Anche in tempi di crisi del mercato musicale, momenti in cui
l’offerta appare superiore alla domanda, e dove tutto è facilmente e
gratuitamente raggiungibile, accade che attorno a certi nomi/eventi/uscite
discografiche, si crei una attesa da altri tempi. Si potrebbe affermare che
alcuni artisti sono in grado di stimolare aspettative da “acquisto a scatola
chiusa”.
Steve Rothery, membro fondatore dei Marillon, fa parte di questa schiera di
icone musicali, perché la storia non si può cancellare, e la capacità di
disegnare Musica di qualità è caratteristica che rimane appiccicata per sempre.
The Ghosts of Pripyat è un album atteso, nobilitato da alcune presenze qualificanti.
Non ho modo di conoscere il motivo della scelta
del soggetto, ma vale la pena sottolineare la difficoltà di realizzare un
valido commento concettuale attraverso un album strumentale, che si prefigge di
raccontare la desolazione nella città fantasma di Pripyat, in Ucraina, popolata
e svuotata in un ristretto spazio temporale - 3 lustri - essendo risultata esposta
pesantemente al fenomeno della radioattività post Cernobyl.
Non tanto le letture, ma soprattutto le immagini,
possono essere il giusto veicolo da cui trarre spunto per raccontare attraverso
i suoni, e la fotografia scelta per la cover è particolarmente stimolante, e
spinge verso la creatività.
Per questo viaggio drammatico Steve utilizza la
sua band di prestigio: Dave Foster (Mr. So and So) come seconda chitarra, Leon Parr alla batteria, Yatim Halimi (Panic Room) al basso e il
“nostro” Riccardo Romano
(RanestRane) alle tastiere.
Potevano bastare?
No, in un paio di brani è presente Steve
Hackett (l’iniziale “Morpheus” e “Old
Man of the Sea”), mentre Mister
Steven Wilson incrocia la chitarra con
Hackett e Rothery in “Old
Man of the Sea”.
Sette tracce per 54 minuti di composizioni che colpiscono al
primo assaggio.
L’immagine a cui accennavo è un potente indirizzo all’ascolto
(l’artwork è firmato da Lasse Hoile, noto per la collaborazione con
la family ‘s Wilson), e ciò che evolve col passare dei minuti porta ad un
coinvolgimento che supera stili e generi di cui i protagonisti sono sempre
stati alfieri.
È un album diverso dallo standard di Rothery, che gioca molto
più sull’atmosfera che non sul virtuosismo, un disco che si ripropone di far
vivere un’ambientazione tragicamente statica, in cui le guests stars si calano
nella parte e non prendono il palcoscenico in solitudine.
Al di là della piacevolezza di ascolto, mi preme sottolineare
l’originalità della proposta, con una base di partenza all’insegna del…
progetto ambizioso, e un arrivo fatto di semplicità e piena accessibilità, e
arrivare diretti all’obiettivo dovrebbe lo sforzo richiesto a chiunque decida
di raccontare - o raccontarsi - un pezzo di vita.
Questa la set list:
1)Morpheus
2)Kendris
3)Old Man Of
The Sea
4)White Pass
5)Yesterday’s
Hero
6)Summer’s
End
7)The Ghosts
of Pripyat
Davvero un
bell’album.