L’album Imperviae Auditiones, dei LoreWeaveR, ha un paio di anni. Sono arrivato
con un po’ di ritardo a questa band, anche se conosco parte del lavoro di Barbara Rubin, in altro contesto. L’album
mi è piaciuto molto e le righe a seguire possono essere considerate una “facilitazione”
verso il prossimo lavoro musicale della band.
Dicono i Loreweaver: “Siamo una band prog metal... suoniamo insieme dal 2009. Nel 2011 è uscito il nostro primo album "Imperviae Auditiones", e ora
stiamo ultimando le registrazioni del secondo... la partecipazione più
importante è al Fused Festival, Lydney (UK) ed ora ci prepariamo per andare al
Cambridge...”.
Per avere una seconda opinione ho favorito l’ascolto di Gianni Sapia, che commenta così la musica dei LoreWeaveR…
Andy Wharol, Velvet Underground, Allen Ginsberg. Personaggi accomunati non solo da
tante trasgressioni, ma anche da un altro personaggio, che è stato presente
nelle loro vite per periodi più o meno lunghi, con relazioni più o meno
profonde. Parlo della regista Barbara
Rubin, che di Ginsberg è stata, se così si può dire, una delle fidanzate
dell’altro sesso. Ammetto che non ne conoscevo l’esistenza prima di iniziare ad
interessarmi dei LoreWeaveR, gruppo metal-prog dell’alessandrino e che probabilmente mai
avrei conosciuto, senza questa interazione. Lecito chiedersi a questo punto
come c’azzecca una regista,
protagonista dei transgressive-set più importanti degli anni ’60, con una band
del basso Piemonte del nuovo millennio. C’azzecca
sì, perché è la cantante del gruppo! Proprio così, Barbara Rubin è la cantante
dei Loreweaver! Capiamoci bene, non
è che i LoreWeaveR abbiano
una cantante americana ultra settantenne, no. È solo omonimia. La nostra Barbara Rubin di anni ne ha molti meno, suona violino, viola,
pianoforte e soprattutto canta, con una voce maestosa e seducente. Gli altri
componenti del gruppo sono Francesco
Salvadeo (chitarra), Lorenzo
Marcenaro (tastiere), Daniele Focante
(basso) e Claudio Cavalli (batteria)
e loro sono, appunto, i Loreweaver.
Ho ascoltato il loro disco, Imperviae
Auditiones e per me sono state davvero delle “audizioni dell’impervio”,
perché qua si fa sul serio. Come direbbe un noto ex politico italiano, di cui
ci mancheranno solo le metafore, “ siam
mica qui a riempire i buchi del groviera!”. I LoreWeaveR fanno quello che
il loro nome promette, tessono incanti e sfornano un album che per gli amanti
del genere è come rhum sopra il babà, corroborante. Intanto nessun pezzo, a
parte la strumentale Ride the Owl,
scende sotto i sei minuti, cosa naturale visto il genere, ma meno naturale se
il genere fosse solo un pretesto commerciale e non una passione. E poi la
tecnica. Senza quella, questa musica non la fai. Penso ai Dream Theater, impeccabili tecnici, a cui, senza esitazione, i
cinque ragazzi piemontesi possono essere accostati. Con Bogus comincia il giro sulla giostra. L’inizio è un rotolare giù
dalle scale di chitarra, tastiera, basso e batteria che non lascia dubbi su
quello che andremo ad ascoltare e poi entra Ian Gillan. In realtà entra
Barbara, ma quando l’ho sentita la prima volta mi è immediatamente balzato agli
occhi il profondo viola dell’eclatante ugola di Gillan. Fin da subito Barbara
non si nasconde e schiera la sua potenza di fuoco, fatta di voce viscerale, sul
confine del palco, pronta ad invadere e conquistare la platea. Il giro
continua. La chitarra graffia il tessuto che tastiera, basso e batteria
intrecciano per introdurci a Dead Man
Walking, fino alla metallica e sabbatica entrata in scena della voce. È un
pezzo arlecchinesco, fatto di mille colori. La base metallara lascia spazio a
ritmiche gotiche, tastiere barocche, voce romantica e chitarra rinascimentale,
che rendono il tutto mutevole come il cielo d’aprile. De Rerum Natura è il brano successivo e dell’opera di Lucrezio non
prende solo il titolo. Lucrezio sviscera la filosofia di Epicuro rendendola con
la forma poetica perché, come spiega lui stesso, come i genitori somministrano le
medicine ai bambini cospargendole di miele per renderle meno sgradite, così lui
intende fare con la filosofia. E non si limita a questo. Lui vive il pensiero epicureo, lo
drammatizza. E quello che qui fa la band. Addolcisce un pezzo drammatico e
intenso con passaggi più lineari, più hard rock, che ben miscelano con la struttura gotica e
irrazionale che sorregge tutto il brano, fino ai cento metri finali in nove e
cinquantasette della batteria. Anche qui, ma questa sarà una costante di tutto
l’album, le capacità vocali ed interpretative di Barbara sono panna nel bignè, crema
nel cannolo, marmellata nella brioche. Continuo a seguire il tessitore e
arrivo, per l’appunto, al quarto pezzo, Follow
the Weaver. La voce resa metallica dagli effetti ci introduce in quello
che, fino al minuto 4.19, ricalca le orme di ciò che i cinque musicisti hanno
fatto sentire fin’ora, ma, a questo punto avviene una metamorfosi e la band ci
trasporta in atmosfere che sembrano essere un misto tra November Rain dei Guns’n’Roses e la coda di Layla di Eric Clapton. Qualcosa di inaspettato che non fa altro che
sottolineare le qualità dei ragazzi e solleticare la curiosità di chi ascolta.
Ma al minuto 6.53 si cambia, nel vero senso della sensazione uditiva, stazione
e si torna su binari più consoni che conducono ad un ipnotico finale. È un volo
pindarico quello che si fa cavalcando il gufo in Ride the Owl, traccia strumentale dell’album. I ragazzi si
divertono come adolescenti sui prati col pallone. Ampi cambi di gioco,
rovesciate volanti, colpi di tacco, palleggi e tiri al volo. La tecnica glielo permette.
La giostra gira ancora e siamo a Avoid
Feelings, traccia numero sei. Il tintinnare delle campanelle introduttive
viene bruscamente interrotto dalla potente entrata in scena della band ed è
proprio un senso di potenza che caratterizza questo pezzo a cui fa da
fondamenta un metallaro riff di chitarra. Barbara non è da meno e da cantante
eclettica quale è, spreme la voce direttamente dallo stomaco fino a farla
diventare lieve e fatale come promesse d’amore, in un finale che conferma la
tendenza del gruppo a saper sterzare con sapienza, facendo affrontare
all’ascoltatore i tornanti del progressive con la dovuta misura. E quella
dolcezza accennata nel finale di Avoid
Feelings la ritroviamo in That Night,
lo zucchero filato del disco. Una ballata romantica che gode della magistrale
interpretazione di Barbara e che la band si concede prima di riprendere in
mano, oltre al cuore, anche nervi, stomaco, fegato e cervello ed arrivare così
a fermare la giostra con Ultraworld,
ultima ricca portata del menù che Imperviae
Auditiones offre. È il brano più visionario dell’album, il più teatrale.
Nove minuti e quarantasei di sana schizofrenia che condensano le
caratteristiche musicali di tutta l’opera, che oscillano continuamente,
zigzagano senza sosta come la pallina di un flipper. Nel suo genere quindi, Imperviae Auditiones è senz’altro un bel
lavoro, impreziosito ancor di più, non me ne vogliano gli altri componenti
della band, dalla voce scenografica di Barbara Rubin, che quando canta sembra
che sia l’ultima cosa che dovrà fare nella vita e a cui cedo volentieri la
parola per la conclusione, riportando un brano di un’intervista rilasciata ad
Athos Enrile circa un anno fa: «Cantare vuol dire fare musica e comunicare ciò
che la mente vuole senza un mezzo intermediario, direttamente con il corpo.
Questo da una sensazione di libertà. La parola, la ragione e i sentimenti
possono essere rafforzati dalla musica. A me piace cantare, esprimermi
guardando negli occhi chi mi ascolta, più sinceramente che posso. Il palco,
ogni palco, anche piccolo, è la mia occasione di esprimermi».