lunedì 23 novembre 2015

Earthset-“In A State Of Altered Unconsciousness”


In A State Of Altered Unconsciousness” è l’album d’esordio degli Earthset, giovane band bolognese che, dopo un primo EP demo, autoproduce un gioiellino davvero notevole e inusuale.
E’ bastato captare un frammento della loro musica per trovare la spinta verso una conoscenza più approfondita: la quantità della proposta musicale è oggigiorno talmente elevata che esiste il rischio concreto di perdere la qualità che si nasconde nella massa, ed è quindi un obiettivo primario, per gli artisti emergenti, trovare il miglior biglietto da visita possibile.
L’idea che mi sono fatto degli Earthset, leggendo le loro risposte e provando ad entrare in punta di piedi nel loro mondo musicale, è che siamo al cospetto di ragazzi con le idee cristalline, dotati di una buona cultura che consente loro di creare un percorso lineare nonostante le tante deviazioni naturali presentate dal terreno, e se la somma di idee innovative, competenze e gusto dovesse mantenersi su questo standard - fatto auspicabile - , e non si arrivasse mai a cadute verso l’autoreferenzialità - cosa  di per sé comprensibile quando manca l’esperienza di vita - le soddisfazioni potrebbero arrivare copiose.
Il termine “soddisfazione” applicato alla musica degli Earthset non può a mio giudizio significare buona visibilità entro i nostri confini, perché non mi pare ci siano i presupposti per il compromesso, approccio che porterebbe a modificare un modello espressivo che a mi sembra davvero innovativo, ma il successo si può manifestare in modi differenti, e il trovare un ruolo preciso all’interno della comunità musicale potrebbe decisamente far sorridere. L’estero è l’alternativa.
Si esprimono in inglese gli Earthset - e non poteva essere altrimenti! - e realizzano un disco che solo alla fine si palesa come concettuale; il focus ruota attorno ai significati di coscienza e incoscienza che caratterizzano il nostro quotidiano, le nostre esistenze condizionate dal disagio, spesso tangibile per chi ne è vittima, ma a volte subdolamente nascosto per chi non lo percepisce e realizza una quasi pacifica convivenza tra i due stati, un equilibrio che all’improvviso può esplodere e regalarci alcune verità - prese di coscienza - che potrebbero dare il colpo di grazia, oppure fornire la spinta per risalire e trovare la giusta luce per illuminare il sentiero che abbiamo davanti: ricominciare a vivere è la sola cosa che possiamo fare.
La musica degli Earthset può essere afferrata in modo meno… consapevole, come ci accadeva negli anni ’70, quando ci innamoravamo perdutamente di ciò che arrivava d’oltremanica, quando i messaggi intrappolati nelle liriche risultavano quasi sempre incomprensibili, visto l’idioma utilizzato.
Difficile per me trovare un disegno già conosciuto, perché ad ogni nuovo angolo corrisponde ciò che non ci si può aspettare se si ragiona in termini di similitudine rispetto alla traccia precedente; i generi si miscelano e non credo di uscire fuori tema se affermo di aver trovato tracce di rock tradizionale, punk, psichedelia canterburiana, progressive, britpop e un profumo intenso di Seattle.
Pregevole l’utilizzo della voce, strumento aggiunto, come spesso capitava in ambito prog e, tanto per sottolineare la precedente chiosa, esistono passaggi dove si ha l’impressione che Peter Hammill e Eddie Vedder trovino il punto di incontro nella proposta degli Earthset.
Non mancano i momenti intimistici e vorrei segnalare la bellezza di un brano struggente come Epiphany (https://www.youtube.com/watch?v=ZgRg43ULLTA), che fornisce un’idea precisa delle atmosfere rarefatte e di impatto create dalla band.
Da tenere d’occhio questi ragazzi, il loro album convince e seguirli con curiosità è il minimo che si possa fare.




L’INTERVISTA

Domanda d’obbligo: come, dove e quando nascono gli Earthset?

Gli Earthset nascono un pò per caso, un pò per fortuna… un pò per la voglia di suonare ed un pò per l’incoscienza di quattro giovani studenti fuori sede. Come un “blob” l’entità Earthset ha avvinto prima Luigi e Costantino, per poi intrappolare anche Emanuele ed Ezio. Il tempo di gestazione è stato piuttosto breve, un mese scarso a cavallo tra fine 2011 ed inizio 2012, tant’è che la comunità scientifica non riesce ancora a stabilirne la natura umana o aliena… Ma alla fine Earthset è nato. Ovviamente c’era solo un posto sulla Terra in grado di fornire le condizioni ambientali per lo sviluppo di questa entità critica, colta, incazzata e giovanilmente antica: Bologna.  

Non amo molto le etichette ma vi chiedo come spieghereste a parole, a chi non vi conosce, quale sia la vostra proposta musicale.

 Neanche noi amiamo le etichette, cose appiccicose che ti si incollano addosso, utili più per chi vende che per chi fa musica/arte in generale. Però per semplificare la comprensione di chi legge diremmo così: suoniamo un rock acido e tagliente, di base senza distorsioni pesanti, ma che a volte si accendono improvvisamente (caratteristica del grunge/alternative). È un rock molto d’atmosfera e per “immagini sonore” (psichedelia), in cui prevale un costante dialogo tra gli strumenti e la voce ed una ricerca di armonie non tipicamente rock, a volte classicheggianti (qualcuno ci vede del progressive) o non perfettamente consonanti (noise).
Forse più che chiarire abbiamo alimentato la confusione… Consigliamo di ascoltare il disco perché suona meglio di come lo si spiega!

“In A State Of Altered Unconsciousness” è il vostro album di esordio: mi raccontate i contenuti?

È un disco che raccoglie dieci brani, più una Ouverture strumentale, scritti tra metà 2012 e metà 2014. Abbiamo scritto il materiale e poi selezionato queste dieci canzoni nel momento in cui ci siamo accorti che presentavano, sia musicalmente che testualmente, degli elementi comuni che avrebbero consentito di dare maggior coerenza al lavoro.
Tre dei brani del disco erano già presenti nel nostro primo demo EP, che abbiamo ritenuto giusto registrare nuovamente perché la versione demo non aveva reso giustizia all’idea che di questi brani avevamo noi in testa. C’è molta varietà di stili e suoni, ma è un disordine apparente, dietro il quale si cela una coerenza di fondo data dalla ricerca di soluzioni inaspettate o comunque capaci di sorprendere l’ascoltatore.   

Trattasi di album concettuale?

Alla fine si, è risultato un album concettuale, anche se il “tema” si è palesato solo a scrittura ultimata. Il concetto di base è una riflessione sul significato di coscienza/incoscienza e su come sotto il velo di razionalità e lucidità di determinate scelte di vita, anche quotidiana, si nascondano vere e proprie voragini di incoscienza di sé. Se si volesse trovare un messaggio in ciò, sarebbe un invito ad una presa di coscienza, per vivere meglio con noi stessi e quindi anche con gli altri. Ed è divertente pensare che questo appello alla coscienza ed alla conoscenza di sé sia emerso in modo inconsapevole - e quindi incosciente - nella nostra produzione musicale…
Un paradosso, che però ci riporta al concetto iniziale: da una coscienza apparente, ad una vera e propria presa di coscienza attraverso stati alterati di Incoscienza.

Esistono modelli a cui vi rifate, artisti che considerate per voi formativi e punti di riferimento?

Sì e no, nel senso che ognuno di noi ha i propri modelli a livello di formazione musicale, i più vari e diversi. Per cui indicarne uno che accomuni tutti è praticamente impossibile … Come ascolti siamo tutti ascoltatori voraci ed anche abbastanza curiosi, quindi in questo caso il problema è opposto.

Quanto è importante per voi la nuova tecnologia, sia dal punto di vista del vostro lavoro realizzativo che da quello della pubblicizzazione?

Abbiamo un rapporto normale con la tecnologia. Nel nostro lavoro incide come in quello di tutti. Il web e i social sono diventati indispensabili per la pubblicizzazione di un qualsiasi lavoro. Per quel che riguarda la produzione, ovviamente le possibilità offerte da schede audio e relativi software che consentono a chiunque di produrre anche interi dischi totalmente in digitale, sono assolutamente straordinarie. Noi non ne facciamo un gran uso, preferiamo un approccio più analogico, dettato non tanto da atteggiamento hipster, quanto piuttosto dalla considerazione secondo cui la musica è qualcosa di “fisico”: quindi vogliamo mantenere quella fisicità nei nostri suoni e nel nostro sound.

Come avete prodotto e come distribuirete l’album?

L’album è stato autoprodotto insieme a Carlo Marrone ed Enrico Capalbo (in arte Soren Larsen). Carlo ha curato maggiormente l’aspetto “artistico”, seguendoci in sala prove in corso di scrittura. Il suo è stato un approccio “maieutico”: non ci ha mai detto cosa fare o cosa modificare nello specifico, ma si è sempre espresso con sincerità suggerendo idee o possibili sviluppi di arrangiamento, lasciandoci sempre libertà nella concreta realizzazione. Ed era divertente per noi provare a trovare delle soluzioni che, pur andando nella direzione da lui indicata, avrebbero potuto sorprenderlo.
Enrico ci ha seguito prevalentemente in studio di registrazione ed in fase di mix/master, mettendo al nostro servizio la sua incomparabile professionalità ed esperienza. È stato un privilegio poter lavorare con loro, oltre che un piacere essendo dei carissimi amici.
Il disco è distribuito da Audioglobe e The Orchard, sia in digitale sui principali stores online che in copie fisiche. 

Come giudicate lo stato attuale della musica in casa nostra? Possibile fare confronti con il resto del mondo?

Generalmente la musica italiana è abbastanza chiusa e, quindi, poco rilevante all’estero (Non ci esprimiamo sulla produzione pop di derivazione talent…). 
Purtroppo anche il mondo indipendente, che dovrebbe essere il più aperto, ha registrato una certa chiusura ed autoreferenzialità. Proliferano proposte musicali poco originali, abbastanza derivative e comunque prive di personalità. Forse la scena elettronica italiana è più al passo con il resto del mondo, ma il rock indipendente di casa nostra esce abbastanza malconcio dal paragone con l’estero. Ovviamente ci sono delle eccezioni, ma parlando in generale la vediamo abbastanza così.

Come sono gli Earthset dal vivo?

Ah chi lo sa… noi stiamo sempre dal lato del palco in cui non si vede. Voci di corridoio dicono che il bassista è troppo inglese, il batterista picchia, il chitarrista balla il tip tap sui pedalini ed il cantante alla chitarra ha i capelli spettinati davanti agli occhi, che il tutto è molto potente ed abbastanza “viaggione”, soprattutto con la nuova scaletta da tour. Speriamo di riuscire a vedere anche noi tutto questo prima o poi! 

Non vado mai a… cercarmi del lavoro, per il semplice fatto che mi manca il tempo, ma quando ho sentito il vostro primo singolo sono rimasto colpito e ho cercato di saperne di più: quanto credete sia importante curare l’impatto, l’immagine, la parte visual affiancata ad un brano d’effetto?

A nostro parere quel che conta di più è la musica, anche se oggi l’immagine è indispensabile. Molta gente ascolta la musica attraverso i video di youtube, per cui musica ed immagine non sono mai state così intimamente connesse come in questo frangente storico…è diventata imprescindibile.
Per cui per “rEvolution of the Species” abbiamo realizzato anche un videoclip, prodotto da Humareels ed El Garaje. Abbiamo cercato di creare insieme un immaginario visivo da associare alla canzone, in cui protagonista non è il gruppo, ma la situazione che a sua volta racconta la canzone e la integra di significato… è un video cucito addosso a questo brano, proprio per esserne in tutto e per tutto la rappresentazione visiva.

Quale potrebbe essere, o meglio, come vorreste che fosse il vostro futuro prossimo, restando con in piedi saldi per terra?


La nostra più grande aspirazione al momento è suonare. Suonare e portare il nostro disco in giro, offrirlo al pubblico… magari provando a fare qualche puntata all’estero, dove pare che i primi echi della (r)Evolution siano stati uditi ed apprezzati. 


Tracklist
1. Ouverture
2. Drop
3. The Absence Theory
4. rEvolution of the Species
5. Epiphany
6. So what!?
7. Skizofonìa
8. Gone
9. A.S.T.R.A.Y.
10. Lovecraft
11. Circle Sea

Members:
Luca Zanni - Vocals
Francesco Giacometti - Guitar & Vocals
Michele Giovanardi - Guitar & Leads
Riccardo Grazia - Drum
Marco Luciani – Bass

Genere: indie psych rock/grunge/prog/new wave/punk
Label: Seahorse Recordings
Distribuzione: Audioglobe/The Orchard




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