigenza di battezzare il duo di blues acustico, fondato con Davide nell’ottobre 2003, in vista del primo spettacolo che ci apprestavamo a tenere. È l’alba di un mattino di maggio 2004, a pochi giorni dalla data stabilita per l’esibizione, e stremati dalla miriade di proposte campate in aria e dalla notte insonne, abbiamo deciso di fermarci a riflettere e fare colazione. L’inusuale (vista l’ora!) frittata di cipolle rosse, ci ha dato lo spunto che cercavamo da giorni: Red Onions, come il frutto della terra da cui entrambi proveniamo; Red Onions, più dolce, ma della stessa famiglia del blues dei Booker T. and the M.G.’s che a quel tempo proponevamo. In seguito gli interessi sono cambiati ma il nome, prepotentemente, è rimasto.
Ath: La scelta del racconto concettuale e le note biografiche collocano la band in zona progressive, cioè un tipo di musica, sia essa antica o new, che presenta linee guida ben precise. Perché la scelta delle sole chitarre, oltre la sezione ritmica?
Leone: In principio, il nostro progetto prevedeva due sole chitarre acustiche. Successivamente l’esigenza di evolverci, artisticamente parlando, ha imposto la necessità di una sezione ritmica che ben si sposasse con le nostre aspirazioni. Lo stile non convenzionale di Ali e Marcello è venuto ad amalgamarsi perfettamente con i nostri fraseggi di chitarra e a completare naturalmente l’idea di sound che cercavamo. Non abbiamo subito nessun trauma rinunciando a un terzo strumento solistico e d’accompagnamento insieme, poiché il risultato non risentiva affatto della mancanza delle tastiere, anzi ci svelava la possibilità di fare prog come difficilmente se ne era sentito prima. Semplicemente non ci ha mai sfiorato l’idea di servirci di tasti bianchi e neri.
Ath: Raccontare le storie quotidiane di “un uomo qualunque” richiede un discreto impegno sociale. I messaggi contenuti in un testo da musicare sono sfoghi, denunce, amplificazioni di concetti che spesso fanno fatica ad uscire da quattro mura. Che cosa può fare concretamente un musicista, per cambiare ciò che oggettivamente non funziona nel quotidiano?
Leone: Sensibilizzare gli ascoltatori su argomenti che normalmente non godrebbero di interesse o attenzione, attraverso l’amplificazione di questi per mezzo di un racconto verosimile e incisivo che induca a riflettere su temi non sempre di facile discernimento: questo è il nostro impegno “messianico”. Come il poeta, che diviene vate per definire il ruolo della persona all’interno della società, il musicista è tenuto a informare il fruitore sugli accadimenti salienti, e spesso insabbiati, della nostra storia, richiamandoli alla memoria e sollevando degli interrogativi. La sfera d’azione è quella dell’ideale che deve sconquassare il sonno delle coscienze alludendo ad una possibile risoluzione, seppur utopica, delle contraddizioni innate all’interno del sistema sociale. Quand’anche astratto e intellettuale, questo proposito ha il merito di scuotere le menti, mettere in moto processi di pensiero. L’ossimoro Concreto/Ideale a questo punto decade, in quanto è il Principio che genera l’Azione.
Ath: Trovo spesso nei giovani gruppi, presentati da subito come inseriti in una categoria ben precisa, delle buone novità. La prima cosa che emerge nella vostra biografia è la commistione di impegno cantautorale con musica rock(è l’unica “famiglia” che mi piace ricordare), situazioni ben distinte, ad esempio, negli anni 70. Da dove nasce questa situazione … originale?
Leone: Il bisogno di definirci, più volte dettato dalla necessità di rispondere alla domanda “che musica suonate?”, più che relativo ad una nostra volontà, ci ha, da sempre, creato imbarazzanti difficoltà. Dopo aver ascoltato il nostro lavoro un mio caro amico ha esordito: “ Non avevo mai ascoltato prog d’autore! “. Questa definizione sembra calzare a pennello, in quanto coglie appieno le due distinte nature che si fondono insieme dando vita ai nostri pezzi. È la sincera predisposizione ad esprimere un concetto profondo, a comunicare un messaggio carico di significato, che, imponendo un’attenzione particolare nei confronti del testo, ci accomuna alla musica d’autore italiana; d’altro canto, perché la musica di una canzone non rappresenti semplicemente un espediente atto a far valere un’idea complessa, e non si pieghi a mero strumento di divulgazione del pensiero, snaturandosi, bisogna che le parti strumentali godano della stessa premura riservata al testo. È questo principio, che in maniera del tutto inconscia, ci ha guidato verso il genere più consono alla nostra indole. Raccontiamo quel che per noi più conta; suoniamo quel che solo ci diverte.
Ath: Che tipo di rapporto riuscite ad instaurare col vostro pubblico, nel corso delle esibizioni dal vivo?
Davide: Lo abbiamo sempre detto e approfittiamo di ogni nuova occasione per ribadirlo, quello dell’esibizione live è un momento fantastico, sicuramente perché tra il palco e la gente non c’è mai, e mai ci sarà un divisorio, una parete. Il contatto costante, reciproco, a volte meno metaforico di quanto si possa credere, fa nascere sicuramente un qualcosa di speciale che si pone accanto, senza interferire, alla curata performance tecnica.
Ath: Esiste qualche gruppo o artista del passato che possa essere fonte di ispirazione comune a tutta la band?
Leone: Non credo esista un punto di partenza comune a tutti e quattro. Proveniamo da esperienze ed ascolti diversi, i quali, seppur all’interno dello stesso ambito, non hanno precise coincidenze nei singoli artisti. Un esempio su tutti: se io adoro Lennon, Davide venera McCartney. Ancora una volta è questa originale poliedricità di gusti, che si riversa come onde anomale nella nostra musica, a tracciare le linee guida per la composizione dei brani. A ben guardare siamo più attuali e postmoderni di quanto non si voglia credere. Una fonte di ispirazione comune? Una dolce insalata di cipolle rosse!
Ath: Per molti la musica rock non può escludere la lingua inglese. Ci sarà pure un motivo se da ragazzi, senza conoscenze specifiche, ci siamo innamorati di brani di cui non capivamo una parola!? E’ ovvia la vostra attenzione ai testi, ma, vi siete mai posti il problema di come cantare?
Leone: Quesito interessante! Credo tu sappia meglio di me che la gratificazione che si prova ascoltando una canzone va al di là del significato della parola. Ed è ovvia la risposta alla prima domanda che poni retoricamente: è la musicalità delle parole, seppur incomprensibili, e la melodia cantata che rapiscono l’attenzione di chi ascolta! Abbiamo ricevuto delle critiche non proprio positive relative alle voci, ma, mettendo da parte le nostre competenze tecniche in materia di canto – alle quali abbiamo sopperito, ancor prima dell’ufficiale pubblicazione del disco, con l’annessione di un nuovo cantante (Nicola Labombarda) – credo che l’effetto straniante delle parti vocali rispecchi perfettamente il taglio che volevamo imprimere alla linea melodica del cantato. Forse, per quanto riguarda le voci in senso stretto, abbiamo peccato di sufficienza, in mancanza di uno “specialista del settore”. D’altro canto, la scommessa di scrivere in italiano – elemento che, come si diceva, assieme ad altri, ci avvicina al cantautorato – ci ha permesso di sfruttare appieno la varietà intrinseca della nostra lingua concentrandoci sulla forza evocativa della parola, scrivendo, così, dei testi al confine con la poesia – cosa impensabile utilizzando un idioma diverso dalla madre lingua.
Davide: In effetti sì, ci siamo posti il problema. Ma giusto il tempo di scrivere i nostri primi testi. Ancora riflettevamo su che lingua utilizzare che già venivano giù frasi intrise di giochi retorici e immagini narrative che solo la nostra lingua natia poteva generare. Mentre il nostro stereo ci regalava immensi e germanici minuti di storia della musica, noi, tra un inchino e l’altro, sviluppavamo pensieri latini. È vero, l’inglese è emblema del rock, e ce ne siamo serviti anche noi, ma se la musica è espressione, allora che si utilizzi il mezzo con cui si ha più dimestichezza. Colgo anzi l’occasione per farmi avanti in una dichiarazione di amore “estetico”: non me ne vorrà la lingua che fu di Dante, Montale e Calvino…e di Graziani, del resto!
Ath: L’impegno musicale preclude spesso testi e suoni che riportano ai sentimenti più ovvi, quelli con cui si vendono i dischi. E’ possibile secondo voi, “costruire” una bella, onesta e poco ruffiana canzone d’amore, non realizzata col solo scopo di “vendere”?
Davide: Se i sentimenti più ovvi sono quelli che fanno vendere i dischi, come anche i libri, un motivo c’è. Forse è proprio perché non possono essere esauriti da infinite frasi e infiniti pensieri. Perché sono dei Giganti. Il problema è che tante volte sono trattati alla stregua di mosche, perché è più facile averci a che fare. E se è vero che un linguaggio ha le capacità di descrivere qualunque tema, è vero anche che il nodo della questione è esso stesso, il linguaggio quindi, e non il tema. Comunque, sì, è possibile, è stato fatto e si farà. Infondo ci abbiamo provato anche noi; se ci siamo riusciti dovete constatarlo voi.
Ath: Cosa pensate dell’evoluzione del business attorno alla musica? Come si può fare per sopravvivere e crescere?
Davide: La prima è una domanda sulla quali si potrebbe scrivere un trattato, la seconda rischia una pagina bianca..per evitare l’una e l’altra cosa, ti dico solo che, forse, se si tornasse, musici, esegeti, critici, fruitori, produttori, a pensare un po’ meno al business e un po’ più alla musica, si crescerebbe, e anche sani!
Ath: Cosa pensate possa accadere, musicalmente parlando, a Red Onions nei prossimi cinque anni?
Leone: Se già le vicende dei tanti gruppi progressive italiani e stranieri, degli anni d’oro del genere, ci insegnano che non basta la volontà di emergere o fare “buona musica” per ritagliarsi uno spazio in ambito musicale, e che è spesso fondamentale lo spontaneo avvicendarsi di fortuite occasioni; e, per di più, constatando, con profondo rammarico, che il panorama musicale abbia bruscamente virato verso la promozione di un prodotto commerciale che raramente detiene un effettivo valore artistico, non abbiamo illusioni relative alla larga diffusione della nostra musica. Ma, certamente, continueremo a lavorare come negli anni precedenti perseguendo la vena creativa delineata fin ora, in attesa di ricevere maggiore attenzione – e perché no, essere finalmente prodotti da un’etichetta – senza tradire la purezza di intenti che ci contraddistingue; e al grido di “O la Gloria o la Morte!”, per usare un’espressione cara alla cavalleria, planeremo in un galoppo alato inseguendo perpetuamente il Giusto.
Track List
1. Prologo

2. Diario d’un uomo qualunque
3. Luminosa diagnosi
4. Night time blues
5. Epitaffio per la prima morte di un sogno
6. Paesaggio notturno
7. Ricordo di una bimba
8. Serpenti
9. Occhio del giorno
10. Disarmonico allegro
11. Epilogo?

I Red Onions sono:


Davide Grillo: chitarra,voce
Leone Pompilio: chitarra,voce
Ali Adamu: basso,voce
Marcello Mangione: batteria