lunedì 24 settembre 2018

“Il Culto dell’Albero Porcospino – Storia, sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree”, di Enrico Rocci


“Il Culto dell’Albero Porcospino – Storia, sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree”
Enrico Rocci - Chinaski Edizioni

4 dicembre 1993. La prima data live dei Porcupine Tree.
E’ anche il giorno in cui muore Frank Zappa”.

Dopo una cinquantina di pagine del libro “Il Culto dell’Albero Porcospino – Storia, sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree”, ci si imbatte in questa chiosa - elemento oggettivo - a cui Enrico Rocci fa seguire la sintesi di un pensiero amico, che immediatamente diventa quello dell’autore: “Niente è per caso”.

Rubo le note di copertina per sottolineare la figura di Rocci: “Nato a Torino, fa il medico. Ha pubblicato con Chinaski quattro noir, uno dei quali aveva per protagonisti anche i Porcupine Tree, sua fissa. Dopo averli più volte stalkerati, il book diventa il suo atto di amore estremo per la band”.

Ma torniamo al “Niente è per caso”.

La band di cui si “occupa” Rocci si identifica con Steven Wilson, il genio, il leader, il manipolatore di suoni, ed è reale la dicotomia immediata e spontanea che il suo nome, di questi tempi, provoca: il signore porcospino o il super tecnico di cui si fidano persino personaggi complicatissimi come Ian Anderson e Robert Fripp?

Non voglio elogiare la qualità di certa musica, per me sacra… le evidenziazioni positive sarebbero ovvie e probabilmente retoriche, ma proverò ad aprire la strada verso la lettura, indispensabile per gli amanti della cult band, probabilmente rivelatrice per chi, vittima di pregiudizi anagrafici, si sia fermato al passato. E magari per tanti giovani che cercano soddisfazioni reali provenienti da trame musicali che, quando sono magiche, provocano forti piaceri… anche fisici.

Il racconto vuole delineare una storia interessante, fatta, ad esempio, di musica progressiva in un momento in cui la stessa è stata relegata al mito dei seventies.
Ma il percorso è realizzato dall’interno, da chi conosce i dettagli, da chi ha vissuto i live -  italiani e non -, assistendo ad un’evoluzione artistica, alla fama crescente, alle modifiche umane e tecniche all’interno della formazione.

Wilson dice che un artista deve prima di tutto “... essere onesto verso se stesso e creare arte per il proprio piacere personale… se cominci a fare musica per chi ti ascolta - compreso stampa e critici - metti a rischio te stesso, la tua anima”.
Ed è con questo spirito che, nel 2000, “puntano il dito contro media e stampa”, soprattutto quella di casa, definita la peggiore al mondo.

Ma se è vero che si suona soprattutto per se stessi è altrettanto vero che il ruolo conquistato cambia la vita e incide sugli eventi, e l’arte che si crea diventa patrimonio dell’umanità, quella più sensibile e attenta agli immensi risvolti musicali, e quella che sul giudizio e pregiudizio ci deve - o vuole -  campare.

Certo è che la vita in team è tutt'altro che facile.
Estrapolo e sintetizzo ciò che dice Wilson nel corso di un’intervista riportata nel libro: “Fare un disco solista è liberatorio, non devo pensare al resto dei musicisti quando scrivo. Al contrario, quando creo per la band ho delle limitazioni, perché penso, conoscendoli, alle loro risposte, a ciò che amano, o meglio, non amano. E’ questa una ovvia limitazione che è basilare quando occorre mantenere una direzione precisa. Allo stesso tempo sono felice quando, lavorando per un mio album solista, questi obblighi non esistono. I Porcupine lavoravano con una logica democratica, e remixando i primi dischi dei King Crimson mi sono reso conto di come, ad esempio, certe fughe verso il jazz sperimentale per noi fossero impossibili, per lo scarso amori di alcuni per quel genere”.

Beh, nel definire cosa sia la  musica progressiva, tutti penseranno a sottolineare, tra i tanti aspetti, la totale libertà espressiva, senza paletti e vincoli legati a categorie tradizionali.

Questa situazione di disagio porta al pensiero di Enrico Rocci che intitola un capitolo: “Perché i Porcupine Tree non torneranno (forse) mai più”.

Pagina dopo pagina si sviluppa la storia - la discografia, il gruppo di amici/fan -, e accanto al racconto degli eventi, personali e generali, si viene accompagnati in una efficace introduzione alla sostanza, ovvero ai dischi creati dai Porcupine Tree, alle loro evoluzioni e alla loro arte.

Uscendo dall’argomento specifico, la lettura casuale, quella affrontata da chi non ha particolari amori musicali, permette di disegnare un mondo di amicizie e relazioni “corrette”, che nascono e si alimentano attraverso eventi a base musicale, dove la socializzazione positiva di cui abbiamo tutti bisogno si realizza facilmente, come quando da adolescenti eravamo ansiosi di acquistare l’ultimo album di ELP o YES, per poterlo mettere su un “piatto” e farlo girare, commentandolo con gli amici di sempre.

Ricca e gradevole la sezione fotografica.


Enrico Rocci colma un vuoto e ci regala un contenitore a tratti didattico, utilizzando però il linguaggio colorito del fan, rendendo piacevole un viaggio che spesso risulta oscuro per il mero fruitore della musica.
E’ interessante cercare di entrare nei dettagli? Io dico di sì… provate a leggere e mi darete ragione!