mercoledì 7 aprile 2010

Incontro con Ciro Perrino

Ho conosciuto casualmente Ciro Perrino.
Prima una sua mail, poi una telefonata, alla ricerca di qualche mio aiuto nella ricerca di informazioni utili alla ricostruzione di un antico festival di inizio anni settanta.
Non ho potuto fare moltissimo, ma abbiamo coltivato un rapporto "telefonicoepistolare" che mi ha condotto a porre alcune domande.
L'intervista è apparsa sull'ultimo numero di "contrAPPUNTI", periodico di musica prog legato al CSPI, e la ripropongo integralmente su questo blog.

L'ultima fatica di Ciro è "Il Cofanetto", un box di 4 cd che, oltre a contenere l'opera omnia dei Celeste, ha un prima e un dopo. Chi conosce la storia di Ciro Perrino sa che il "prima2 si chiama Sistema, e il "dopo" Saint Tropez. Inoltre bonus track, materiali inediti nonché un volume ricco di storia e fotografia.(contrAPPUNTI)

L'INTERVISTA


La nostra conoscenza, legata al caso, ha come denominatore comune la riscoperta diuna fetta di passato musicale, priva di documentazione. Per persone come te, che vivono la musica al presente con lo sguardo al futuro, che significato ha ricercare tracce della propria “nascita”? C’è qualcosa di terapeutico in tutto questo, è una necessità professionale, o è solo il piacere di rivivere momenti indelebili? 

Non amo particolarmente vivere nel passato e del passato. Sono molto attento però ai movimenti, all’effetto spirale che ci accompagna durante tutta la nostra esistenza, ai corsi ed ai ricorsi, al ritorno di alcuni pianeti lenti, come Saturno, che ci invita, grosso modo per tre o, per i più longevi di noi, quattro volte nell’arco della nostra vita, a rivivere chiaramente con intensità differenti, momenti, passaggi, come per voler essere ben certi di avere imparato una lezione. Quindi sono d’accordo con l’effetto terapeutico di queste rivisitazioni del nostro vissuto e quando tutto ciò avviene alla presenza della musica, che io considero la più alta forma di guarigione per la nostra anima, ritengo che il risultato sia garantito.

Andando a scavare nel passato, ho notato come il tuo nome evochi d’istinto forte ammirazione in chiunque. Eppure, emerge dalla biografia come il tuo lavoro, agli albori del prog, abbia avuto grande considerazione a posteriori, come accade per molti grandi artisti, in tutti i campi. Cosa ti ha impedito, negli anni 70, di arrivare a quella visibilità globale, raggiunta da chi aveva magari minore qualità espressiva? E’ stato il frutto di scelte consapevoli o i soliti giochi legati al business? 

Direi che non sia possibile trovare una spiegazione logica a tutto questo. Non direi neppure che sia o una cosa o l’altra, bensì magari una cosa e l’altra. Oppure meglio ancora, nulla di tutto ciò. Penso che vi sia un tempo per ogni situazione e per ogni accadimento che ci riguarda. Siamo immersi in un flusso eterno e tutti percorriamo le stesse strade o meglio la stessa corrente dello stesso corso d’acqua. Ognuno ha un punto dove approdare e non sempre siamo in grado di stabilire noi quale sia il momento più giusto per fermarsi e proseguire magari il nostro percorso sulla terraferma. Il ritorno alla sorgente è comunque l’unico e vero scopo della nostra esistenza. Per cui posso dirti che non mi rammarico di nulla. Nei lunghi anni che ho vissuto fino ad ora nell’universo della musica, ho operato delle scelte. Ho avuto molte occasioni per diventare, per così dire, famoso. Pucci Cochis, batterista dei J.E.T., mi offrì l’opportunità di diventare il batterista di un nuovo gruppo che andava formandosi, ma io sapevo che la mia strada era diversa. Il gruppo erano i Matia Bazar, ma io ero al momento troppo impegnato nel mio nuovo progetto con Celeste ed il mio proposito non era certo quello di restare batterista per tutta la vita. Come spesso mi trovo ad affermare a me interessa la musica, non sono attratto dalle canzoni o dalle canzonette. Peraltro rispettando tantissimo chi riesce a scrivere belle canzoni. Per cui nessuna colpa né del mondo del business né di eventuali terzi, semplicemente ho sempre seguito la voce del mio cuore e cercato di perseguire la mia gioia e la mia pace interiore.

Mi hai raccontato del tuo amore iniziale per certa musica “dura”, del tuo “passare mesi” a ripetere i passaggi di Mitch Mitchell, ascoltando Hendrix. Come e quando è avvenuto il cambio di percorso, da batterista rock e poi prog, sino al tastierista e sperimentatore classico che sei diventato?

 Il cambio è avvenuto nel momento di passaggio dall’esperienza con Il Sistema a quella con Celeste. Ho sentito l’esigenza di iniziare ad approfondire, pur restando un percussionista, e di sapere molto di più riguardo alla lettura, allo studio di altri strumenti. Già nel periodo con il Sistema ero arrivato ad un passo dal diplomarmi in flauto traverso. In seguito avevo anche dedicato un anno e mezzo allo studio dell’oboe, uno dei miei strumenti preferiti. Da quel momento lì in poi sentii forte l’esigenza di saperne di più sullo studio del pianoforte, non tanto per divenire un buon pianista bensì per avere coscienza sempre maggiore delle possibilità espressive dello strumento e per acquisire sufficiente padronanza nella scrittura. Scrittura che comunque era di là da venire e dal manifestarsi. I miei processi di integrazione sono sempre molto lenti. Fino ai miei ultimi approcci con le lezioni di direzione d’orchestra, finalizzate però nel mio caso, al poter dirigere i musicisti che interpretano i miei brani durante i concerti. Non certo per divenire un padrone del podio ed affrontare autori classici o quant’altro. Non è la mia storia.

Tra le tante etichette che si possono attribuire alla tua musica attuale, il primo aggettivo  che mi viene in mente è “colta”. Nel mio concetto di “musica- cultura”, inserisco tutto ciò che non è di semplice composizione, realizzazione e ascolto, ma è frutto di studio, applicazione, ricerca e coraggio. La musica prog in senso lato, è per me musica colta.Questo significa però creare prodotti di nicchia, e per chi vuole vivere di musicanascono problemi di tipo pratico, legati alla poca visibilità e alle scarse vendite.Qual è la tua “tavola dei principi fondamentali” che consegneresti a un giovane fortemente motivato a seguire la via della musica di qualità, e non i festival di Sanremo? 

Molto semplicemente consiglierei a questo ipotetico giovane di non trascurare lo studio di uno strumento dal quale si senta attirato in modo speciale. Lo aiuterà ad esprimere la parte più profonda della sua anima. In seguito curare anche lo studio del pianoforte che lo aiuterà, in caso di interesse verso la composizione, di essere in grado di padroneggiare la varia tavolozza dei colori che potrà avere a disposizione.

Rileggendo le tue note relative a ”L’isola”, si apprende come ad un certo punto sia natal’esigenza di rivedere il lavoro in chiave più “terrena”. Riprendere in mano qualcosa di già concluso e soddisfacente, musicale o letterario,deve avere forti motivazioni che esulano dall’aspetto tecnico, ma sconfinano nel trascendente. E’ una chiave di lettura sbagliata la mia? 

Assolutamente corretta la tua osservazione. Ritengo che una qualsiasi opera dell’ingegno e della creatività non sia mai conclusa. Sono certo che nessun autore o compositore o scrittore sia totalmente soddisfatto di una sua creatura. Semplicemente ad un certo momento bisogna stabilire che è finita, che ha assunto la forma definitiva. Ma spesso si vorrebbe rimettervi mano. In fondo l’apporto stesso di chi ascolta un brano musicale o si pone alla contemplazione di una qualsiasi opera d’arte od alla lettura di un libro o di una poesia, ne modifica con la propria sensibilità sia la sostanza che la forma.

La musica che ci circonda nel quotidiano è quasi sempre accompagnata da un testo. Io, salvo rari casi, non ho mai attribuito particolare importanza ai messaggi “sonori”, e non credo sia un caso se, sin dall’adolescenza, ci siamo innamorati di musica di cui non capivamo una parola. Riesci a spiegare l’iter compositivo che scaturisce dalla contemplazione paradisiaca della natura, o dalla necessità di raccontare un particolare stato d’animo o sentimento, senza utilizzare le parole? 

Sono solito fare una distinzione, che spesso mi procura critiche e che, mi rendo conto, può apparire poco simpatica. Amo separare la definizione di musica da quella più generica di canzone. La musica è per me la musica strumentale, quella che non ha bisogno di parole per esprimere sé stessa ed i suoi contenuti. La musica intesa appunto come strumentale lascia l’ascoltatore completamente libero di interpretare e divenire così co-creatore e ri-creatore, secondo la sua sensibilità. La musica a sua volta nasce ad imitazione della natura, lo diceva anche il caro Lucio Antonio Vivaldi, per cui è il suono della natura che costituisce il vero fondamento della nostra ispirazione. A proposito di quanto sia evocativa la musica intesa come musica strumentale e di come ognuno sia libero di interpretare secondo il proprio sentire ed il proprio cuore ti riporto questo piccolo episodio che è particolarmente indicativo di questo processo. Anni fa, ma poi l’ho ripetuto in altre occasioni, ho chiesto ad alcune persone di ascoltare lo stesso brano di un mio album. In questo caso si trattava di “El Mundo Perdido” tratto da Far East. Avrebbero dovuto poi riportarmi le loro impressioni sia emozionali che eventualmente “visive”. Fui molto colpito dal fatto che due persone in particolare mi riferirono di avere avvertito due sensazioni diametralmente opposte. Una aveva vissuto l’ascolto come l’essere presente sulla sommità di una montagna altissima, innevata carica di silenzio con un profondo senso dell’infinito. L’altra, viceversa, disse di avere avuto la percezione di trovarsi nelle profondità di un vasto oceano. Questo la dice lunga sulle possibilità che le nostre capacità interpretative, filtrate dalla nostra sensibilità, hanno nel saper creare e vivere differenti emozioni.

Un amico musicista, mi diceva proprio ieri, con confortante certezza, di come chiunque possa prendere uno strumento in mano e, con passione e sacrificio, riesca ad arrivare a esprimere cose positive. La creazione della musica è davvero alla portata di tutti? 

Anche questa è la mia opinione. Qualsiasi creatura che decide di tornare a vivere sul nostro meraviglioso Pianeta, arriva già cosciente delle sue possibilità. E queste possibilità sono infinite per chiunque. Sta a noi operare delle scelte, ma dentro di noi sono presenti tutte le memorie, per così dire, per poter suonare, cantare, scrivere musica. L’apprendimento e la pratica musicale non sono altro che un processo di attivazione del ricordo. Noi arriviamo e siamo già pronti. Chiunque può essere Beethoven: deve solo avere il desiderio di divenirlo.

Sei alla ricerca di materiale legato a quel festival di Loano, dove arrivasti primo colgruppo “Il Sistema”. Al di là della documentazione esistente, quali sono i tuoi ricordi di quei giorni? 

Quello fu davvero un periodo esaltante. Nessuno di noi aveva la piena coscienza della portata di ciò che andava delineandosi sotto i nostri occhi. Tutto era un fermento creativo. Non vi erano limiti a ciò che si poteva concepire.

Mi racconti di una tua collaborazione internazionale che ti ha particolarmente gratificato? 

Qui devo purtroppo deluderti. Potrei mentirti raccontandoti chissà quale meravigliosa, ma fantasiosa avventura o collaborazione. Pur avendo suonato con moltissimi musicisti, questi sono quasi tutti italiani.Posso solo dirti che per qualche settimana nel 1970, se non vado errato, quando militavo nel Sistema, dividemmo lo stesso palco in un locale di Sanremo che si chiamava Galassia con un gruppo inglese il cui nome era Pawn Shop. Fin qui nulla di speciale. Il fatto è che il batterista era un diciottenne che si chiamava Bill Bruford. Ma non possiamo certo parlare di collaborazione.

Mi hai anticipato qualcosa a proposito dei tuoi progetti. Cosa puoi dire ufficialmente dell’imminente futuro di Ciro Perrino? 

Posso dirti che ho già da tempo ultimato la composizione di quello che sarà il mio prossimo progetto. Non si discosterà di molto dalle atmosfere dell’ultima versione de “L’isola”. Ho ampliato l’organico in quanto il duo costituito da violoncello e contrabbasso è ora divenuto un quintetto di archi a tutti gli effetti, e la varietà timbrica ed espressiva del quintetto di fiati ora si è arricchita con la presenza, seppur in pochi episodi, di una tromba e di un trombone. Sono ritornato alla formula che tanto amo della scrittura di piccole suite dal sapore sinfonico, alternata a brevi momenti dove tutto pare calmarsi e ridimensionarsi. Inoltre coltivo da anni l’idea di poter un giorno pubblicare un album di solo pianoforte. Ho una forte resistenza ad ammettere con me stesso che il lavoro di composizione è finito. Ma vorrei che l’impatto, prima di tutto su di me e poi in chi si troverà ad ascoltare, sia solamente di natura emozionale e non di valutazione tecnica, sulla bontà o meno dell’esecuzione o validità dei contenuti.


Biografia

Ciro Perrino è nato a Sanremo dove inizia la sua formazione musicale e l'attività come batterista e percussionista. Nel 1970 è membro della band progressive IL SISTEMA, uno dei gruppi più importanti in Italia per il loro lavoro nella ricerca musicale per un sintesi tra varie forme espressive, che vanno dal rock alla musica raffinata. Inizia a studiare pianoforte, oboe, flauto e suonare le tastiere elettroniche compresi i mellotron gloriosa.
Nel 1972 fonda Perrino CELESTE, giocando una gran parte acustico, delicato e sognante musica progressive con testi pastorale e uno stile non lontano dalla parte più morbida dei primi King Crimson per l'uso del mellotron. Il loro album PRINCIPE DI UN GIORNO (Principe per un giorno) registrati nel 1974, ma non pubblicate fino al 1976, rappresenta uno dei più ricercati dai collezionisti di dischi vinili, nonché una base fondamentale di ispirazione per tutti quei musicisti della nuova generazione interessato alla musica sinfonica. Perrino continua la sua carriera artistica attraverso la sua intensa attività, che lo porta alla sperimentazione di nuove forme di musica connessi all'utilizzo di strumenti elettronici giocare con St.Tropez, COMPAGNIA DIGITALE e SNC. Nel 1980 il SOLARE album viene pubblicato. Questo album strumentale si compone di otto pezzi musicali, ciascuno dedicato ad uno dei pianeti del nostro sistema solare, in uno stile non lontano da quello che Jean Michel Jarre sta facendo in quel momento con il suo famoso Oxygene. Dopo un periodo di dieci anni torna sul Perrino scena musicale con il suo nuovo album in Estremo Oriente. I brani di questo album, ispirato dalla sua concentrazione sul Buddismo in suo patrimonio culturale e religioso contesti più ampi, a raggiungere un elevato livello di suggestivamente anche per l'uso creativo di strumenti elettronici. Giardino interno segue nel 1992 e Perrino trova here fonti d'ispirazione da scrittori contemporanei come pure i ricordi dalla musica italiana del XVII secolo. L'album è accolto favorevolmente dal pubblico e dalla critica in tutta Europa, dove è distribuito in quasi tutti i paesi membri, nonché negli Stati Uniti e in Giappone. Alla fine del 1994, il MOON nuovo album in acqua è uscita, un ulteriore passo avanti verso l'obiettivo finale del suo autore: la sintesi tra musica classica e forme della musica moderna. Per la musica Perrino ha il ruolo di essere un tramite, un ponte tra gli elementi dell'essere umano in senso ontologico, e il suo lato divino e spirituale. La musica è sempre in grado di elevare, a svegliarsi, di esaltare e di calmare le anime degli esseri umani, portando loro un senso di pace e di profondo benessere, per la musica è un mezzo di comunicazione con il divino. La musica strumentale, in tutti i suoi album, ma in particolare in Moon In acqua, si trova in una posizione privilegiata per quanto riguarda la parte spirituale degli uomini che è praticamente espressione diretta. All'inizio del 1998, De Rerum Natura viene fuori. Un lavoro di grande spessore, sia dal artistico / punto di vista tecnico e per il suo impatto emotivo importante. Perrino Le composizioni per pianoforte si distinguono per la loro sensibilità e la passione; e delicato pezzi da sogno che lasciano l'ascoltatore con un senso soddisfatto di calma e benessere. Dopo una pausa di quattro anni, da una visita ad una piccola isola vicino le grandi città del Lombardia al nord Italia, Perrino è profondamente colpita da un percorso strano che circonda le mura di un monastero di Isola S. Giulio. E dato che (citando il compositore) "La musica ricorda i suoi paesaggi e io, come sempre, diventano il mezzo, dopo tutta la musica che esisteva già ...- ho lavorato sul layout di venti piccoli eventi musicali che io amo definire la paesaggi dell'anima ... " ogni epigramma diventa quindi una composizione, per un totale di una ventina di pezzi che, con la disposizione orchestra sinfonica, è uscito nel 2002 per l'album L'isola, un nuovo capitolo nella storia segreta di una delle poche oasi di riflessione e di austerità a sinistra in una delle zone più stressante d'Italia. L'album è pubblicato anche con un diverso artwork totalmente da un'etichetta inglese, che distribuisce anche negli Stati Uniti ei paesi dell'Estremo Oriente. Inizialmente la scelta di una orchestra sinfonica si rivela perfetto per utilizzare tutti i colori della tavolozza timbrica che solo una disposizione classica può fornire: intere sezioni di archi e strumenti a fiato, la presenza di un soprano e un contralto per interpretare alcuni dei temi vocali appropriate, con una imposizione a metà strada classica e moderna. Anche se Perrino è pienamente soddisfatto del risultato finale, comincia lentamente a formare l'idea e il desiderio di rileggere il brano in un altro tasto. Sempre per citare l'autore "Ho scoperto che la cosa mi mancava di più era un tocco terrena, quasi come se la" carnalità "della musica mancava - che è uno degli elementi importanti necessarie per esprimere noi stessi. Ho eseguito innumerevoli esperimenti e, infine, giunta alla conclusione che, eliminando la maggior parte della sezione d'archi mantenendo solo il violoncello e il doppio contrabbasso, rafforzando il lato percussione e ad esplorare i ritmi inespresse della prima versione e, infine, aumentare la presenza di la voce umana nel display melodico , l'intera isola sarebbe stata riportata a terra, quindi togliere dal cielo abbraccio ". Ed ecco che nel 2006 la pubblicazione di questa nuova versione di L'ISOLA. Un album che mantiene non solo il titolo, ma anche le composizioni di quello precedente, ma in un certo modo, include l'altra metà del cielo: il primo album con la sua visione eterea e la seconda versione con la sua visione più earthly. Le melodie riscoprire la loro essenzialità delle prestazioni del musicista ensemble di dodici e diventare ancor più "centrata", grazie alla presenza della sezione di percussioni, una forza trainante nella concezione e sviluppo dei pezzi. In questa versione è molto più facile sentire l'eco dei compositori amati da Perrino, dalla musica medievale al barocco, dal romanticismo russo agli scrittori moderni.