Quando ho pubblicato il comunicato stampa relativo a “Nel mezzo”, il primo album di Mano Vega, non avevo ancora il CD.
Per farmi un idea del “contenuto” ho cercato in rete e ho scoperto che è sufficiente digitare “Mano Vega” su un qualsiasi motore di ricerca per avere decine di risultati, fatto non scontato trattandosi di un’opera prima.
Ne ho aperto uno a caso e ho letto, ma non ho capito molto.
Ho ritentato, ma il risultato non è cambiato.
Che cosa ci si aspetta da una recensione di un lavoro musicale? Direi … un orientamento, un ricondurre a qualcosa di conosciuto, un incasellamento in una delle tante e confortanti categorie note.
Niente di tutto questo. Niente che mi aiutasse a inquadrare il CD, anche se l’intervista compresa nel comunicato ci racconta molto di questo gruppo laziale, che compone, suona, si produce, si distribuisce e si pubblicizza, esempio di autosufficienza che indica forse la strada per il futuro di molti nuovi artisti:
E’ quindi con molta curiosità che ho ascoltato “Nel mezzo”, appena ne sono entrato in possesso.
Dal primo veloce ascolto sono scaturite alcune domande che si sono aggiunte ad altre che avevo già in serbo, e dopo un po’ di scrematura ne ho lasciate cinque, che propongo a seguire, con le conseguenti risposte del gruppo.
“Nel mezzo” è composto da 9 brani per un totale di 49 minuti.
Largo spazio ai testi, ai messaggi concreti. Ciò che per molti non ha estrema importanza( anche per me in alcuni casi), qui non può essere messo da parte perché Mano Vega non fa solo proposte strumentali, utilizzando parole come contorno o riempitivo, ma fornisce pensieri importanti che inducono a riflessioni.
Chi scrive, poesie o canzoni, può giocare a “nascondersi”, a dire e non dire, a essere trasparente o criptico, ed è estremamente difficile decodificare i pensieri in modo corretto.
Le affermazioni, considerazioni e immagini fornite da Mano Vega, sono in alcuni caso fin troppo … mature, arrivando a conclusioni che di solito richiedono anni di “dolori e sofferenze quotidiane”: “… e un agitarsi di acque sembra cospirare; agenti esterni possono colpire in ogni attimo…” ; “…in un giorno qualunque tutto può accadere, tutto può cadere giù ... può avverarsi il sogno di sempre o l’opposto..”(“ondanomala”).
Ma per fortuna possiamo dire: ”… infinitamente grazie Notte!”, perché “… è in quest’ora, quella più buia, che i pensieri si fanno alti e profondi..” (“dal Nero al Bianco”)
La voce di Valerio D’Anna è uno strumento in più che sembra cercare nuovi modi di espressione, oltrepassando le facili convenzioni canore, ricordando gli esperimenti vocali e tecnici di Bernardo Lanzetti (Glovox).
“Nel Mezzo” ha avuto lunga gestazione, 6 anni, immenso periodo per un album. Grande periodo per qualsiasi progetto.
Se da un lato si può pensare a “lavori a rilento” dovuti alla creazione della Domus Vega( la loro etichetta discografica), o a precise volontà, o ancora a eventi personali, dall’altro lato, un ascolto mediamente esperto fa emergere un’attenzione e una cura dei particolari che solo certa musica propone e solo veri musicisti sanno realizzare.
Alla base c’è tanta sperimentazione e utilizzo di “nuove tecnologie”, compreso il Theremin, che nuovo non è, essendo il più antico strumento elettronico (quasi 100 anni), ma non è così frequente l’utilizzo nella “nostra” musica.
Devo dire che ho trovato l’insieme assolutamente nuovo rispetto alle mie conoscenze e ai miei normali ascolti, e l’impatto ha richiesto alcune repliche.
Certe atmosfere armoniche “Dark” (in questo caso escludo i testi e considero la voce puro strumento) mi hanno ricordato Bartoccetti/Antonius Rex, ma non le ho trovate comune denominatore comune dell’intero lavoro. A queste infatti si alternano momenti di “atmosfera” quasi sognante, e furiose fughe con riff ossessivi molto metal.
Immagino che tutti gli accostamenti a musicisti o a brani del passato possano risultare fastidiosi, ma certe "immagini" aiutano il lettore (un minimo) a inquadrare la tipologia musicale. Un frammento che ho captato, ad esempio, mi ha riportato ai King Crimson e al loro “Lark’s Tongue in Aspic”.
“Nel Mezzo” mi appare come una miscela riuscita di tecnologia, melodia, tempi dispari e … puro rock, un album duro da assimilare dopo l’impatto iniziale, ma facile alla penetrazione profonda dopo maggiore frequentazione.
Tra le tante etichette lette, non riesco a sceglierne una che mi convinca … a me piace catalogarlo come un “disco” diverso, originale, curato nei dettagli: insomma un disco di buon rock, come si diceva un tempo.
Tra le domande a seguire una è dedicata alla riproposizione dal vivo: davvero interessante verificare se il set up preparato per la versione live funziona davvero!
INTERVISTA
Il vostro sogno di essere un giorno su un palco, di registrare musica propria, ha avuto come percorso parallelo la creazione di un’etichetta discografica, la Domus Vega. E’ questa l’evoluzione della musica di qualità? Per dare la corretta collocazione al proprio lavoro occorre preoccuparsi in prima persona di ogni aspetto, dalla promozione, al marketing, alla diffusione? Credo che sia piuttosto un passaggio obbligato dei nostri tempi. Con tutti i pro e i contro del caso. La nostra esperienza ci ha portato a realizzare che una volta ultimato "nel Mezzo", sarebbe stato ulteriormente duro ed estenuante riuscire a trovare un'etichetta che potesse pubblicarci il lavoro. Le uniche che probabilmente avrebbero dimostrato interesse in modo repentino sarebbero state nella migliore delle ipotesi le piccole realtà, che avrebbero potuto offrirci né più e né meno quello che siamo in grado di fare da soli e sicuramente con più tenacia perché più motivati. Nella peggiore delle ipotesi invece, c'è il rischio di incappare in quelle etichette che tentano di sopravvivere spillando denaro ai gruppi emergenti, facendo leva sull'entusiasmo di questi ultimi e promettendo cose impossibili.
Promuovere e veicolare la propria musica nel migliore dei modi oggi è fondamentale. Altrimenti, anche con dell'ottimo materiale fra le mani, c'è il rischio di farlo restare lì. In principio l'obiettivo è stato quello di fare un disco nel modo in cui volevamo noi, senza alcun tipo di limite in ambito di scelte di produzione, per questo abbiamo creato il nostro studio. Ora il fine è quello di fare ascoltare questo album e i prossimi che usciranno con nuovi artisti, a più persone possibile, monitorando le nostre creazioni passo per passo. Ed ecco Domus Vega.
Ascoltando “Nel mezzo”, mi sono fatto l’idea che la riproposizione dal vivo non sia un fatto automatico, che certe atmosfere e alcuni passaggi “roventi” siano difficilmente ricreabili con la stessa efficacia di uno studio di registrazione. Sono lontano dalla verità? Il rischio che spesso si corre quando si ha a disposizione un computer per produrre musica, è proprio quello di non pensare preventivamente all'esecuzione dal vivo. Noi questo lo sapevamo bene e così ogni singolo passaggio di "nel Mezzo" è stato arrangiato per essere riprodotto fedelmente nelle performance live. Ogni tipo di suono è stato creato sui processori di effetti e non in post produzione. Quindi in concerto abbiamo lo stesso "arsenale" sonoro dell'album. Non c'è niente di più emozionante che suonare dal vivo e quindi abbiamo sempre tenuto ben presente quest'aspetto mentre producevamo "nel Mezzo". Come dici, il passaggio dal disco al concerto non è automatico, infatti stiamo lavorando tantissimo sul sound, cosa che nella nostra musica ha un ruolo fondamentale e risulta sicuramente più difficile da gestire. Quando suoniamo è bello sentire che ci sono piccole sfumature diverse rispetto alle tracce del disco, specie nelle parti più soffuse. Il tutto risulta ancora più intimo. Quello che invece sicuramente non manca in sala prove è la vena "rovente"... Veniamo tutti e quattro dal Rock. Non possiamo farci niente.
Nel momento in cui si viene allo scoperto con un lavoro nuovo, probabilmente si hanno già altre idee e altro materiale a disposizione. Non chiedo di un disco futuro, ma se immaginate la vostra evoluzione musicale, in che direzione la vedete … utilizzo di nuovi strumenti, di nuove tecniche, di nuove sonorità?
Qualche idea già l'abbiamo ma è decisamente presto per parlarne. Sicuramente, piuttosto che l'utilizzo di nuovi strumenti, abbiamo la propensione a cercare nuove sonorità modulando i nostri, caratteristica questa già ampiamente marcata su "nel Mezzo". Ci sono tanti punti dell'album in cui specialmente basso e chitarra suonano in modo del tutto non convenzionale, cosa che con l'ascolto del disco difficilmente si potrà cogliere, ma verrà svelata dal vivo.
Del mondo dell'Elettronica ci ha colpito il fascino del sound design. Trasformare di volta in volta i suoni dei nostri strumenti grazie all'utilizzo dei processori di effetti e sfruttare al massimo il programming per creare sequenze dal sound unico. Siamo aperti anche all'impiego di nuove tecniche purché abbiano una loro funzionalità concreta e non certo dimostrativa.
Ho un fresco ricordo di un John Mayall che al termine del bis si precipita al banchetto del le sue vendite per gestirlo in prima persona, a contatto con la gente. Rifacendomi alle mie ultime esperienze, mi sono convinto che una grande differenza rispetto ai concerti degli anni 70 è che il musicista è ora avvicinabile, contattabile e non solo un mito da copertina del vinile. La gente ama il contatto con l’artista, che non sempre ricambia. Che cosa provate nei confronti del vostro pubblico e come vi proponete, o come vorreste proporvi, al di là della musica, prima e dopo le performance? La riflessione che hai fatto è sicuramente verissima, e anche questo cambiamento nei rapporti fra artista e pubblico è figlio dei nostri tempi. Credo che fino ad un certo punto è fantastico essere a contatto diretto con il pubblico. Niente ti ripaga di più di tutto il lavoro fatto. Sentire i commenti, vedere la gente sinceramente emozionata... Credo che l'animale "artista" si nutra di queste cose. Non mi sento però di giudicare chi, specialmente ai livelli più alti dello show business, a fine concerto, dopo trenta date di fila in giro per il mondo, non ha voglia di vedere nessuno. Questo non vuol dire non apprezzare il proprio pubblico. Sanno perfettamente che quello che sono diventati lo devono a tutti i loro fans. Ognuno fa come vuole. Io da spettatore non mi curo di queste cose e al termine di un concerto, se la musica mi ha toccato e la performance è stata coinvolgente, non sto di certo a badare all'atteggiamento dell'artista. Per quanto riguarda i Mano-Vega invece, a fine concerto li troverete sicuramente dietro al banchetto dei dischi. Curiosi.
Qual è la vera alchimia che unisce Mano Vega? Hai usato un termine interessante. Per alcuni, l'alchimia è l'arte che si ripropone di liberare l'energia dalla materia, purificarla e rimprimerla nel mondo sensibile in una nuova cristallizzazione, in una nuova forma. Trasformare il metallo vile e corrotto in oro, trasposto sul piano artistico, vuol dire riuscire a creare qualcosa che abbia un potere di fascinazione altissimo, anche partendo dalle esperienze più scure, dalle sensazioni più cupe. Ciò che veramente unisce i Mano-Vega è l'obiettivo comune di riproporre questa metafora in musica.
Per saperne di più.
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