La produzione musicale di Paolo Rigotto è davvero intensa e l’ultimo atto che la rappresenta, Meno Infinito, è il quarto lavoro solista.
Mi sono avvicinato
alla sua arte molto tempo fa, e col tempo ho scoperto la completezza, il genio
zappiano, la capacità di prendere atto della situazione e creare un mondo personale
contrapposto a quello che tutti bazzicano per convenzione, un percorso fatto di
rigorosità intellettuale all’interno di un contenitore costruito sulla piena
libertà espressiva, dove pare che l’unica regola sia lo sguazzare a piacimento
nel mare magnum della MUSICA.
Conosco anche la
capacità di analisi di Paolo Rigotto, per effetto della lettura di certi suoi commenti
a lavori terzi, e tutto questo mi permette di apprezzare in toto il
personaggio.
Meno Infinito è un disco che
contiene un messaggio fortissimo, che sento in modo particolare in questi
giorni in cui le popolazioni della Terra vivono momenti drammatici a cui quasi
mai si pensa in termini di ricerca delle cause profonde.
Rigotto descrive l’uomo
e tutto ciò che lo circonda, ambiente modellato a propria immagine e
somiglianza. La miseria, il degrado, la perdita dei valori sono mascherati da
un benessere tecnologico che è solo fittizio, e quasi mai ci si sofferma a
riflettere sui limiti da porsi, perché spesso il solo fermarsi per la pausa è
segno di debolezza, una caratteristica che è simbolo di sconfitta in questa nostra società ed è quindi
bandita o almeno controllata. Ma arriva il momento in cui si tocca l’apice negativo, e oltre non si
può, non si vuole, non si riesce ad andare: improvvisamente la luce illumina
idee sbiadite, si ritrova il senno che sembrava sepolto e ci si riappropria di
un percorso che, seppur tortuoso, appare in discesa, perché condiviso e sereno,
con la consapevolezza che una scadenza è certa, ma ciò che prima o poi arriverà
sarà solo il completamento di un ciclo, probabilmente destinato a ripetersi.
La forma musicale
utilizzata da Rigotto è una sorta di rock cantautorale, ma è solo per
semplicità che mi sforzo di trovare un’etichetta, giacchè una reale
collocazione è complicata e nemmeno utile.
Fa tutto da solo
Rigotto, e il suo autarchismo supera forse la necessità del lavorare in proprio
per galleggiare nel mercato musicale, a favore della rigidità espressiva, e la
sua proposta, che all’impatto potrebbe sembrare “facile”, risulta essere al
contrario una continua provocazione, che non passa solo per le liriche, ma
adotta le dilatazioni vocali, i tempi composti, il disegno della trama
attraverso i cambi di atmosfera che caratterizzano i differenti brani.
Sono sedici le
tracce, di lunghezza variabile e anche questo è funzionale al progetto.
L’intervista a
seguire mi ha permesso di entrare un po’ meglio nell’argomento, e sarà di certo
un buon aiuto nella comprensione e nell’accompagnamento all’ascolto.
Voto massimo per Meno Infinito.
L’INTERVISTA
Sei arrivato al tuo quarto lavoro solista: che cosa
rappresenta “Meno Infinito” nella tua evoluzione personale?
“Meno Infinito” è innanzitutto la presa di coscienza su una questione
per me fondamentale: non esistono più (se mai sono esistiti) schemi precostituiti,
clichè stilistici o tendenze sonore che facciano di un disco o di una canzone
un “successo”. Gli artisti sono pronti ad esprimersi in innumerevoli e
personalissimi modi, ma il più delle volte questa qualità viene preclusa dalle
esigenze di “mercato”. Sono convinto che una originalità determinata e genuina,
unita ad una precisa esigenza comunicativa siano l'unica strada per far
sopravvivere l'arte al di là dei talent e dei giganti mediatici. Quindi alla
base creativa del disco c'è la precisa intenzione di esprimersi liberamente con
i propri mezzi e il proprio stile; questo non per produrre un discorso
goffamente “accademico”, ma per trovare interlocutori interessati da ciò che
sono, e non da ciò a cui potrei somigliare.
Che cosa proponi, dal punto di vista del messaggio, in
questo nuovo album?
“Meno
Infinito” è il mio pensiero circa la dimensione dell'umanità all'interno
del mondo che abita. L'inarrestabile
irrequietezza umana, lo sviluppo esponenziale e le ambizioni di sopravvivenza
ed espansione umane hanno bisogno di ridimensionarsi, di adeguarsi ad un mondo
che non è, affatto, infinito. Non è infinita la terra, non è infinita la vita,
non è infinito il tempo e a mio avviso non è poi così infinita neppure la
morte. Ma la nostra sopravvivenza sulla terra non può passare attraverso
un'espansione senza limiti. Non so se parlo di decrescita felice. Per quanto mi
riguarda potrà essere pure infelice, ma necessaria.
Nella prima parte del disco (quella le cui canzoni
hanno durata decrescente) si prende in considerazione l'inarrestabile
sprofondamento della società nelle sue innumerevoli e misere debolezze, fino ad
un immaginario punto di non-ritorno. Da quel momento in poi il tempo si dilata,
e il riavvicinarsi dell'umanità al pianeta che abita riesce a darle motivo per
essere consapevole e felice della propria dimensione “meno infinita”. Questo
fino alla morte, che è spesso improvvisa e inaspettata. Come la fine del disco,
che avviene prematuramente all'apice della sua vita ma ci lascia alcuni secondi
di canto (Autoreverse) per sperare in un salvifico ritorno.
Quali sono invece le novità prettamente musicali?
Molte delle canzoni del disco sono state registrate con
l'intenzione di cogliere il più possibile la spontaneità sonora del momento.
Col tempo ho attrezzato il mio piccolissimo studio in modo da poter “fermare in
memoria” con la maggior semplicità possibile quelle idee che, inevitabilmente,
nascono e muoiono nell'arco di due minuti, se non si riesce a fissarle
all'istante. La matrice di tutto è sempre il rock, ma ora non ho più molto
interesse nello stratificare suoni su suoni per creare un tessuto musicale che
mi piaccia. Parto piuttosto dal suono
del singolo strumento, cercando di
dargli la maggior qualità e il maggior significato musicale possibile.
Si trattasse anche del suono di un semplice triangolo,
se c'è vuol dire che è importante.
La produzione è totalmente tua, dalle composizioni
all’artwork: la tua autarchia musicale è una necessità dettata dai tempi o una
precisa scelta?
E' sempre stato l'unico modo che ho per poter essere
del tutto d'accordo con ogni aspetto del mio lavoro. Oggi è diventata anche una
necessità, inutile nasconderlo. Ma poter registrare in casa le mie canzoni
e rivestire ogni scelta, sonora e
grafica, di un preciso significato è una
cosa (per me che ho la fortuna di
poterci dedicare molto tempo) alla quale non potrei mai rinunciare. Fare dischi
è la mia attività autoerotica preferita.
Chi ti ha accompagnato nel viaggio realizzativo? Hai
degli ospiti da citare?
Ho chiesto l'aiuto di Francesco Borello per quanto
riguarda il basso elettrico in “Scemi in
Paradiso” (mi serviva un basso suonato credibilmente da un bassista
credibile) mentre la voce che chiude il disco è quella di Sara Gennaro,
giovanissima e promettente figlia d'arte (sua mamma è Robertina Magnetti,
insegnante coreutica e cantante di studio con Caparezza, Voci di Corridoio,
Mike Patton e molti altri).
Come hai pianificato la pubblicizzazione del disco?
Sto tuttora seguendo la filosofia del percorrere
unicamente le strade che spontaneamente si aprono. Ho scelto essenzialmente una
data per la stampa del disco e una per l'inizio delle presentazioni live. Il
resto è un continuo adeguarmi alle possibilità che inevitabilmente (a patto di
non sedersi stupidamente ad aspettare) si aprono intorno. Sicuramente tra i
miei target ci sono i più giovani, i quali, contrariamente a ciò che spesso fa
comodo credere, sono pronti a scoprire e soprattutto comprendere cose nuove,
musiche al di fuori della massificazione sonora dalla quale sono
circondati. Per questo mi capita spesso
di tenere incontri-laboratorio all'interno di alcuni licei torinesi, incontri
durante i quali si sperimenta composizione spontanea con strumenti musicali
moderni e non, rivolti soprattutto a chi crede di non essere in grado di
suonare alcuno strumento.
In che modo proporrai “Meno Infinito” dal vivo?
In due modalità ormai collaudate: la prima è quella dei
“musicisti virtuali”, ovvero uno schermo in cui scorrono le immagini e i suoni
di improbabili musicisti che mi accompagnano mentre “dal vivo” suono il
pianoforte e canto. La seconda è la situazione “stand alone” in cui, molto
semplicemente, non c'è schermo e sono io da solo con il pianoforte e la voce.
In questo caso si spazia anche molto nel mondo delle cover, che adoro scegliere
tra le canzoni più dimenticate
dall'umanità.
Sono sedici i pezzi e non presentano soluzione di
continuità: può essere un segnale di concettualità del disco… di messaggio
comune?
Come già detto la storia c'è, è precisa e consapevole,
ma non pretende di essere riconosciuta. L'umanità sprofonda in un vortice di
frenesia ed irrequietezza, accorciando ad ogni canzone il tempo che ha a
disposizione. Fino alla seconda parte, in cui, come la sabbia che passa
attraverso una clessidra, il tempo si posa e si distende dando la possibilità
di riflettere su ciò che si è fatto e si farà.
Una curiosità: potresti spiegarmi il significato del
lato destro dell’ultima pagina della copertina?
L'omino rappresentato sul fronte copertina è qui sezionato
come in un manuale di montaggio IKEA. Per quanto la natura umana, la sua
intelligenza, la sua sensibilità e tutto il resto ci sembrino miracolosi e
spesso inspiegabili, c'è sempre qualcuno o qualcosa in grado di comprenderne
l'assoluta semplicità. Forse un divino montatore.
A lavoro finito ti ritieni completamente soddisfatto
del risultato?
Lo ero già all'inizio!
TRACK LIST
1. L'ODIO, DOPOTUTTO
2. IMMAGINAZIONE
3. LA GIOIA
4. TOM TOM
5. MI DEVO CURARE
6. ULTIMO STADIO (FINO ALL')
7. CROCIERA IN DO
8. L'ELETTRICITA'
9. SE TU
10. MA IO
11. MORALE
12. MENO INFINITO
13. PIU' MONDO
14. FOSSILE
15. SCEMI IN PARADISO
16. AUTOREVERSE
Facebook & Twitter: Rig8
Un pò di bio…
Paolo Rigotto inizia nel 1986, a 12 anni, le sue prime sperimentazioni
musicali con gli strumenti del fratello maggiore. Nel corso degli anni studia
(ma soprattutto esperisce) batteria jazz e rock (allievo del maestro Marco
Volpe) produzione e arrangiamento, programmazione di sintetizzatori analogici e
digitali, tecniche vocali e di
registrazione. Attualmente, dopo
collaborazioni a vario titolo in ambito rock e jazz, fa parte fin dalla sua
formazione del gruppo Banda Elastica Pellizza (premio Tenco 2008), ed è
titolare del piccolo Freakone Royale Studio in cui vengono realizzati, oltre ai
suoi lavori, anche quelli di altre band ed artisti del territorio (Mothercar,
Giorgio Autieri, Endorfine, Banda Elastica, Attitude, Audiokonica, Luca
Sommariva, Veligier, Giangilberto Monti, Cravo & Canela, Traine Mannut). Collabora con la
pianista Alessandra Mostacci (Freak Antoni Band) e partecipa in qualità di
interprete a numerosi tributi al compianto leader degli Skiantos, con il quale
era iniziata una conoscenza artistica e umana.