E’ abbastanza
complicato, per me, utilizzare parametri descrittivi oggettivi, giacchè la
musica dei romani OAK è di quelle che più mi sono abituali, che più si
avvicinano al mio gusto personale, che difficilmente mi deludono, perché esisterà
sempre quel sottofondo “atmosferico” che, aldilà di tutte le distinzioni, dei
sezionamenti e dell’evidenziazione dei dettagli fornite da Cutillo, condurrà
verso musiche che mi toccano nel profondo, senza che io abbia la pretesa di
capirne ogni risvolto.
Ciò che Jerry racconta
ha grande spessore, per i contenuti proposti, per la ricerca musicale di una
vita, per la sperimentazione che afferra la tradizione - meglio dire “le
tradizioni” - e la tinge di rock, e per la cultura profonda messa in campo;
tutto questo impedisce agli OAK - e credo
sia un bene - di essere catalogati in un preciso registro delle competenze, tra
prog, folk ed etnica.
Ed è proprio così che percepisco
il nuovo disco… l’album della maturità artistica, dove si raccolgono i frutti
delle esperienze di una vita, sentiero fatto di gavetta, di collaborazioni
stratosferiche, di partecipazioni ad eventi storici, e tutto ciò che potrebbe
essere preso come paradigma musicale diventa per me mero fatto di pancia e
stimolatore di memoria, perché quando la chitarra acustica si miscela al colore
vocale, e il flauto si fa leader e comprimario allo stesso tempo, sento l’ansia
positiva salire, e la tristezza è compensata dalla possibilità di viaggiare nel
tempo, a ritroso, tornando al remoto.
Viandanze non mi appare come nuovissimo, o meglio, credo di averlo già vissuto,
percorso, attraversato, annusato, e vorrei che il lavoro degli OAK fosse
conosciuto da tutti; un gruppo che è riuscito nel tempo a scrollarsi di dosso l’appellativo
di “tribute band” senza mai rinnegare il passato e gli amori formativi
connessi, così come è accaduto al leader, Jerry Cutillo, che è riuscito a
metabolizzare il suo importante trascorso pop, quello che gli ha dato notorietà
e visibilità, quella storia relegata ad esperienza da non enfatizzare - e sono
certo che molti ci avrebbero campato sopra!
Mi fermo qui, con la
speranza che le parole di Jerry e i filmati che propongo nell’articolo possano
spingere all’approfondimento di un mondo musicale che io giudico davvero unico.
L'INTERVISTA
Siamo giunti ad un nuovo capitolo della tua storia musicale
sul versante OAK: mi parli del nuovo album? Il titolo? I contenuti musicali?
Le canzoni del nuovo album, “Viandanze”, si sono intrecciate
alle narrazioni del mio libro, di prossima uscita, “Come una volpe tesa a
rubare nel cortile delle voci”, dove racconto alcune vicende della mia storia
musicale. Il progetto iniziale prevedeva un volume scritto, con foto,
videolinks e cd allegato. Poi l’elaborato musicale ha finito per prendere il
sopravvento ed è arrivato a conclusione prima del resto. In alcuni dei passaggi
narrati si rivelano le dinamiche, i protagonisti, i tempi e le modalità di
quest’ultima fatica discografica:
“… Comincia tutto,
come spesso accade, dall’ ombra indefinita di un seme; un germoglio deforme che
si affaccia seducente ed accende la fantasia. Un richiamo maliardo, proveniente
dallo scaffale del “poi si vedrà”, che ci esorta a portare a termine un
patrimonio rimasto a lungo in stato embrionale. Una febbre improvvisa accende
una nuova avventura dei sensi. Ad occhi fissi cominciamo a marciare su sentieri
acquitrinosi dove la creatività si mescola a programmi, imprevisti, affanni ed
indolenze. Mi avvolge nelle nebbie del passato il cortile delle voci, che
mostra immagini scolpite dal tempo, riflettendone incubi e fascinazioni. Le
lontananze si coagulano in un patchwork di sonorità e visioni alchemiche che
trovano nuovo spazio nelle pagine word e nei file wave. E così la storia di
VIANDANZE ha inizio.
Le prime geometrie si stratificano in forme
armonico/melodiche pennellate da nuovi testi e la scommessa di realizzare
qualcosa procedendo di giorno in giorno, di nota in nota, senza un’ingente
risorsa economica, stuzzica l’ingegno. Solo poche centinaia di euro (che
includeranno stampa, copertina e SIAE) per provare ad estendere il micrOAKosmo.
Nessuna mostruosità tecnologica o musicisti di richiamo che, anche se provati
dall’ alcool o in piena decadenza professionale, darebbero comunque una
apparente rilevanza al risultato finale.
Dopo un mio iniziale lavoro di pre-produzione, il primo
mattone del nuovo album viene posto dai colpi di batteria di Charles Yossarian.
Il suo drumming ha, in passato, accompagnato i live degli OAK ed è lui il primo
a destreggiarsi con i nuovi suggerimenti ritmici; accenti e tempi dispari
scritti, che prefigurano la colonna vertebrale dei primi brani. Il box dove si
dispiegano imperiosi i suoi tom, circondati da un ampio ventaglio di piatti, è
angusto e le riprese di registrazione verranno effettuate con un sistema non
certo allo “state of the art”; ma la
scorza degli OAK è dura e si decolla
verso il secondo step della lavorazione.
Louis Ortega è l’elemento
inserito nel nucleo degli OAK nel gennaio 2015 il quale, senza sottrarre
tempo agli dèi delle arti e del pensiero, scatena le sue linee di basso e i
suoi delicati arpeggi a doppie corde sui
tappeti armonici. “Ma dove diavolo eri?, ”E’ la domanda che rivolgo subito a
lui… e forse anche un pò a me stesso.
Perchè certi incontri
avvengono con notevole ritardo? O forse è pura fortuna essersi trovati, quando
sarebbe bastata una deviazione per mutare il corso degli eventi? Forse lassù qualcuno si diverte a
farci ridere e soffrire quando nel cielo
notturno una nuova stella s’infiamma solcando lo spazio per scomparire subito
dopo.
Francesco De Renzi, the piano player, è pronto anche lui per
una nuova immersione sonora. Ci ritroviamo presto alle prese con la lucida
follia di “Prog & Poetry”, un precedente progetto unplugged che ora, in
trio, ridipinge le liriche di alcuni dei classici prog saturandone i contorni
armonici. Ed ecco un nuovo strato concentrico, nell’asse della quercia, che
emerge dai vapori del nostro time generator. L’energia dell’ultra collaudata
combinazione Jerry & Francesco, talvolta troppo densa per nuove
adesioni, apre i suoi anelli sonori al nuovo innesto e si dipana in un paio di
uscite live per rituffarsi subito dopo nei labirinti armonici di “Viandanze”
insieme al resto del gruppo.
Il lavoro elettrico di chitarra dell’album è invece materia
del principe cremisi Al Bruno e me. Al è
un caro amico che il tempo ha riavvicinato ai miei progetti ed è con estremo
stupore che apprendo notizia delle sue lunghe frequentazioni ai workshops di
Robert Fripp. Membro storico della “League of crafty guitarists”, Al ha finito
per guadagnarsi le grazie del re cremisi e la vicinanza con il mostro (Fripp) a
tre teste (tenacia, umiltà, disciplina) ha reso il sound di Al intrigante. Per
gli OAK e per un album come “Viandanze” non può esserci cosa migliore.
Le registrazioni continuano nel mio rudimentale home studio
con arrangiamenti delineati sempre più distintamente. Ma sarà più tardi il produttore Marco Viale
(Bakmaind) a correre in mio aiuto e ad aprire le porte del suo SoundStorm
studio in Svizzera avviando il progetto a degna conclusione. Si cominciano a
pianificare anche riprese video, relative ad un paio di brani, da girare in alta
quota.
Il batterista Mauro Gregori era entrato a far parte degli OAK
nel ’94, a pochi mesi dalla formazione del gruppo e l’Andersoniana “Sossity” e
la mia “Sandali rossi” ne avevano orientato la sensibilità verso nuove forme musicali. In seguito
all’esperienza con il gruppo etnico dei Nidi D’arac poi, il suo approccio alla
musica si è stabilizzato sui parametri dell’alta professionalità. I suoi groove
impeccabili non possono certo mancare per completare le tracce dell’album,
destinate ai due videoclip promozionali.”
Chi ha realizzato
l’artwork?
La front cover è uno scatto prodotto dal produttore Marco
Viale in una delle nostre passeggiate montane. Raffigura mia figlia Isabel
attratta da un esemplare di “Amanita Muscaria” (fungo allucinogeno) rinvenuto in
un sentiero delle alpi svizzere. Il termine “Viandanze” può riferirsi infatti,
sia ad una danza lungo le strade del mondo, sia ad una esplorazione attraverso
i labirinti della mente, stimolata da sostanze psicotrope. Queste pratiche sono
molto diffuse tra sciamani e pionieri dell’arte.
Io invece appartengo alla categoria dei semplici viandanti,
in quanto amo camminare a lungo e in spazi aperti perché ciò favorisce la mia
meditazione semicosciente. Il vagabondare dei piedi stimola la mia armonia
intellettuale e molto spesso faccio scorta di idee nei miei viaggi nella terra
del pensiero. Così “Viandanze” mi è sembrato il giusto termine per sottolineare
l’idea di attraversare la natura delle cose e giungere alla finalità
dello stesso essere artista.
Oramai ci hai abituato ad ospiti importanti, alcuni
provenienti da mondi poco conosciuti dalle nostre parti: chi fa parte del tuo
nuovo lavoro discografico?
Di recente abbiamo realizzato uno spettacolo insieme alla
cantante siberiana Choduraa Tumat che, insieme a Sainkho Namtchylak, altra
nostra collaboratrice, viene considerata la regina dei vari stili di throat e
overtone singing. La contaminazione della mia musica con elementi esotici ha
avuto come risultato l’estensione delle mie possibilità compositive ed un
profondo arricchimento degli arrangiamenti. Purtroppo però questa volta non c’è
stato modo di suggellare l’esperienza con registrazioni in studio.
Ad ogni modo, a proposito di collaborazioni, vorrei precisare
che la presenza di ospiti illustri non
sempre determina risultati apprezzabili. E’ stimolante confrontarsi con artisti
provenienti da realtà diverse da quella italiana, scoprirne profili e
caratteristiche, ma non è il caso di farsi condizionare dal nome sul passaporto
o dalla loro provenienza da città sante della musica. Scrolliamoci di dosso
questa sudditanza psicologica, retaggio post bellico, e prendiamo coscienza
delle nostre capacità. Mi rivolgo agli artisti miei conterranei che non hanno
nulla da invidiare ai musicisti stranieri di più o meno successo. Emanciparsi
artisticamente significa cominciare a credere in quello che facciamo e capire i
reali motivi del gap di risultati che ci penalizza a livello internazionale.
Nelle prime righe di questa intervista, sottolineavo le
potenzialità dei miei compagni di gruppo e se anche in questo lavoro compaiono,
o per meglio dire, ricompaiono nomi come quello di David Jackson o di Jonathan
Noyce è semplicemente perché il loro impegno si è rivelato autentico e
risolutivo ed entrambi si sono posti in maniera molto umile e rispettosa
rispetto al mio lavoro mostrandovi grande interesse. Nel 2010 avevo effettuato
parte delle registrazioni del precedente cd “Shaman feet” a Banbury, in
Inghilterra, non senza i consueti problemi tecnici. Tuttavia, tra le note positive
emerse da quelle giornate, ci sono sicuramente i contributi di David e Jonathan
su “Baba Gaia” e “My old man”. In occasione poi di una nostra esecuzione dal
vivo di quest’ultima insieme a Jenny Sorrenti ci fu, sul finale del brano,
un’improvvisazione vocale in dialetto da parte della cantante napoletana che si
rivelò molto efficace. In maniera molto spontanea Jenny aveva introdotto un
nuovo elemento che aderiva perfettamente alla dedica a mio padre, anch’egli
campano. Decidemmo quindi di aggiungere la linea vocale in studio ed anche la
nuova parte di piano ormai assorbita alla perfezione dal subentrato pianista
Francesco De Renzi. Il risultato di questi aggiornamenti, insieme alle sezioni
già esistenti eseguite dal chitarrista Iacopo Ruggeri, dal batterista Michele
Vurchio e dal sottoscritto, si sono rivelate molto convincenti ed il brano è
stato ripresentato su quest’ ultimo cd
“Viandanze”.
A chi ti affiderai per la distribuzione?
Spero a qualcuno che porrà il lato artistico dell’operazione
in primo piano. Per il momento ci godiamo le critiche, tutte molto positive ed
incoraggianti. Tuttavia gradiremmo suggerimenti ed attenzioni per continuare il
nostro lavoro in maniera sempre migliore.
Prima di ascoltarlo ho da un’occhiata ai titoli e mi ha
colpito immediatamente “Giubileo”, che immagino abbia un significato ben
preciso in questo particolare momento, nella tua città: me ne parli?
Non vorrei sembrare profeta di sventura, ma “Giubileo” risale
ad una progressione armonico/melodica, con relativo contorno apocalittico,
composta da me parecchi anni fa. La sensazione di inquietudine presente
nell’idea sonora era già manifesta ma non aveva ancora raggiunto la piena
maturità. Nel tempo a seguire, una percezione inconscia cominciò a prendere
forma, forse indotta dal vociare dei pellegrini che affollarono le strade
romane in occasione del Giubileo nell’ anno 2000. La loro esaltazione mi turbò
e ne rimasi fortemente intimidito. Cominciai a fantasticare su scenari molto
cupi. Infine, e questa è storia recente, il brano si è colorato di elementi
cinematografici ponendo in rilievo l’acuta rivalità tra due correnti religiose.
Contrapposte l’una all’altra, inneggianti al martirio e allo sterminio, queste
due forze si avvicendano in una inarrestabile escalation di fanatismo che ho
tradotto musicalmente in macchie sonore che tracciano il confine tra il bene e
il male. “it’s the suicide of the end”, “è il suicidio della fine”: Un
messaggio evanescente che nella somma di due negazioni genera in realtà un
risultato positivo: una vibrazione di speranza che io auspico per una nuova
rinascita della storia umana. Le riprese sono state girate a San Pietro e anche
nei pressi dell’ambasciata francese a Piazza Farnese… senza alcuna
autorizzazione… appena pochi giorni prima degli attentati di Parigi!
Su Jerry Cutillo youtube channel si può ascoltare/vedere il
videoclip di “Giubileo”...
Ho trovato momenti
acustici che mi hanno riportato ai nostri Jethro Tull, nel senso delle atmosfere
proposte: come è cambiato nel tempo il tuo rapporto con quella musica, che è
poi quella che mi ha permesso di conoscerti, un po’ di anni fa?
Obiettivamente nelle
mie canzoni si avverte un riflesso stilistico ereditato dal mio maestro Ian
Anderson. Posso tuttavia aggiungere di aver trovato nel tempo un mio percorso
personale tuttora vivo e pulsante. Se ti riferisci invece al tributo ai Jethro
presentato spesso dagli OAK… beh, l’emozione di rivivere antiche leggende è
sempre una valida terapia anti-invecchiamento. Chissà, forse al termine degli
impegni promozionali per “Viandanze” proverò a divertirmi nel proporre ai miei
amici Tullofili uno spettacolo che contrapporrà le mie canzoni a quelle del
“divino” Ian Anderson, svelandone richiami, tracce, parallelismi e citazioni in
una sorta di irriverente “Ian Anderson
VS Jerry Cutillo”.
Sempre sul Jerry
Cutillo youtube channel è possibile trovare il videoclip di “Holy bells”.
Quanto “est” troviamo in questo tuo
album?
A differenza del
precedente “Shaman feet”, nel quale l’elemento etnico siberiano occupava
un’ampia fetta dello spazio del cd, quest’ultimo “Viandanze” è molto più
radicato in scenari ritmico/armonici prog. Inoltre c’è una profonda riflessione
sulle mie origini sannite, decantate nel brano “Magica noce”. Consiglio anche
la visione del videoclip relativo alla canzone che ne svela i significati
reconditi. L’unico vero richiamo alle regioni dell’estremo est lo troviamo
quindi nella suite “Snegurochka”. Come nella precedente “Baba Gaia”, brano presentato
da noi alla Prog Exhibition e che compare nei due volumi della compilation,
anche qui il folklore russo entra in scena con una delle sue fiabe più
significative. Questa lunga suite è densa di vapori risonanti, progressioni
armoniche e suggestioni ritmiche; consiglio agli ascoltatori di immergersi nel
fiume di parole che accompagnano lo svolgimento sonoro. In maniera molto
sottile viene tracciato un parallelismo tra la ragazza di ghiaccio protagonista
della favola russa e il triste fenomeno della prostituzione.
Come lo pubblicizzerai? Hai
pianificato qualche data?
Il 4 novembre abbiamo
debuttato con il nuovo spettacolo al teatro del lido e il 27 novembre saremo
alla Locanda Atlantide. Poi al Casale rock, nuovamente al teatro IF e poi in
primavera qualcosa di grosso proprio dalle tue parti. Speriamo ad ogni modo che
qualcuno/qualcosa apra le porte/frontiere per permettere ai gruppi italiani di
musica originale di esprimersi anche a livello internazionale.
Come giudichi il tuo attuale,
personale, momento musicale?
Sono soddisfatto per la forza e l’impegno che
riesco ad imprimere ai miei progetti. Le mie iniziative ottengono sempre
maggiori consensi e gli OAK continuano a legittimarsi come una band aperta a
cambiamenti e sperimentazioni. I nostri punti di riferimento sono gli standard
europei e siamo pronti a cooperare con altre realtà per la creazione di una
scena musicale migliore. Pensiamo che l’isolamento sia deleterio per
l’elaborazione di nuove idee musicali e crediamo nell’unione degli sforzi
creativi per poter venir fuori dalle sabbie mobili di questo pantano in cui
versa il mondo dell’arte. E’ da molto che non avvengono adeguati investimenti per il settore musicale, sia da
parte privata che pubblica. Anche sul versante spettacolo, dopo gli ultimi
fatti di cronaca, si è verificata una flessione delle presenze nei live club.
La nostra, rassomiglia sempre più ad una lotta contro i mulini a vento. Un
duello impari, un crudele confronto tra
la sensibilità artistica e l’appiattimento mortale che lascia sul campo
tanti ex spiriti liberi oramai rassegnati e omologati al “così sempre sarà”.
L’antidoto comunque, rimane sempre la dedizione al proprio lavoro, la ricerca
che sviscera le componenti più intrinseche e misteriose di noi stessi, che ci
permette di conoscere i nostri lati più oscuri, di
dargli forma e presentarli come oggetto unico,
distillato di notti insonni, superstite di crisi e ripensamenti, brillante di
intuizioni musicali.
Ci spieghi meglio il
tuo rapporto con l’esoterismo e come stimola la tua fantasia artistica?
E’ una storia lunga.
Hai sicuramente sentito parlare delle streghe di Benevento. Entrambi i miei genitori provengono da quel
territorio e precisamente dallo stesso paese, Solopaca, dove anch’io sono nato.
Quella zona, a partire dal XIII secolo, fu teatro di
parecchie leggende esoteriche. Era a quel tempo capitale di un ducato
Longobardo e sotto un albero di noce, nei pressi del fiume Sabato, si
celebravano riti in onore del Dio Wotan. Ogni sabato le streghe di Benevento,
le Janare, nelle notti di plenilunio si davano appuntamento sotto i rami. Poi
arrivarono le persecuzioni, prima con San Bernardino, e poi con il “Malleus
Maleficarum”, il “Martello delle streghe”, nel 1486, che spiegava come
riconoscere le streghe, come processarle, come interrogarle per estorcerne le
confessioni. E nei processi ricorreva spesso il nome della città di Benevento e
le danze sotto l’albero di noce. Fu una cruenta repressione che causò migliaia
di vittime. Non sono un amante della stregoneria e i racconti delle vecchine
del mio paese mi causavano i brividi quando soggiornavo dai miei parenti
durante le vacanze estive. Credo però di esser stato sensibilizzato dagli
scenari di quelle storie in tenera età e quella suspense ricorre spesso nella mia
musica. Di recente mi sono addentrato lungo i tratturi del Sannio, le lunghe
vie migratorie e di transumanza sperimentate dai Sanniti in base ai loro
istinti o ai movimenti delle stelle, ai corsi dei fiumi o ai colori
dell’orizzonte ed ho provato a tradurne le emozioni. Il testo di “Magica noce” ne è rimasto
intriso di tanti elementi suggestivi. All’interno del brano vorrei segnalarvi
anche la prestazione degli alunni della scuola elementare di Faido in Svizzera
che hanno collaborato con le loro voci al coro sull’inciso.
Ecco il videoclip di
“Magica Noce”: