venerdì 10 marzo 2023

Dorothy Moskowitz & The United States Of Alchemy - “Under An Endless Sky”

 

Dorothy Moskowitz & The United States Of Alchemy

“Under An Endless Sky”

Tompkins Square Records

CD-7 tracce

Distribuzione Mondiale CARGO


Puntuale come un orologio svizzero arriva un nuovo progetto di Francesco Paolo Paladino, che non si presenta mai come artista autarchico ma trova linfa vitale nel team work, costituito sempre da persone di fiducia, con sconfinamenti fondamentali in funzioni delle nuove amicizie/scoperte, in taluni casi sorprendenti.

Nello specifico, il nuovo atto creativo, “Under An Endless Sky”, trova la denominazione “Dorothy Moskowitz & The United States Of Alchemy” e, analogamente a quanto accaduto per il precedente lavoro, ad affiancare Paladino - autore delle musiche - troviamo Luca Ferrari, impegnato nelle liriche… in buona compagnia. E già, l’occhio cade subito sul quel “Dorothy Moskowitz” che non è proprio un dettaglio! Ma andiamo con ordine, utilizzando il racconto cronologico di Paladino, una trama affascinante senza la quale mancherebbero importanti elementi.

Intanto è palese la soddisfazione tendente all’eccitazione di Paladino, da sempre appassionato di avanguardia sotto forma di svariati filoni artistici. In tal senso, i suoi due punti di riferimento dichiarati, quelli definititi “totem”, sono Brian Eno e i The United States of America. Focalizziamoci sui secondi - che pubblicarono nel 1968 un solo album per la Columbia Records - le cui menti erano il compositore Joseph Byrd e una cantante incredibile, Dorothy Moskowitz, che troviamo ora affianco a Paladino/Ferrari.

Un autorevole giornalista ha descritto quel disco del ’68 come “… un perfetto esempio di avanguardia secondo i canoni del 1968; un disco di ultra tecnologia sonora applicata alla forma canzone”.

Risulta quindi comprensibile l’attrazione tra anime simili, una sorta di “metallo e calamita” che trova compimento nel 2021, quando Paladino entra in contatto con Dorothy, ormai ottantaduenne, acquistando il libro di Tim Lucas “The secret life of love songs”, che nelle prime cento copie conteneva l’omonimo CD di Dorothy. La timida conoscenza si trasforma presto in collaborazione saldata da stima reciproca, sino a che Dorothy presta la sua voce per una lunga composizione appena nata, intitolata “Under an endless sky”.

Dice l’autore: “Quando ascoltai la sua voce sul mio brano mi vennero i brividi. Era la voce di un bardo, un misto tra Nico e Marianne Faithfull, ma allo stesso tempo qualcosa di assolutamente originale e di unico. Preso dall’entusiasmo composi subito altri sei brani e compresi che lo stesso entusiasmo animava anche lei. In una delle mille e-mail mi confessò che la nostra avventura musicale l’aveva rianimata, le aveva dato una nuova linfa, una nuova ragione di cantare.”

Come anticipato, ci sono tra i partecipanti collaboratori di lunga data: Sean O Breadin - che ha letteralmente inventato un magico bordone di chitarra elettrica -, il trio Cavalazzi e gli Enten Hitti ai violini, viole e violoncelli; e ancora Stefano Scala alle percussioni, Riccardo Sinigaglia ai flauti, Mauro Sambo ai fiati e Angelo Contini al trombone. Usuale e naturale l’utilizzo dello studio Elfo di Alberto Callegari per la fase di montaggio.

Finisce qui la storia? Non di certo, siamo solo a metà del sogno!

Il trio si forma con il nome di DOROTHY MOSKOWITZ & UNITES STATES OF ALCHEMY. I due italiani propongono di non comparire in copertina con i loro nomi, utilizzando invece un moniker che, in qualche modo, potesse riallacciarsi al mitico passato di Dorothy.

Avendo il materiale in mano e stabilite le formalità mancava un dettaglio di poco, pochissimo conto: chi avrebbe potuto produrre l’album? A chi sarebbe interessato introdurre sul mercato discografico un disco di musica d’avanguardia?

Conoscendo personalmente e da molti anni Paladino direi che, a questo punto, l’obiettivo era già stato raggiunto, ma cosa c’è di più bello se non condividere le cose che si amano, a maggior ragione se ne si è gli autori?

Inizia la ricerca, partendo da un produttore artistico con i controfiocchi, Joe Boyd (Pink Floyd, Nick Drake, Incredible String Band). Boyd ascolta e, pur apprezzando, non ritiene il lavoro utilizzabile nel suo “territorio” ma fornisce le coordinate per arrivare all’amico Josh Rosenthal, il label manager della Tompkins Square Records. Josh aveva precedentemente lavorato 15 anni in Sony e nel 2005 aveva fondato a New York la sua etichetta, poi trasferitasi a San Francisco, una label molto particolare ed esclusiva, avente l’obiettivo di riesumare tesori nascosti della musica moderna, quindi una produzione di estrema qualità e rivolta ad un pubblico di cultori.

Josh ascolta il materiale e immediatamente lo propone per la produzione. La sintesi? Contratto firmato in dicembre dai tre musicisti, rimasterizzazione del tutto e programmazione dell’uscita di “Under an Endless Sky” per il mese di marzo 2023.

Una storia a lieto fine dunque.

Completo gli elementi oggettivi parlando dell’artwork, come sempre affidato a Maria Assunta Karini, imprescindibile nei progetti targati F.P.P.

A fine articolo ho inserito qualche notizia supplementare di sicuro interesse.

L’album era stato anticipato nel mese di febbraio dal singolo “Unknown To Ourselves", di cui propongo l'ascolto a seguire.

 

Ma parliamo un po' dei contenuti, partendo dalla tracklist:

 

1- “Under an Endless Sky” (23:48)

2- “Cut the Roots” (pt.1) (3:31)

3- “My Doomsday Serenade” (7:18)

4- “My Last Tear” (2:31)

5- “The Disappearance of the Fireflies” :(4:08)

6- “Cut the Roots” (pt.2) (7:28)

7- “Unknown to Ourselves” (4:15)

 

Musiche di Francesco Paolo Paladino e Dorothy Moskovitz

Liriche di Luca Ferrari e Dorothy Moskovitz

 

Apertura con la lunga title track, “Under an Endless Sky”.

 

Dorothy Moskovitz: voce

Francesco Paolo Paladino: tastiere virtuali

Pierangelo Pandiscia & Gino Ape: violini

Trio Cavalazzi: violini, deconstructed frames di F. P. Paladino

Mauro Sambo: corno

 

Ventitrè minuti da brividi: impossibile dicotomizzare testo, sonorità e modello propositivo.

L’ascolto deve essere accompagnato dalla lirica per poter avere facile accesso ai propositi degli autori, con immagini che improvvisamente appaiono e si nascondono, spingendo sulla strada dell’oniricità, mentre i musicisti diventano meri mezzi "da trasporto", non importa dove, ma occorre realizzare un minimale rapporto osmotico.

La voce diventa anch’essa uno strumento che penetra il corpo e si muove, dettando un percorso preciso, suggerendo concetti semplici nell’argomentazione ma poi, nella pratica, spesso dimenticati:

Che strana cosa è l’uomo, un topo da laboratorio accecato in una gabbia, bloccato in casa sua, in ascensore o in macchina, i suoi occhi inghiottiti dagli schermi; una specie di promessa non mantenuta, un’alba tramontata troppo presto, spaventato, prudente, triste, è la fede che lo tiene in schiavitù, il Dio in cui crede è solo nella sua testa, e teme tutto, il vento e l’acqua.

Qui nella leggerezza dell’alba, dove il profumo risveglia i sensi e i brividi percorrono il corpo, ci sentiamo così profondamente vivi, grati per tutto ciò che delizia, per la solitudine, il silenzio e la pace; andiamo oltre la parola, oltre la memoria, grati semplicemente per esserci. Abbiamo perso tempo ma non disperiamo, perché non c’è altra strada da percorrere se non vivere nel qui e ora, sotto questo cielo infinito, ancora spaventoso, ancora minaccioso, ma pieno di promesse, con il mare selvaggio e vertiginoso… sotto un cielo infinito…

Mi dilungherò nella sintesi dei testi ma ne vale la pena. Da paura!

 

Si prosegue con “Cut the Roots” (pt.1)


Dorothy Moskovitz: voce

Francesco Paolo Paladino: tastiere virtuali

Trio Cavalazzi: violini, viola e violoncello

Riccardo Sinigaglia: effetti elettronici

Angelo Contini: trombone

Sean Breadin: chitarra ed effetti

Stefano Scala: percussioni

 

Terra e cielo, terra e cielo, cuore e mente; i semi della pace trovano la loro strada, un maschio urla, una donna prega… tagliare le radici, nonostante il frastuono e respirare per sempre… ovunque. 

L’elemento vocale diventa sempre più caratterizzante, e per chi ha seguito le vicende di Nico e dei Velvet Underground, basterà chiudere gli occhi per ritrovarsi in qualche oscuro club newyorkese per vedere un paio di fari blu su di un viso trasfigurato che emergono in modo naturale… ma con estrema forza.

La musica evoca immagini, a maggior ragione quando si ha a che fare con questo tipo di atmosfere sonore.

 

La terza traccia si intitola “My Doomsday Serenade”.

 

Dorothy Moskovitz: voce

Francesco Paolo Paladino: tastiere virtuali

Trio Cavalazzi: violini, viola, violoncello

Riccardo Sinigaglia: effetti elettronici

Angelo Contini: trombone

Sean Breadin: chitarra e effetti

Stefano Scala: percussioni

 

Niente è per sempre, nulla è eterno, la resa dei conti arriva sempre, senza che ci sia troppo da ridere. Troppo poco e troppo tardi; i compleanni segnano la strada, sino ad arrivare alla resa dei conti. La mia Doomsday Serenade suonerà, e quando la sentirai continua a giocare, senza recriminazioni. Niente è per sempre e arriverà un giorno la resa dei conti, e ciò che è stato fatto non può essere annullato, senza scuse né giustificazioni…

 

Saggezza e speranza si fondono mentre i giochi di voce e le atmosfere ipnotiche conducano ad una sorta di girotondo continuo che si arresta solo al termine della traccia.

Partecipare in modo emotivo appare un obbligo.

 

La breve “My Last Tear” vede impiegati:

 

Dorothy Moskovitz: voce

Francesco Paolo Paladino: tastiere virtuali e harp

Angelo Contini: trombone

 

Ho lasciato la mia ultima lacrima sul davanzale della finestra, per te o mia musa. Ho aspettato e aspettato, pensando alla carezza che ti eri concesso, sembra tanto tempo fa. Un tempo pieno di speranza; ho creduto a quel sentimento e poi te ne sei andato, abbandonato alla confusione senza speranza. Così mi rimane l'ultima lacrima, sul davanzale della finestra e resto sospeso nel tempo, il mio sguardo si rabbuia, e mi unisco alle mucche nere, costrette a pascolare nella notte più nera, nella notte più nera.

Momento catartico, sublime, intrappolato nella brevità compositiva; la voce è il driver mentre emerge un sottofondo parlante che sa raccontare... esattamente come fa Dorothy.

Le immagini si aprono tra disperazione e spleen, e un quadro prende forma sulla tela bianca, mentre dovrebbe nascere l’ascolto libero e senza pregiudizi. Magnifico.

 

E si arriva a “The Disappearance of the Fireflies”.

 

Dorothy Moskovitz: voce

Francesco Paolo Paladino: tastiere virtuali

Riccardo Sinigaglia: flauto

Molto tempo, fa nei campi si vedevano le lucciole volare libere quasi ovunque, piccoli gioielli di inestimabile valore: le cose erano più sicure e vere; nessun limite nonostante gli uomini che sapevano solo uccidere. Di tutto ciò mi rimane un ricordo di libertà, pace e amore

Ricerca, sperimentazione e poesia: possono coesistere elementi apparentemente inconciliabili, almeno secondo l’ortodossia musicale? Consiglio un ascolto attento di questo quadretto bucolico, dove gli effetti incontrano vocalità angeliche, quasi auliche, e capirne la lirica produrrà valore aggiunto.

 

Cut the Roots p.t. 2” chiude il cerchio rimasto aperto.

 

Dorothy Moskovitz: voce

Francesco Paolo Paladino: tastiere virtuali e campane tubolari

Riccardo Sinigaglia: synthed effetti elettronici

Sean Breadin: synth-guitar ed effetti

Stefano Scala: percussioni

 

Terra e cielo, cuore e mente, i semi della pace trovano la loro strada. Un maschio urla, una donna prega: tagliare le radici! Nonostante il frastuono, respira per sempre… ovunque.

 

Pensieri antichi si uniscono all’attualità, mentre le vocalizzazioni e l’atmosfera “caotica” disegnano uno scenario distopico, disperato, quasi privo di luce oltre il tunnel.


A conclusione “Unknown To Ourselves”.

 

Dorothy Moskovitz: voce

Francesco Paolo Paladino: tastiere virtuali e piano

Mauro sambo: sassofono 

Non abbiamo avuto il tempo di conoscerci veramente, il nostro tempo insieme è svanito come lacrime nelle dita, anni sprecati che abbiamo perso in sciocchezze, come animali tra animali inclini al rimpianto e all'illusione, una caduta solitaria nel mare sconfinato di tutte le vite passate, presenti, future, passeggeri nella notte di  un viaggio di sola andata a noi sconosciuto, segnato da deboli luci enigmatiche che ci confondono e ci confortano. 

Traccia purificatoria, curativa, nel senso della capacità di spingere verso la riflessione. Qualche eventuale lacrimuccia durante l’ascolto non appare atto di debolezza ma piuttosto l'incontro tra il possibile e sperabile virtuosismo  di chi ascolta e la capacità degli artisti di saper smuovere e scombussolare pensieri e sentimenti.

E questo brano diventa il sample rappresentativo dell’album, essendo uscito in anteprima…

 


Che dire, come sempre rimango sorpreso dai lavori proposti da Paladino, molto diversi tra loro ma sempre caratterizzati dall’estrema qualità e dalla novità.

Nello specifico, oltre a circondarsi di ottimi collaboratori, insieme a Luca Ferrari mette in risalto una figura che, onestamente mi ero perso - quella di Dorothy Moskovitz - così come avevo sottovalutato la portata di un album come “United States of America”, di cui si parla a seguire e di cui propongo l’ascolto (cliccare sul titolo in blu).

Ma la storia non finisce qui. Oltre a pensare già ad un possibile “capitolo 2” Josh Rosenthal ha in mente di realizzare un remix del CD, con l’entrata in gioco di altri musicisti, soprattutto dj-artist, che lo reinterpreterebbero secondo i loro gusti.

Attendiamo nuovi eventi!


Qualche info oggettiva sulla label Tompkins Square Records e su “United States of America”, l’album del ’68.


La Tompkins Square Records è stata lanciata nel 2005, a New York, da Josh Rosenthal dopo un lungo periodo passato alla Sony Music. Nel 2011 l’etichetta si trasferisce a San Francisco e Rosenthal gestisce l'etichetta da solo con l'aiuto di un art director e di una casa editrice.

Il primo album prodotto è stato “Imaginational Anthem”, un'antologia di musica di chitarristi fingerstyle tra cui Jack Rose, Sandy Bull, John Fahey, Max Ochs e Kaki King La serie è cresciuta fino ad arrivare a sette volumi. 

Tompkins Square Records ha anche pubblicato una registrazione inedita del concerto di Tim Buckley, “Live at the Folklore Center, NYC - 6 marzo 1967”. 

Rosenthal ha poi portato Charlie Louvin a registrare una serie di album, presentandolo ad una nuova generazione di ascoltatori.

Prosegeundo, Tompkins Square ha pubblicato “Remembering Mountains: Unheard Songs of Karen Dalton”, un album di canzoni scritte da Dalton ed eseguite da artisti come Lucinda Williams, Sharon Van Etten, Tara Jane O'Neil e Diane Cluck. 

Diverse le pubblicazioni di dischi a 78 giri per il Record Store Day. Gli artisti coinvolti includevano Luther Dickinson, Tyler Ramsey e Ralph Stanley. 

Nel 2015, Rosenthal ha scritto e pubblicato il libro “The Record Store of the Mind”, un libro di memorie sull'essere un collezionista di dischi e possedere una casa discografica.

 


L’album “United States Of America” è stato pubblicato nel 1968 dalla Columbia Records.  L'album ha trascorso nove settimane nella classifica degli album di Billboard negli Stati Uniti, raggiungendo il numero 181 nel maggio 1968.  

Una prima ristampa su compact disc avviene per merito della Columbia Records, nel 1992, con due bonus track. Nel 1997 l'album è stato ristampato nel Regno Unito dalla Edsel Records.  Il 13 luglio 2004 la Sundazed Records propone l'album in vinile e CD, con una nuova copertina, diversa da quella utilizzata per le versioni originali nel Regno Unito e in Europa, e con la versione in CD contenente 10 tracce bonus.

L'accoglienza moderna dell'album è stata molto positiva. Richie Unterberger di AllMusic lo considerava "uno degli album psichedelici più eccitanti e sperimentali della fine degli anni '60" e paragonava parte del materiale più duro della band ai primi Pink Floyd e ai Velvet Underground. Conclude: "Occasionalmente le cose diventano troppo eccessive e impacciate, e i tentativi di commedia sono un po’ piatti, ma per il resto questo è quasi un classico". "L'album di debutto più ambizioso e stravagante ha 36 anni", ha aperto la recensione di Mark Hamilton scrivendo della ristampa del 2004 per Dusted Magazine. Country Joe Macdonald ha affermato che l'album "è ancora al di sopra del lavoro della maggior parte dei loro colleghi psych-rock dell'era Monterey", nonostante la presenza di alcuni effetti elettronici datati tipici di "molti pezzi elettroacustici degli anni analogici". 

È incluso nel libro 1001 album che devi ascoltare prima di morire.  La rivista Classic Rock lo ha citato come uno dei "16 migliori album di rock psichedelico".