MOONBOUND-“Back to Square Four”
Esattamente
dodici anni fa, a Genova, nello splendido scenario di Villa Serra, partecipavo
ad una delle serate del “Goa Boa Festival”, quella dedicata a due band seminali
del prog italiano, BANCO e ORME.
Il BMS
poteva ancora contare su Francesco Di Giacomo (Maltese era assente ma ancora
tra noi) mentre i “veneziani” presentavano alcune diramazioni, logiche
modifiche legate al tempo che passa, con Fabio Trentini al basso (voce affidata
a Spitaleri).
Dover
commentare un album dei MOONBOUND e trovare nella line up tre musicisti che
furono protagonista quel fine luglio 2012 - Fabio Trentini (basso e
voce), Alessandro Papotto (fiati) e Maurizio Masi (batteria) -,
con un quarto uomo titolare fisso della band di Aldo Tagliapietra - Matteo
Ballarin (chitarra e cori) - potrebbe idealmente condurre ad un sunto di un
nobile passato, magari rinforzato dalla gioventù, un prodotto sicuramente di
qualità, vista la valenza dei partecipanti al progetto; ma bastano pochi
secondi di ascolto di uno qualsiasi dei quattro brani del nuovo EP per scoprire
che il rock progressivo italiano risiede nel DNA della band, ma non ne
condiziona il percorso.
Il titolare
di “MOONBOND” è Trentini, che diede vita al suo progetto solista una ventina di
anni fa, ma mi soffermo sul presente, giacché nella corposa intervista a
seguire emergono molti dettagli interessanti ed esaustivi.
Sono quattro i brani che compongono “Back to Square Four” - alla cui produzione partecipa Markus Reuter - (“If I Were”, “That's The Truth”, “Twenty Years” e “What Will Be Left”) di cui esistono magnifici video realizzati con la formula “live in studio”, con tanto di pubblico (cliccare sul singolo titolo per vedere/ascoltare).
Le mie
preferenze musicale - e il mio gusto - mi indirizzano quasi sempre verso un
genere specifico, ma all’interno della famiglia allargata del rock trovo quasi
sempre soddisfazione, e capita talvolta di essere catturato da un brano
nell’arco di pochi secondi, tanto da sentire la necessità di un riascolto
immediato. È quanto mi è successo in questa occasione, e ricordo di aver
pensato che avrei voluto essere presente alla performance live di cui sopra,
perché questa… è la Musica con la M maiuscola, e lasciamo fuori la
catalogazione all’interno di generi riconosciuti dall’ortodossia.
Di inusuale
- ma funzionale al progetto - la tipologia strumentale, perché inserire i fiati
in un power trio significa sottolineare atmosfere e melodie che non sempre sono
prese in considerazione dagli amanti del pop-rock, e forse questo tipo di
contaminazione è quello che ha a che fare col DNA a cui facevo accenno.
I brani
hanno una durata tra i tre e i cinque minuti, quindi potenzialmente utili,
anche, al passaggio radiofonico.
Le liriche, proposte in lingua inglese, prendono spunto dal quotidiano e da sentimenti comuni che si possono estrapolare dopo depurazione di una contenuta cripticità, facendoli propri dopo eventuale traduzione,
Con il primo, “If I were (Let's Make It Real)”, emergono gli assi portanti dell’attuale sound MOONBOUD: una voce caratterizzante, una sezione ritmica “pulita” ma coinvolgente, un profumo di “Police” legato soprattutto ad un tocco ricercato di Ballarin (lo conoscevo più come “gilmouriano”), il tutto cesellato dall’intervento di Papotto, creatore e cesellatore di atmosfere uniche.
Let’s make it real tonight, make it
real today
Life won’t pass me by, no time to
linger
Let it be real tonight, make it real today…
Si prosegue
con “That's The Truth” e le convinzioni si rafforzano: in un
altro paese, in un’altra era… sarebbe una hit!
Sto sottolineando il lavoro di grandi professionisti, ma non sempre la somma di skills fornisce un risultato godibile e spesso il virtuosismo resta fine a sé stesso, ma non è questo il caso: un pezzo che induce un certo spleen, sottolineato dal passaggio finale dei fiati che attribuisce al tutto il concetto di “sad but wonderful”.
We all struggle to see clearly
And we disguise what we refuse
We go all out to sweeten poison
We just don’t want to face what’s
true
But that’s the truth…
Con “Twenty Years” il tempo si dilata e si superano i cinque minuti.
È forse
questo il brano più vicino al prog: tempi dispari, atmosfere cupe, chitarra
dominante e ipnotica, con Papotto che lascia il clarinetto e svisa sul flauto
traverso e Trentini che stupisce - mi stupisce! - per il colore della sua voce.
Quando i Jethro Tull incontrano i Police!
Traccia da… innamoramento fulmineo!
Twenty years together
And twenty years more, chasing a
dream
We’ve shared for a lifetime
We thought it would last forever
Cities, countries and no peace into
your heart
L’epilogo è affidato a “What Will Be Left”, un pezzo che sottolinea la forza e le caratteristiche di questo gruppo, con l’entrata in scena della lap steel guitar che Ballarin utilizza per i due minuti finali.
When hate prevails
When love starts taking other forms
Winds change and we’re not made to
last
So what will be left?
Che altro dire… un gran bel disco, una sorta di simbolo dell’equilibrio in ambito pop rock, a mio giudizio lavoro trasversale, in grado di toccare tutti i palati, almeno quelli di chi fruisce musica in modalità “open mind”.
Per approfondire suggerisco la lettura dell’intervista a seguire…
Il progetto Moonbound nasce molti anni fa e ritorna oggi con un nuovo volto, un diverso assetto dovuto a protagonisti differenti… quasi tutti. Che cosa lega, musicalmente parlando, questa proposta rispetto ai quattro lavori precedenti?
Fabio: In effetti il progetto Moonbound esiste da quasi 20 anni, ho iniziato quando ancora vivevo in Germania. È sempre stato il mio progetto solista, malgrado il prezioso contributo di tanti ospiti internazionali, anche molto illustri. Dopo il terzo album avevo un po’ perso lo slancio, sentivo di aver detto tutto, almeno in quella forma. Quando Alessandro e Maurizio mi hanno proposto di riportare in vita il progetto insieme in forma di band, ho pensato che fosse un’idea interessante, anche perché siamo musicisti con gusti musicali in parte simili e in parte molto diversi, ma sicuramente complementari. L’arrivo di Matteo ha reso la line-up perfetta, ed il nuovo EP “Back To Square Four” credo mostri una notevole freschezza ed energia tipica delle nuove band, pur mantenendo una forte coerenza col passato discografico del progetto.
Per chi conosce il prog italiano il quartetto
Trentini/Ballarin/Papotto/Masi appare una garanzia, un supergruppo da cui è
lecito aspettarsi solo buona musica: come nasce il connubio tra musicisti
provenienti da differenti esperienze e geograficamente lontani?
Maurizio: Con Fabio ci siamo conosciuti praticamente sul palco. Il Banco e Le Orme negli anni 2011/2012 decidono di andare in tour insieme. Serate con doppio concerto e con una parte finale tutti insieme sul palco (circa 11 musicisti): doppia batteria, 2 bassi, tastiere, chitarre, voci, ecc. Lì ci conosciamo e abbiamo anche l’opportunità di frequentarci e soprattutto di suonare insieme. La stima reciproca e la giusta sintonia come musicisti ci hanno portato poi a collaborare. Con Matteo ci siamo invece conosciuti in occasione della preparazione dell’EP ed è stato un acquisto determinante sotto tutti i punti di vista.
Matteo: Durante il periodo Covid ho ricevuto una chiamata da Fabio, per iniziare a lavorare assieme ad un progetto molto ambizioso su Peter Gabriel (cosa che prossimamente prenderà concretamente vita assieme al nostro compagno di tasti Francesco Signorini); dopo un incontro verbale molto positivo, abbiamo iniziato a collaborare assieme in vari progetti musicali, con grande intesa sia musicale che umana, fino ad arrivare al traguardo più importante: Moonbound. A tal punto ho avuto l’enorme piacere di conoscere Maurizio e Alessandro e l’opportunità di suonare al loro fianco in questa fantastica band.
Etichettare la musica non mi pare mai una buona cosa, ma diventa un’esigenza quando occorre afferrare nuovo pubblico, incerto o curioso: come definireste il vostro sound attuale?
Fabio: Credo sia un sound sicuramente coerente con quello della discografia precedente del progetto Moonbound: un pop-rock raffinato ed orecchiabile, dal taglio “vintage” arricchito da elementi moderni, e caratterizzato da marcati “guizzi” prog. Con l’arrivo di Alessandro si è aggiunto il suono degli strumenti a fiato che espande notevolmente la gamma di colori a nostra disposizione.
Alessandro: Le canzoni dei Moonbound fanno sicuramente parte di un genere molto ampio come quello del Pop-Rock ma le diverse sfumature presenti in ogni singolo brano rendono molto difficile etichettare il sound. Gli strumenti utilizzati richiamano gli anni ’70 e il Progressive Rock dei Genesis o dei King Crimson, gli arrangiamenti richiamano gli anni ’80 e quel Pop raffinato dei Police o dei Talking Heads, ma se analizziamo questa musica nei particolari possiamo vedere come in ogni brano si trovino alcune caratteristiche dal sapore moderno, elementi che rappresentano una novità musicale, qualcosa che non si riesce ad etichettare. Si tratta insomma di un progetto che “guarda” con rispetto alla musica del passato ma allo stesso tempo cerca di costruire una strada personale per il suo presente e per il futuro.
Facile abbinare i vostri nomi a due gruppi di riferimento del prog rock italiano - BANCO e ORME -, ma ad un primo ascolto - che intensificherò nei prossimi giorni - non ho trovato atmosfere che riportano a quegli esempi, piuttosto un sound molto originale… mi sbaglio?
Fabio: Penso che sia proprio la fusione delle nostre molteplici influenze ed esperienze a dare forma al suono attuale del gruppo. Le Orme non sono state solo una band di cui ero fan fin da ragazzino, ma anche una delle mie esperienze musicali più importanti. Tuttavia, sono sempre stato molto attratto dalla musica internazionale e credo che nel mio songwriting si senta chiaramente l’influenza di gruppi come i Beatles e i Police, o di Peter Gabriel, ma anche di cose meno “facili” come i King Crimson ed i Japan.
Matteo: Avendo un background sonoro e di ascolti abbastanza diverso dalle sfumature e dallo stile Moonbound, per me è una costante sfida nella ricerca di suoni e soluzioni musicali a livello chitarristico; sicuramente un’opportunità enorme di crescita musicale. Inoltre, lavorare con musicisti con un’esperienza tale è per me una cosa estremamente stimolante.
Alessandro: Il Banco del Mutuo Soccorso e Le Orme rappresentano il nostro background, le nostre radici, una enorme esperienza musicale e di vita. Poi, ovviamente, ognuno di noi porta all’interno di Moonbound una grande quantità di esperienze diverse che vanno dalla Musica Classica al Jazz, dalla Fusion al Pop, dalla Canzone d’Autore alla Musica Popolare. Questo processo crea una commistione di elementi unica, una ricchezza di spunti creativi che rappresenta il motore di una band come la nostra ma anche di un sound che possa risultare personale e originale al tempo stesso.
Come e quando nasce “Back to Square Four”? È sgorgato facilmente o il parto è stato difficoltoso?
Fabio: Inaspettatamente, è stato molto facile, almeno per me. Quando abbiamo deciso di produrre qualcosa di nuovo insieme (nel 2022) ho detto ai miei colleghi che erano ormai sei anni che non componevo più brani per Moonbound e che non sapevo se sarei stato capace di sfornare materiale nuovo di buona qualità quasi “a comando”. Invece, vuoi per la lunga pausa, vuoi per l’entusiasmo della nuova band, nel giro di un paio di mesi i demo dei pezzi dell’EP erano pronti e sono piaciuti subito a tutti. Il resto, cioè la produzione, è stato tutto in discesa, anche perché abbiamo tutti grande esperienza anche come turnisti.
Ho visto i video dei quattro brani dell’EP, e mi ha entusiasmato la
modalità “live in studio”, con un pubblico attento e partecipativo, che mi ha
ricordato vagamente il rito del vinile, ovvero la socializzazione legata alla
fruizione della musica: come è nata l’idea?
Fabio: In realtà questo tipo di formula esiste già da parecchio, un esempio notevole è quello che diedero gli Snarky Puppy coi loro incredibili concerti in studio alcuni anni fa. Abbiamo pensato che un tipo di spettacolo di quel genere, tecnicamente molto curato ed esclusivo, a “numero chiuso”, fosse un’idea migliore e meno “volatile” rispetto a un classico concerto di presentazione in qualche locale. I feedback che stiamo ricevendo e l’oggettiva qualità del materiale audio e video ci stanno dando ragione.
Maurizio: Gli Snarky Puppy sono stati sicuramente il nostro
riferimento. Ci piacevano i loro video su YouTube dove il pubblico, immerso
completamente nel concerto grazie all’ascolto in cuffia, sembrava gradire
particolarmente questa modalità. In realtà eravamo partiti per presentare il
nostro EP in un locale con uno showcase standard ma sinceramente un po’ di
preoccupazione aleggiava tra di noi. Avevamo lavorato tanto, sia durante le
prove che a Bassano del Grappa durante le registrazioni del disco, nella
ricerca di equilibri, suoni, incastri, dinamiche… e c’era un po’ il timore di
non riuscire a comunicare nella maniera migliore tutto questo impegno. Abbiamo
pensato quindi di provare a fare una cosa diversa. Il coinvolgimento dei nostri
amici e grandi professionisti Alex ed Andrea Di Nunzio del NMG Recording Studio
di Palestrina e di Lele Anastasi e Giancarlo Proietti per la realizzazione dei
video ha fatto il resto. Per noi è stata un’esperienza emozionante e
gratificante allo stesso tempo e credo di poter parlare anche per gli altri.
Suonare sapendo di poter comunicare esattamente quello che volevi arrivasse
alle orecchie del pubblico e di avere la completa attenzione di chi ascolta è
una cosa molto bella.
Rivedendovi e riascoltandovi pensavo che un tale assortimento strumentale
è unico e inusuale: frutto di ricerca specifica o fatto casuale?
Fabio: Per quanto mi riguarda credo un po’ entrambe le cose. Da una parte c’è un certo tipo di ricerca ed estetica sonora negli arrangiamenti, spesso costruiti intorno alle mie linee di basso, che è sempre stato un elemento distintivo del progetto. Dall’altra ci sono tutti i nuovi e favolosi colori che i membri del gruppo apportano: il drumming solido, ricco e fantasioso di Maurizio, l’estro ed il virtuosismo di Alessandro con i suoi vari strumenti a fiato ed il sax midi, ed il chitarrismo poliedrico di Matteo, che possiede sia la sensibilità che la visione sonora perfetta per il progetto.
Alessandro: Credo che il coinvolgimento di tutta la band
nell’arrangiamento dei brani sia la soluzione ottimale, quella che permette di
esprimere la creatività di ciascun musicista. Inoltre, ognuno di noi sa suonare
molti strumenti musicali diversi e queste capacità vengono messe al servizio
della musica e del progetto che portiamo avanti. Secondo me con il futuro
coinvolgimento della band anche dal punto di vista compositivo si creeranno i
presupposti per un progetto ancora più stimolante, presupposti che regaleranno
nuova linfa vitale ai Moonbound. A proposito di assortimento strumentale colgo
l’occasione per ringraziare il nostro amico tastierista Francesco Signorini,
che ci supporta durante i concerti e ci permette di avere molte più possibilità
espressive durante la performance.
Che cosa significa avere nel team di produzione Markus Reuter, in termini
di sound finale?
Fabio: Markus è sempre stato un elemento chiave del progetto
Moonbound, sia come co-produttore, che come label e anche musicista in alcuni
pezzi. Non ha un approccio “invasivo”, è il tipo di produttore che sa come
aiutarti a vedere il tuo lavoro da nuove angolazioni. A volte ti fa notare solo
un dettaglio apparentemente piccolo, ma che finisce per migliorare
significativamente il pezzo. Collaborare con lui è sempre stata una manna per
me, e credo che sia il musicista/produttore da cui ho imparato di più in assoluto.
L’EP è uscito nel mese di aprile… avete in programma live o momenti di
pubblicizzazione?
Fabio: Ci piacerebbe molto poter partire “on the road” al più
presto ma al momento siamo ancora alla ricerca di partner per realizzare un
tour di livello adeguato. Attualmente ci stiamo concentrando molto sulla
promozione online. Non è escluso che si organizzi qualche altro evento
“mirato”, come il live in studio a Palestrina, in un futuro prossimo. Di certo,
produrremo materiale nuovo a breve/media scadenza.
Un’ultima cosa: c’è qualcuno di voi che mi sintetizza il pensiero comune legato all’attuale stato della musica?
Fabio: Non è
una domanda facile. Da una parte vedo molta decadenza, una significativa
perdita di know-how e cultura musicale, e una strana “smania di allinearsi” con
ciò che fanno gli altri, soprattutto nel mainstream, ma spesso anche in altri
generi. Quello che personalmente mi manca di più è il songwriting di qualità.
Non c’è più molta gente in giro capace di scrivere brani veramente validi, è
come se si desse più importanza all’impatto sonoro complessivo, rispetto al
valore delle composizioni. Spesso, ascoltando la musica attuale, mi resta solo
la sensazione di un suono d’insieme, piuttosto che di belle canzoni. Tuttavia,
a volte mi capita di imbattermi in artisti semi-sconosciuti che producono cose
fresche ed interessanti, magari autoprodotte ma di altissimo livello (ad
esempio su piattaforme come Bandcamp). Quindi c’è sicuramente una sorta di
“mondo parallelo” dove gli artisti e la musica di spessore esistono ancora. Il
problema ovviamente è la diffusione su larga scala e la commercializzazione,
poiché il mercato mainstream sembra essere completamente scollegato da questa
realtà, e la difficile sostenibilità di tanti di questi prodotti (specialmente
se parliamo di band) è un punto estremamente critico della questione. Se poi
pensiamo al fatto che con l’intelligenza artificiale ormai si sta arrivando a
produrre musica praticamente senza il bisogno di coinvolgere artisti, credo che
nell’insieme le prospettive per il futuro siano a dir poco incerte.