domenica 23 ottobre 2022

Giuseppe Scaravilli-“Jethro Tull-La leggenda del flauto nel rock”


 
         Giuseppe Scaravilli-“Jethro Tull-La leggenda del flauto nel rock”

Officina Di Hank

 

Parlare e scrivere sul generico argomento “Jethro Tull” è per me sempre un piacere, e non starò qui a sottolinearne gli ovvi motivi, ma affrontare l’argomento attraverso il commento ad un libro, scritto da una persona che si conosce, diventa qualcosa di più… intimo, quasi un movimento in una zona di estremo confort, anche se appare imperativo non dimenticare di fornire l’elemento oggettivo.

Quando conobbi Giuseppe Scaravilli aveva un flauto tra le mani, e assieme ad Andrea Vercesi si esibì sul “palco pomeridiano” alla convention dei J.T. di Novi Ligure, quella del 2006, un set acustico a cui parteciparono anche il duo Lincoln/Lelli e quello Mocchetti /Perlini.

Sono passati molti anni e le vicende di vita si sono susseguite, e così Scaravilli ha alternato la sua attività musicale con i Malibran a quella di saggista, sfornando differenti progetti e, visto che siamo in tema, un bel “Jethro Tull, 1968-1978-The Golden Years”, pubblicato nel 2018.

Un paio di mesi fa Giuseppe ha rilasciato un nuovo lavoro, ancora dedicato alla band del cuore, dal titolo Jethro Tull-La leggenda del flauto nel rock”, con la prefazione di Fabio Rossi.

Ogni volta che si affronta un argomento musicale specifico, magari di nicchia ma a lungo perlustrato in precedenza dal mondo giornalistico, ci si chiede sempre se in effetti ce ne fosse bisogno o se lo sforzo - onerosissimo - risponda in realtà ad un’esigenza personale, quella che porta a parlare di colonne sonore di una vita che si vorrebbe condividere coinvolgendo chi nulla o poco sa, perché quella che si ritiene sia una bellezza assoluta deve trovare, nella mente di chi scrive, espansione a macchia d’olio. Tutto questo lo deduco, soprattutto, dalle mie esperienze personali.

Alla fine, può capitare di dire tra sé e sé: “Ma ce n’era davvero bisogno?”.

Con questa domanda, che spesso mi sono posto in passato, ho iniziato l’avvicinamento ad un book che alla fine ho divorato in poche ore.

Il motivo è che ho trovato all’interno cose che non conoscevo, ma tante… e mentre ho dato meno peso a certi elementi storici - come le seppur utili scalette dei vari concerti - ho trovato invece interessantissimi certi risvolti anche molto intimi e personali che hanno stimolato la mia curiosità, portandomi a chiudere cerchi che mai avevano trovato la fermatura.

Intendiamoci, resta un lavoro per appassionati della band, come Scaravilli lascia intravedere nella sua introduzione:

Questo libro, dedicato alla storia dei Jethro Tull, intende rappresentare un approfondito excursus della loro carriera dagli esordi ai giorni nostri, con un maggior approfondimento per gli anni che vanno dal 1968 al 1980. Ogni capitolo è dedicato alle uscite discografiche di quell’anno specifico in ordine cronologico, da “This Was” a “Stormwatch” - il cui tour si chiuse all’inizio del nuovo decennio - per poi proseguire con capitoli più riassuntivi ma non meno curati. Sono trattate anche tutte le tournée, i brani rimasti fuori dai dischi ufficiali, gli aneddoti, i cambiamenti nella formazione e nei costumi di scena della band, le scalette dei concerti, il materiale audio e video esistente, le rarità e tante altre notizie forse meno conosciute ai più… al contrario di altre celebri band degli anni Settanta, in Italia non esistono molte biografie dedicate ai Jethro Tull e questo volume spera di colmare questo vuoto, cercando di risultare allo stesso tempo esaustivo, scorrevole e avvincente.”

Ma perché Mick Abrahams lasciò il gruppo dopo il primo album? Perché Glenn Cornick fu allontanato? E che accadde a Martin Barre, colonna e braccio destro di Ian Anderson, licenziato all’improvviso?

Non è gossip, ma storia, e la lettura permette di entrare maggiormente nelle dinamiche gruppali, realizzando un’analisi basica della psicologia del “padre padrone” Ian, il vero artefice nel bene e nel male - e su questo non ci sono dubbi - del fenomeno tulliano.

Il libro avvolge, con la sensazione, a volte, di essere all’interno del racconto, mentre la musica, parola dopo parola, si materializza nella mente di chi legge.

Le fotografie di metà libro fanno parte del contesto, e il loro bianco e nero - forse meramente legato al problema dei costi di produzione - contribuisce nel realizzare un profumo âgé, che è quello che emerge nel corso della lettura, nonostante lo spazio temporale analizzato permetta di arrivare ai giorni nostri.

Che altro aggiungere, un bel volume, scorrevole, importante dal punto di vista storico, imperdibile per gli appassionati del genere, che mette in risalto la passione cristallina - e la capacità comunicativa - di Giuseppe Scaravilli, musicista e scrittore in grado di riannodare i fili del tempo e le connessioni esistenti tra sentimenti e oggettività.

Una bella e consigliabile lettura.