Officina Di Hank
Parlare e scrivere sul generico argomento “Jethro Tull” è per
me sempre un piacere, e non starò qui a sottolinearne gli ovvi motivi, ma affrontare
l’argomento attraverso il commento ad un libro, scritto da una persona che si
conosce, diventa qualcosa di più… intimo, quasi un movimento in una zona di
estremo confort, anche se appare imperativo non dimenticare di fornire l’elemento
oggettivo.
Quando conobbi Giuseppe Scaravilli aveva
un flauto tra le mani, e assieme ad Andrea Vercesi si esibì sul “palco pomeridiano”
alla convention dei J.T. di Novi Ligure, quella del 2006, un set acustico a cui
parteciparono anche il duo Lincoln/Lelli e quello Mocchetti /Perlini.
Sono passati molti anni e le vicende di vita si sono
susseguite, e così Scaravilli ha alternato la sua attività musicale con i
Malibran a quella di saggista, sfornando differenti progetti e, visto che siamo
in tema, un bel “Jethro Tull, 1968-1978-The Golden Years”, pubblicato
nel 2018.
Un paio di mesi fa Giuseppe ha rilasciato un nuovo lavoro,
ancora dedicato alla band del cuore, dal titolo “Jethro Tull-La leggenda del flauto nel rock”, con
la prefazione di Fabio Rossi.
Ogni volta che si affronta un argomento musicale specifico,
magari di nicchia ma a lungo perlustrato in precedenza dal mondo giornalistico,
ci si chiede sempre se in effetti ce ne fosse bisogno o se lo sforzo - onerosissimo
- risponda in realtà ad un’esigenza personale, quella che porta a parlare di
colonne sonore di una vita che si vorrebbe condividere coinvolgendo chi nulla o
poco sa, perché quella che si ritiene sia una bellezza assoluta deve trovare,
nella mente di chi scrive, espansione a macchia d’olio. Tutto questo lo deduco,
soprattutto, dalle mie esperienze personali.
Alla fine, può capitare di dire tra sé e sé: “Ma ce n’era
davvero bisogno?”.
Con questa domanda, che spesso mi sono posto in passato, ho
iniziato l’avvicinamento ad un book che alla fine ho divorato in poche ore.
Il motivo è che ho trovato all’interno cose che non
conoscevo, ma tante… e mentre ho dato meno peso a certi elementi storici - come
le seppur utili scalette dei vari concerti - ho trovato invece
interessantissimi certi risvolti anche molto intimi e personali che hanno stimolato
la mia curiosità, portandomi a chiudere cerchi che mai avevano trovato la
fermatura.
Intendiamoci, resta un lavoro per appassionati della band,
come Scaravilli lascia intravedere nella sua introduzione:
“Questo libro, dedicato alla storia dei Jethro Tull,
intende rappresentare un approfondito excursus della loro carriera dagli esordi
ai giorni nostri, con un maggior approfondimento per gli anni che vanno dal
1968 al 1980. Ogni capitolo è dedicato alle uscite discografiche di quell’anno
specifico in ordine cronologico, da “This Was” a “Stormwatch” - il cui tour si
chiuse all’inizio del nuovo decennio - per poi proseguire con capitoli più
riassuntivi ma non meno curati. Sono trattate anche tutte le tournée, i brani
rimasti fuori dai dischi ufficiali, gli aneddoti, i cambiamenti nella
formazione e nei costumi di scena della band, le scalette dei concerti, il
materiale audio e video esistente, le rarità e tante altre notizie forse meno
conosciute ai più… al contrario di altre celebri band degli anni Settanta, in
Italia non esistono molte biografie dedicate ai Jethro Tull e questo volume
spera di colmare questo vuoto, cercando di risultare allo stesso tempo
esaustivo, scorrevole e avvincente.”
Ma perché Mick Abrahams lasciò il gruppo dopo il primo album?
Perché Glenn Cornick fu allontanato? E che accadde a Martin Barre, colonna e
braccio destro di Ian Anderson, licenziato all’improvviso?
Non è gossip, ma storia, e la lettura permette di entrare
maggiormente nelle dinamiche gruppali, realizzando un’analisi basica della
psicologia del “padre padrone” Ian, il vero artefice nel bene e nel male - e su
questo non ci sono dubbi - del fenomeno tulliano.
Il libro avvolge, con la sensazione, a volte, di essere all’interno
del racconto, mentre la musica, parola dopo parola, si materializza nella mente
di chi legge.
Le fotografie di metà libro fanno parte del contesto, e il
loro bianco e nero - forse meramente legato al problema dei costi di produzione
- contribuisce nel realizzare un profumo âgé, che è quello che emerge nel corso
della lettura, nonostante lo spazio temporale analizzato permetta di arrivare
ai giorni nostri.
Che altro aggiungere, un bel volume, scorrevole, importante
dal punto di vista storico, imperdibile per gli appassionati del genere, che
mette in risalto la passione cristallina - e la capacità comunicativa - di
Giuseppe Scaravilli, musicista e scrittore in grado di riannodare i fili del
tempo e le connessioni esistenti tra sentimenti e oggettività.
Una bella e consigliabile lettura.