Un altro appuntamento in quel di Veruno per una
manifestazione tra le più importanti a livello europeo - aggiornata nella denominazione per l’occasione
in “VERUNO2019 PROG FESTIVAL 2DAYS+1" -, divenuta
un punto fisso per gli appassionati del genere, quella musica progressiva che
vede coinvolto un pubblico molto variegato costituito, anche, da una cospicua
parte di giovani.
I numeri, si sa, sottolineano come il prog sia un movimento
di nicchia, ma il popolo di Veruno è qualcosa di diverso, speciale, sia per numero
di partecipanti che per legame affettivo e amicizia, ed esiste una grandissima voglia
di condivisione e partecipazione, tanto che a pochi giorni dalla fine di ogni
edizione si ricomincia a pensare al prossimo appuntamento, una pianificazione che
vede l’intervento dei fans, almeno a livello di sogni/consigli.
Ma è difficile spiegare a parole l’atmosfera, anche se chi si
appresta a leggere questo articolo è sicuramente già passato dalle parti di
Veruno e sa perfettamente a cosa io mi stia riferendo.
L’artefice di tutto questo è in primis Alberto Temporelli che ha
creato una squadra imbattibile, dove emerge la simpatia e la capacità del
factotum Octavia Brown.
Empatia, capacità organizzativa, location, alta tecnologia, sono
tutti elementi che hanno portato sul palco del festival nomi apparentemente impossibili
di questi tempi - non solo dello stretto giro della musica prog -, una miscela
fatta di musica italiana e straniera, tra novità assolute e certezze consolidate.
La mia presenza in questa edizione si è limitata alla
giornata di chiusura, ma in un prossimo numero di MAT2020 Evandro
Piantelli commenterà il festival in toto, in modo esaustivo, come capita
ogni anno.
Mi devo pertanto limitare ai protagonisti della domenica, l’8
settembre, utilizzando stralci di concerto che, molto meglio delle mie parole,
possono fornire l’idea di quanto accaduto.
Alle 18 inizia la prima band in scaletta, Il Bacio delle Medusa, che non vedevo dal vivo da una
decina di anni.
La formazione prevede Simone Cecchini (voce e chitarra
acustica), Diego Petrini (batteria, percussioni e tastiere), Eva
Morelli (flauto e sax), Federico Caprai (basso), Simone Brozzetti
(chitarra elettrica) e Simone "Il Poca" Matteucci (chitarra
elettrica e acustica).
Un concerto molto coinvolgente, con un sound potente e con la
piacevole contaminazione apportata dalla strumentazione di Eva.
L’assoluta padronanza del palco è stata catturata nel video a
seguire, che termina con la testimonianza del gradimento dell’audience.
A seguire l’Acqua Fragile,
ricostituitasi da un paio di anni attorno al suo leader Bernardo Lanzetti
(voce e chitarra) e agli altri due membri originali, Franz Dondi (basso)
e Pieremilio Canavera (batteria). A chiudere il cerchio il tastierista Stefano
Pantaleoni, il chitarrista Michelangelo Ferilli e la vocalist Rossella
Volta.
Non è questo il debutto del nuovo corso, ma è sicuramente il
vero test live di una formazione storica che ha cambiato concettualmente l’impostazione,
inserendo un nuovo elemento, Rossella, laddove sembrerebbe esistere una totale
copertura, ma occorre tenere conto che è caratteristica precipua dell’Acqua
Fragile la cura degli aspetti vocali.
La ruggine, che potrebbe esistere, giustificata dai tanti
anni di assenza dalle scene - se si far riferimento all’ensemble -, non è presente
on stage, e il mix tra i due album antichi e il recente “A new chant” viene
apprezzato incondizionatamente dal pubblico. Ecco un estratto della loro
performance…
Cala il buio e arrivano gli inglesi ARENA, ovvero Paul Manzi (voce), John
Mitchell (chitarra), Clive Nolan (tastiere e voce), Kylan Amos
(basso e voce) e Mick Pointer (batteria).
Non avevo mai avuto occasione di ascoltarli dal vivo, nonostante
la loro sia una storia lunga quasi un quarto di secolo.
Propongono il loro prog dal piglio metallico, con un frontman
capace di scaldare il pubblico e indurre alla partecipazione.
Il mestiere è dalla loro parte, e l’esperienza si fonde alle
innegabili doti personali, elementi che segnano il passaggio dal chiarore all’oscurità,
regalando fascino ad una serata che volge al termine…
E a chiudere il festival arriva la storia del Rock, gli Iron Butterfly.
Tutti quelli che hanno la mia età e dintorni conoscono il loro
brano immagine, “In-A-Gadda-Da-Vida” (che propongo nel video), ma
occorre dire che gli I.B. sono un vero simbolo della miscela tra rock e psichedelia,
e consiglio un brano in particolare (proposto nell’occasione) a chi non avesse
mai avuto occasione di vederlo/ascoltarlo, “Butterfly Bleu”, facilmente
fruibile in rete.
Credo che a partire dal 1966, anno della loro fondazione, le
formazioni che si sono avvicendate siano una cinquantina; quella segnalata
attualmente prevede:
Dave Meros (basso e voce), Ray Weston (batteria e percussioni), Michael
Green (percussioni e voce), Eric Barnett (chitarra e voce) e Martin
Gerschwitz (tastiere e voce).
Non è musica progressiva quella che presentano, ma il ritorno
al passato è garantito, e l’elemento nostalgico si fonde con la quasi necessità
di movimento da parte dei presenti.
Davanti a noi una band iconica che, nonostante i frequenti
cambi di elementi umani, mantiene il profumo di un tempo lontano e permette di stimolare
i sensi e la percezione d’ascolto.
Nemmeno lo staff resta insensibile all’esplosione sonora che
va in scena al calar del festival…
Un bagno di folla, tra l’entusiasmo generale: chi avrebbe mai
detto che gli Iron Butterfly sarebbero arrivati dalle nostre parti!?
La serata finisce ma si fa fatica a lasciare il campo…
sarebbe bello prolungare il contatto, la socializzazione, il rito magico e
impagabile che il virtuoso popolo di Veruno conosce alla perfezione e che ogni
volta porta a dire - o solamente a pensare - … “Anche io c’ero!”.
Che dire, grazie agli organizzatori, ai loro collaboratori, a
chi sovvenziona l’evento permettendo che la musica sia completamente gratuita, ai
musicisti, e a tutte quelle anime che, ne sono certo, pensano già al settembre
2020!