La musica non è molto diversa dalla vita. Come nel vissuto, ci
sono attimi di felicità, incertezza, serenità, angoscia, mistero, dubbio,
relax, demoni, imprevisti… ecco, mentre tutto è calmo e si sta gustando una
situazione ideale, può capitare qualcosa che cambia tutto in pochi istanti. Non
l’avevamo previsto. E’ così che immagino la musica.
E’ questo il pensiero
di Tolo Marton che accompagna l’album “My Cup Of Music”, 65 minuti di musica suddivisi
su 18 brani, tutti strumentali tranne uno.
Pensi a Tolo e disegni
un’immagine blues, rock, le Orme, Hendrix, la tecnica chitarristica… beh, nel
suo nuovo disco c’è molto di più, c’è la sintesi di una vita, una riflessione fatta
in totale autonomia, senza chiedere aiuto alcuno in fase realizzativa, dedicando
il giusto tempo a se stesso per raccogliere le idee e costruire miniature
musicali che diventano dediche, ricordi di persone care e memorie personali, e
questa totale apertura fa emergere un Marton lontano dallo stereotipo che lo
vede incasellato nella categoria dei “Guitar Heros”: il vero volto di Tolo, quello
in cui si trova a proprio agio - almeno in questo momento della vita -, è racchiuso in questo incredibile disco che appare il più
trasversale possibile.
Una sola cover,
motivata da evento preciso - come racconta lo stesso Tolo a seguire - e tanti
frammenti sonori che corrispondono a sentimenti intimi che erano in parte
rimasti celati in questi anni, probabilmente perché non era ancora maturata la
situazione ottimale, quella che consente di lasciarsi andare in modo totale: questo, come emerge
dallo scambio di battute, è il suo lavoro più sincero.
Idealmente concepito
con tre suddivisioni - Fantasy, Sentimental e Mistery -, “My Cup...”
spiazza e incanta allo stesso tempo, con una modalità di ascolto che deve tralasciare
ogni tipo di preconcetto, privilegiando la ricerca della piena sintonia con l’autore… in fondo non è difficile, le melodie che contraddistinguono le differenti tracce - è questo il fil rouge
dell’album - si sposano alle skills di Marton e diventano pictures musicali che,
una volta catturate, non ti abbandonano più.
Si può piangere o sorridere,
immedesimarsi o stare alla finestra a guardare, e la chiosa iniziale di Tolo - “La musica non è molto diversa dalla vita…”
- diventa per l’ascoltatore attento e sensibile il preludio ad un viaggio che,
a quel punto, non è più un’esclusiva del chitarrista, ma appare come tesoro regalato
alla comunità, momenti di vita in cui appare semplice trovare similitudini personali.
Troppo facile parlare bene di
questo straordinario musicista, banalissimo sottolinearne i meriti storici, ma “My Cup of Music” ha un pregio superiore,
quello del travaso spontaneo delle emozioni dell’autore verso l’ascoltatore, che
in quel momento diventa fruitore di sonorità e atmosfere che vengono assimilate
con semplicità, e una volta “dentro” restano intrappolate, camminano, perlustrando
l’intimo e smuovendo i ricordi.
Sì, la musica è memoria, e il
disco di Tolo Marton mette in campo ogni tipo di sollecitazione, arrivando a
colpire nel segno, non senza qualche momento di estrema tristezza.
L’intervista a seguire permette a Tolo di entrare nei dettagli e di fornire elementi preziosi per l’avvicinamento al suo nuovo lavoro, disco che consiglio calorosamente, per bellezza estetica e di contenuto: la sinossi musicale che presento nel video di fine post appare come efficacie e rappresentativa. Da non perdere!
Foto di Barbara
Badetti
L’INTERVISTA
Come nasce l’idea che ti ha spinto a creare “My Cup Of
Music”? Cosa ha fatto scattare la scintilla?
“My Cup of Music” è un disco al quale
avevo pensato per 15 anni. Credo sia il più sincero e importante album che ho
registrato fino a oggi. Attraverso questo disco avevo bisogno di esprimere
sensazioni e sentimenti che ho dentro da sempre, ma che fin’ora avevo rivelato
solo parzialmente attraverso la musica che sono solito suonare. Una melodia
alla portata di tutti, come mi è stato confermato dagli ascoltatori. Creare “My Cup of Music” era un sogno, un
desiderio… quasi un dovere. E’ una dedica a tutte le persone che hanno cuore e
pensieri tersi, accompagnati ad un velo di mistero.
Pensi a Tolo Marton e viene in mente un’espressività
musicale ben precisa, ma il tuo nuovo lavoro mi pare non si lasci ingabbiare da
alcuna etichetta e si presenti al contrario sotto la forma più alta di libertà…
mi sbaglio?
Beh, sono sempre
stato un musicista che non vuole essere ingabbiato da etichette, ho bisogno di
suonare tante cose diverse altrimenti finisce che mi annoio. Poi, per questo
nuovo disco in particolare, c’è molto romanticismo, malinconia, ma anche gioco
scherzoso e imprendibilità. Ma l’elemento che lega tra loro le canzoni è
assolutamente il tema, in particolare la melodia immediata. Molti mi hanno
detto che restano spiazzati la prima volta che lo ascoltano. Diciamo che un pò
lo sono stato anch’io quando l’ho riascoltato alla fine, dopo aver finalmente
posato gli strumenti…
Anche dal punto di vista quantitativo “My Cup Of
Music” appare come tanta sostanza: 18 brani suddivisi su 65 minuti di musica…
hai raccolto tutto il materiale che avevi accumulato negli ultimi tempi o è una
scelta ben precisa e funzionale al progetto?
In questi ultimi 15 anni
ci sono state queste idee musicali che affioravano dal nulla, frammenti di
melodie che registravo subito per non dimenticarle. Ho scelto quelle che in un
certo modo appartenevano ad uno stesso mondo di melodie molto delicate ed
evocative.
Mi pare che il tutto sia diviso in differenti sezioni:
me ne parli?
Sì, ci sono 3 sezioni: Fantasy, Sentimental e Mistery,
legate assieme da un filo conduttore. Non credo ci sia bisogno di spiegare poi
il mood delle tre parti, perché i loro titoli già lo fanno immaginare. Ho
ritenuto di dividere il disco in tre sezioni anche per “suggerire”
all’ascoltatore di prendersi qualche pausa senza necessariamente doverlo ascoltare
per intero subito. Se hai notato molti dei brani sono a soluzione continua,
senza i classici 2 secondi che separano uno dall’altro. E’ stata una scelta
voluta.
Il disco è pressoché strumentale (tranne “Vendo
Musica”): è questa la dimensione che preferisci attualmente?
Direi che è venuto naturale in questo caso. Mi ero
proposto molto tempo fa che prima o poi avrei realizzato un altro disco
strumentale, alla stregua di One Guitar
Band del 1983, che però conteneva generi più legati al country, swing e
jazz. E’ stato un momento piuttosto lungo (almeno due anni) … Sì mi sento a mio
agio in questa dimensione. Non per niente il titolo “My cup of music” riecheggia quel modo di dire inglese tipico “it’s not my cup of tea” che comunemente
sta indicare quando non ci si sente a proprio agio o portati per una certa cosa
o situazione. Ecco, invece con questa tazza di musica diciamo che mi sento
bene, ma anche in altre dimensioni sonore, una per tutte è quella
dell’improvvisazione.
In mezzo a tanti brani inediti proponi anche una
cover: come è avvenuta la scelta?
E’ un vecchia ballata anni ’50 degli Everly Brothers (“So sad”), che mio fratello Paolo, di 10
anni più vecchio di me, mi fece ascoltare quando ero piccolo e che mi era
sempre piaciuta. Lui è mancato purtroppo durante la lavorazione del disco. “So sad” è per ricordare un caro fratello
che mi faceva ascoltare tanta musica, soprattutto classica.
Chi sono stati i tuoi compagni di viaggio? Chi ti ha
aiutato nella realizzazione del disco?
Eh… nessuno,
perché ho suonato tutti gli strumenti, come era già accaduto per l’album “One
Guitar Band” nel 1983. Ho scelto così perché mi sentivo più libero di
lavorare in qualsiasi momento senza condizionamenti di sorta, ma anche di
sperimentare soluzioni diverse senza alcuna fretta, “vedendo” già nitidamente
come volevo fosse questo disco; quello che c’era da fare era registrare e non
smettere finché non avessi potuto sentire ciò che vedevo. Mi parve logico che
sarebbe stato inutile, stressante per eventuali collaboratori, fargli eseguire a
bacchetta brani che dovevano essere esattamente come li immaginavo. Ecco perché
ho lavorato in solitudine e nello studio di casa. Ovviamente gli strumenti
principali sono le chitarre, molto le acustiche e classiche, che però qui sono
state usate con voci diverse, come in una piccola orchestra. Pochissimi assoli
e solo dove mi pareva giusto. Ci sono anche altri suoni molto leggeri per dare
qualche tocco di colore. Dopo un anno e mezzo di attento ma piacevole lavoro,
ho capito che era il momento di “posare il pennello”, perché tutti gli elementi
erano finalmente al loro posto, come in un puzzle… un puzzle musicale, la mia
tazza di musica era pronta!
L’attuale Tolo Marton è più acustico od elettrico?
Potrei dire entrambe
le cose, soprattutto per il motivo che mi risulta più facile comporre con una
sgangherata chitarra classica rispetto all’elettrica. Ma suonare dal vivo in
acustico comporta qualche difficoltà in più rispetto all’elettrico, che resta
la mia dimensione principale.
“My Cup Of
Music” è facilmente riproponibile dal vivo?
Direi con una certa
difficoltà, ma è senz’altro proponibile, e già sto portando queste musiche in
giro, a volte inserendole in un apposito momento durante i concerti elettrici.
Capita anche di dargli uno spazio più consistente se il luogo è più adatto, ad
esempio in un teatro o piccoli ambienti che non siano esattamente dei club dove
si beve o si cena.
Quali sono i tuoi propositi musicali all’inizio di
questo nuovo anno?
Sto pensando ad un
nuovo viaggio per suonare negli Stati Uniti, e spero si concretizzi. Poi anche
ad un nuovo disco rock, ma continuano a “visitarmi“ ancora melodie e non
escludo che qualcuna potrebbe fare capolino in un progetto elettrico e più energetico.
Un’ultima cosa… mi piacerebbe molto continuare a comporre, anche per altri e
nei generi più diversi, perché è qualcosa che mi viene molto naturale.
Fantasy Cup:
1 I Gotta Get Rid / 2 Vendo musica / 3 Blackbird Song
4 Chet / 5 1974 / 6 Blue Sunday
4 Chet / 5 1974 / 6 Blue Sunday
Sentimental Cup:
7 Liam Song / 8 Espressione Miracle / 9 Where Do You Come from Little
Baby / 10 Mero Mero / 11 Valentino 7 / 12 Flamica / 13 So Sad (To Watch Good Love) / 14 Wedding
Mysterious Cup:
15 Iahahaiaa / 16 Suite and Bitt / 17 As It Is / 18 Red Box
Foto di Barbara Badetti