È lo stato d’animo,
più d’ogni altra cosa, che fa la differenza. La risposta che la nostra
interiorità dà agli stimoli esterni, creando turbinii di sensazioni che
sublimano il nostro essere, rendendolo magnificamente imperfetto ed incostante.
La volubilità dell’essere umano è cosa nota, piccole ed inconsistenti nuvole in
una giornata dominata dai venti. Sarcofagi epidermici di sentimenti viscerali
alla mercé di spazio e tempo. Vulnerabili a immagini, odori, colori, parole,
sfumature, sviste, contatti, suoni. Vulnerabili a tutto ciò che facilmente
penetra l’artefatta corazza di cui sembriamo essere rivestiti. L’uomo si nutre
delle sue sensazioni, che scaturiscono da altre sensazioni di esseri umani
capaci di plasmare, capaci di esprimere l’irrazionale che hanno dentro. Poeti,
scrittori, scultori, pittori, musicisti, artisti. L’evoluzione dell’uomo è
l’evoluzione dei suoi sentimenti e la sensibilità degli artisti il suo
fertilizzante. Mi sono un po’ perso nei casini della mia mente, d’altra parte
sono un essere umano, magnificamente imperfetto ed incostante. Facciamo ordine.
Gli ingredienti erano: stati d’animo, sensazioni, volubilità, vulnerabilità, evoluzione,
arte… ma certo! Ora ricordo! Gibonni! TOC TOC.
Busso prima di entrare e chiedo permesso. Con crescente reverenza mi accosto al
mondo di Gibonni, artista croato mio
coetaneo (è nato a Spalato il 13 agosto 1968) e capisco la mia premessa. Nasce
e vive in una terra che nel corso degli anni ne vede di tutti i colori, ma
resta fedele all’idea che la sua musica sia un mezzo per aiutare la gente a
capire e ad affrontare le difficoltà, ne intuisce gli stati d’animo, le
sensazioni, ne comprende la volubilità, difende la vulnerabilità delle persone
dovuta a quei momenti e ne aiuta l’evoluzione con la sua arte, con la sua
musica. Anche lui ha una sua evoluzione, che va dall’heavy metal degli esordi
con il gruppo Osmi Putnik (ovvero
l’Ottavo Passeggero, da titolo croato del film Alien), fino all’attuale rock popato (se esiste il termine jazzato, perché non dovrebbe esistere il
termine popato?) del suo ultimo album
20th Century Man.
Gibonni, alias
Zatlan Stipisic, abbandona la sua lingua natia per questo lavoro e sceglie
l’inglese, per respirare aria internazionale, per andare oltre la linea
d’orizzonte che il mare della sua Spalato disegna davanti ai suoi occhi.
Croazia e dintorni sono per lui terre conosciute, dove la sua fama è ormai
consolidata, per questo parte verso ovest, alla ricerca di nuovi mondi, come
Colombo, per questo l’inglese. E poi l’inglese è la musica del rock. La stessa rock è una parola inglese.
L’arabeggiante Hey Crow apre l’album
e mi regala subito una sensazione di Robert Plant e Jimmy Page in No Quarter,
salvo alternanze maggiormente melodiche. Hide
The Mirror è la prima di più di una ballata presenti nell’album, con la sua
giusta dose di pathos, che non può mancare in una ballata rock, dove pianoforte
e chitarre ne caratterizzano la linea sonora. Linea ripresa in Broken Finger, altra ballata dal gusto
dolce, profumata di tramonto sul mare. Nuvole magiche attraversano il cielo di My Cloud e disegnano emozioni sulla
pelle di chi ascolta. È una canzone che ti fa venire voglia di abbracciare
qualcuno, chiunque, il primo che incontri. Nella title track il rock ritrova i
suoi più caratteristici connotati. Marcature nette di chitarra, basso e
batteria personalizzate da aperture di fiati, un qualcosa che sa di Huey Lewis & The News, ma più piccante,
con tanto di lieve isterismo finale. E tra le ballate si può inserire anche Kids In Uniform, anche se
l’arrangiamento va oltre la ballata rock e in alcuni passaggi ha qualcosa di
acido, psichedelico, di progressivo, fino a sfociare nei cori dei Kids, che ne fanno un brano davvero sui
generis. In My Brother Cain, Gibonni spreme dal suo stomaco tutta
l’intensità di cui è capace, regalando all’ascoltatore un’interpretazione
davvero intensa, che fa il paio con la musica dai toni epici. E l’artista
continua a spremere sangue dal suo cuore con la successiva She Said, brano da cantare tutti insieme allo stadio, con gli
accendini accesi. Nothing Changes è
un’ulteriore conferma di quanto ascoltato fin ora. Emozioni e sensazioni forti,
sentimenti esposti che bruciano come ferite bagnate dall’alcool. Il rocker
croato ci saluta con il pezzo, a mio parere, più bello dell’album. Con Ain’t Bad Enough for R’n’R si ritorna
alla semplicità e all’allegria del rock’n’roll, alla sua immediatezza,
schiettezza, alla sua meraviglia pirotecnica. Si conclude ridendo insomma.
20th Century Man è un album con cui Gibonni vuole dare una svolta alla sua carriera, questo è evidente
e si avvale di collaborazioni importanti, come quella con Andy Wright, già
collaboratore di artisti del calibro di Simply Red, Eurythmics, Simple Minds, Pavarotti. L’album ha
connotati internazionali ed una maturità artistica spiccati, ma soprattutto si
sente la forza di un uomo del ventesimo secolo, legato alla genuinità della
vita reale, legato al quotidiano, ancora distante dal quel mondo freddo e
virtuale che il futuro sembra riservarci e che ha avuto la sua evoluzione di
uomo attraverso paura e tormento, gioia e serenità, attraverso la vita vissuta,
che ha voluto raccontare ed esprimere con la musica, con la sua musica, con la
musica più bella che c’è, con il rock.