Antonio Pellegrini-BLUES-La musica del diavolo
DIARKOS
Il libro di cui scrivo oggi si intitola “BLUES-La musica del diavolo”, edito da DIARKOS, e l’autore è un amico, Antonio Pellegrini, che ormai da anni si cimenta nel racconto della musica, con alcuni significative varianti, ma restando sempre nell’ambito della proposta di qualità.
Pellegrini oggi si sposta oggi sul blues e, conoscendolo, ho quasi l’impressione di uno scorrimento lento tra vari generi, una sorta di effetto domino, che è poi lo stesso che io ho provato nel corso della lettura (e mi capita sovente), cioè quello di sentire il bisogno di approfondire cose lasciate in superficie, o scoprirne alcune che erano rimaste nell’ombra. E così, step by step...
Scrivere un book sul tema “blues” significa aumentare una massa di per sé già cospicua di materiale a tema, ma l’impostazione progettata dall’autore rende il libro scorrevole, gradevole e carico di elementi che spingono alla ricerca, almeno i più curiosi.
L’argomento è per me di grande
interesse, e ho avuto l’opportunità di vedere con i miei occhi la forza di una
musica antica attraverso ascolti, concerti e presenze… sul posto.
Pensi al blues e idealizzi
immediatamente il colore della pelle. In effetti il bianco non si addice ai
portatori sani di blues, o meglio, l’accettazione non è cosa automatica per il solo fatto che si è in grado, forse, di suonare bene una chitarra, magari con il bottleneck.
Il processo di aggregazione passa
spesso attraverso l’approvazione di un pubblico molto esigente, che una volta
dato l’ok al "bianco" di turno, frutto soprattutto della sua capacità di
inserirsi nel tessuto sociale e culturale locale, non storcerà mai più il naso al suo
cospetto, facendo cadere ogni tipo di diffidenza.
Forse per gli Stones, John Majall, i fratelli Winter, Eric Clapton, Rory Gallagher e molti altri - di cui si parla nel book - la vita sarà stata un po' più semplice, ma sto citando dei giganti che avrebbero aperto con facilità qualsiasi porta.
Il blues non è solo un genere musicale ma è un modo di vivere, è un urlo di dolore e denuncia al contempo, e non potrò mai dimenticare un collega americano di mezza età che, appena licenziato, facendo un lungo viaggio in auto per tornare dalla famiglia, la prima cosa a cui pensò fu quella di scrivere un testo immaginato per il blues e di inviarlo ai suoi “amici”: denuncia e grida di dolore!
Antonio Pellegrini ci racconta tutto
questo, miscelando storia, aneddoti, interviste e live vissuti in prima persona
o attraverso i racconti di terzi.
La suddivisione in capitoli facilita
la comprensione e, descrivendo ad ogni passaggio il contesto in cui ci si trova
a muovere, si passa in modo cronologico “Dall’Africa al Profondo Sud” a “Urban blues”,
“Electric blues”, “British blues”, “Blues rock”, sino ad arrivare agli eroi del
nuovo millennio.
Non mancano i frammenti live - pagine nelle quali Pellegrini chiede, anche, aiuto a memorie terze -, e a conclusione è disponibile una guida all’ascolto.
Credo sia inutile elencare i nomi dei tanti mostri sacri che Antonio propone, e lascio aperta la porta alla curiosità del lettore, ma mi pare significativo regalare pillole di un’intervista che il giornalista Marco Pastonesi realizzò nel 1980 con Muddy Waters…
Come ci si sente a essere considerato
un padre e maestro?
Molto onorato, ma non intimorito, le
stesse attenzioni le avevo avute io con i vecchi musicisti. È il ciclo della
vita e anche della musica, si tramanda quello che si è imparato.
Come sceglie i suoi musicisti, neri e bianchi?
Per la vita vissuta insieme, per le
circostanze, per la bravura: del colore della pelle non mi interessa nulla. Uno
dei miei più grandi amici è Johnny Winter, difficile trovare un bianco più
bianco di lui! Lo conoscevo come musicista rock dal vivo, poi l’ho conosciuto
come uomo ed era “vero” e come bluesman è un culture della slide!
Quando ha pensato di vivere di musica?
Quai subito, lavorare nelle
piantagioni non faceva per me; cominciai a suonare in giro, per la strada,
nelle feste del sabato sera e anche in chiesa.
Se l’aspettava di diventare così amato e celebrato?
C’erano tempi buoni e tempi duri. Il Rock & Roll sembrava oscurarci. Nel 1958 venni in Europa per la prima volta e fu un mezzo disastro. Nel ’60 fui inviato al festival di Newport e ci fu un’altra accoglienza. E quando tornai in Europa c’erano tutti quei ragazzi, come Stones e Yardbirds, che sembravano impazziti per la mia musica, e da allora vado avanti così.
In questa ultima affermazione ci vedo
il punto di svolta, lo sdoganamento del blues, non più confinato in un’area
geografica e in una situazione sociale ben definita.
Antonio Pellegrini ha colto l’essenza di tutto questo, cercando di fornire un’opera, anche, didattica, adatta ad una iniziazione, per chi fosse “appena nato”, musicalmente parlando.
Ho scoperto cose che mi erano
sfuggite, ho approfondito, ho rivissuto le vibrazioni del concerto e mi è
piaciuto un modus che io e l’autore abbiamo in comune, quello di uscire dall’assoluto
autarchismo cercando il contributo di collaboratori, dando sempre l’impressione
di un team al lavoro.
Ovviamente consigliato!
Nella sezione dedicata ai frammenti live c'è un mio racconto del 2008, un concerto savonese di Johnny Winter. Ecco cosa accadde quella sera, un video di scarsissima qualità, ma un ricordo indelebile...