mercoledì 5 novembre 2014

Mauro Sabbione racconta...



Mauro Sabbione, musicista genovese, tastierista e compositore virtuoso, può vantare una discografia sterminata e di alta qualità; dopo gli studi classici il suo percorso si sviluppa attraverso molteplici esperienze trasversali, per generi proposti e interessi messi in campo. Matia Bazar, Litfiba, tour mondiali, ma… qual è il suo pensiero quando il 2014 volge al tramonto?


Vorrei approfittare della tua… genovesità, e della tua competenza musicale, per delineare un quadro di una città che ha espresso talenti di grande rilievo ma che, a detta di chi la vive, appare spesso chiusa, non certo un aiuto per l’arte e la cultura.

Sì, la leggenda della scuola genovese ha spesso tarpato le ali a chi, come me per esempio, ha cercato di rivolgersi ad uno stile più eclettico, a generi musicali differenti, come il progressive o la new age. Certo non essere cantautore già negli anni ‘70 appariva imbarazzante, ma per fortuna uno poteva decidere di allontanarsi proprio dalla città stessa. La generazione di cantautori successiva ai soliti noti, che ormai sono quasi del tutto scomparsi, vive ancor più da vicino la discendenza ed il paragone ad una etichetta, scuola genovese, ormai desueta.

Come sintetizzeresti la tua storia musicale?

Eclettica, curiosa e situata nella terra di nessuno. Mi spiego. Uscito dal Conservatorio, non potevo che avvicinarmi ad uno stile colto, ed essendo tastierista e pianista con gli strumenti che all’epoca erano delle centrali nucleari per adepti, tra ricerca ed elettronica, fra teatro e performance non mi sono certo annoiato, riversando inevitabilmente, quando se ne fosse presentata l’occasione tutta la mia esperienza di giovane musicista. L’occasione non furono i Matia Bazar, ma il primo album che incisi da solista, un LP trasversale a molti generi, con il quale sottobraccio andai a bussare alle porte dei discografici illuminati milanesi nel 1978, ricevendo ovviamente consensi, ma poche opportunità commerciali, discografici che immediatamente dopo due anni, appena entrato nei Matia Bazar, mi incensarono di elogi ripromettendomi di pubblicare tutto il breve passato. Ma ormai ero una star.

Dal Conservatorio ai Matia Bazar, dai Litfiba alle tante collaborazioni e progetti solisti: sei un uomo felice musicalmente parlando?

Sì, non dormo sugli allori però, cerco intanto di essere disponibile e curioso ad ogni progetto che mi coinvolge, per esempio gli arrangiamenti per altre produzioni mi vedono sempre presente sul palco con loro, gli spettacoli teatrali ai quali fornisco la colonna sonora mi vedono protagonista sulle scene con la musica dal vivo. Questo mi piace assai e mi permette di vivere esperienze sempre differenti, che scelgo accuratamente.

Quando pensi al momento espressivo per te perfetto ti ritrovi idealmente su di un palco, magari affollato, o nell’intimità della fase “Studio”?

Tutte e due. Diciamo che ormai lo “studio” non è esercizio tecnico, ma espressione. Nel recente tour PIANOSOLO ho ricominciato a studiare 4/5 ore al giorno questo meraviglioso strumento, che grazie al cielo, con compagni di avventura come Bollani o Allevi, per citare le teste di serie, è tornato di moda. I miei concerti sono e restano pop nel senso del popolare, cerco le emozioni del pubblico, cerco di suonare quello che vorrebbe sentire da me, non necessariamente i miei successi, ma le loro emozioni, i loro viaggi, sento sempre l’energia del pubblico e mi sintonizzo sui loro desideri. In ogni caso amo gli spazi teatrali, dove il pubblico ascolta concentrato. Se però devo preparare spettacoli cool con elettronica a palla, allora meglio il club titolato.

 Come giudichi lo stato della Musica, tra talenti e business, nel 2014?

Ormai tutto è cambiato, o in lenta evoluzione. Paradossalmente musica se ne fa e se ne usufruisce ancor più di prima degli anni 70/80, tutto intorno a noi è musica, e qualcuno la deve pur fare. Certo, una volta la costruzione dei talenti, ciò che oggi viene sciorinato in TV nelle solite trasmissioni, veniva fatta a porte chiuse, all’interno delle case discografiche, dove venivano aiutati, arrangiati, costruiti, vestiti e pure truccati, ed immessi alla chetichella in un mercato anche parallelo. Oggi il business ti lancia immediatamente: chiunque dopo due mesi in TV di fila diventa famoso, ma poi non regge il ritmo del successo, fatto come sempre, di piccoli passi.

Se potessi tornare indietro, cambieresti qualcosa del tuo percorso?

No, assolutamente. Ho lasciato i miei pards spesso nei momenti di successo maggiore, per cercare nuove linfe vitali, quando comprendevo che tutto intorno mercificava la creatività. Con i Matia Bazar avevamo raggiunto un’alchimia straordinaria, tra raffinatezza e popolarità, ma purtroppo a parte i discografici poco avvezzi alla cultura, tra gli stessi membri del gruppo c’erano forze che lavoravano in direzioni opposte, che non capivano che la ricerca della qualità avrebbe avuto alla lunga il sopravvento sulla ricerca della commercialità. Non cambierei nulla perché ciò che ho provato, anche recentemente, mi soddisfa molto di più di quello che ho vissuto in passato, andiamo avanti ci sono molte terre da esplorare.

Quali sono gli artisti, italiani o stranieri, che hanno inciso sulle tue scelte e sulla tua formazione personale?

Sicuramente moltissimi, perché la musica è tutta interessante; citerei ovviamente Peter Gabriel in tutte le sue curiose direzioni musicali, dai suoi Genesis fino alle sperimentazioni con l’orchestra, mi piacciono tutti gli etnici contaminati con gli strumenti occidentali, amo sempre le contaminazioni con la musica lirica, amo l’opera e sono spettatore attento degli eventi particolari, come il recente centenario dell’Aida a Verona, ma ho anche un palchetto alla Scala di Milano. Fra gli italiani inserirei moltissimi “giovani di 40/45 anni”, generazione che non ha avuto l’opportunità di uscire discograficamente, e mi piace anche la musica in dialetto, di tutte le regioni italiane, in particolare i sardi, sempre suonata con strumenti rock.

Sei un forte utilizzatore di nuove tecnologie o usi il nuovo con moderazione? Sintetizzo: sei più analogico o digitale?

Analogico sicuramente, quasi vintage, anche perché ho tenuto tutti gli strumenti che ho usato negli anni, ma per la gestione del suono meglio processarla digitalmente, sempre interessante usare un’alchimia a metà fra le sue specifiche, in modo da rendere il suono più ricco e mai banale o uguale ad altri gruppi, in ogni caso il mio prossimo album sarà in vinile. Ma oggi ti spuntano ragazzi di diciotto anni che usano i synth d’epoca!

Che cosa ha pianificato Mauro Sabbione per l’imminente futuro?

Intanto il bellissimo tour PIANOSOLO che si chiama “TANGO”, nel Fango di Rabelais, dove suono classicamente tutti i brani clamorosi incisi con i Matia Bazar, accompagnato solo da un video di immagini inedite e aneddoti curiosi, gran successo di pubblico ovviamente. Presto in Russia e Giappone.  Ho anche un paio di trasmissioni su Cutradio.it con le quali faccio spazio a moltissimi talenti dimenticati. Per la contemporaneità ho le recenti produzioni con il gruppo STELLERRANTI, alchimia di suoni della vecchia Europa, e nuove produzioni anche rock, spesso in duo con personaggi clamorosi dell’epoca Indy, tipo Miro Sassolini dei Diaframma, o con chi vuole confrontarsi con il suo pubblico, di qualsiasi stile musicale, accompagnato dal pianista Sabbione!