Oggi inizio una nuova trama che diluirò
nel tempo.
Voglio tracciare la mia “ storia della Musica Progressive” utilizzando pensieri, fotografie e filmati.
Voglio tracciare la mia “ storia della Musica Progressive” utilizzando pensieri, fotografie e filmati.
In rete si trova ogni tipo di notizia e
cronologia, e tutti gli argomenti sono trattati , quasi sempre, da studiosi del
settore.
Io voglio partire dimenticando ciò che trovo online,
anche se non posso resettare la memoria e le conoscenze acquisite.
Pertanto i concetti che salteranno fuori coincideranno
spesso con cose reali e forse si troverà congruenza tra "scienza" e
opinione personale.
Per ricordare gli artisti, non traccerò un filo
cronologico universalmente riconosciuto, ma utilizzerò le mie esperienze di
adolescente, i miei concerti, i miei dischi.
Purtroppo ho un grosso gap di almeno 20 anni, periodo
in cui ho rallentato la mia frequentazione musicale, e posso considerare il
1980 come termine del mio ciclo super attivo.
Ma nel 1980 il prog sembrava ormai superato per
cui ritengo di aver visto il meglio … quando ero ancora un “bambino”.
Ma cosa vuol dire musica progressiva?
A quei tempi , inizio anni 70, non ricordo di averla
mai chiamata così.
Le mie suddivisioni dell’epoca arrivavano a stabilire
poche categorie.
La Classica, il Jazz, il Folk/Country, l’Hard
rock.
E poi c’era tutto il resto che io chiamavo Rock e che
invece e’ stato definito “Progressive”.
Scorrendo le varie interviste agli esperti, si scopre
come esistano decaloghi che stabiliscono cosa e’ prog e cosa non lo e’, e si
trovano , ad esempio, affermazioni di “luminari dello strumento “
che affermano che il genere non sarebbe esistito senza l’utilizzo del Mellotron.
Ma come ho vissuto tutto questo? Come mi sono arrivato
ad ascoltare Genesis e Yes? Come definirei quella musica in relazione a quella
precedente e a quella successiva?
Non ricordo come mi ci sono trovato dentro, ma e’ la
musica in cui più mi riconosco.
A quei tempi era per me anche un simbolo ,
e nella rigidità di adolescente intransigente,rifiutavo tutto ciò che non
sentivo mio.
Era anche l’attribuzione di “musica d’impegno”,
rispetto a 4 accordi e a qualche svisata di chitarra (così appariva ai miei
occhi l’hard rock).
Ho indelebile nella mente il seguente aneddoto.
Avrò avuto giusto 16 anni e a quei tempi c’era
l’abitudine di entrare nel negozio di dischi per ascoltare il nuovo arrivo, in
cabina, al massimo 3 persone.
Non ricordo come fu , ma mentre girava sul piatto un
disco dei Genesis , un caro amico uscì con l’esaltazione dei Deep Purple
(gruppo rispettabilissimo che vidi poi dal vivo).
La nostra discussione si accese sino ad arrivare alla
mani , e terminò quando il signor Rossocci, mitico venditore di dischi a
Savona, ci prese letteralmente per il bavero e ci sbattè fuori.
Ma cerchiamo di stabilire il passaggio, il… progresso…
il cambiare da un tipo di musica all’altra, secondo il mio sentimento del
tempo.
Agli esordi (e ancor oggi)ero molto attratto dalla
musica straniera e verso gli 8 anni ho conosciuto i Beatles.
Il primo passaggio dunque e’ stato quello dalla
canzone orecchiabile di 3 minuti, di Lennon -McCartney, ad una composizione molto più
lunga, magari piu’ difficile da assimilare, con vari cambi di “aria” all’interno dello stesso brano,
con frequenti variazioni di tempi.
Di fatto, era richiesta un’abilita’
tecnica superiore, per brani molto
complessi, superando la facilità di esecuzione di ciò che c'era stato
sino ad allora, e per gli strimpellatori da stanza come io ero divento'
impossibile decodificare e riproporre, ad esempio, "Thick as a Brick"
, mentre chiunque poteva esibirsi in "Lady Jane".E poi
difficilmente un gruppo di ragazzi e ragazze, in riva al mare , avrebbero
pensato a cantare in coro ”The Musical Box”!!!
I ritmi utilizzati fuggivano dal 4/4 e ascoltando un disco dei Gentle
Giant si capiva intuitivamente come “qualcosa non funzionasse”.
Incapaci di parlare di tempi dispari, sentivamo come un ritmo che faceva parte del
nostro DNA, cadenzato e regolare, all’improvviso cambiasse senza poterlo
seguire col battito del piede.
Gli strumenti poi non erano piu’ solo chitarra ,
basso, batteria e piano!
Saltò fuori un Hammond con Leslie, un Mellotron,
un Moog, un Ribbon,
e anche gli strumenti usati nei concerti dai
maestri di musica classica, diventarono al
servizio del Prog . Parlo di un Flauto
Traverso usato per parlare e soffiare, uno Xilofono ed
un Violino elettrificato, tanto per citarne alcuni.
La batteria smise
di essere formata dai 4 “tamburi “tradizionali, e le sue percussioni
iniziarono a crescere in misura esponenziale,
sino a riempire esageratamente la scena.
Apparvero maschere
pittoresche e testi impegnati, intersecati
da cori e coretti inusuali.
Era un rito comprare LP(dopo aver usato
per una vita il 45 nel mangiadischi), aprirlo con devozione, leggere i credit,
magari i testi, osservare le copertine che rappresentavano delle opere d’arte
vere e proprie.
Guardare una immagine di un disco degli Yes
significava entrare nel mondo di Roger Dean ,
sognando paesaggi e situazioni immaginifiche.
Il Long Playing che acquistavamo era un
capolavoro che racchiudeva arte, impegno , talento, capacità.
Tutto questo raggiunse i massimi livelli con
l’invenzione del “Concept Album”, vera novità
rispetto agli anni precedenti.
Lo scopo era quello di avere un unico filo conduttore
che legasse i differenti brani.
A volte i pezzi erano solo 2 , facciata A e B, e da li
usciva la vera maestria dei suonatori.
Ho avvertito una grande differenza di abilita’ tra i
musicisti del prog e quelli precedenti.
Non era vero in assoluto, e i musicisti prog non
erano magari migliori degli altri, ma l’eseguire pezzi
molto lunghi e complicati, lasciando poco
spazio all’improvvisazione, mi dava l’idea di enormi differenze di
talento.
Mi sono rimaste impresse alcune affermazioni che a
quei tempi lessi su Ciao 2001.
Una riguardava un ‘intervista ad Hackett dei Genesis,
che dichiarava di aver impiegato 6 mesi per mettere a punto
l’assolo di chitarra contenuto in Firth or Fifth, ed era questo
segno di assoluta professionalità, e non di lentezza.
Ricordo poi un altro stralcio in cui Steve
Howe di Yes raccontava di come passasse 9 ore
al giorno sul suo strumento.
Io suonavo la chitarra e queste cose mi sconvolsero.
I concerti visti completarono la scena e sono momenti
indelebili che ricordo in maniera netta nonostante siano molto lontani.
Ogni volta riuscivo a confermare le idee che mi ero
fatto , attraverso l’ascolto e le letture.
Vedere dal vivo Emerson
Lake and Palmer era entrare in contatto col virtuosismo esasperato, sposato al gusto e alla
novità.
Vedere i Gentle Giant era
partecipare ad un evento dove su un palco si esibivano dei maestri , innovativi e geniali.
Vedere i Van Der Graaf (mio
primo concerto) significava far propria una voce
che si trasformava in strumento,
penetrando e dilatando le atmosfere rarefatte di Jackson ed Hammill.
Vedere i King Crimson voleva
dire prendere visione della genesi prog per
poi inchinarsi davanti ad un immobile e gelido Fripp.
Vedere i Genesis significava
toccare la sintesi di quella musica, quella
che sto cercando di spiegare, dal mio punto di vista.
Tutto questo rappresenta la mia definizione di… MUSICA PROGRESSIVA.
Spero che il mio amico Riccardo Storti,
scienziato della materia, non mi bacchettera’ per le distorsioni, ma e’ solo il
punto di vista di chi giudica lasciando da parte, per qualche attimo, la
razionalita’, propendendo per il feeling personale di quel tempo.
Come anticipato, proporrò materiale a ruota
libera, senza ordine ufficiale precostituito .
Mi limiterò a qualche nota biografica,
condita con miei ricordi e qualche filmato.
Inizierò da chi e’ considerato precursore dei tempi.
Da qualche parte e’ scritto che si può risalire sino a
“Sgt Peppers “ dei Beatles, se lo si vede come album
monoconcettuale.
Derek Taylor, nel libro “Estate di Amore e di Rivolta
(con i Beatles nella Summer Love)” riporta a proposito del disco, la
seguente voce dei protagonisti:
”No, non era un concept
album. Erano solo canzoni. La EMI voleva un singolo e quelle canzoni erano
pronte. Non e’ stato mai detto facciamo l’album “Pepper”.
Altri precursori sono considerati Moody
Blues ,i Procol Harum ed i Colosseum.
La mia scelta ricade invece sui Nice, forse perche’ affettivamente legato a Keith Emerson.
Vediamo qualche nota biografica “rubata”
(questa si) on line:
La loro musica era una miscela di rock, folk, beat e
classica, che ai tempi ha fatto storcere il naso ai puristi. Il gruppo
si forma nel 1967 per accompagnare la cantante americana P.P. Arnold,
in tournée in Inghilterra. I componenti sono Keith Emerson ( poi con Lake e
Palmer ) tastierista, David O’List chitarrista, Lee Jackson bassista e Brian
Davison batterista. Dopo sei mesi di attività, la Arnold se ne torna in patria
e i quattro musicisti decidono di proseguire in proprio. La musica è quella di
cui si è detto, che incuriosisce e stupisce, ma sono soprattutto le
funamboliche esibizioni dal vivo di Emerson che fanno guadagnare notorietà al gruppo.
Il primo album esce nel 1968 e si intitola ‘’The
Thoughts of Emerlist Davjack’’, titolo strano ma che non è altro che
l’abbreviazione dei loro cognomi. Sul disco versioni rock di brani di Bach e
Sibelius entusiasmano i giovani. Subito dopo l’incisione, O’List abbandona e i
rimasti decidono di proseguire come trio ( anticipando di fatto ciò che saranno
Emerson Lake and Palmer negli anni ’70 ). Sempre nello stesso anno esce il
secondo album,"Ars Longa Vita Brevis", considerato il loro
capolavoro, che contiene un rifacimento di un brano di Sibelius ed una lunga
suite di loro composizione. La mancanza della chitarra sposta tutta
l’attenzione sulle tastiere di Emerson il quale si guadagna fama di ottimo
tastierista. Il terzo album intitolato semplicemente ‘’Nice’’, è metà
dal vivo e metà in studio e chiude il loro periodo più creativo.Resisi conto
del calo di creatività e soprattutto non essendo riusciti ad agguantare il
grosso successo, i Nice si sciolgono. Emerson si unirà a Lake
e Palmer.
Nel 1971 postumo, esce ‘’Elegy’’
che contiene una versione di ‘’America’’ di Leonard Bernstein, tratta da
‘West side story’. Chiude la discografia, nel 1972, una raccolta con
un inedito, intitolata ‘’Autumn ‘67-Spring ’68’’.
· Keith Emerson… tastiere
· Lee Jackson… basso
· Brian Davison… batteria
· David O’List… chitarra( solo nel primo
album )
Il pezzo che andiamo ad ascoltare si chiama "Hang
on to a dream"
1 commento:
Bell'inizio Athos! Aspetto le prossime puntate.
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