Il primo ascolto di “Electric Stilness”, di The Former Life, mi ha portato a pensare ad immediate, molteplici azioni:
-risentirlo immediatamente
-scrivere il più presto possibile il mio pensiero, per renderlo pubblico
-bussare alla porta di ogni persona che si occupa di buona musica per consegnare personalmente l’album e condividerlo subito dopo
Sento molta musica, quotidianamente, ed è tutta di qualità, vecchia e nuova, e di ogni genere, ma era da molto tempo che non provavo una tale accettazione incondizionata. Già il primo brano, l’ouverture “Sundering Jewel”, mi ha provocato un forte brivido che ha percorso l’asse del mio corpo, esattamente nel passaggio tra parte strumentale e il cantato: “Undreamt jewel, form and take me away, from the sleep I’m stuck in through, the stage of a long-gone shadow play…”. Ma la cosa incredibile è che al ventesimo ascolto accade esattamente la stessa cosa!
Non penso che i miei gusti personali possano essere estesi a chiunque, e ciò che per me è pura emozione per altri può rappresentare solo “musica ben realizzata” , ma… ho fatto un paio di tentativi con due amici, uno dei quali di gusti ricercati, e la risposta è stata la stessa… incredulità di fronte a tanta maturità regalata da giovani artisti.
“Sembra un album di musica straniera” , mi è stato detto e ancora…” ti dispiace se lo risentiamo… ti dispiace se lo risentiamo… ti dispiace se lo risentiamo?”. Un’ora di macchina può rappresentare un valido test.
Ma chi sono The Former Life? Che musica fanno?
I veneti “The Former Life” (biografia fruibile al link:http://www.theformerlife.com) sono intanto musicisti di alto livello , e a testimonianza di questa affermazione basti dire che rappresentano –anche- la band di Aldo Tagliapietra, che credo abbia tratto nuovi entusiasmi dalla vicinanza di questi giovani talentuosi.
Credo che l’intervista a seguire ci sveli molto – e nei dettagli- di loro.
Il nome The Former Life ( “la vita precedente”), contiene in sé una filosofia musicale, che porta a considerare come DNA ciò che è stato prodotto nei primi anni ’70, tempi di cui i componenti la band non hanno esperienza diretta, ma a cui sentono di appartenere. E la loro musica è il frutto regalato dalle muse ispiratrici di YES, ELP e FLOYD, con una personalizzazione che rende “Electric Stilness” un album unico.
Le liriche sono fondamentali, e se è vero che la lingua utilizzata è l’inglese (non vedrei altra soluzione) è altrettanto vero che la prima preoccupazione di De Nardi e Ballarin(ideatori del progetto )è stata quella di inviarmi le traduzioni (anche queste inserite nel sito ufficiale), sintomo di una ricercatezza di messaggio che non è poi così scontata in ambito “rock”. Tutto riporta alla sintesi racchiusa nel nome della band, ed è forte la sensazione che i testi, tra passato e presente, sottolineino “la forza” di radici ben salde, ma lontanissime nel tempo, feeling che credo appartenga occasionalmente a tutti, ma… altra cosa è “raccontarsi” efficacemente utilizzando la musica. Atmosfere cupe, trame sinfoniche, melodie accattivanti e una varietà di suoni incredibile. La sensazione è quella di trovarsi davanti tutto ciò che è stato il fondamento di un’antica passione musicale, ma rinnovato, fresco e con slanci di grande novità.
E poi, elemento fondamentale, la “sezione voci”. Relativamente facile trovare “belle voci”; cosa ardua possedere una timbrica vocale che riesca poi a caratterizzare un ‘intera produzione, una band, un filone musicale.
I brividi a cui accennavo inizialmente sono in buona parte da attribuire a ciò che non ti aspetti, e quando l’assolo di piano iniziale si affievolisce e arriva una voce “sovrumana”, sembra di trovarsi al cospetto di mister Lake, con sfumature cangianti.
Lincoln Veronese, il musicista che nell’ambito del suo progetto “Lincoln Quartet” ha incoraggiato parte della band, mi ha confessato il seguente aneddoto:
“L’album che hai ascoltato è stato concepito circa 5 anni fa (quando avevano una ventina d’anni!!!) da Andrea (De Nardi, (tastierista) e Matteo (Ballarin, chitarrista), ed era rimasto in attesa di definizione per effetto di un rallentamento dovuto ad impegni in altri progetti musicali ( che tutt'ora sussistono). Io ho ancora il demo, registrato con una batteria elettronica, che mi avevano dato quando c'eravamo conosciuti, in un loro concerto tributo ai Pink Floyd, e mi aveva già impressionato parecchio. La prima volta che sentii Ballarin mi venne la pelle d'oca… comparato ai grandi, è uno dei più bravi chitarristi che io abbia sentito fino ad ora.
La prima volta invece che Aldo Tagliaferro (presidente de Itullians e unico amico italiano di Ian Anderson) sentì Andrea De Nardi in un nostro concerto tributo ai Tull, disse: "Ad Anderson basterebbe uno come lui...!", ed era appena un mese che De Nardi suonava i Jethro con noi!).
Che altro aggiungere… mi adopererò affinché tutti i “miei amici” musicofili arrivino almeno ad un … assaggio di Electric Stilness… sicuro che non resteranno delusi!
L’INTERVISTA
Leggendo
la vostra biografia viene spontaneo chiedersi come dei giovani musicisti
possano dedicarsi completamente ad una musica che è temporalmente lontana,
sicuramente di grande qualità e importanza, ma comunque troppo giovane per
essere considerata immortale alla stregua della classica. Che cosa ha fatto
scattare in voi la molla, quale scintilla vi ha condotto verso un genere
complesso, sia dal punto di vista realizzativo che dell’ascolto?
Molto
spesso ciò che ti spinge a comporre è ciò che, prima, ti aveva spinto a suonare
le canzoni del tuo gruppo preferito mille volte, e prima ad ascoltare
tonnellate di musica, e ancora prima ad acquistare il tuo primo disco, solo con
un tipo di “slancio” che si fa via via più intenso e avvolgente. Così è stato
per noi. I Former
Life sono insomma figli di un normalissimo percorso di
approfondimento musicale e poi di crescita artistica, che è corso su dei binari
precisi e ben definiti che si sono poi allargati col tempo. Questi “binari”
erano stati già percorsi da altri treni precedenti, sicuramente non i veloci
treni-missile che sfrecciano oggi, tutti identici tra loro, bensì da locomotive
solide e indistruttibili che viaggiano a moderata velocità, ma senza conoscere
soste o binari morti. Se in questa metafora sostituisci le vecchie locomotive
con la musica rock di stampo ’70-’80, e i treni-razzo con i velocissimi
“artisti” che oggi fioccano e svaniscono alla velocità dei tasti del televoto,
ti sarà chiaro perché abbiamo scelto di ispirarci a un certo discorso musicale,
e perché abbiamo scelto “la vita precedente” come nostro nome di
battaglia. Tu citavi “qualità e importanza”, ma forse il punto è un altro: mentalità. Se ci guardiamo indietro, rivediamo una
mentalità a noi affine. Come dicevo, quei binari si sono poi allargati, nel
senso che non ci siamo fossilizzati sul (prog)rock anni ‘70, e non è nostra
intenzione “emularlo” (anche perché come dicevi, esso è “temporalmente
lontano”, e infatti i nostri brani non suonano certo “vecchi” o “lontani”);
quel filone è stato, in sostanza, il punto di partenza fondamentale per darci
l’impronta artistica, ma poi abbiamo proseguito sulle nostre gambe. Se ci
chiedi quale scintilla ci abbia indicato tale direzione, potremmo rispondere:
genitori molto saggi, e a loro volta già inseriti in quella realtà fin dagli
anni d’oro in questione, i quali ci hanno indicato qualche buon disco lassù
nello scaffale del salotto.
Ciò
che proponete con “Electric Stillness” è un lavoro che, purtroppo, è al momento
ad appannaggio di una nicchia di appassionati di musica, quelli che fuggono
dalla musica easy e preferiscono soffermarsi su qualcosa che non è solo istinto
o facilità di ascolto. Credo che si componga musica per rispondere ad
un’esigenza personale, ma rendere visibile il proprio “lavoro” significa anche
“creare per altri”, ed attendere una reazione. Come pensate ci si debba porre
nei confronti di chi fruisce della vostro “prodotto”? Si possono fare piccole
modifiche al percorso in funzione di chi ascolta od occorre pensare solo a
creare secondo il proprio sentimento?
Noi
crediamo che la musica, per lo meno quella che viene composta per essere realmente ascoltata e apprezzata in tutte le sue
potenzialmente infinite sfumature, sia sempre un doppio scambio, tra l’autore e
il fruitore; è vero, nasce da un’esigenza personale dell’animo, ma nel momento
in cui prende vita, e se possiede una certa “intensità comunicativa”, la musica
è tutt'altro che egoista o cieca nei confronti del mondo esterno. Quel bisogno,
quell’impulso che l’ha portata ad essere creata, diventa anche il suo
“altruismo”, perché l’ascoltatore coglie questi elementi e li vive sulla sua
pelle in modo personale, li riformula in modo istintivo vivendoli come
emozioni, stati d’animo, suggestioni. Appunto, uno scambio bilaterale. Noi, in
sintesi, abbiamo creato e sviluppato dei brani seguendo la nostra vena
creativa, con la massima libertà, convinti che il fruitore del “prodotto”
avrebbe percepito che in questo disco ci sono 45 minuti di musica nell’accezione più pura e, se vogliamo,
completa del termine; una caratteristica sempre meno presente nel mercato
discografico d’oggi. Magari a uno può non piacere la singola nota o una data
scelta armonica/melodica, però se ha colto l’essenza che muove questi brani, la
rete di relazioni tra tutte le parti intrecciate tra loro, avrà almeno la
curiosità di soffermarsi a riascoltarli un’altra volta. E dalla curiosità,
spesso, nasce l’interesse. Poi, volendo rispondere alla tua domanda seguendo
un’altra ottica, va detto che i 7 brani del disco hanno ciascuno un’anima e un
corpo talmente definiti e consolidati in ogni minimo aspetto, che sarebbe quasi
assurdo cercare di “uniformarli” a un gusto unico, a una delle tante etichette
classificatorie che a noi andrebbero parecchio strette.
La
vostra collaborazione parte da molto lontano. Si possono raggiungere certi
risultati senza il sacro sentimento dell’amicizia?
E’
una domanda difficile a cui rispondere, quando si ha la fortuna di vivere la
situazione di amicizia e collaborazione artistica ben intrecciati. Noi (Andrea
e Matteo come nucleo iniziale, poi Manuel e Carlo) siamo un gruppo nato da
svariate collaborazioni precedenti, cover band, tribute band e/o progetti di
altri artisti (per es. Aldo Tagliapietra, Pink Size...), per cui l’intesa e
l’amicizia si sono sviluppate man mano in modo crescente. L’amicizia, poi, ha
indubbiamente qualcosa a che vedere con il concetto di “feeling” artistico: è
molto difficile lasciarsi andare, essere in sintonia con un altro musicista, se
non si prova qualcosa di positivo a livello umano. Dunque, avendo letto la
nostra biografia, saprai che io (Andrea) e Matteo suoniamo insieme da 10 anni,
prima dei quali eravamo anche compagni di scuola e amici “di quartiere”. Manuel
è stata una conoscenza (artistica e personale) di importanza cruciale, anche
per tutti gli altri progetti paralleli che citavo prima. Carlo, a riconferma
della tua tesi, è stato per me e Matteo un amico prima che compagno di
strumenti. Allora la conclusione che si può trarre è: certi risultati, come la
cura di un progetto “in cui credere” come lo sono i Former Life, devono passare per forza attraverso la
stima reciproca, o ancora meglio attraverso un’amicizia pluriennale; è molto
difficile trovare casi di progetti musicali di successo e/o di lunga durata in
cui manchino del tutto questi elementi.
Ho
letto della vostra line up in fase live e dell’attività legata ad Aldo
Tagliapetra. Riuscite sul palco ad avere la stessa efficacia che ottenete in
studio? Quanto sono gratificanti per voi le performance live e che tipo di
reazione “leggete” nell’audience?
Ti
possiamo rispondere con l’esperienza di una sola esibizione live vissuta
finora, legata appunto ad un concerto di Aldo (a cui aprivamo la serata). Il
contesto era quanto mai appropriato ma anche molto delicato, un club in cui la gente si
aspettava di ascoltare un set di canzoni già in grado di convincere e
soddisfare i “palati fini” di chi conosce e ama il bellissimo genere che è il
prog-rock delle Orme e di Aldo solista. Non spenderò troppe righe a descrivere
l’emozione che abbiamo provato ad entrare in scena ed attaccare le prime note
di Sundering Jewel, dirò solo che è stato qualcosa di unico e
bellissimo. Di lì a poco ci si è presentata davanti la situazione più felice e
inaspettata: il pubblico ha calorosamente accolto la nostra musica, con un
calore “vero” (e fragoroso!) di chi ha recepito forte e chiaro tutto quello che
volevamo “dire”, “evocare” con strumenti e voce. Electric Stillness non era più solo un disco “virtuale”, lo
avevamo trasportato nel mondo reale. Un riscontro notevole che abbiamo ancora
impresso bene in mente! Dunque per ora la partenza è stata fortunata; ci
auguriamo di continuare così. Riguardo l’efficacia sul palco, anche qui ammetto
che c’è stata una piacevole sorpresa al recente debutto: abbiamo scoperto che i
nostri brani proposti dal vivo acquisiscono una grossa marcia in più, un valore
aggiunto derivato dall’energia live. Diventano più convincenti nel loro
impatto, grazie all’enfatizzazione delle dinamiche (ad esempio, basso e
batteria “trainano” in un modo che è pressoché impossibile da riprodurre in un
cd), e soprattutto grazie al fattore “convinzione” che è come una vibrazione
tra band e pubblico che trasforma i brani, se non addirittura noi musicisti
stessi, in qualcosa di più vivo e autentico…La musica dal vivo ha davvero una
magia indescrivibile, ti sorprende sempre quando pensi di averla già capita e
provata, e invece non ci riesci mai.
Nelle
note di copertina è attribuito ad entrambi il ruolo di vocalist. Potete chiarirmi
come funziona la “sezione voci”?
Abbiamo
scoperto il piacere di cantare, e soprattutto cantare insieme, nel corso di
diversi anni di collaborazione live. Abbiamo due voci diverse, con timbri e
estensioni ben distinti, che crediamo si accostino bene, in modo armonico. Nei Former Life la sezione voci è gestita in modo molto
democratico, ciascuno di noi crea e propone linee vocali e/o relative
armonizzazioni a più voci, sia per i brani composti da se stesso che
dall’altro. Finora è successo che chi ha composto la linea vocale l’ha poi
anche cantata, salvo qualche eccezione. Lo stile delle linee vocali è
particolare; l’idea è far cantare la voce come fosse uno strumento, a volte con
passaggi e intervalli non comuni, ma sempre valorizzandola in quanto voce, elemento essenziale del rock e della
cosiddetta musica “leggera” di cui noi siamo ovviamente esponenti. Interessante
è che l’unico brano cantato interamente in due, a due voci sovrapposte, è
proprio l’ultimo (la title-track), in cui viene ripresa la linea vocale del
primo brano Sundering
Jewel e rielaborata in termini di tonalità e altezza per essere,
appunto, cantata in due in modo corale e di grande effetto, con un crescendo di
dinamica. Secondo noi è uno dei punti più emozionanti del disco. La “sezione voci”
dal vivo si è integrata con l’apporto di Carlo, il quale ha aggiunto la terza
voce che ci serviva per rinforzare le armonie più piene.
Le
vostre liriche sono in lingua inglese, fatto che solitamente va incontro a
diversi tipi di esigenze. Nondimeno sul vostro sito, fatto non comune, sono
riportate le traduzioni (non è questa la norma), come a rimarcare l’importanza
dei testi con la conseguente spinta verso la comprensione dei dettagli. Ma
esistono anche lunghe parti strumentali. Che cosa rappresenta “la parola”
all’interno del vostro progetto?
Per
noi è importante che la musica sia comunicativa, o suggestiva nel senso di procurare “suggestioni”.
Com’è ovvio, questo è ampiamente relativo e realizzabile in molti modi diversi.
Il pianto di un cane abbandonato dal padrone è comunicativo, così come un colpo
di tuono nella notte è suggestivo, anche se in nessuno dei due casi ci sono
parole o testi. Al contrario, spesso intorno a noi sentiamo e leggiamo un sacco
di parole “vuote” che non comunicano nulla perché dietro di esse non c’è alcuna
idea reale. Questi ragionamenti valgono anche per la musica, nella nostra
concezione; il “suono” e la “parola” (le parti strumentali e i testi) hanno lo
stesso potere e la stessa facoltà di esprimere, quindi di rendersi suggestivi verso
l’ascoltatore, purché dietro di essi ci sia un’idea, un principio che descriva
o evochi qualcosa. Ad esempio, il preludio (simboleggiante la rinascita) che
apre Sundering
Jewel, il
viaggio a ritroso nella memoria che precede il cantato di Belong To The Stars, tutta l’introduzione in più parti di A Milligram Of Joy (il viaggio solitario di una persona che
ha perso qualcuno) e la vorticosa coda sinfonica di Electric Stillness, sono esempi di sezioni strumentali che
secondo noi comunicano intensamente. I testi, poi, contribuiscono a evocare le
immagini dipinte dal titolo del brano e dalla musica, ma in un certo senso non
impongono i concetti e i contenuti, bensì li “suggeriscono”, lasciando la
libertà di interpretazione e aprendo a ogni brano più chiavi di lettura. Hai
ricordato le traduzioni: esistono perché il significato dei testi è, come
appena spiegato, essenziale e complementare alla musica, quindi chi ascolterà
il disco in Italia potrà approfondirne il senso grazie alle versioni in italiano
curate da noi. Ci è sembrata una forma di rispetto e un modo per far capire che
non snobbiamo la lingua italiana in quanto tale; questi brani sono nati con
l’inglese per pure ragioni stilistiche e per essere indirizzati ad un panorama
non solo nazionale.
Ho letto che l’album è prodotto/distribuito da “Former Life”.
Come siete arrivati all’autoproduzione? Avete rinunciato da subito ad un
intervento di terzi o non è stato trovato un valido partner?
L’autoproduzione di Electric Stillness è stata una scelta dettata
da varie ragioni, che possiamo brevemente riassumere, ma in ogni caso si è
trattato indubbiamente di una scelta di partenza. Abbiamo optato per
l’autoproduzione sapendo fin da subito che il nostro lavoro nasceva e partiva
con un approccio che era legato fortemente ai nostri ritmi (cioè ritmi
artistici, di composizione, arrangiamento,ecc, ma anche i ritmi “live”, quindi
gli impegni che sono subentrati a seguito delle varie band in cui abbiamo
militato) e che era quindi continuamente rivisto e adattato alle nostre
esigenze personali, così da poter procedere con il lavoro con il dovuto
impegno, ma senza stress o preoccupazioni di tempo e denaro. Lavorare con una
produzione esterna, come è evidente, prevede un approccio di altro tipo. Fatta
questa premessa, va detto che, a livello tecnico-sonoro, abbiamo ritenuto che
la resa del disco, pur nella sua veste di produzione “casalinga”, fosse molto
soddisfacente (vedi anche la domanda n. 9 relativa a questo punto), pertanto ci
siamo messi al lavoro e tutto è nato dalle nostre mani… Registrazioni, regia
sonora, mixaggio, editing, mastering, creazione delle grafiche del disco, sono
interamente opera nostra (n.d.a. un amico ci ha assistito per l’aspetto
grafico, libretto, ecc.). E’ indubbio che un nostro punto di forza è stato
avere le idee molto chiare fin dall’inizio; sapevamo esattamente come volevamo
suonasse questo album, anzi ogni singolo brano con tutte le sue sfumature, e
questo in fondo è un altro motivo che ti spinge a dare fiducia
all’autoproduzione: se sei solo tu a tenere il timone della nave, sai che il
risultato sarà esattamente come te l’aspetti.
Quali
sono le maggiori differenze tra il presentare musica vostra e le collaborazioni
con Tagliapietra e il Lincoln Quartet?
E’
chiaro che si tratta di due approcci diversi. In realtà ci sono anche grosse
differenze tra l’esperienza con Tagliapietra e il Lincoln Quartet, ma ho capito
che la tua domanda si riferisce sostanzialmente alla differenza “musica nostra
- musica di altri”. Dunque, dobbiamo tirare in ballo concetti come il rispetto,
l’immedesimazione artistica, la libertà interpretativa... Nell’accompagnare un
artista come Tagliapietra, bisogna partire con l’idea che ci si sta mettendo al
servizio di un artista e di una forma d’arte che hanno un grande precedente
alle spalle, perciò la sensazione più forte che si prova è un senso di rispetto sia verso la persona che la sua musica.
Inoltre è opportuno vivere una sorta di immedesimazione artistica,
“immergendosi” in una realtà che non ci appartiene (temporalmente) ma che
diventa nostra, come fossimo stati parte delle Orme, per intenderci. Infine la
libertà interpretativa, inutile dirlo, non è assoluta; certo, ci si esprime
tramite il pezzo, ma è opportuno assecondare un certo stile o approccio che è
intrinseco al pezzo, alla musica di Aldo in generale. Ciò vale, oltre che con
Aldo, con la musica dei Jethro Tull (a maggior ragione se suonata con Clive
Bunker) oppure quella dei Pink Floyd, altro gruppo a cui abbiamo destinato un “tributo”.
Invece, proporre brani nostri non prevede nulla di tutto ciò... E’ tutto
nostro, il dentro e il fuori, il come e il dove; dobbiamo rispettare ciò che
noi stessi siamo e vogliamo, e lo facciamo potendo utilizzare la più totale
libertà interpretativa. E’ un abbandono espressivo totale. Direi, il massimo.
Infine un’altra differenza, ovvia, tra il presentare musica nostra e il
collaborare con gli artisti citati: come Former Life dobbiamo fare i conti con
la non-conoscenza della musica da parte del pubblico. E’ chiaro che non bisogna
farsi intimidire da questo, anzi: ci carica e stimola l’idea di trovarci
davanti un pubblico nuovo che scopre le nostre creazioni per la prima volta.
Una sensazione che nessuna cover/tribute band ti potrà mai dare, ovvio.
Come
vi ponete di fronte alla nuova tecnologia, applicata alla vostra musica?
Si
dà per certo che l’avvento delle nuove tecnologie, precisamente in ambito
audio/video, porta con sé sia vantaggi che svantaggi; uno degli aspetti
positivi più importanti del progresso tecnologico è sicuramente quello di aver
reso accessibile la tecnologia stessa praticamente a chiunque sia in grado di
fruirne (in una certa misura). Al giorno d’oggi per realizzare un prodotto che
sia un disco o un cortometraggio, giusto per citare un paio d’esempi, di
definiamola “discreta” qualità (ci assumiamo la responsabilità di far rientrare
pure il nostro disco in tale fascia), sono sufficienti un’attrezzatura che non
superi come costi le 3 cifre e un po’ d’ingegno nello sfruttarla al meglio.
Questo
sta a significare che sin dall’inizio la nostra intenzione era chiaramente
diretta verso un prodotto interamente “self-made” sotto tutti gli aspetti;
infatti abbiamo messo le nostre conoscenze tecniche a servizio della
realizzazione del disco, sia in fase di pre-produzione che di post-produzione e
masterizzazione, perfettamente consapevoli dei limiti “sonori” ai quali
andavamo incontro. Dal nostro punto di vista la nuova tecnologia ha aumentato
in modo consistente la possibilità di autoproporsi da parte di qualsiasi
artista, promuovendo il concetto del “self-made” che prima citavamo; tutto ciò,
con mixer e registratori a bobina mastodontici e dal peso e fragilità
inestimabili, non sarebbe realizzabile.
Questo
è un po’ il nostro rapporto con la nuova tecnologia, il che non sta a
significare assolutamente che un processore Macintosh o un supporto CD-Rom
possano ancora sostituire a livello sonoro un vecchio registratore su nastri o
un inimitabile 45 giri.
Provate
ora a disegnare un sogno, quello che riguarda la vostra attività musicale
relativa ai prossimi tre anni.
Dato
che sognare è lecito, non abbiamo paura di dire che il nostro sogno sarebbe
costruire una strada chiamata Former Life che porti a qualcosa di costruttivo.
Tre anni non sono molti, ma potrebbero comunque essere sufficienti per
diffondere la nostra musica (l’album Electric Stillness e i nuovi brani a cui stiamo già
lavorando) anche all’estero; sì, perché l’estero è un mare grande in cui
sussistono e convivono tantissime realtà di cui magari dall’Italia non ci
rendiamo conto, essendo noi qui abituati e “assuefatti” da un sistema di
produzione e fruizione artistica ahimè limitato, il cui funzionamento non
sempre è regolato da meritocrazia... Dico cose ovvie, ma vanno dette, c’è poco
da fare. Tuttavia non escludiamo niente, anzi all’interno del “sogno” di cui mi
chiedevi, ci inseriamo anche la possibilità di un buon riscontro anche in
patria, perché siamo convinti che i “sottoboschi artistici” esistano e siano
ben vivi, per fortuna, come abbiamo scoperto grazie all’ottimo e
frequentatissimo club (Il Giardino di Lugagnano di Sona, n.d.a.) che ci ha
regalato il debutto, e siamo sicuri ci siano altre piccole-medie realtà
altrettanto valide in Italia. Dunque nei prossimi 3 anni la parola d’ordine è
“proporsi” : con il nostro spettacolo di musica live (quando possibile
affiancando Aldo Tagliapietra, sapendo che l’esperimento ha funzionato), con la
promozione e vendita del nostro cd in tutte le modalità disponibili (per ora
siamo ancora alla ricerca di una casa discografica), con interventi in radio
basati anche su showcase acustici, con recensioni e interviste proprio come
questa, e con il semplice passaparola degli amici e appassionati che, speriamo,
diventeranno sempre di più... E poi, appunto, c’è il sogno di guardare fuori,
all’estero.
Il CD "Electric Stillness" è ora acquistabile http://www.theformerlife.com/
|
I Former Life sono:
Matteo Ballarin - chitarra elettrica, acustica, classica e lap steel; voce Andrea De Nardi - pianoforte, organo e tastiere; voce In formazione LIVE con: Carlo Scalet - basso; voce Manuel Smaniotto - batteria; percussioni |