Ha compiuto ieri 66 anni Aldo Tagliapietra.
Per ricordare il suo
percorso ripropongo un’intervista realizzata lo scorso anno.
Aldo Tagliapietra è il conosciutissimo bassista e cantante delle ORME, ovvero il primo
gruppo italiano ad aver pubblicato un album di musica progressiva, “Collage”.
Miriadi di ricordi mi
riportano a quel disco, a quella copertina, a quei giorni spensierati.
Pochi mesi fa ho
rivisto “Le Orme” dal vivo, a Savona, e ho constatato che il fascino di quella
musica rimane immutato e i segni del tempo che passa scompaiono al cospetto di
certi suoni che ormai ci appartengono, melodie che riconosciamo come nostre
dopo la prima nota.
Casualmente ho
“trovato” Aldo Tagliapietra online e la sua immediata
disponibilità mi ha portato a proporgli alcuni quesiti, domande a cui ha
risposto immediatamente.
Grazie Aldo.
Ricordo come fosse adesso
quel pomeriggio in cui un mio amico, quello di solito più informato, mi portò a
casa sua ad ascoltare “Collage”, appena uscito. Sino a quel momento “ Le Orme”
erano per me quelle di “ Irene”. Cosa fece scattare la molla, come avvenne il
passaggio dalla canzone da tre minuti a “Cemento
armato”?
E’ stato il momento
della svolta per molti di noi. Probabilmente era nell’aria. Dalle canzoni siamo
passati al primo Prog. Alcuni cambiarono nome come i Quelli (PFM), le
Esperienze (BMS ) ecc… Noi abbiamo preferito mantenere lo stesso nome.
Fu una scelta precisa quella
di ricalcare lo stile di “Nice / ELP”, almeno nell’utilizzo degli strumenti e
nel numero di musicisti, o la casualità, l’amicizia, le circostanze, vi
guidarono nel progetto?
Fu una casualità.
Eravamo rimasti in tre per la defezione di Smeraldi. In un primo momento
abbiamo cercato un bassista, ma poi decidemmo che il basso lo avrei suonato io
al posto della chitarra come avevo fatto fino a quel momento. Conoscevamo i
Nice e così decidemmo di inserire alcuni brani nella nostra scaletta.
Ricordo di aver visto Le
Orme dal vivo a Savona, negli anni 70, e lo scorso anno, a distanza di parecchi
lustri, ero nuovamente presente. Stessa cosa mi è capitata con altri gruppi,
rivisti a distanza di quasi 40 anni. A giudicare dai risultati, queste azioni
sanno di tutto tranne che di operazioni nostalgia e il risultato è quasi sempre
superiore alle attese. Invecchia sempre bene un musicista di professione?
Noi siamo sempre
stati artisticamente inquieti e questa inquietudine ci porta a fare sempre
meglio nonostante gli anni.
Senza voler entrare nel privato,
perché a un certo punto della vita, musicisti che hanno passato assieme mille
vicissitudini, non riescono più a convivere?
Per i gruppi è una
cosa “naturale”. Ci si forma da giovani quando si dice spesso “tutti per uno,
uno per tutti”. Poi si diventa più maturi, i caratteri si definiscono meglio ed
esplodono gli ego. A quel punto, se si vuole essere onesti con se stessi e con
il proprio pubblico, è meglio chiudere. In questo modo non si prende in giro
nessuno.
Massimo Gasparini, di Black
Widow, mi ha parlato dell’uscita di un vostro disco dal vivo, sul mercato mi
pare in Giappone negli anni 70, e inedito per l’Italia. Come mai l’idea di
proporlo è nata solo ora?
In verità quei
nastri sono già stati pubblicati nel passato, prima in vinile e poi in CD.
Questa è la terza volta.
Nei miei momenti di
“riflessione musicale”, sono arrivato alla conclusione che la musica
progressiva, quella che io più amo, non poteva durare a lungo perché troppo
difficile da assimilare se comparata all’easy listening di cui tutti pare
abbiano bisogno. Cosa è accaduto in quell’inizio di anni 70, quando ci
nutrivamo di Genesis, Yes, Elp, Orme, PFM e BMS?
E’ accaduto
l’impossibile. Per la prima volta nella storia dell’uomo un genere musicale
“difficile” diventa il più amato e va ai primi posti delle classifiche. La
spiegazione può essere cercata sul fatto che c’è stata una vera e propria
rivoluzione culturale che voleva spazzare via il passato a favore di un nuovo
mondo.
Hai un ricordo
significativo, non necessariamente musicale, legato alle tue performance
estere?
Mi è rimasto nella
mente il fantastico pubblico messicano: ho visto gente piangere durante il
concerto. C’è stato un momento che ho pensato “ma stiamo suonando così male?”
Mi ha colpito il tuo
utilizzo del Sitar. Come ti sei avvicinato allo strumento? E’ legato a un tuo
percorso spirituale?
Ho sempre amato il sitar. Lo avevo visto in alcune
foto di Brian Jones e poi di George Harrison. Nel 72-73 ne comprai un paio ma
per mancanza di tempo diventarono parte del mio arredamento. Nel 90 conobbi
Budhaditya Mukherjee il quale mi fece entrare nel magico e affascinante mondo
della musica indiana. Il percorso spirituale è arrivato conseguentemente.
Esisteva amicizia vera tra voi pionieri del prog italico, quando vi fronteggiavate
ai vari festival e concerti?
Direi di si anche se non c’era molta collaborazione ad
esempio nelle registrazioni.
Mi dici un esempio di bassista, italico o straniero, che ti ha
influenzato o che ha cambiato il modo di interpretare il ruolo?
Jack Bruce dei Cream, Chris Squire degli Yes, Stefano
Cerri e molti altri.
Cosa scriveresti sul tema: ”Tagliapietra
e la sua musica futura”?
Spero di continuare ad avere quell’entusiasmo e quella
creatività che mi ha permesso di arrivare a scrivere un disco come "Nella
Pietra e nel Vento", per molti e molti anni ancora.
Versione.... a quattro....
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