domenica 22 novembre 2020

Il mio ricordo di John Kennedy


Chi mi conosce sa del mio amore generico per l'America.
Sono cresciuto guardando i filmetti d'oltreoceano e la prima volta che sono stato negli USA ho realizzato che esiste effettiva corrispondenza tra la fiction televisiva e la realtà.
In quella occasione, il '93, mia figlia era già stata concepita, senza che io e mia moglie lo sapessimo, per cui anche lei era in viaggio con noi ed è questo un motivo in più che mi fa amare quella terra. Sono conscio del fatto che viverci non deve essere così idilliaco come in molti film, ma dopo esserci stato più volte mi sono fatto l'idea che per il passante, quale io sono sempre stato, le cose negative non emergono, mentre si rafforzano i giudizi positivi. E poi, per un ammalato di musica è davvero una pacchia! Tra lavoro e vacanza, mi sono imbattuto in momenti indimenticabili di cui spesso mi vanto, come fa un ragazzino quando parla della sua nuova conquista.

Uno di questi "attimi da ricordare" l'ho vissuto a Dallas nel novembre del 97, e nelle righe seguenti, scritte molto tempo fa, ne descrivo il motivo.

"Sono le 21 quando atterro a Dallas, e passa almeno un ora prima di arrivare all’Holliday Inn, nel pieno centro città.
Fa molto caldo, sembra estate piena.
La prima cosa di cui mi interesso, con l’impiegato di turno è l’esatto punto in cui é stato ucciso JFK.
È lontano?”
No, vicinissimo, segui la strada, giri a destra e troverai il “Six Floor Museum. Impossibile sbagliare.”
Ma cosa era questo museo? Del sesto piano?


Quel novembre del 1963, Kennedy e consorte iniziarono il corteo che sarebbe sfociato in Elm Street, la strada dritta che partiva dall’Holliday Inn, per poi svoltare e ritrovarsi nella Delaney Plaza.
Nei pressi della “Collina Erbosa”, sotto al vecchio deposito di libri scolastici, Kennedy fu ucciso da chissà chi e chissà come. Il vecchio “deposito di libri scolastici” é quello da cui, si presume, Lee Harwey Osvald abbia sparato a JFK, appunto da una stanzetta del sesto piano. Così decretò la Commissione Warren, incaricata dell’inchiesta ufficiale.
Questo sesto piano é ora un fantastico museo, dove, in tutte le lingue, si può seguire la storia di quegli anni e di quella gente. La stanza é protetta da cristalli spessissimi, ma all’interno tutto é stato riprodotto come scoperto quel lontano 22-11-1963.
Era novembre. Le scatole di cartone, destinate al contenimento dei libri, ma utilizzate come riparo e nascondiglio da Osvald, sembrano piazzate alla rinfusa, ma rispecchiano la disposizione originale. Giro tra le riproduzioni tridimensionali, i quadri, i film, come imbambolato.
È troppo vivo in me il ricordo in bianco e nero di quel giorno. Il significato di quel momento era incomprensibile per un bambino di 7 anni, eppure quella macchina, quegli spari, quel sangue, mi é rimasto dentro, come la morte di Papa Giovanni, come la prima volta sulla luna, alcuni anni dopo.
Dopo aver visto la sua tomba a Washington, la sua dimora e quella della moglie, ora stavo rivivendo la sua morte. Una volta uscito non riesco a staccarmi da quel palazzo. Mi seggo sulla panchina di fronte, mi godo il sole, e fisso quella finestra assassina... forse. Mi guardo attorno e rivedo il corteo, la gente eccitata, in pianto dopo gli spari. Rivedo Zapruder, fotografo dilettante, con la sua rudimentale cinepresa, ormai mitica e al sicuro all’interno del museo. Per tutto il giorno e quello a seguire, ogni strada intrapresa in città, vicoli interni o vie di largo traffico, mi portano in quel punto per me magico. Nella Delaney Plaza c’è la calamita, ed io, metallo ferroso, non posso e non voglio opporre resistenza.
Quello è il mio posto per il fine settimana.
Alla sera una concessione… solo la musica può vincere il magnetismo di quel posto.
Mi accordo con l’autista dell’hotel e mi faccio portare ad un altro Hard Rock Café, dopo quello di New YorkMa esisterà qualcuno che nello spazio di due giorni é riuscito a vedere questo locale in due città così lontane?”.
Sì, io.
La sera finisce per strada, in una piazza interna dove ovviamente si suona.
Il giorno dopo scatta il doppio magnetismo. Sono ancora davanti al museo e sono colpito da … spari. Una Lincoln blu mi passa davanti, e dopo alcuni colpi corre via ad alta velocità.


Ecco cosa mi manca! Sarà la solita americanata, ma non posso perdermela. 
La macchina é lunga due km e la spesa del viaggio é condivisa con altri turisti, una famiglia di tre persone. Il bambino seduto davanti, con l’autista. Io a metà e il resto dietro. Che emozione!
Il giro è lentissimo e godo della vista della città. Stiamo percorrendo fedelmente la strada di Kennedy, quel giorno.
Mi sento agitato, in attesa degli spari che presto arriveranno.
Anche ora sono agitato!
Finita Elm Street svoltiamo... ci siamo quasi…
Il deposito é alla mia destra, e la collinetta é ben visibile… alcuni spari registrati… ancora brividi. L’auto accelera lungo la Stemmons Freeway, in direzione del Memorial Hospital.
La registrazione audio ripropone fedelmente le sirene e i clacson del tempo, mentre la Lyncoln corre impazzita verso l’ospedale. La cosa é talmente “vera” che la spettacolarizzazione dell’evento passa in second’ordine.
Lo speed up finisce e, mestamente, ritorniamo verso il punto di partenza.
Registro tutto il possibile e mi sento davvero coinvolto.
La radio trasmette le parole di quel 22 novembre, con la cadenza ed il tono appropriato.
Il lutto si trasmette ai passeggeri dell’auto.
La musica di sottofondo sottolinea la tragedia, in un crescendo che amplificherà il mio disagio. Poi all’improvviso la calma, la quiete, il riposo… ciò che di solito segue la tempesta.
E siamo tornati all’origine.
Passerò le ultime ore a Dallas restando nei paraggi, cercando di metabolizzare l’intensa esperienza appena vissuta.
Come mi piacerebbe poter trasferire efficacemente ciò che ho “sentito”, ciò che non é tangibile!
Un ultimo giro nell’atrio del museo, giusto il tempo per acquistare il Cap del “VI FLOOR MUSEUM “, abbinato alla T-shirt, ed un giornale / copia, con su i titoli del giorno successivo all’attentato."

Nel filmato a seguire è riproposto l'attimo della tragedia e in successione l'uccisione di Lee Harwey Oswald, domenica 24 novembre, mentre viene trasferito dalla Centrale della polizia di Dallas alla prigione della contea, per mano di Jack Ruby, un gestore di un night club, affetto da turbe psichiche.






A tutt'oggi non é dato di sapere cosa realmente sia accaduto quel 22 novembre del 1963.





Il mio omaggio odierno é dedicato alla figura di JFK, la cui morte é rimasta impressa, in bianco e nero, nella mia memoria .
Con questo cerco lo spunto per agganciarmi a "Happy Days", al fumo in uscita dai tombini di N.Y., ai Yellow Cab, ai film girati a Little Italy, ai Gospel di Harleem , e cioè alle immagini della mia giovinezza, verificate poi sul campo col passare degli anni.

Vediamo i filmati.

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