Max Rock Polis ha appena pubblicato un libro, “Storie di Prog Rinascimento” a cui ho scritto
la prefazione.
La propongo e consigliando al contempo la lettura del book…
Introduzione… progressiva!
di Athos Enrile
di Athos Enrile
Parlare
di musica progressiva con una certa originalità mi appare come un’ardua
impresa: un fenomeno di breve durata - se si pensa alla piena visibilità -, mai
cancellato, ritornato in auge in tempi recenti, anche se il concetto di
“nicchia” appare perfettamente abbinabile al genere.
Le
assi portanti del prog mal si addicono ai tempi televisivi e radiofonici, una
per tutte la durata del singolo brano, mediamente dai cinque minuti in su.
E poi
i testi raffinati, i tempi composti, le trame melodiche che si fondono col
rock, con una porta aperta ad ogni genere di contaminazione. Un personaggio
autorevole, in tempi lontani, asseriva che la musica progressiva non sarebbe
mai esistita senza il mellotron… quindi gli archi, i fiati, la sperimentazione
spinta, la piena libertà espressiva, l’abbandono delle certezze a favore di
orizzonti inesplorati, l’arte visiva e grafica adattabile ad una esposizione
museale.
C'è’
da rabbrividire nel pensare che una pletora di ventenni, nei primi seventies,
riuscì ad inventare stili completamente differenti che, tutt’oggi, appaiono
freschi e attuali: il recupero del classico da parte di ELP, la perfezione
esecutiva di Fripp e soci, la commistione tra folk, rock e blues dei Jethro
Tull, il puzzle sonoro e vocale dei Gentle Giant… piccoli esempi di prototipi
della perfezione, ognuno immediatamente riconoscibile all’impatto.
Vista
la premessa risulta complicato raggiungere le nuove leve, e l’elemento che
quasi sempre fa da anello di congiunzione tra ere differenti è il genitore che,
se fortunato e ostinato, riesce a passare alla prole un po’ delle proprie
passioni.
E
veniamo al cuore del book, a cui contribuisco con piacere perché anche io, come
l’autore, prediligo il racconto di un mondo molto particolare attraverso i
protagonisti, quelli che hanno avuto ruolo determinante alle origini - tornando
poi a distanza di tempo ad amori mai sopiti - o le forze fresche, quelle che si
avvicinano al genere prog dopo aver avuto l’occasione di toccare con mano cosa
voglia dire creare musica di qualità.
Parto
da questi ultimi, sottolineando, caso mai ce ne fosse bisogno, che la musica
progressiva ha ormai raggiunto lo status dell’immortalità, esattamente come è
avvenuto per la musica classica.
Andando
ad analizzare con attenzione e curiosità un vinile degli anni ’70 si scopre
facilmente come potrebbe essere oggetto di lavoro scolastico alternativo, con
l’analisi degli aspetti musicali - tecnici e strutturali -, delle liriche - e
dei significati profondi -, dell’artwork, del contesto storico e culturale,
senza dimenticare l’opera di traduzione nel caso di album stranieri. Tanta
manna per un professore open mind, così come per alunni inizialmente spiazzati,
che a poco a poco prenderebbero coscienza e conoscenza di qualcosa di
inaspettato ed estremamente piacevole… o forse no, perché la critica fa parte
del normale esercizio di apprendimento.
Complicato?
Utopia? Complicato no, utopistico probabile.
Eppure
mi ritrovo tra le mani, con sempre maggior frequenza, album di giovani che
propongono la loro musica, lontano dagli stereotipi imposti dai media. E i
risultati sono di alto livello, perché la tecnica personale è aumentata, la
tecnologia permette alchimie impensabili un tempo, e costruire una proposta
credibile e presentabile è un gioco da ragazzi.
Non
mi pare utile creare graduatorie di merito, ma mi piace evidenziare la
commistione tra antico e attuale, quell’idea che ha portato il mio amico
Giorgio “Fico” Piazza - primo bassista della PFM - a raccogliere attorno a sé
un manipolo di ragazzi che lui guida e prova a plasmare, portando in giro per i
palchi italiani - e non solo - uno show dedicato ai primi due album della
Premiata: è questo lo spirito nel quale prolifica il concetto di “diffusione
del verbo…” e sharing. E che dire di Lino Vairetti e della Prog Family degli
Osanna, da lui creata attraverso il coinvolgimento di giovanissimi!
Non è
materia per malati di musica specifica, né la voglia di rimanere ancorati ad un
passato ormai lontano, ma il tutto nasce dalla convinzione che la buona musica
vada proposta e raccontata a chi non ha mai avuto l’opportunità di ascoltarla -
per mero stato anagrafico -, e che dopo la fruizione potrà decidere se varrà la
pena proseguire il percorso conoscitivo oppure no.
Alto
scenario è quello relativo ai ritorni illustri: vedo molte possibilità
collegate.
Partiamo
dal fatto che certe passioni non ci lasciano mai, e se i casi della vita hanno
fatto sì che raggiunta la maturità sia stato necessario fare scelte dolorose,
arriva il momento in cui ci si può ricongiungere a ciò che è stato
momentaneamente abbandonato.
Altra
condizione ci porta alla mancanza di opportunità, il non trovarsi al posto
giusto nel momento corretto, e sono moltissime le band che, uscite dal magico
fazzoletto temporale compreso tra il 1970 e il 1975 - e quindi entrate in
circolo con lieve ritardo - non hanno trovato case discografiche disposte ad
investire su di un disco costruito attraverso un genere ormai in fase
decisamente calante. Il problema attualmente non esiste, il disco si fa e
arriva ovunque nel mondo, anche se bisogna tralasciare l’idea del profitto.
Aggiungerei
anche che certi nomi storici italiani sono rimasti nel cuore e nella mente di
popoli a cui nessuno pensava quarantacinque anni fa, e l’accoglienza riservata,
ad esempio, dal Giappone a band che propongono magari un solo elemento
originale non ha eguali nel nostro paese, e rappresenta elemento motivante alla
ricerca di quelle soddisfazioni che magari non si sono avute ad inizio
carriera.
Ci
sono poi quelli che non hanno mai smesso, che hanno navigato nel tempo
modellando il comportamento a seconda delle esigenze, perché alla fine tutti
“tengono famiglia”, e che ora sono pienamente autorizzati a rientrare nei
ranghi.
Lascio
per ultimo il comportamento più commovente e comprensibile, quello che fa sì
che, riproponendosi come nel passato, ci si continui a sentire giovani e utili
al prossimo, perché non credo ci sia nulla come il rapporto osmotico che si
crea tra il musicista sul palco e il suo pubblico che possa dare assoluta
carica vitale, una scossa con un continuo doppio senso di circolazione, un dare
e avere senza soluzione di continuità.
Il
vinile sta tornando a galla in maniera preponderante, in alcuni casi anche la
musicassetta, in un periodo in cui ci siamo ormai abituati alla musica
“liquida”, quella supercompressa, facile da scaricare e utilizzabile con tutti
i device che ci circondano.
Forse
il tutto può coesistere, anche se temo che le emozioni musicali totalizzanti
vissute da quelli della mia generazione non siano riproponibili di questi
tempi.
Ma a
cosa mi riferisco quando parlo di “emozioni”? Ci vogliono esempi oltre alle
parole scontate e ridondanti!
La
musica, certa musica, mi serve per stare bene, a volte anche per soffrire.
Sono
io che decido e so esattamente quali sono i tasti da toccare, e la cosa bella è
che il tutto si può ripetere all’infinito, non è fatto occasionale.
Non
c‘è razionalità in questo, e probabilmente il tutto si riconduce all’enorme
stimolo che solo la musica può dare nell’alimentare il ricordo. Faccio un
piccolo e recente esempio.
Mi
accade che, sentendo la seconda parte di “The
Cinema Show”, sia percorso da almeno venti secondi di brividi intensi che,
partendo dal collo, arrivano sino alle ginocchia, e in quel frammento temporale
provo sensazioni che, oggettivamente, sono in difficoltà nello spiegare
compiutamente, un senso di estrema serenità, eccitazione e sviluppo di immagini
che mi capita di provare in tante occasioni, non solo con la musica dei
Genesis.
Che
dire ancora, auguro a tutti di provare le stesse sensazioni benefiche, quelle
che, personalmente, soltanto la musica progressiva riesce a regalarmi.
Buona
lettura attraverso il racconto di Max Rock Polis e i suoi ospiti.
Piccolo
esempio di perfezione prog…