giovedì 21 maggio 2009

Paolo Bonfanti




Ho visto suonare per la prima volta dal vivo Paolo Bonfanti a Varazze, il 2 maggio scorso:




Nella speciale occasione avevo davanti a me il duo BonfantiTreves e il risultato finale, in termini di qualità e partecipazione, è stato notevole.


A questo proposito Paolo precisa:


"... lo spettacolo che hai visto a Varazze non è esattamente quello che ora porto in giro con la mia band o come solista; con Treves il repertorio è giocoforza improntato su brani non originali, mentre quando suono a mio nome, la quasi totalità dei pezzi è di mia composizione (ultimamente con brani anche in italiano e dialetto genovese)".



Ok, partiamo con qualche domanda.


Le persone presenti in piazza Beato Jacopo, a Varazze, non erano di passaggio dopo una mattinata di sole e spiaggia. Ho l’impressione che il blues, genere di nicchia e d’importazione, stia vivendo una stagione felice, fatta di pubblico nuovo e di riscoperte.Cosa pensi in proposito?


Ricomincio a vedere un po’ di gente intorno ai 20 anni ai concerti ma, nonostante ciò, penso che il Blues in Italia resti una musica di nicchia; per i musicisti italiani ed anche europei ed americani è comunque un momento di crisi. A questo si aggiunga il fatto che il Blues è una musica che in linea di massima ha detto tutto. E’ difficile sentire qualcosa di “nuovo” nel Blues.


Ho avuto la fortuna di vedere bluesman esibirsi nel cuore dell’America , ma trovo che i musicisti italiani che conosco non abbiano minor qualità.


Dal punto di vista tecnico/strumentale ci sono fior fiore di musicisti qui in Italia; il problema è semmai più di vocalità e di esatta pronuncia dell’ American English (specialmente il “gergo” Blues).


Dove sta la differenza? Perché spesso il “nostro” blues è visto con diffidenza “là, dove tutto è nato”? E’ la sofferenza l’elemento che fa la differenza?


Secondo me a monte di tutto c’è il problema che esiste, diciamo così, un’ “estetica” blues che vuole che il solista/gruppo sia il più fedele possibile all’/agli originale/i; in questo modo si crea una sorta di “tribute band” blues con musicisti che si vestono allo stesso modo degli americani, usano gli stessi “trucchetti” per coinvolgere il pubblico, etc. etc. La cosa, a mio modestissimo parere, sebbene in qualche modo tenga vivo il genere (se ben suonato) allo stesso modo lo fa rimanere dov’è, non lo fa crescere; ma questa è una cosa che succede anche negli USA, non solo da noi, e succede anche nel rock, p.es.
Ti riporto una frase di un gruppo, i Sonic Youth, che non c’entrano nulla col Blues ma che in qualche maniera hanno capito il problema: “se vuoi fare un tributo, per esempio, a Jimi Hendrix, invece di cercare di rifare i suoi pezzi identici, devi cercare di essere rivoluzionario in campo musicale come lo è stato lui, se ci riesci…questo è il vero atteggiamento da seguire…


C’è fame di musica e c’è ovunque voglia di suonare, ma mancano gli spazi. Generalizzando, direi che difficilmente i gestori delle miriadi di comuni, depositari del “nostro” denaro, azzardano nel proporre musica che non abbia certezza di gradimento. Come è possibile rendere reale una giornata come quella che il Raindogs ha realizzato a Varazze?


Tanti amministratori (di qualunque colore politico,  purtroppo) spesso sanno poco o nulla di musica o arte; ecco perché a volte bisogna avere la testa dura come gli organizzatori di Varazze ed insistere. Quando poi vedono i risultati allora si convincono!





Sabato sembrava di essere a un banchetto self service, con la possibilità di mettere le mani ovunque, ma perdendo qualche “piatto”, per l’enorme proposta. Ho perso molto. .
Qual è l’artista che secondo te avrei dovuto assolutamente vedere, chi mi consigli di approfondire?



Tra gli italiani Mauro Ferrarese, il nostro miglior bluesman acustico; tra gli stranieri non ho dubbi: 9 Below 0! Sono stati grandiosi! E poi con loro c’era anche il bassista di Rory GallagherGerry McAvoy!



Passando in Beale Street si ha la possibilità di vedere lo stesso chitarrista itinerante , che nello spazio di 2 ore si trova su tre palchi diversi. Avremmo potuto vedere la stessa cosa a Varazze? C’è questo tipo di solidarietà tra voi musicisti di blues?


Non credo proprio ci sarebbero problemi se si decidesse di organizzare la cosa in quel modo.



Mi ha colpito una frase di Fabrizio Poggi che evidenziava come nelle rappresentazioni blues la differenza tra musicista e spettatore è solo nella posizione, uno di fronte all’altro. Nel bis dei Nine Belowe Zero alcuni spettatori sono saliti sul palco e hanno partecipato attivamente. Un musicista ha sempre bisogno del contatto diretto col pubblico?

Nel Blues la distanza/l’approccio tra musicista e pubblico è ovviamente differente da quello che si vede, per esempio, nella musica “classica”, dove l’ascolto, come si suol dire, è “alienato”, nel senso che c’è un rapporto preciso di “alterità” tra esecutore e pubblico; nel Blues (e nei suoi derivati) è ancora presente una forma “rituale” di presenza al concerto che in qualche modo è divenuta anch’essa uno “stilema comportamentale”;



Come si fa a vivere di musica? Visto che il talento e la preparazione non bastano, serve fortuna ? Saper accettare qualche compromesso? Cos’altro?



Per vivere di musica in generale bisogna adattarsi a situazioni che molte volte “pagano” poco dal punto di vista artistico; io ho deciso di continuare a suonare quello che più mi piaceva; quando ho iniziato (nel 1985) e fino a metà anni ’90 si poteva pensare di intraprendere una carriera musicale non suonando pop o roba da classifica; adesso è davvero improponibile, purtroppo.



Cosa significa per un uomo che decide di intraprendere la via del blues, nascere a Genova, patria di una miriade di gruppi prog, ma soprattutto di una scuola di cantautori importantissimi?


Genova è una città con due anime: l’anima cantautorale, che è figlia indiretta dell’atmosfera “mediterranea/marina” di questa città e l’anima rock, che è discendente dell’ aspetto “industriale”; io sono vissuto e cresciuto a Sampierdarena; tra questo quartiere e, per esempio, Nervi c’è la stessa differenza che c’è tra S. Francisco e Chicago! Il mio è sempre stato un quartiere di grandi fabbriche che ha vissuto in primo piano la crisi; era quasi ovvio (forse) che scegliessi di suonare il Blues!



Mi racconti una tua esperienza da lasciare il segno, sulla via del blues?


Il concerto di due estati fa al Nuvolari di Cuneo con Roy Rogers: probabilmente il migliore della mia vita!



Un ultima cosa.Quali progetti hai per futuro?



Da poco tempo ho una nuova band: un contrabbassista, un fisarmonicista e poi batteria ed il sottoscritto; l’ultimo album, “Canzoni di Schiena”, è tutto cantato in italiano e dialetto genovese. Vedremo come e se funzionerà



Dal sito ufficiale di Paolo Bonfanti:


Genovese, classe 1960, ha iniziato a suonare la chitarra nel 1975 con alle spalle studi di teoria musicale, armonia e pianoforte. Nei primi anni ’80 si è perfezionato con Armando Corsi e Beppe Gambetta. Nell’estate 1986 ha seguito un corso al Berklee College of Music di Boston. È laureato al D.A.M.S. di Bologna con una tesi sul Blues.
Dal 1985 al 1990 è stato il front man di uno dei gruppi più importanti della scena rock-blues italiana, Big Fat Mama, con cui ha inciso tre LPs (l’ultimo un doppio dal vivo), ha suonato nei principali clubs della penisola e nelle più importanti manifestazioni musicali.

Con alcune leggende del British Blues, come il saxofonista Dick Heckstall-Smith (Colosseum, Alexis Korner, John Mayall), il batterista Mickey Waller (Jeff Beck, Ron Wood, Rod Stewart) ed il bassista Bob Brunning (Savoy Brown) ha formato il gruppo Downtown con il quale si è esibito in Italia ed all’estero.
Ha suonato con Fabio Treves e la sua band, con Red Wine, uno dei più importanti gruppi bluegrass europei, con i quali ha collaborato anche in disco ed ha effettuato un tour negli U.S.A. nel 2002, con Beppe Gambetta (tournée europea nell’estate 1992 con Gene Parsons, ex Byrds). A ciò si sono affiancate un’intensa attività didattica, alcuni articoli e trascrizioni per riviste specializzate, la pubblicazione per la Bèrben di Ancona di un metodo per chitarra country-rock scritto a quattro mani con Beppe Gambetta e vari lavori di produzione artistica (Fabio Treves, La Rosa Tatuata). Del marzo 1994 è la partecipazione (unico musicista italiano) alla rassegna “South by Southwest” ad Austin, Texas.

Dal 1990 si esibisce con una propria band e come solista e dal 1992 ad oggi ha pubblicato 7 cds e partecipato come ospite in molti altri altri (Fabio Treves, Red Wine, YoYo Mundi, La Rosa Tatuata, etc.).

Nel tour di presentazione del cd GAMBLERS, scritto a quattro mani con il cantautore newyorkese JONO MANSON (marzo 2003), JOHN POPPER, mitico armonicista dei BLUES TRAVELER, ha partecipato ad alcuni concerti.

Dal 2002 la band accompagna regolarmente il grande ROY ROGERS, produttore di JOHN LEE HOOKER nei suoi tour italiani.

Dal 2004 è membro della super-band SLOW FEET, insieme con REINHOLD KOHL, fotografo/bassista bolzanino, ed alcuni grandi del rock italiano come FRANZ DI CIOCCIO, LUCIO FABBRI (PFM) e VITTORIO DE SCALZI (New Trolls); il primo cd “Elephant Memory” è del 2007.







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