mercoledì 9 ottobre 2019

Valerio Billeri-“Er tempo bbono”

ValerioBilleri
Er tempo bbono
(Folkificio)


Da questo spazio ho parlato in più occasioni di Valerio Billeri, cantautore romano che ha all’attivo un buon numero di album suddivisi su di un lungo percorso che inizia nei primi anni ’90.

Uomo dedito al blues e al folk - amante quindi, anche, degli aspetti “elettrici” e ritmici - ha assunto già con il precedente “Gospel” un approccio minimale, intimista, che lo porta a raccontare il suo credo sottovoce, ma che appare sobrio anche nella fase di registrazione, una sorta di live in presa diretta dove si confronta con la sua voce e la sua chitarra, con l’unico ausilio del fido collaboratore Gian Luca Figus, con cui è nata un’empatia naturale che Billeri dichiara nell’intervista a seguire.

Il progetto che viene proposto in questa occasione è ambizioso, serio, didattico e, a mio giudizio, pienamente riuscito e quindi da divulgare in ogni dove.
Il disco, proposto e distribuito dal “Folkificio”, consta di 9 ballad che compongono “Er tempo bbono”, ovvero la trasposizione in musica di alcuni sonetti che Giuseppe Gioachino Belli, poeta romano vissuto 150 anni fa, inserì nella sua racconta “Sonetti Romaneschi”: nessuna interferenza personale, ma un fedele utilizzo delle liriche originali, utilizzate dal cantautore per raccontare il suo vissuto, creando un parallelismo tra differenti ere, personaggi, stati d’animo, con una sottointesa idea che, traccia dopo traccia, diventa convinzione, quella che lo scorrere del tempo, con tutte le variazioni che condizionano i comportamenti umani, lasci immutate le cause  dei variegati stati d’animo che incidono sulle nostre esistenze.

Belli maestro di satira, osservatore dei suoi simili visti in azione nel contesto quotidiano, che diventano strumenti e bersagli del suo pensiero, divertenti e drammatici, diversi uno dall’altro ma, inevitabilmente, raggruppabili in un unico microcosmo che trova similitudini tra epoche lontane.

Non si trova a proprio agio Billeri nell’attuale contesto cittadino - nella “sua” Roma -, come racconta nello scambio di battute a seguire, e allora utilizza un suo probabile maestro scolastico per fare opera di velata denuncia, in modo educato, come solo un cantautore potrebbe fare, mettendo a disposizione la sua arte musicale per “urlare sottovoce” cosa accadeva, cosa accade e, implicitamente, cosa occorrerebbe correggere.

Valerio Billeri prova a condurci verso un ragionamento circolare, con i sonetti - canzoni - divisi per tema: ('l'oscurità/la morte), (la vita), (l'universo/la natura), con l’intenzione di spingere l’ascoltatore alla riflessione rispetto ai problemi della nostra esistenza, il tutto cercando di dare una visione dell’opera del Belli un po’ più trascendente rispetto all’immediatezza delle sue parole “scritte per il popolo”.

L’essenzialità delle canzoni segue quindi una volontà precisa, quella di non distrarre l’ascoltatore, creando un sottofondo morbido che faciliti la concentrazione sulla lirica e i suoi significati, lasciando alla trama musicale il compito di accompagnare e condurre la navigazione. Da sottolineare come il romanesco sia, tra i linguaggi "locali", uno di quelli possibili da catturare se si mantiene una buona attenzione, magari utilizzando una iniziale lettura facilmente fruibile in rete.

Dalle parole di Billeri emerge la voglia di riproporre nel futuro prossimo la musica da band, una dimensione altrettanto soddisfacente, dove il blues e il folk possono permettere altri tipi di interazione, ma “Er tempo bbono” appare come contenitore estremamente attuale, reale, proponibile in molteplici situazioni, capace di condurre a sommessa riflessione e, si spera, ad azione conseguente.

Ho personalmente un vecchio pallino, che è quello di utilizzare certa musica all’interno della formazione scolastica, non in modo tradizionale, ma captando pillole sonore che possano essere analizzate a fondo e usate per… ragionarci su! La proposta di Valerio Billeri potrebbe essere una via per unire storia a pensiero contemporaneo: ne sono certo, il trasposto successivo e il coinvolgimento si tradurrebbe in un grande successo, molto più gratificante di un ipotetico numero di copie vendute.

Un album per chi ama la poesia, un album per chi ama la lirica musicata, un album per chi non ha paura di guardarsi allo specchio e giudicare ciò che vede, un album per chi non teme l’autocritica e l’attitudine all’azione conseguente.
Un bel album!

I BRANI:

La Creazzione Der Monno
La Bella Giuditta
buy track
La Bbona Famijja
Er Deserto
La Ssedia De Tordinone
La Luna
Chi Va Alla Notte Va Alla Morte
Er Tempo Bbono
Er Tempo Cattivo 

La nostra chiacchierata…

È appena uscito un nuovo tuo album, “Er Tempo Bbono” il cui titolo, per chi non ti conoscesse, indica la tua provenienza: puoi sintetizzare la tua storia musicale e la tua discografia?

Sono tanti anni ormai che faccio dischi, più che un outsider sono un outtake vivente del cantautorato italiano. I miei ultimi tre album, "Giona", "Gospel" e questo appena uscito, sono i miei preferiti. In “Acque Alte” ci sono forse i miei testi migliori, ma dal punto di vista musicale qualcosa manca.

Nel disco appena rilasciato riproponi nove sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli: da dove nasce l’idea e l’esigenza di musicare le sue liriche trasformandole in ballate?

L'esigenza nasce alla necessità di utilizzare qualcosa di forte, di vero, qualcosa che avesse nei suoi versi la potenza generatrice della natura e quella distruttrice del tempo (che per altro è una nostra convenzione); le mie liriche provano ad avvicinarsi a certi livelli. Le parole del Belli invece risuonano come verità, non hanno filtri né retorica, lui non doveva vendere, era un puro. La musica era già dentro alle parole, e a volte penso che sarebbe stato un ottimo bluesman: prendi la canzone “Er tempo cattivo” e confrontala con “High Water”, di Charlie Patton, vedrai che ci sono poche differenze nel modo di raccontare le cose.

Viene spontaneo chiedere il legame esistente tra il pensiero del Belli, vissuto 150 anni fa, e il tuo modo di vedere il mondo…

Io vorrei vedere il mondo con gli stessi occhi del Belli, con la stessa chiarezza, non sono ancora pronto, il mio comunque è un continuo stato confusionale, i modi di vedere il mondo cambiano di giorno in giorno, il modo di vedere gli esseri umani purtroppo no.

Il progetto, come il precedente “Gospel”, appare minimalista… tu e la tua chitarra: è questa la dimensione che ti dà maggiori soddisfazioni?

Dipende, così riesco a dare più forza alle liriche e all'interpretazione vocale. Ho trovato molto aiuto, per quanto riguarda la produzione artistica di questi due lavori, in Gian Luca Figus, che in questi casi ha la giusta sensibilità per capire dove intervenire e dove no. Ma ora mi manca il blues e il rumore delle chitarre elettriche… il prossimo disco sarà più caciarone e ci sarà la mia band.

Entriamo nei contenuti: qual è il fil rouge tra i sonetti? Che cosa esprimono?

I sonetti, per quanto riguarda il disco, sono divisi in tre terzine ('l'oscurità/la morte), (la vita), (l'universo/la natura); ho cercato di dare un senso circolare al lavoro, cosi che l'ascoltatore si sentisse all'interno di un microcosmo, che il tutto lo portasse a pensare ai temi principale della nostra esistenza.

Possiamo parlare di un viaggio tra il didattico e il didascalico per chi non conoscesse la realtà romana dell’epoca?

Guarda, sì, alcuni riferimenti della città che esistono nei sonetti sono spariti… la città e la sua gente possono così riscoprire un passato non molto remoto che gli appartiene. Ma questo dal punto di vista visivo, l'anima della città non è cambiata poi molto, anzi credo per nulla.  

Trovi che i sonetti del Belli siano ancora attuali se pensiamo a cosa Roma - e l’Italia - sta vivendo?

Attualissimi. Il Belli scava nell'animo umano, e non sono attuali solo a Roma… sapevi che il suo pensiero è stato tradotto in molte lingue? Persino in Russia il regime temeva i suoi sonetti, ancora fino a poco tempo fa andavano venduti incelofanati per non farli leggere dagli avventori; Andreotti nel dopoguerra subì pressioni dal Vaticano per censurare l'uscita integrale dell'opera Belliana.

Nel corso del nostro scambio di battute di qualche giorno fa mi hanno colpito due concetti che hai espresso… il primo riguarda il tuo modo di essere romano, ovvero il tuo distacco da certe forme di volgarità verbali e comportamentali che spesso accompagnano l’immaginario comune; la seconda si rifà ad un aggettivo che hai usato per definire Roma: “oscura”.
Mi spieghi meglio il tuo pensiero?

Odio l'ostentazione della volgarità che è venuta fuori in questi ultimi quarant’anni anni da un certo modo di fare cinema degli anni ‘70, dalla tv, il modo di alzare la voce, di strascicare le parole… una volta il romano non era così! Anche il Belli usa le parolacce, possono essere un arma molto forte, ironica geniale, ecco i vecchi romani erano geniali nell'usarle, il famoso "…io so io e voi nun sete un cazzo", fa parte di un sonetto del Belli (“li sovrani der monno vecchio”) ma quello è un atto di denuncia, una terribile sentenza... oggi si usa quella frase per fare gli sbrasoni, i coatti, senza sapere quello che c'è dietro, cosa che Monicelli e Sordi ben sapevano…

C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a   popoli st’editto:
«Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.

Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto.

Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo».

Co st’editto annò er Boja pe ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: «È vvero, è vvero».

21 gennaio 1832 - De Pepp’er tosto

Per quanto riguarda l'oscurità, ci sarebbe da fare un grande discorso… sai che fine ha fatto il fondatore? Romolo fatto a pezzi dai suoi stessi senatori e sotterrato in vari punti strategici a protezione della città… ecco il peccato originale, il susseguirsi continuo del sacrificio, le bellezze di Roma, i suoi monumenti, le sue opere d'arte sono un continuo esorcismo verso la parte scura della stessa; sai perché Roma è stata così importante nella cultura, nella storia nell'arte? Non solo per l'Impero, sarebbe finito tutto là, ma sarà sempre così perché questa città, dove i piani temporali si intrecciano, piena di arte e di nefandezze, è il più grande monumento alla vera essenza dell'animo umano, non c'è salvezza ma solo un continuo ripetersi della morte e della bellezza. Ecco perché è eterna.

Entriamo in qualche risvolto tecnico… l’album è stato registrato in presa diretta in pochissimo tempo: ti soddisfa appieno questo tipo di modus operandi?

Sì, preferisco così, quello è il momento che amo, posso anche lasciare gli errori, non serve la perfezione; guarda i vecchi dischi dei bluesman, le registrazioni di Lomax… sono di una purezza estrema… gli American recordings, il primo di Cash… perfetto, non serve molto per raccontare storie. Voglio che l'ascoltatore abbia l'impressione del momento del racconto.

Come pubblicizzerai l’album? Hai pianificato concerti e presentazioni?

No, non ci saranno presentazioni né concerti specifici, è un lavoro che va suonato voce e chitarra in luoghi silenziosi; sto provando a contattare festival di poesia e letterari per presentare il mio lavoro in forma intima, nel frattempo continuo i miei concerti con le Ombrelettriche, blues e folk allo stato puro ed elettrico: il 16 ottobre saremo a L'Asino che Vola, a Roma.

Ma qual è lo stato dell’arte nella tua città, se ci riferiamo alla musica e alla cultura in generale?

Ma, per quanto riguarda il tipo di musica da me suonata è un po’ difficile trovare spazi adatti, l'asticella dell’età dell'ascoltatore medio per quanto riguarda il blues e il folk si sta alzando, bisogna centellinare le uscite mirarle bene, la città è un fermento continuo, nuove forme espressive d'arte si stanno affacciando tra i giovani, il modo di fare arte sta cambiando in fretta, sono molto fiducioso per quanto riguarda le nuove forme, ripeto, un po’ meno per la musica, la vedo stretta in tempi troppo veloci.