Ho appena letto il libro “Italian
Rhapsody”, e provo a delinearne il contenuto, aiutato dal fatto
che è appena stato presentato nella mia città, e quindi è stato lo stesso
autore, Antonio Pellegrini, a permettermi
di allargare lo spettro di giudizio.
Una sintesi dell’evento è fruibile nel video a fine articolo.
Il book dedicato ai Queen,
realizzato da Pellegrini - musicista e saggista, alla sua seconda uscita
dopo "The Who e Roger Daltrey in
Italia" - traccia la storia di una band storica, con un focus
specifico su aspetti precisi, quelli legati alle presenze nel nostro paese,
come indica il sottotitolo “L’avventura dei Queen in Italia”, concerti a
cui si è arrivati dopo il superamento di una certa refrattarietà legata a
stereotipi e luoghi comuni, basati però su elementi oggettivi, perché è
risaputo che fare musica dal vivo in Italia, in un particolare periodo storico,
era davvero complicato, e tutto questo ha tenuto alla larga, per molto tempo, i
grandi nomi del rock.
“Italian Rhapsody” presenta una netta dicotomia, e non
poteva essere diversamente, perché è naturale che esista un prima e un dopo,
come è accaduto per tutte quelle band che nel tempo hanno perso un elemento
molto caratterizzante, tipicamente il frontman, quello che conduce le danze e
guida il pubblico, il musicista con la maggior visibilità, libero da vincoli
strumentali e spesso con una voce da sogno. In questo caso stiamo parlando del
genio assoluto, della “Regina”, Freddy Mercury.
Il libro è ricco di documentazione oggettiva raccolta in
oltre due anni lavoro, periodo in cui non è mancato il sostegno fattivo della
community QueenItalia, il cui massimo rappresentante, Alessandro Cannarozzo, ha
presenziato all’incontro con il pubblico savonese.
Recensioni, stralci di interviste e “pezzi” dell’epoca, sono stati
aggiunti dal “tessitore” Pellegrini, che riesce così a disegnare la storia in
modo scorrevole, quasi fosse un racconto, tanto da poter diventare un possibile
mezzo di avvicinamento per i più giovani, che poco o nulla sanno dei Queen, salvo
l’intervento di genitori amanti del genere.
Accanto a questo aspetto… didattico, esiste la rigorosità
della verità, almeno quella che è possibile captare dall’esperienza di chi
c’era.
Il film osannato e pluripremiato, “Bhoemian Rhapsody”,
ha diversi aspetti positivi, come racconta Pellegrini: ha risvegliato l’interesse
su di una band ormai un pò nelle retrovie, fatto di cui hanno beneficiato
coloro che hanno deciso/voluto proseguire l’attività, seppur con diversi compagni
di viaggio (è noto che John Deacon ha sempre rifiutato operazioni nostalgiche e
commerciali) e, soprattutto, ha condotto ad una grande rispolverata di immagine
che aiuta l’avvicinamento delle nuove leve - e rinnova il ricordo di quelli più
âgé -, nonostante le inesattezze, cronologiche e non, siano palesi per chiunque
abbia seguito nel tempo le vicende dei
Queen.
Insomma, quando se ne parla è già un successo!
Ma “Italian Rhapsody” ha mire più nobili… raccontare
la storia senza appesantire lo svolgere dei fatti: razionalità, sentimenti e
modus didascalico. Un mix perfetto!
Qualche tocco qua e là…
Se parliamo di Freddy emerge una figura, o meglio, un ruolo, poco
noto, quello di paciere all’interno del gruppo, una sorte di “calmieratore” dei
dissidi altrui - sempre presenti in un team al lavoro -, anche se è evidente la
sua voglia di protagonismo (ma l’ego di Brian May e Roger Taylor sembrerebbe di
livello superiore!).
Momento nero in un percorso quasi perfetto è il concerto di
Sun City, che procurò ai Queen il confinamento nella blacklist culturale
dell’ONU, dopo aver suonato in Sud Africa, laddove vigeva una politica di
segregazione razziale. Ma i Queen non erano un gruppo politicizzato, ed è
probabile che l’elemento commerciale, e la voglia di spettacolo, siano le sole
cose che abbiano inciso, nonostante le forti critiche ricevute da più parti nel
mondo.
E arriviamo all’Italia, alle esibizioni al Festival di
Sanremo e a tutti gli aneddoti che Pellegrini racconta e che sono momenti
godibili, che permettono, anche, di sorridere: inimmaginabile un Freddy Mercury
costretto al playback!
Non solo Sanremo, se parliamo di Italia, ma… non vorrei svelare
troppo!
Ma Freddy amava davvero l’Italia? E’ questa la curiosità che
non riesce a togliersi l’autore, dubbio che le parole Peter Freeston,
assistente personale di Mercury, non fugano:
“Nel mio periodo con Freddie siamo andati a Milano in tour
e anche a San Remo. Amava l’aspetto storico del paese, la sua arte e la musica,
ma forse aveva sentito dire troppe cose da persone che parlavano del ritmo
frenetico e di qualche disorganizzazione negli orari dei trasporti. Una delle
ragioni per cui i tour erano difficili da organizzare in Italia in quei giorni
era che alcuni organizzatori non sempre rispettavano le condizioni previste nel
contratto che avevano concordato. Ricordo che abbiamo avuto un paio di problemi
con i trasporti quando a Freddie è stato detto che una macchina sarebbe andata
all’hotel per portarlo a destinazione, e alla fine abbiamo dovuto aspettare
mezz’ora prima che l’auto arrivasse. Non c’erano telefoni cellulari in quei
giorni per capire rapidamente quello che stava succedendo. Se qualcosa era
scritto nell’itinerario doveva essere rispettato. Freddie andò in Italia solo
per gli spettacoli a Milano e a Sanremo. Non gli dispiaceva l’Italia, solo che
aveva tante altre cose da fare, fra i tour, le registrazioni e girare i video.
C’erano altri paesi che gli sarebbe piaciuto visitare, ma non ebbe mai il tempo
di farlo.”
E poi Freddy sparisce dalla scena, e in questa seconda parte
di storia - e di libro - si riparte dalla tragedia e dal racconto dei media, in
alcuni casi vergognoso, commento spesso utilizzato per puntare il dito contro
Mercury e il suo orientamento sessuale, e in alcuni casi l’estremo sunto hai il
significato del… “se l’è cercata!”. E giù condanne.
Gli stralci dei giornali dell’epoca forniscono un’idea precisa
dell’atmosfera del momento.
Il futuro immediato ci riporta all’anno successivo alla morte
- avvenuta il 24 aprile del 1991 - e
cioè al 20 aprile del ’92, il giorno del Freddie Mercury Tribute,
concerto organizzato per celebrare “la regina” e per raccogliere fondi
destinati alla ricerca sull’AIDS.
E’ proprio quello il momento in cui nascono spontanei e
obbligati tanti “vocalist dei Queen”, e arriva forse la risposta ai tanti
naturali scettici - quelli che, ragionevolmente, hanno sempre sostenuto che i
Queen senza Mercury non potevano esistere -, perché la performance di George
Michael lascerebbe pensare che sì, forse una certa continuità poteva anche
prendere forma.
Da lì in poi i Queen sono rimasti in buona attività - forse perché
tutti tengono famiglia o semplicemente perchè è impossibile rinunciare ai
riflettori, dopo averli “assaggiati” -, ma si sono sempre presentati con l’uomo
in più, che fosse l’esperto e mitico Paul Rodgers o il giovane e meno
ingombrante Adam Lambert… non meglio o peggio… qualcosa di diverso.
La parte centrale di “Italian Rhapsody” permette di
vedere delle belle fotografie relative ai concerti italiani, mentre quella
finale è arricchita da alcune testimonianze significative di saggisti e
specialisti del settore.
Davvero una bella storia… Antonio Pellegrini si riconferma scrittore
attento alle esigenze altrui, coltivando le proprie passioni, of course, ma
provando anche a mettersi dalla parte del lettore, cercando di raggiungere il pubblico
anagraficamente più vasto possibile, e chi conosce un pò le cose musicali - e conosce
Antonio - sa perfettamente che la
motivazione in questo caso è la più pura possibile, e l’idea di condivisione risulterà
sempre la spinta decisiva di ogni azione dell’autore.
Sentiamo Pellegrini nel corso della presentazione alla Ubik
di Savona, il 15 giugno.