Zerothehero-“Nobody”
Zerothehero
è il progetto solista di Carlo Barreca, musicista genovese,
bassista in primis ma con vocazione verso l’uso incondizionato di
strumentazione varia, tra i protagonisti della Fungus Family, band progressive di lungo corso.
L’album da poco rilasciato è “Nobody”,
quarantadue minuti di musica
strumentale - eccetto un episodio - in cui Barreca mostra il suo volto più
passionale ed esprime una necessità, quella di lasciarsi andare senza limiti e
barriere, perlustrando spazi inusuali e godendo della piena libertà espressiva:
“Ho suonato (quasi) tutto io, con l’aiuto dell’ottimo Luca Bonomi alla
batteria. Metà dei brani sono nati come commento sonoro a “l’uomo dal fiore in
bocca”, per un progetto realizzato qualche anno fa col “gruppo ironici
d’assalto”. Per il resto ho impostato il lavoro come una sorta di Jam con me
stesso, limando e ritoccando al minimo, lasciando imprecisioni e sbavature.
Il tutto è per me un tributo a un certo
modo di fare musica che sta scomparendo: le “salettate”, le improvvisazioni
estemporanee, le combinazioni inattese. Ed è un omaggio diretto per un amico,
con cui ho condiviso nottate in saletta, concerti senza scaletta e ore di
interplay che a tratti sfiorava la telepatia”.
Questa è la filosofia con cui è stato realizzato “Nobody”, e l’intervista
a seguire permette di entrare nei dettagli del disco, una preparazione all’ascolto
che aiuta a comprendere.
La comprensione… è questa una
possibile modalità di fruizione; esiste poi la censura al razionale e l’abbandono
totale al fluire dei suoni, cercando la sintonia con l’autore, immedesimandosi,
sostituendosi, entrando a far parte del viaggio, un itinerario con un inizio e
una fine, stimolato dai ricordi e da una forte amicizia che viene fatalmente a
mancare, ma che aleggia nei momenti più importanti, sicuramente quelli che
hanno a che fare con la creatività.
C’è un forte profumo di Canterbury
che permea l’album, e l’atmosfera appare quella che si respirava a cavallo tra
gli anni ’60 e ’70, nel Kent, un tempo e un luogo colmo di genialità musicale.
Spruzzate di Oldfield - “Chairs”- e di Barrett - nel cantato di “Hourglass” -, appaiono dall’esterno elementi
formativi di Barreca, una storia non vissuta in prima persona, per ovvi motivi
anagrafici, ma assorbita in toto, e gli ascolti di Gong e Wyatt si rovesciano più
o meno inconsapevolmente nel racconto personale, favorito dalla possibilità di assoluta libertà, quella che solitamente
è limitata quando gli obiettivi devono essere condivisi dal gruppo.
Carlo Barreca si lascia andare, si
racconta attraverso dodici episodi che marchia a fuoco col suo stile, prendendo
una certa distanza dall’ortodossia, quella che va di pari passo con l’idea della
visibilità, concetto che non credo abbia mai sfiorato l’autore, dedito alla
sperimentazione e alla soddisfazione personale, stati mentali che alla fine
producono qualità.
Uno uomo, una cantina, un pò di
fumo, tanti strumenti… una notte intera da vivere… musica per sé, musica per
chi ci sta vicino, musica per chi ci ha ormai lasciato… musica per gente virtuosa!
La
nostra chiacchierata…
Eʼ
uscito “Nobody”, "album realizzato come Zerothehero, ovvero il tuo
progetto solista parallelo, soprattutto, alla Fungus Family di cui fai parte; partiamo
dalle origini, come nasce e come si sviluppa nel tempo “Zerothehero”?
Ho
sempre suonato da solo, senza mai prefiggermi scopi precisi; mi piace lʼidea
del “to play”, o “jouer”, cioè suonare per il gusto di farlo. I brani di Zerothehero
(come anche quelli che porto in dote alla Fungus Family) nascono quasi sempre da
soli.
Sono
un ascoltatore piuttosto vorace, e mi rendo anche conto di quanto gli ascolti
confluiscano nel mio modo di “scrivere”.
Mi
racconti cosa contiene “Nobody”, come si differenzia dal tuo normale impegno
musicale?
Qualche
anno fa mi è capitato di lavorare con un amico attore; mettemmo in scena “Lʼuomo dal fiore in bocca” e scrissi alcuni
semplici temi su cui potessi “ricamare” al basso. Lʼossatura del disco nasce
lì, mentre altri brani sono nati dallʼesigenza di improvvisare senza rete. Farlo
da solo è stimolante, quando lasci decantare alcune parti, le dimentichi, e poi
dopo un mese ci risuoni sopra con orecchie nuovamente vergini.
Nellʼalbum
fai quasi tutto tu, e metti in evidenza, anche, la tua veste di polistrumentista,
ma… la tua necessità di autarchia musicale è cosa episodica o è la parte preponderante
del tuo essere musicista?
Parto
da una confessione: sono solo un bassista; tutto il resto è gioco, sperimentazione,
“cosa succede se metto un dito qui?”
(lessi questa frase secoli fa a definire lo stile chitarristico di Syd Barrett).
Vorrei riportare altri strumenti nellʼambito Fungus Family, ma dal punto di
vista del live i fiati sono molto delicati e lo stick è particolarmente “fragile”
nellʼeconomia di un mix.
Il disco è praticamente
strumentale, tranne in un episodio: esiste un contesto ben
preciso in cui la voce entra nella sfera dell’improvvisazione?
Le
canzoni a volte arrivano, quando capita le afferro al volo! Hourglass parla del tempo; a volte la
corsa e lʼaffanno sono una forma paradossale di pigrizia: non abbiamo la forza
e il coraggio di fermarci, riflettere, ma i nostri schemi mentali ci impongono
stimoli continui, senza priorità, logica, senza il necessario vuoto.
Realizzando
il disco hai pensato ad un omaggio a persone o a situazioni precise?
Nel
periodo in cui lavorai a “L’uomo dal
fiore in bocca”, Alejandro J Blissett, chitarrista dei Fungus e mio grande amico
e compagno di improvvisazione, scoprì di essere malato di un cancro al fegato.
Questo è il mio piccolo omaggio a lui, ed è anche il mio modo di ricordare
quelle serate in cui si saliva sul palco senza neppure una scaletta, improvvisando
senza meta.
Qual
è il tuo pensiero sulla situazione della musica dalle nostre parti? Album come
il tuo o come qualunque altro del “circuito qualità” non trova canali che portano
allʼascolto, se non a quello di nicchia…
Negli
ultimi due anni ho ridotto di molto la vita da spettatore, per dedicarmi a una
meravigliosa bimba; mi pare, comunque, che i giovani abbiano meno interesse per
la musica “suonata” dal vivo rispetto alla mia generazione (ormai sono nei 40).
Grazie per aver parlato di “qualità”!
Hai
previsto momenti di incontro (concerti e presentazioni) per proporre il tuo nuovo
lavoro?
Da
quando è “uscito” il disco (uso il virgolettato perché mi sto muovendo
pochissimo per promuoverlo) è capitato un unico concerto, che però mi ha
permesso di arrangiare il materiale in modo da non impazzire saltando tra gli
strumenti. Il mio setup dal vivo prevede basso, pedali, un semplice looper,
microkorg e il flauto traverso. Penso di ripetere, devo però trovare situazioni
adatte; il solo del bassista è notoriamente più efficace del buttafuori nello
svuotare i locali, dunque mi propongo con circospezione e parsimonia!