mercoledì 5 ottobre 2022

Officina F.lli Seravalle-“Ledrôs”

Alessandro e Gian Pietro Seravalle, ovvero Officina F.lli Seravalle, aggiungono un quarto atto alla loro discografia: il titolo è Ledrôs”.

Il loro pensiero, snocciolato nello svolgimento dell’articolo, risulta fondamentale per comprendere appieno i significati e gli intenti del progetto, perché appare difficoltoso - almeno per me -  dare il giusto risalto ad un album che ha bisogno di decodificazione per poter essere apprezzato a fondo, conoscendone i dettagli e avendo chiarezza degli intenti che hanno guidato gli autori nella nuova esperienza.

Trattasi di una sorta di concept che chiude la trilogia iniziata con “Tajs!” e proseguita con “Blecs”, termini friulani che corrispondono alle parole “Taglio, Rattoppo”, mentre l’ultima “traduzione” riporta al significato di “Rovescio”.

Ma è su quest’ultimo termine che occorre soffermarsi, immaginando che sia utilizzato per invertire il normale punto di vista umano, rivolgendo lo sguardo verso noi stessi, con una osservazione di tipo immateriale che può portare alla comprensione, all’accettazione, al rispetto e probabilmente alla crescita. Ma esiste anche una perlustrazione più fisica, che lega la conoscenza perfetta del proprio corpo a reazioni ingiudicabili dall’esterno.

E poi troviamo anche un’altra chiave di lettura, quella che “ribalta” il pensiero comune, l’ortodossia, il pensare codificato che impone regole e ruoli.

Tutto questo ha mosso i Seravalle nella creazione di un disco che, come sempre accade in questi casi, resterà per pochi, e di questo sono consci.

Ma al di là dell’intellettualismo che muove le trame di “Ledrôs”, esiste l’aspetto musicale che mi pare davvero variegato e fruibile anche senza la continua didascalia.

Gli autori definiscono la loro musica etichettandola come esempio di “eterogenea omogeneità”, un accostamento contrastante ma spiegabile con una serie di proposte molto variegate tra loro - e qui risiede l’eterogeneità - ma filtrate e modellate dalle due figure di garanzia - gli autori - che vigilano, si muovono e selezionano affinché agisca efficacemente il collante che deve mantenere assieme i singoli episodi.

La libertà - controllata - predomina, con l’elettronica che si miscela all’avanguardia, la musica progressiva al jazz, passando per una buona dose di sperimentazione.

Il termine da loro coniato è “musica officinalis”, ma nell’intervista a seguire tutto si chiarirà.

L’effetto sorpresa è salvaguardato, e ad ogni giro d’angolo si incontra ciò che non si aspettava di vedere/ascoltare, ma non penso l’obiettivo abbia a che fare con la capacità di stupire, ma piuttosto si voglia dare seguito ad esigenze personali, urlando la propria visione del mondo con la frustrazione - almeno credo - che la condivisione seguirà una via contenuta, se rapportata alle reali possibilità.

Ho ascoltato la prima volta “Ledrôs” nel corso di un viaggio, in totale solitudine, potendo così godere dei particolari che emergono quando si ha la possibilità di concentrarsi. Nei successivi due ascolti ho pensato che l’album potrebbe essere vissuto, anche, con una certa semplicità, lasciandosi andare.

Qualunque sia la fruizione… un gran lavoro, in mezzo a tanta mediocrità.

A fine articolo propongo un video estratto dell’album.


L’intervista…

 

“Ledrôs” è il vostro quarto album: che cosa lo lega ai precedenti?

 

Credo sia individuabile una certa continuità nel metodo di lavoro che ci siamo dati. Il rimbalzo d’idee da uno all’altro è alla base della struttura stratificata delle composizioni. Questo metodo causa sovente una profonda metamorfosi dell’idea di partenza, talvolta, dopo essere passati attraverso questo processo ricorsivo, i brani ne escono completamente trasfigurati rispetto al nucleo generativo del brano stesso. Solo per fare un esempio: “Sublime futilità”, nasce come una composizione puramente timbrica e, mediante la procedura di cui sopra e grazie anche all’intervento alle trombe e al flicorno di Zeno Tami, per dire quanto anche gli ospiti, cui lasciamo libertà totale, abbiano la possibilità d’incidere in questo sviluppo, diventa qualcosa di completamente diverso, assolutamente irriconoscibile rispetto a quando il puro timbro che la costituiva è entrato nel meccanismo di “rimbalzo” e di stratificazione. Questo da un punto di vista strettamente musicale. Concettualmente invece Ledrôs costituisce, con le due opere precedenti “Tajs!” e “Blecs”, una sorta di trilogia. Si tratta di concept album di tipo, diciamo così, non narrativo. Quello che intendo è che il collante non è una storia (come può essere The lamb lies down on Broadway dei Genesis ad esempio), ma la proposizione di diversi aspetti di un medesimo concetto portante. In questo senso decisive sono le brevi presentazioni che compaiono nei libretti dei dischi cui rimando i lettori. Sono quelle che stabiliscono il mood teorico-speculativo di base dei singoli dischi riassunti in una singola parola friulana dai titoli. Dunque, la nozione di “taglio” in tutte le sue possibili declinazioni (taj in friulano significa esattamente questo), quella di “rattoppo” (blec in friulano) e quella di “rovescio” (ledrôs).

 

Mi racconti l’idea, il pensiero, i concetti che si celano dietro ad una proposta come “Ledrôs”?

 

A questo punto mi stimoli a riportarti le note di copertina di cui sopra perché, dopo averle meditate per qualche tempo, le trovo sufficientemente esaurienti ed esplicative: «Ledrôs è il friulano per “rovescio”. L’idea che percorre l’opera (per fuggire in differenti direzioni in barba al principio di non contraddizione visto qui come simbolo del “dritto” che critichiamo) è duplice: da un lato lo sguardo che si rovescia verso l’interno, rapidi raggi di tenue luce illuminano gli anfratti interiori, occhi indagatori catturano luci oscure, secrezioni (non soltanto biochimiche) e silenzi del corpo (G. Ceronetti), come pure manovre evasive, inchiostri di seppia che nascondono alla vista e proteggono colui che ci abita (B. Gracián); dall’altro il ribaltamento del pensiero comune. E così la chiaroveggenza diventa nefasta (E. Cioran) mentre la futilità diviene sublime (O. Spengler), Prometeo mostra il suo volto atroce e chiama il suo negativo (di nuovo Cioran), i ricchi completano la loro rivoluzione nascosta ai danni di coloro che niente possiedono (W. Brown), Oblomov (I. Gončarov) si staglia a modello per un’umanità che, a causa della sua brama di azione, prepara la propria autodistruzione e avvelena la biosfera mentre il pianeta Terra, indifferente al destino di ogni essere vivente, continua tranquillamente a orbitare… e poi digressioni più o meno distanti… autostrade, bizzarri luoghi di stordimento, il vino e le volute di fumo, la fabbrica, la più bella tra le città… unitevi a noi in un volo radente e rovesciato su paesaggi imprevedibili.

 

Dal punto di vista meramente musicale come definiresti il vostro nuovo lavoro?

 

Definire non è mai operazione semplice. Vorrei dunque utilizzare un ossimoro in quanto lo ritengo l’artificio retorico più adatto, insieme forse alla metafora, per tentare di cogliere qualche atomo di verità. Mi richiamo quindi a una “eterogenea omogeneità”. Il disco presenta soluzioni musicali tra le più distanti, si passa dall’avanguardia con richiami alla musica colta post-weberniana di Di refosco e di ghigno, alla techno di Retinal fetish, alla fusione di queste due istanze (Vignesia, il cui videoclip è stato curato da Selene Caisutti, figlia maggiore di mia moglie), dal chill-out de Il silenzio del corpo al jazz-rock alieno di Néfaste clairvoyance e L’antiprometeo passando per il progressive rock di A4 – driving the moon home e Terzo turno, il rock elettronico di Elogio di Oblomov e Stealth revolution, il soul di altre galassie di Sublime futilità e la dark-ambient di Jibias de interioridad. Ovviamente queste etichette sono puramente didascaliche, i generi, ammesso che esistano, qui si avviluppano l’uno sull’altro, s’intersecano, figliano creature estranee. L’omogeneità è invece garantita dalle nostre personalità artistiche che, in modo del tutto spontaneo e direi anche inevitabile, filtrano, macinano, digeriscono e rielaborano in modo peculiare quelle che vengono chiamate “influenze”, restituendo poi un’opera che, auspicabilmente, è segnata da un grado di originalità (e di autenticità che le due cose vanno spesso di pari passo) non indifferente.

 

Elettronica, sperimentazione, avanguardia… esiste un’etichetta che vi pare calzante per descrivere la vostra musica a chi non la conoscesse?

 

Proprio in virtù dell’impossibilità di applicare un’etichetta univoca alla nostra musica ci siamo inventati l’idea di musica officinalis, espressione che compare in una sorta di manifesto che scrivemmo all’epoca del primo disco (Ûs frais cros fris fics secs). Ecco un estratto: “…è musica eterogenea, mai disposta a riposare su posizioni acquisite, dallo stile volutamente zigzagante. Niente linee predefinite qui, ogni impulso all’operare è accolto e trasformato in musica, ogni sensazione diventa occasione per un viaggio sonoro. È musica officinalis, dotata di proprietà terapeutiche, cura contro le derive logoranti della vita quotidiana”.

 

Esiste all’interno di “Ledros” una traccia che può essere considerata rappresentativa dell’intero disco?

 

Direi proprio di no proprio in virtù dello “zigzagare” di cui sopra. Certo ci sono brani un po’ più “convenzionali” (consentimi il virgolettato) e altri invece totalmente inauditi, nel senso etimologico del termine. Si tratta di composizioni che non potevano che erompere che da noi due e che non trovano paragoni possibili in dischi di altri artisti, o almeno io, che pure sono un ascoltatore onnivoro, non ne sono a conoscenza. In questo senso credo che Di refosco e di ghigno, senza dubbio il brano più ostico del lotto, sia paradigmatico. Tuttavia, non direi che sia più rappresentativo di altre composizioni presenti nell’opera.

 

Ne approfitto per chiederti qual è il tuo/vostro giudizio lo stato attuale della musica: ci sono spazi e speranze per la proposta di qualità?

 

Sono un pessimista cosmico e tuttavia ritengo che qualche spazio ci sia. Naturalmente poi bisogna capire quali siano le aspettative. Se ci si aspetta che un progetto avantgarde come il nostro posso assurgere non dico a fenomeno di massa ma, anche solo trovare spazio in una scena di nicchia troppo spesso purtroppo sclerotizzata come quella del rock progressivo vuol dire che si vive su Marte. E tuttavia il semplice fatto che io stia qui a parlarne con te implica che uno spazio di manovra, benché estremamente risicato, esiste. Certo, sfortunatamente la musica è la forma d’arte, assieme forse al cinema, che più di ogni altra a subito il pernicioso fenomeno di mercificazione di cui già nel 1949 parlava Adorno. Si tratta di costruirsi delle “nicchie ecologiche” in cui far prosperare la musica come forma artistica espressiva e terapeutica e di non lasciarsi toccare dalla frustrazione. Una cosa sono i prodotti musicali non dissimili da un detersivo, dunque mera merce, un’altra le proposte miranti a espressione e autenticità. Tenendo questi due mondi ben separati non c’è frustrazione alcuna nel vedere il becerume trionfare. In questo senso, come del resto insegna Robert Fripp, il dilettantismo (ancora una volta si colga la parola nel senso etimologico) è un’ottima risposta.

 

Esiste una band o un artista che vi ha più di altri influenzato nella costruzione del nuovo album?

 

Sono fermamente convinto che l’originalità assoluta sia una chimera, nemmeno Arnold Schönberg è stato “assolutamente originale”. Tutti veniamo da un retroterra, subiamo influenze, siamo immersi in un mondo. Tuttavia, ritengo anche che le influenze non debbano essere un fatto voluto, non si dovrebbe comporre alla maniera di qualcuno, esse dovrebbero agire in modo carsico, sotterraneo e del tutto inconscio. Suppongo che per Officina funzioni esattamente così e dunque che queste suggestioni, certamente presenti, emergano involontariamente ed è questo aspetto a garantire la nostra originalità, ben inteso relativa, rispetto a troppa musica costruita con gli stampini che disgraziatamente imperversa anche nell’underground e non soltanto nella musica mainstream di consumo.

 

Come lo pubblicizzerete?

 

Molto semplicemente grazie alla benevolenza e all’attenzione di persone come te (ti prego di credermi, non si tratta di una sviolinata). Ogni occasione per far conoscere il nostro approccio alla musica è benvenuta. Quindi recensioni, interviste, apparizioni in radio o in televisione sono il mezzo d’elezione per promuovere una musica che, a ben guardare, non è così “difficile” come si sarebbe propensi a pensare. Il fatto che Officina F.lli Seravalle non rinunci praticamente mai all’elemento groove fa sì che anche gli esiti timbricamente o compositivamente più sperimentali si vestano in modo tale da poter davvero essere gustati da chiunque. Si tratta soltanto di “dare una possibilità” a qualcosa che esca dal solito seminato. Se i grandi gruppi progressive del passato non avessero osato allontanarsi dai cliché allora imperanti non avremmo avuto i grandi capolavori che tutti amiamo. Se insisteremo a riproporre quei modelli non faremo altro che tradire lo spirito del rock progressivo a vantaggio di una pedissequa riproposizione della sua lettera. Non mi sembra una scelta illuminata.

Vista la presenza di “guests”, un album come “Ledros” può essere riproposto facilmente dal vivo?

 

Senza dubbio la presenza di ospiti complica ancora più una faccenda già molto complessa a causa delle molte sovraincisioni di cui io e mio fratello siamo protagonisti. La verità è che Officina F.lli Seravalle non è interessata a proporre un classico concerto frontale, col gruppo sul palco e il pubblico, appunto, di fronte. Saremmo invece attratti dall’idea, invero più o meno inattuabile in termini economici, di realizzare uno spettacolo multimediale che coinvolga immagini, danza, video-art e action painting senza che noi si debba per forza essere sul palco. Vorremmo invece starcene tra il pubblico senza suonare, con la musica che esce così com’è stata concepita dai diffusori direttamente dal disco. Una fantasia forse…


 

Officina F.lli Seravalle ‎– Ledros

Label: Officina F.lli Seravalle ‎– Ledros

ZeiT Interference ‎– ZEITCD015

Format: CD, Album

Country: Italy

Released: 2022

Genre: Electronic, Rock

Style: Prog Rock

 

Tracklist

1-Elogio di Oblomov-5:02

2-Di Refosco E Di Ghigno-8:42

3-Il Silenzio Del Corpo-5:10

4-Nefaste Clairvoyance-5:01

5-Vignesia-3:32

6-A4 - Driving The Moon Home-3:36

7-Stealth Revolution (from The Top Down)-6:29

8-L'Antiprometeo-6:02

9-Sublime Futilità-5:00

10-Retinal Fetish-4:53

11-Jibias de Interioridad (against The Eye Of The Lynx, The Ink Of The Cuttlefish)-2:54

12-Terzo Turno-4:13