lunedì 30 novembre 2009

ELP Tribute Project



La mia amica Cinzia Bruzzone, collaboratrice di "contrAPPUNTI, periodico dedicato alla musica progressiva, mi ha segnalato "ELP Tribute Project".

Il fondatore del gruppo, Mauro Aimetti, mi ha gentilmente fornito le seguenti informazioni.

Durante il periodo Aprile/Maggio 2006 Mauro Aimetti (Basso, chitarre e voce, collaboratore di Giulio Capiozzo – AREA -, Bernardo Lanzetti & Walter Calloni – PFM –Ged Lynch – Peter Gabriel – Phil Palmer – Eric Clapton -, Hossam Ramzy – Page & Plant – ect. fonda il suo PROG PROJECT (Emerson, Lake & Palmer Tribute). Incontra lungo il cammino artistico del progetto Fabio Mancini (pianista diplomato in piano ed organo al Conservatorio di Milano – The Watch) e Marco Fabbri (batterista giovane ma ricco di esperienze in campo Rock Progressive: Odessa, Eclat, Paul Whitehead).
Il 2 Luglio 2007 ELP Tribute Project ottiene un grosso spot sulla TV RAI TRE all’interno del TGR con un servizio che è seguito da 600.000 persone nel Nord Italia e che mostra una parte del loro concerto/Evento Unico tenutosi il 9 Giugno 2007 nella Basilica Consacrata di Lorenteggio (MI). Per la prima volta sull’altare dopo la Messa, un gruppo Rock suona in luogo sacro un Tributo a Emerson, Lake & Palmer!!! La Chiesa è gremita anche di fans storici che videro ELP nel Maggio 1973 al Velodromo Vigorelli di Milano, che escono entusiasti dal concerto dicendo che il tributo è perfetto nei suoni vintage, nell’amalgama e nella voce che ricorda molto Greg Lake nel suo splendore degli anni 70.
Una chicca: viene utilizzato anche l’organo a canne della cattedrale per il concerto…
Oltre ad una serie fortunata di concerti e partecipazioni ai festival in Italia, ELP Tribute Project s’imbarca in un Tour Europeo a Novembre 2008 u.s. sotto il Management dei famosi “The Musical Box” (il tributo ufficiale dei Genesis). Il Tour è per celebrare il 35° Anniversario del capolavoro “Brain Salad Surgery” che usciva neanche a farlo apposta il Novembre 1973! La band ripercorre le stesse nazioni che videro i veri ELP protagonisti nel 73! (Holland, Germany, Belgium, Netherlands, Switzerland and Germany again)!
Il feedback molto positivo e il riscontro di pubblico ad ogni concerto europeo è molto incoraggiante per ELP Tribute Project. Ogni sera i fans sono in aumento di presenze e i commenti sono all’unisono gli stessi: “wow, se chiudevo gli occhi sembrava di stare davanti ai veri ELP nel loro stato di grazia del 1973!....” “grazie per il grande regalo che ci avete fatto questa sera! Ho aspettato di sentire dal vivo gli ELP…ho tutti i dischi…mio figlio non era ancora nato..e questa sera li abbiamo sentiti!!..”
Il Tour si chiude il 21 Marzo 2009 u.s. nel prestigioso e storico (‘68) Cinema Politeama di Varese dove 400 fans di ELP arrivano da molte città italiane per assistere allo “SHOW THAT NEVER ENDS”. A Varese arrivano da: Ravenna, Carpi, Modena, Padova, Crema, Seveso, Milano, Bergamo, Novara, Cantù, ect.)
I fans degli ELP sono avvisati: allacciate le cinture, la nostra macchina del tempo vi catapulterà direttamente indietro al 1972!! Lunga Vita al Prog!

LATEST NEWS:

Il 27 Ottobre 2009 u.s. ELP Tribute Project viene invitato a suonare per un evento Unico al mondo a Hamburg: La famosa Hamburger Symphoniker Orchestra li vuole per un concerto al loro fianco per far conoscere al pubblico della stagione Sinfonica il forte analogismo tra la musica classica e il Rock Progressive degli anni 70 nato in Inghilterra.
Gli ELP Tribute Project eseguono “Knife Edge” arrangiato dal primo movimento della Sinfonietta di Leos Janàcek. Poi, dopo la versione classica orchestrale, il grande finale tutti insieme: ELP + Orchestra (60 elementi!) –esattamente lo stesso numero di orchestrali al seguito dei veri ELP nel WORKS Orchestral Tour del 1977 a Montreal!- eseguono la suite di Modest Mussorgsky “Pictures At An Exhibition”!
Alla fine di “The Great Gates of Kiev” è l’apoteosi! Nella prestigiosa Laeiszhalle Music Hall di Amburgo le 2000 persone presenti (Sold-Out!) si alzano in piedi per una standing Ovation con oltre 3 minuti di applausi continuati a scena aperta….
E’ la consacrazione ufficiale per ELP Tribute Project in Europa, nella città che vide i Beatles muovere i primi passi della loro stellare carriera.


giovedì 26 novembre 2009

Convention "tullica" a Alba

Sabato 21 novembre ho assistito alla mia terza Convention dal profumo “Jethro Tull”.

Gli organizzatori di Novi Ligure e Alessandria (cito gli eventi a cui ho partecipato), si trasformano in collaboratori, e il pallino passa nelle mani di “Jethro’s Friends”, cioè gli amici di Alba, che costituiscono un gruppo importante e attivo, amante della musica di Ian Anderson e soci, e capace di preparare eventi di grande rilievo.

Conosco personalmente Felice Prunotto e Franco Gastaldi, ma credo che il tutto funzioni per effetto di un gruppo di lavoro di buona efficienza e tenacia.

Contrariamente a quanto accaduto nelle precedenti occasioni, non potrò soffermarmi sui dettagli “hors” concerto, sull’atmosfera e sui piccoli episodi che rendono una Convention una manifestazione speciale. Impegni personali hanno fatto sì che io arrivassi solo all’ultimo momento (lo scorso anno, ad Alessandria, ero sul posto un giorno prima) e credo di aver perso il vero sapore della serata ( e di quella precedente). Provo a spiegarmi. Chiunque si fosse trovato per caso ad Alba, sabato scorso, avrebbe potuto dire, a posteriori, di aver assistito a un grande concerto. Ma la Convention è molto di più … è vivere insieme a vecchi amici, è conoscerne di nuovi, è avvicinare gli artisti e scambiare con loro quattro chiacchiere, è fare fotografie, richiedere autografi e familiarizzare con chiunque, nel magico nome dei Jethro Tull. In quelle occasioni si azzerano gli spazi esistenti tra “vite normali” e miti viventi, tra onesti lavoratori e animali da palcoscenico.

Mi è capitato spesso negli ultimi tempi di trovarmi in queste situazioni ideali, ma in questa occasione specifica mi è mancata “l’immersione totale”, che non potrò quindi descrivere. Beh, a dire il vero, quando sono entrato nel circolo adiacente il teatro, e ho trovato una tavolata piena di…Fairport Convention, di Clive Bunker, di Mcshee’s … ho pensato che non era poi una cena così comune!!! Insomma, figure che ero abituato a vedere sfumate nei vinili, erano li accanto a me!

Ma veniamo alla musica. Il piatto forte erano in Fairport Convention, carichi di storia tullica, con Dave Pegg e Jerry Conway in formazione. A completamento la presenza dell’immancabile Clive Bunker, della “Pentangle” Jacqui Mcshee’s (moglie di Conway), di Phil Hilborne(non molto tullico, in verità, ma chitarrista di valore)e della Beggar’s Farm di Franco Taulino.

Era prevista la performance di Barriemore Barlowe, ma un impegno dell’ultimo momento ne ha impedito l’arrivo. In realtà ho captato che nelle speranza degli organizzatori c’era il colpo a sorpresa, difficile da realizzare e quindi tenuto nascosto(forse per scaramanzia):Ian Anderson.Ho più volte scritto che un raduno dei fan poteva prescindere dalla presenza del “re” Ian, tra l’altro il meno disponibile di tutti. Ritornandoci su, e giudicando da esterno un po’ introdotto, direi che avere LUI in zona è estremamente impegnativo e condizionante, e anche quando non lo si vede sul palco si ha l’impressione che tutto sia sottoposto al suo giudizio, e quindi si è”pressati” da una sorta di tensione positiva. Ma è ovviamente solo una mia impressione.

Le differenti performance sono state precedute dai filmati realizzati da Wazza Kanazza, che hanno ricordato la scomparsa di John Glascock, mancato trenta anni fa, il 17 novembre 1979, a soli 28 anni. Nel corso della rappresentazione, Aldo Tagliaferro, il presidente di “Itullians” esporrà il basso di John, a completamento della commemorazione.

E’ stata anche una serata con lo sguardo rivolto ai più bisognosi, e il ricavato netto è stato devoluto ad associazioni benefiche.

E poi... l’ospite a sorpresa.

Nel corso della prima parte, dedicata ai Fairport, Peppe Leone viene chiamato sul palco.

Non lo conosco, ma incanta tutti per il modo in cui suona il tamburello e a serata inoltrata, quando arriva il momento dell’assolo di Clive Bunker, Peppe è presente, e le percussioni si dividono in due.

Vediamo come nasce la collaborazione(riporto fedelmente come mi è stata raccontata).

Peppe "Peppino" Leone era per una casualità presente il venerdì sera, prima della Convention, a cena nello stesso ristorante in cui si trovava Dave Pegg e i F.C. Peppino ha improvvisato al tamburello (il suo strumento) con loro, dopo la cena, e i Fairport si sono letteralmente innamorati di lui e lo hanno invitato a suonare con loro a Alba la sera dopo. Peppino suona il tamburello come nemmeno gli stessi Fairport avevano mai visto suonare, e pare che nemmeno Clive abbia mai visto fare cose simili e ha chiesto al giovane tamburellista di partecipare assolutamente ai suoi prossimi "clinic" in italia! Una vera folgorazione per musicisti abituati a suonare da più di 40 anni su tutti i palchi del mondo!”

Trovarsi al posto giusto al momento giusto” è una perla di saggezza di cui si sente sempre parlare, e … come possiamo definire la situazione in cui un ragazzo qualunque, magari abituato a piccoli spazi musicale, si trova a suonare con chi ha fatto la storia della ”nostra” musica?

I Fairport sono stati straordinari. Conoscevo la loro musica attraverso i loro album e i loro DVD, ma vederli a due metri di distanza è stato davvero emozionante. I duetti tra Ric Sanders e Chris Leslie sono stati per me i momenti di massimo spettacolo, e i passaggi di Simon Nicol, supportati dall’immenso Dave Pegg e dal preciso e instancabile Gerry Conway, mi hanno fatto passare momenti indimenticabili.

E che dire della fantastica e inossidabile voce di Jacqui Mcshee’s?!

Un solo brano per Phil Hilborne, il più rochettaro di tutti, e poi la Beggars’ con Bunker, nel solito vincente mix di artisti a cui Taulino e soci ci hanno abituato. Tanto “Jethro” , con brani che Ian dal vivo non propone più, e pubblico davvero contento.

La mia soddisfazione supplementare è quella di aver potuto scambiare quattro chiacchiere con Sanders e avergli strappato la promessa di un’intervista.

Ho rivisto molti amici, ho sentito la “mia musica”, ho passato un’altra serata indimenticabile.

Sulle facce dei “nuovi organizzatori” ho visto un po’ di giusta stanchezza, ma anche tanta soddisfazione.

Certi avvenimenti partono da lontano e quando il sipario si chiude e ci si può sedere la fatica viene pareggiata dal risultato dell’evento, se positivo.

Un mio plauso personale a “Jethro’s Friends”, e a tutte quelle persone che hanno contribuito alla realizzazione di questa particolarissima giornata, che ancora una volta rimarrà nel cuore e nella mente di noi ammalati di musica.



mercoledì 25 novembre 2009

Gianni Leone... ancora lui



Gianni Leone, di cui ho parlato diffusamente negli ultimi tempi, mi ha "regalato" un'enorme quantità di materiale che ritengo prezioso.
Prezioso perché attraverso le sue parole si rivivono eventi del passato che risultano unici, perché raccontati da chi li ha direttamente vissuti, per cui "sfrutto" la situazione favorevole, certo che le parole di Leo risultino interessanti per chi è interessato alla musica degli anni 70, e non solo.


Introduzione di Gianni Leone per il libro ”Racconti a 33 giri” di Riccardo Storti, Donato Zoppo e Paolo Carnelli

Scrivere o parlare degli anni '70 è sempre un'impresa impervia: si rischia di apparire dei nostalgici, se non addirittura dei reduci di un'epoca che non c'è più e che diventa ogni giorno che passa un po' più polverosa, un po' più velata di ragnatele. Ed io non amo sentirmi TROPPO legato al passato, impegnato come sono a vivere… il presente.
In realtà, noi - che abbiamo vissuto pienamente e gloriosamente quegli anni - siamo piuttosto dei sopravvissuti. Sopravvissuti a quelli che non ci sono più, a quelli che ci sono ancora ma è come se non ci fossero in quanto rifiutano il loro passato "scomodo" e lo rinnegano, oggi che magari sono dei distinti signori di mezza età con una “sana” reputazione da difendere e che perciò preferiscono sottacere i loro trascorsi al grido di ”sesso-droga-e-rock’n’roll!”. Siamo sopravvissuti alle droghe, quando usarle significava ancora poter fare un'esperienza creativa, allegra e di espansione della propria mente, non certo come le usano oggi, ridotte come sono a una sciagurata moda-di-massa-quindi-Dramma-Sociale (infatti il discorso “droga” lo considero del tutto anacronistico e non più interessante); agli eccessi di ogni genere; a ogni sorta di "gioco pericoloso"; ma anche agli scontri violenti con una società ostile e intollerante che rifiutava in blocco ogni spirito eversivo, nell' arte come nelle scelte di vita individuali. Purtroppo la situazione non è che sia cambiata poi molto, almeno per certi aspetti; anzi, sembra proprio che si stia andando sempre più verso una società di divieti, limitazioni della libertà individuale, regole e regolucce - spesso odiose e irrazionali - da non trasgredire, pena sanzioni severissime. E il rivoltante ed allarmante rigurgito di neomoralismo ipocrita degli ultimi anni, poi, dove lo mettiamo?!
Era dura dover sempre combattere, anche semplicemente per rimanere se stessi, per potersi esprimere con un linguaggio diverso dalla norma, per tentare di cambiare l'ordine prestabilito... Noi musicisti, che a quell'epoca avevamo già deciso da quale parte stare, artisticamente e culturalmente, avanzavamo a testa bassa, seppure fra mille difficoltà, verso il nostro obiettivo: rivoluzionare la musica, infrangere in mille pezzi quella prigione di perbenismo bigotto e imbalsamato che ci opprimeva. E noi musicisti italiani, in questo senso, eravamo più penalizzati di altri: tutto era un po’ più difficile, un po’ più distante, per noi.
C’era una dimensione nuova da inventare, qualcosa che prima non esisteva. Alcuni di noi volevano addirittura cambiare IL MONDO! Sì, lo ammetto: per un periodo credetti anch'io di poterlo fare, poiché tutta quell'energia dirompente che sentivo dentro, mista al senso di immortalità proprio di qualunque adolescente, creava una miscela davvero esplosiva. Facemmo di tutto per farci notare, per non passare inosservati, per farci SENTIRE, VEDERE, ASCOLTARE: provocazioni di ogni tipo nell'abbigliamento e nello stile di vita, nelle espressioni artistiche sperimentali e dissacranti, nell’approccio disinibito e spensierato con LE sessualità (l’AIDS era ancora un incubo inimmaginabile)... Niente poteva fermarci: eravamo stufi di dover sempre fare i conti con il nostro pesante fardello della tradizione melodica italiana (quando non addirittura di quella napoletana, come nel caso di noi Balletto di Bronzo) e con una scena musicale dominata da canzonette balneari. Ascoltavamo i primi dischi di artisti che la rivoluzione la stavano facendo davvero, come Jimi Hendrix, Frank Zappa. Poi arrivarono i King Crimson e tanti altri, e in questo modo trovavamo la forza per andare avanti, per non sentirci soli. Radio Luxembourg, la radio “pirata” per eccellenza, era per noi l’unica possibile fonte d’ascolto, l’unico aggancio con un mondo che allora potevamo solo immaginare. Tanti dischi, poi, non erano neanche pubblicati nel nostro Paese, per cui dovevo comprarli alla base NATO di Napoli, dove suonavo spesso.
Rassegnamoci: il Rock non è nato in Italia. Però noi abbiamo certamente, egregiamente, contribuito alla sua evoluzione.
In quegli anni si cominciarono ad organizzare raduni e festival "POP" a cui prendevano parte moltissimi gruppi, anche stranieri. Ci si incontrava regolarmente in queste occasioni per suonare, e noi tutti ci confrontavamo in un clima di sana rivalità. Come in occasione delle “leggendarie” jam sessions all’ Altro Mondo di Rimini, cui prendevano parte tutti i musicisti dei vari gruppi che si trovavano lì in quel momento, compreso chi scrive. Spesso capitava di incrociarci in qualche autogrill, magari di notte, mentre stanchi e assonnati (e non solo “assonnati”…) eravamo in viaggio per suonare chissà dove, e ci scambiavamo altre esperienze, altre idee. Quella musica "nuova" fu etichettata, chissà perché, "POP ITALIANO"; oggi la chiamano "PROGRESSIVE". Intanto intorno a noi continuavano ad impazzare le "Canzonissime" e i "Festivaldisanremo"…
Poi qualcuno fiutò il business: sempre più ragazzi accorrevano a quei raduni, sempre più energie creative erano coinvolte e liberate... La stessa società non era più così ostile e diffidente verso quei ragazzi “strani” (d’altronde ogni singolo essere umano è, in un modo o nell’altro, un “diverso”, mettiamocelo bene in testa). Si cominciarono a vedere in giro signori con smanie di giovanilismo e finanche giornalisti del Telegiornale istituzionale sfoggiare basettoni, zazzere fluenti sui colletti delle camicie e pantaloni -seppur moderatamente- a "zampa d'elefante" che ormai erano tranquillamente reperibili in qualunque boutique o grande magazzino (ma certamente io continuavo a farmeli fare dal sarto, con lamé e velluti da tappezzeria o addirittura utilizzando tende da salotto: a vita bassa, attillatissimi fino al ginocchio e scampanatissimi, anche oltre sessanta centimetri, in fondo).
Le Major cominciarono a proporre contratti e ingaggi, finché si arrivò ad una situazione -assolutamente impensabile OGGI - in cui tutti i gruppi, persino quelli meno importanti e originali, potevamo ottenere contratti quinquennali con una Casa Discografica. Ecco allora il proliferare di dischi su dischi, album dalle copertine più bizzarre e fantasiose. Noi del Balletto, per esempio, pubblicammo YS per la leggendaria etichetta Polydor, per di più in una veste grafica davvero sontuosa! Tutti i dischi recensiti in questo libro, infatti, risalgono proprio a quel periodo felice e fertile. Forse non ce ne rendevamo conto, ma in quel momento stavamo realmente cambiando qualcosa.
Tutto questo durò pochissimo: tre, quattro, forse cinque anni. Poi qualcosa s'incrinò, quell'equilibrio si ruppe. Ci furono gli anni della contestazione, per cui andare a un concerto significava ritrovarsi coinvolti in scontri con la Polizia, tra lacrimogeni e manganellate. Cosa si contestava? Il prezzo troppo alto dei biglietti (in realtà non lo era). Furono coniati gli slogan: "La musica è nostra e ce la prendiamo!”, “Musica libera! Musica gratis!”, “Duemila lire-duemila pernacchie!". Si toccò l'apice con il famigerato concerto di Lou Reed al Palasport di Roma il 15 febbraio 1975, in cui si videro scene di autentica, violentissima guerriglia urbana sia all'interno che all'esterno dell'edificio. Quella sera c'ero anch'io, naturalmente tra il pubblico pagante. Da quel momento si piombò in un lungo periodo di oscurantismo musicale poiché nessuno volle più organizzare concerti in Italia, anche perché gli artisti stranieri cominciarono ad evitare accuratamente di includere il nostro Paese nei loro tour mondiali. Poi arrivò la Discomusic e tanti validi musicisti si ritrovarono di colpo tagliati fuori. Chi partì per mete improbabili, chi si perse in un modo o nell'altro, chi rinunciò del tutto alla musica, chi semplicemente... si "adeguò".
Ma il sasso era stato lanciato, il seme piantato. Così, dopo trent'anni, rieccoci a parlare di quel periodo, di quella "rivoluzione", perché le vere rivoluzioni viaggiano all'infinito, superano i decenni, i secoli, cambiano l'abito ma non la sostanza, lasciano sempre una traccia del loro passaggio. Quei ragazzini che s’illudevano di cambiare il mondo, almeno qualcosa forse la cambiarono davvero… E quelle “ragnatele”, guardando bene, invece altro non sono che fili sottilissimi ma tenaci che legano indissolubilmente il passato il presente e il futuro di ognuno di noi.
Gianni Leone (2004)


lunedì 23 novembre 2009

Crosby, Stills, Nash & Young



Utilizzo alcune note trovate in "Last Fm" per tracciare l'immagine di un gruppo a me caro.

Crosby, Stills, Nash and Young (spesso contratto nell’acronimo CSN&Y) è il nome di un popolare supergruppo statunitense di musica Folk/Rock che conobbe un momento di grande notorietà nei primi anni Settanta.
I musicisti che lo formarono provenivano da tre gruppi attivi a metà anni Sessanta e specializzati nel repertorio folk-rock (gli statunitensi Byrds e Buffalo Springfield e gli inglesi Hollies). Tali gruppi erano considerati una sorta di alter ego dei Beatles e, almeno in parte, un tentativo di risposta americana allo strapotere del gruppo di Liverpool.

Il supergruppo CSN&Y - più volte sciolto e più volte ricomposto sotto forma di duo o trio, in combinazioni sempre differenti - è tornato ad esibirsi dal vivo nella primavera del 2005.

I componenti sono quattro fra i migliori cantanti, autori e musicisti della scena rock degli ultimi quarant’anni:

·David Crosby (già chitarrista, autore e cantante dei Byrds )
·Stephen Stills (cantante e chitarrista dei Buffalo Springfields e, successivamente, dei Manassas)
·Graham Nash (autore e chitarrista e tastierista del gruppo inglese degli Hollies)
·Neil Young (autore e chitarrista dei Buffalo Springfield e, successivamente, del gruppo dei Crazy Horse; forse colui che ha avuto il maggiore successo anche come solista; presente in alcuni concerti dei Traveling Wilburys di Bob Dylan).
La formazione base era inizialmente costituita dal trio Crosby, Stills & Nash: nel 1969 fu pubblicato il loro primo album il cui titolo era costituito semplicemente dai loro cognomi e che scalò rapidamente le classifiche di vendita. Solo successivamente ad essi si aggiunse Neil Young (in occasione del Festival di Woodstock).

Furono tre gli album pubblicati a cavallo degli anni sessanta e settanta: Déjà vu, So Far (da citare la cover disegnata da Joni Mitchell) - ed il doppio live 4 Way Street che costituisce un po’ la summa del loro percorso artistico unitario (contiene tra le altre la celebre canzone-invettiva ‘Ohio’ scritta da Neil Young in memoria dell’eccidio compiuto nel 1970 a Kent (Ohio) quando la polizia sparò su studenti pacifisti uccidendone quattro) che divenne il loro personale manifesto contro l’impegno statunitense nella guerra del Vietnam). La canzone “Alabama”, un chiaro biasimo al razzismo di quello stato, gli procurò addirittura minacce di morte.

Altri brani da segnalare nella produzione di quegli anni sono: “Teach your Children”, “The Lee Shore”, “Suite Judy Blue Eyes”, “Carry On”, “Right Between the Eyes”, “Love the One You’re With”, e la loro interpretazione di Woodstock di Joni Mitchell.

Anche singolarmente - nel divenire di lunghe anche se non sempre lineari carriere - i quattro componenti del CSN&Y hanno riscosso un notevole successo sia in termini di popolarità che di vendite di dischi.

giovedì 19 novembre 2009

Black Widow



I britannici Black Widow debuttarono poco dopo che i Led Zeppelin fecero dell'hard-rock una macchina da soldi e poco dopo che i King Crimson e i Van Der Graaf Generator inventarono il progressive-rock.

Kip Trevor (voce), Jim Gannon (chitarra), Zoot Taylor (tastiere) e Clive Jones (corno) furono dapprima nei Pesky Gee, il cui Exclamation Mark (Pye, 1969) fu un album di mediocre blues
-rock. La band cambio' nome (divenendo Black Widow) e stile, passando a temi esoterici ed horror. La lunga suite Sacrifice (1970) porto' in primo piano elementi "dark" fino ad allora presenti in misura minore su molti album britannici. Il sound era vicino alla fusion jazz/rock/classica dei Colosseum di Valentyne Suite. Come To The Sabbath fu l'inno, In Ancient Days lo zenit del pathos. Gannon firmo' ogni pezzo.
II (1970) fu un lavoro piu' coesivo ma privo di parte della satanica ispirazione del debut album (eccetto Legend Of Creation). Jim Gannon abbandono' la band e il bassista Geoff Griffith divenne il principale compositore. The Battle e' il tour de force di III. IV (Mystic, 1998) e' una raccolta di material inedito del 1972.
(tratto dalla storia del rock di Piero Scaruffi)




mercoledì 18 novembre 2009

La musica dei 70


Da un estratto dei ricordi musicali di Luciana Figini.


MUSICA ANNI 70 : Led Zeppelin, Deep Purple e gli altri, ovvero i fratelli maggiori del “Metallo pesante”.

La prima volta che ascoltai “Whole lotta love” dei Led Zeppelin avevo quindici anni ed ero in vacanza a Pontedilegno con le Acli di Varedo.
C’era uno scassatissimo stereo nella mensa con una scassatissima cassa acustica. Nel pomeriggio , come tutti i ragazzi di quell’età, avevamo un passatempo preferito: dare fastidio ai grandi (chiamati allora “matusa”).
A questo scopo avevamo messo insieme un po’ di dischi da trasmettere a volume altissimo proprio durante le ore del riposino pomeridiano…
Il nostro amico Claudio , detto “Stecca” per la magrezza impressionante, era un vero esperto di musica pop e rock e passava buona parte della giornata a farci ascoltare i suoi gruppi preferiti: Led Zeppelin , Black Sabbath e Deep Purple…cioè quanto di più rumoroso ci fosse in circolazione all’epoca…
“Whole lotta love” non era solo rumoroso, era un brano di grande sperimentazione musicale, con continue pause e improvvisi rialzi di volume che , alle orecchie di chi non amava questo tipo di musica, potevano diventare persino esasperanti, insopportabili.
Era in assoluto il brano preferito da tutti noi e lo propinavamo regolarmente tutti i giorni,o almeno durante i primi giorni di quella vacanza…
Infatti dopo neppure una settimana ci fu (giustamente) una specie di rivolta da parte degli adulti e noi fummo costretti a riprenderci tutti i nostri dischi, lo stereo scassato e trasferirci nel retro della casa alpina, pena essere rimandati immediatamente a casa.
Dopo i primi attimi di sgomento ci adattammo alla nuova situazione e ci sembrò anche più divertente poter fare il chiasso che volevamo senza problemi.
La musica di queste formazioni era chiamata “hard rock” ed aveva delle caratteristiche abbastanza simili : c’era sempre un cantante principale dotato di una voce forte, che poteva raggiungere sonorità quasi incredibili (come quella di Robert Plant dei Led Zeppelin), una chitarra ed un basso,una batteria.A questi strumenti base ovviamente se ne potevano affiancare altri ma il “dialogo” principale era sempre tra voce solista, chitarra elettrica e batteria, con ampi spazi di assolo per la voce o il singolo strumento.
L’assolo più incredibile di batteria? “Moby Dick” dei Led Zeppelin.
L’uso più stupefacente della voce? “Child in time” dei Deep Purple
Il genere musicale, come già detto , era hard rock, quindi rock duro, pesante , ma molti di questi gruppi padroneggiavano magistralmente anche altri generi musicali, quali il blues, il soul, il rock and roll, il rhythm and blues.
La sperimentazione era un altro elemento sempre presente: c’era come una spinta inarrestabile a saggiare i limiti a cui potevano arrivare gli strumenti musicali o la voce: brani come “Paranoid” dei Black Sabbath o “Highway Star” dei Deep Purple sembrano ancora oggi quasi incredibili .
D’accordo , direte voi, gli Iron Maiden ed altri gruppi “metallari” hanno fatto delle cose simili negli anni 80/90, ma dobbiamo considerare che qui parliamo di fine anni sessanta-primissimi anni settanta…


Stairway to heaven

Nel quarto album dei Led Zeppelin (Led Zeppelin IV) c’è una canzone alla quale moltissime persone della mia generazione, anche quelle assolutamente non amanti del genere hard rock, sono affezionate: è “Stairway to heaven”, canzone dal contenuto piuttosto oscuro e simbolico, che parte come una lenta ballata per poi concludersi con un bellissimo crescendo di musica e voce.
Vi invito a leggerne il contenuto e, se ne avete modo, ad ascoltarla: è la storia di una misteriosa signora che crede che qualsiasi cosa brilli sia oro e che ha deciso di comprarsi una scala per il paradiso… non c’è mai stata un’interpretazione ufficiale del testo di questa canzone , così ognuno può trovarci ciò che vuole…


STAIRWAY TO HEAVEN (Page/Plant)


There's a lady who's sure all that glitters is gold
And she's buying a stairway to heaven.
When she gets there she knows, if the stores are all closed
With a word she can get what she came for.
Ooh, ooh, and she's buying a stairway to heaven.

There's a sign on the wall but she wants to be sure
'Cause you know sometimes words have two meanings.
In a tree by the brook, there's a songbird who sings,
Sometimes all of our thoughts are misgiven.
Ooh, it makes me wonder,
Ooh, it makes me wonder.

There's a feeling I get when I look to the west,
And my spirit is crying for leaving.
In my thoughts I have seen rings of smoke through the trees,
And the voices of those who stand looking.
Ooh, it makes me wonder,
Ooh, it really makes me wonder.

And it's whispered that soon if we all call the June
Then the piper will lead us to reason.
And a new day will dawn for those who stand long
And the forests will echo with laughter.

If there's a bustle in your hedgerow, don't be alarmed now,
It's just a spring clean for the May queen.
Yes, there are two paths you can go by, but in the long run
There's still time to change the road you're on.
And it makes me wonder.

Your head is humming and it won't go, in case you don't know,
The piper's calling you to join him,
Dear lady, can you hear the wind blow, and did you know
Your stairway lies on the whispering wind.

And as we wind on down the road
Our shadows taller than our soul.
There walks a lady we all know
Who shines white light and wants to show
How ev'rything still turns to gold.
And if you listen very hard
The June will come to you at last.
When all are one and one is all
To be a rock and not to roll.

And she's buying a stairway to heaven






lunedì 16 novembre 2009

Gianni Leone


Nel mio lungo racconto legato alla venuta della "Prog Family" Osanna a Savona, uno degli elementi di spicco è senza dubbio Gianni Leone, tastierista, cantante e compositore mitico, a partire da inizio anni 7o.
Lo vidi nel luglio del 73( mi ha ricordato lui la data) al festival di Altare, e fu quella la sua unica apparizione nel savonese.
Talento? Ovviamente sì, ma anche enciclopedia musicale vivente.
Cercherò di sfruttare la valanga di materiale che mi ha inviato, perchè attraverso i suoi ricordi si ritorna "nella" storia della musica rock italiana e non, e le pillole di Leo diventano l'occasione per parlare del "mio mondo ideale".
Partiamo da una testimonianza che avevo letto da poco sul libro di Carmine Aymone.


OSANNA – Naples in the world
Storia di un rock che compie 30 anni
Di Carmine Aymone

La testimonianza di Gianni Leone

In quegli anni non esistevano ancora la “moda giovane”, la cultura dei giovani. Ci sentivamo degli esclusi, la società dei “grandi” ci considerava semplicemente individui in attesa di diventare adulti. In Italia, a Napoli, eravamo particolarmente penalizzati rispetto alle realtà che potevano offrire capitali europee come Londra o Amsterdam. Abbiamo dovuto conquistarci giorno dopo giorno una nostra identità artistica e umana con i denti e gli artigli. Non è stato facile. Acquistavamo i dischi non reperibili sul mercato italiano alla base Nato, dove suonavamo spesso con la formazione Città Frontale. Così scoprimmo gruppi come i Nice, con un giovane e straordinario Keith Emerson, Frank Zappa e the Mothers of Invention e tanti altri. Per noi si aprì un mondo nuovo e sconvolgente. Scoprimmo di avere nuove esigenze, ma poi ci guardavamo intorno e vedevamo una realtà che non ci corrispondeva. Strappavamo le tende di casa per trasformarle in camicie straordinariamente eccentriche che ci cuciva con grande maestria la madre di Lino Vairetti. Noi eravamo personaggi veri, credibili, ma soprattutto determinatissimi, nonostante le discriminazioni di una società che considerava noi “capelloni” -e bastava già che i capelli coprissero la parte alta del padiglione auricolare– elementi da disprezzare e deridere. Bisognava lottare continuamente per rimanere se stessi. Questo, però, ci ha forgiato per sempre. Oggi invece tutto è svilito a una sciocca e superficiale moda di massa: la moda della notte, della musica, dei locali, dello sballo, delle cosiddette trasgressioni… La droga è diventata un dramma sociale quando l’hanno fatta degenerare in una moda sciagurata per ragazzini qualunque. Le droghe –che restano in ogni caso “giocattoli” pericolosissimi- servono per spalancare certe porte della nostra psiche per disinibirci, per vedere cosa c’è dietro. Una volta capito il meccanismo, riusciamo ad aprirle, se vogliamo, anche con un semplice bicchier d’acqua e quelle chiavi non servono più. Chiuso. Io penso che almeno per un periodo bisogna praticare gli eccessi in tutti i campi della vita, come il sesso per esempio, per poi trovare un proprio SANO equilibrio in un punto non necessariamente coincidente con ciò che comunemente (secondo la visione DEGLI ”ALTRI”, cioè) viene definito come “bene” o “male”. La nostra libertà, noi, ce la siamo conquistata!
Ci incontravamo a Piazza Vanvitelli al Vomero (abitavamo quasi tutti in zona, io in via Bonito 21, poi tutta la mia famiglia si trasferì a Roma), davanti al bar Sangiuliano -che oggi non esiste più: sostituito da una stramaledetta banca, of course- che era diventato una piccola oasi artistica. Parlavamo di musica per notti intere. Sentivamo di avere un potenziale immenso, sapevamo che di lì a poco avremmo perlomeno tentato di cambiare qualcosa in un panorama musicale, come quello partenopeo, estremamente difficile e duro da scalfire. Eravamo schiacciati dalla melodia napoletana, un macigno sul nostro bagaglio culturale, e solo alcuni di noi hanno poi saputo o voluto prendere elementi della tradizione e riportarli nella propria musica. Ce la mettevamo tutta per sfondare quell’odiata prigione fatta di canzonette imperanti e melodie all’italiana infarcite di cuore-amore, quella triste e deprimente realtà in cui perfino i cantanti “per i giovani” avevano spesso un aspetto così insulso e una presenza scenica così ingessata e imbranata da renderli simili a bambinetti dello Zecchino d’Oro, oppure a dei seminaristi o a delle educande al saggio scolastico di fine anno. In quel momento volevamo andare contro tutto ciò ed era molto faticoso inventarci una nostra identità artistica e umana. I dischi li cercavamo, le stoffe le procuravamo, i vestiti ce li cucivamo noi. Invece oggi, specialmente in Italia, tutto è alla portata di chiunque, ma in forma di moda cretina e conformista, svuotata dei contenuti originali: capita per esempio di vedere liceali ricoperti –LORO MALGRADO- di trucidi tatuaggi, con nasi, capezzoli e prepuzi forati, coi capelli color fucsia, che ignorano perfino cosa sia stato il fenomeno Punk; o giovani gommisti e garzoni di salumeria travestiti da perfetti freaks anni ’70, con vestiti e accessori che oggi si trovano tranquillamente e inoffensivamente anche ai grandi magazzini. E questo in fin dei conti lo possono fare grazie a noi. La vera trasgressione –oggi- sarebbe riuscire ad essere originali e credibili.
In città ero considerato un bravissimo tastierista, anche perché avevo delle basi classiche. La tastiera è uno strumento complesso, va studiato, rispettato. Sono un purista e pretendo perciò che la mano, quando si suona il piano o l’organo, rispetti la diteggiatura ideale e sia sempre esteticamente bella. E poi ero il più giovane di tutti: un bambinetto che dietro il suo Farfisa, cercava di emulare Keith Emerson o Brian Auger, “mostri” di bravura tecnica e interpretativa tuttora insuperabili. Poi iniziai a comprare libri noiosissimi come “Tecnica del Contrappunto” di Arnold Schoenberg. Tentai di non diventare uno dei soliti tastieristi italiani che scimmiottavano Emerson o Auger. Cercai di sviluppare uno stile mio. Sono stato tra i primi a Napoli a possedere l’Hammond.
Conobbi Lino Vairetti nella funicolare Centrale di piazza Fuga. Di lì a poco ci ritrovammo a suonare nello stesso gruppo, i Volti di Pietra. Facevamo cover dei Kinks, Spencer Davis Group, Procol Harum, Doors, John Mayall, Family, poi con l’ingresso di Lello Brandi al posto di Enzo Petrone e Danilo Rustici che sostituì Peppe Sanniola, cambiammo il nome in Città Frontale. Ricordo un periodo di grande entusiasmo e attività, andavamo a suonare o alle prove in cinque più gli strumenti incastrati in una Cinquecento. Incredibile! Lino e Danilo iniziarono a comporre, mentre io non ero ancora interessato alla composizione. Molti dei brani che suonavamo allora, più tardi apparvero sul primo album degli Osanna, “L’Uomo”. Ma io volevo sperimentare un diverso tipo di musica, più contorta dal punto di vista melodico, quasi vicina alla atonalità, e realizzai che questa mia idea non sarebbe stata in linea con lo stile di Città Frontale. Una notte trovai sotto casa il chitarrista del Balletto di Bronzo, Lino Ajello, che mi aspettava. Parlammo entusiasticamente per ore ed ore, trovandoci perfettamente in sintonia. A seguito di quell’incontro, entrai subito a far parte del gruppo. Così cominciò la mia avventura col Balletto di Bronzo. Intanto, Elio D’Anna si unì a Città Frontale. Si pensò di cambiare nome al gruppo. Nacquero, così, gli Osanna.
Gianni Leone
(2001)


martedì 10 novembre 2009

G.C. Neri in concerto al Chiabrera


Il compito di aprire il concerto degli Osanna, di cui ho appena raccontato, è toccato a G. C. Neri.
Di lui e del suo album, “Logos”, ho già parlato in questo blog http://athosenrile.blogspot.com/search/label/G.C.%20Neri
Neri ha realizzato Logos, praticamente da solo, se si eccettua il ruolo di batterista, e la proposta live ha richiesto un difficile lavoro di assemblaggio e amalgama.
Trovo Giorgio nel backstage, in fase di soundcheck Osanna, e mi pare tra il preoccupato e l’emozionato, e c’è da capirlo.
Tra l’altro lui, genovese, gioca in casa al Chiabrera, ricoprendo normalmente il ruolo di fonico nel corso delle rappresentazioni teatrali.
Alle 21 Neri e la sua band entrano in gioco.
Viene riproposto Logos per un pubblico attento che probabilmente si avvicina per la prima volta alla musica di Neri.
La miscela di rock e sperimentazione, i virtuosismi tecnici e le esplosioni improvvise, catturano i presenti che sottolineano il gradimento ad ogni cambio di brano.
Personalmente percepisco una tensione interpretativa che fa la differenza rispetto ai lavori in studio.
Mi piace e mi diverto. E’ poi questo lo scopo delle performance dal vivo.
A metà spettacolo viene proposto il brano “Tuona il cannone”, l’unico cantato.
Ricordo di aver detto a Giorgio di come mi ricordasse un brano della PFM e lui non concordò.
In effetti risentendolo dal vivo appare un pezzo che brilla di assoluta luce propria.
Suoni spaziali, ritmi incalzanti e chitarra penetrante… un ‘ora di buona musica, apprezzata da tutti.
In attesa degli Osanna.
A fine concerto ritrovo Neri e non mi appare pienamente soddisfatto, così come accade anche a Vairetti.
Artisti perfezionisti, come è logico che sia, ma il pubblico difficilmente si interessa dei piccoli risvolti, più o meno tecnici, e preferisce assaporare la performance nella sua totalità.
E il concerto di Neri è stato sicuramente un buon momento di musica.


lunedì 9 novembre 2009

Convention Itullians 2009

ANNUAL CONVENTION 2009

ALBA(CN),21 NOVEMBRE 2009

Jethro's Friends di Alba e Itullians stanno preparando la convention annuale dedicata alla musica dei Jethro Tull che si terrà ad Alba (CN) Sabato 21 Novembre 2009 .
Il gruppo di riferimento saranno i Fairport Convention , formazione storica che ha dato vita al genere rock-folk e che rimane tuttora leader indiscussa del genere .

I Fairport Convention nascono nel nord di Londra nel 1967 e hanno pubblicato 52 album in totale, tra incisioni in studio, dal vivo e “compilations” .
I concerti dei Fairport Convention sono memorabili e la serata del 21 Novembre si presenta come un evento da non mancare .
Ogni anno dal 1979, nel mese di Agosto i Fairport Convention organizzano il festival Rock-Folk di Cropredy in Oxfodshire, diventato l'appuntamento più importante per gli appassionati del genere, a cui hanno spesso partecipato ospiti illustri quali, fra gli altri , i Jethro Tull , Robert Plant dei Led Zeppelin e, quest'anno, Steve Winwood .
La storia dei Fairport Convention ha più volte intersecato il cammino dei Jethro Tull , gli esempi più illustri sono il bassista Dave Pegg e il batterista Gerry Conway, che hanno suonato nei Jethro Tull nel passato (per ben 16 anni il primo e per 3 anni il secondo) e di recente alla convention annuale di iTullians nel 2008 ad Alessandria.
Il 21 Novembre ad Alba , Dave Pegg , Gerry Conway e Clive Bunker (primo grande batterista dei Jethro Tull ) suoneranno alcuni brani assieme alla tribute band ufficiale dei Jethro Tull , i Beggar's Farm che aprirà la serata per i Fairport Convention .
La Convention 2009 segnerà il trentesimo anniversario della prematura scomparsa di John Glascock , l' indimenticato bassista dei Jethro Tull (“Too old to rock'n'roll:too young to die “ , “Songs from the wood” , “ Heavy Horses “,”Live-Bursting Out” e “Stormwatch”), morto ventottenne il 17 Novembre 1979 durante le registarzioni di “Stormwatch “ in seguito ad un intervento cardiaco .
Per ricordare John Glascock durante la serata ci sarà Barriemore Barlow , secondo batterista dei Jethro Tull nonché amico di infanzia di John Glascock .
Interverrà inoltre, cantando due brani dei Pentangle la mitica cantante dei Pentangle, Jaqui McShee , accompagnata da una formazione mista comprendente i Beggar's Farm e alcuni Fairport Convention .
E chissà che non possano esserci altre sorprese .

Per biglietti e prenotazioni Telefonare al 3396096793 oppure 0173 286797, FELICE

sabato 7 novembre 2009

Keith Emerson a Savona



LUGLIO 2006

Ho sempre bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare un concerto.
Sul momento resto come vuoto, come se avessi suonato io, come se fossi privo di energie per emettere qualsiasi tipo di giudizio.
Oppure, più semplicemente rifletto a lungo prima di parlare, cosa che non sempre riesce nella vita di tutti i giorni.
Ieri era il 16 luglio, anno di grazia 2006, e nella mia città, Savona, ho assistito a un evento storico, storico per chi come me ha vissuto attivamente la stagione del “Progressive Rock”.
Sto parlando dell’esibizione di Keith Emerson e della sua band.
Non e’ la prima volta che nella mia città accadono questi miracoli ed io nel 2003, dopo 23 anni di assenza dalle performance live, ho ripreso, in occasione del concerto degli Yes a Vado Ligure.
Da quel giorno la mia attività di frequentatore di concerti e’ cresciuta notevolmente, e di questo devo quindi ringraziare l’organizzatore, che ha grossi meriti relativamente al mio “risveglio” musicale.
Emerson e’ pubblicizzato, nell’occasione, assieme ad un suo gruppo, ma sarei andato a vederlo anche se si fosse presentato con una pianola da piano bar, così, sulla fiducia.
A lui sono legati ricordi indelebili, della mia adolescenza.
Dopo averli visti al Palasport di Genova, nel 72 o 73, nella presentazione di Trilogy, mi si era ripresentata l’occasione di vederli a Milano.
Era un venerdì ed io, come altri coetanei, uscivamo da scuola 2 ora prima, con tanto di giustificazione dei genitori, per prendere il treno che ci avrebbe portato al concerto.
Pazzi genitori!!!
Non fu possibile quel giorno, per “problemi di gola “di Lake.
Tutto rimandato al giorno successivo.
Dormimmo la, in un garage di amici di amici.
A casa ci aspettavano col bastone alzato.
Nemmeno il sabato fu possibile vederli ….Lake ancora ammalato.
Eppure non fu un week end da dimenticare, troppo vivo nei miei ricordi.
E’ ora di prendere i biglietti per il Priamar.
Provo come sempre a coinvolgere i miei cari, ma alla fine sembra di chiedere l’elemosina e quindi prendo un biglietto solo per me.
Lo faccio per tempo e quindi posso scegliere,con ampie possibilità, il posto a sedere.
Non coinvolgo gli amici , anche se faccio una certa pubblicità all’evento: ho scoperto quanto sia bello isolarsi, concentrarsi, lasciarsi andare, senza dire una parola.
Arrivo un’ora prima per godere l’ambiente, la scenografia, la preparazione, le facce conosciute…. tutto fa parte dell’evento, e tutto mi riporta indietro nel tempo.
Nello spazio di 2 metri quadrati mi ritrovo: davanti i gemelli Terribile, musicisti incalliti che conosco sin da bambino, ma che avevo perso; alla mia destra un vecchio compagno di scuola delle superiori con tanto di consorte; alla mia sinistra colui che 1000 anni fa mi insegnò i primi accordi di chitarra….da 1000 anni non lo vedevo.
Poi arrivano i miei compagni di scuola, alcuni colleghi, gente che si fa fatica a rivedere per le vie della città, e che con piacere scopro esista ancora.
C’e’ Danilo, mio cugino.
Non abbiamo bisogno di telefonarci, quando c’e’ un concerto ci troviamo sul posto.
La cornice e’ stupenda e non ci sono posti vuoti.
Penso a quando ELP suonavano davanti a migliaia di fans ed ora ce ne saranno si e no mille!!!.
Ho provato perfino a coinvolgere i compagni di scuola di mia figlia, pensando che chi ama e suona le tastiere non può perdere un’occasione così rara, ma e’ credibile un 50enne che ascolta musica rock?
Mi illudo di si.
Mi ha fatto piacere trovare nei giorni scorsi un’amica dell’adolescenza, Paola, che non vedevo da secoli, che abita in un’altra città e che il destino ha messo in mare, vicino alla boa dei bagni Nilo dove io stavo prendendo il sole.
Ritornando sul passato le ho parlato del concerto e lei ha ricordato a memoria la presentazione di ELP nel disco dal vivo “Pictures at an exibition”.
Ha cercato in tutti i modi un biglietto e lo ha trovato.
Non so se a Paola accadrà quello che accade a me, ma ogni concerto e’ una piccola finestra che si apre e si riempie di significati variegati. Ma non e’ una finestra di Windows…..non si può chiudere con un clik, non si rimuove più e diventa una delle tante cose da rivisitare con la mente, nei momenti felici in cui vuoi esaltarti,o in quelli più neri, bisognosi appunto di “finestre spensierate”.
Comunque Paola….se non e’ destino questo!!!!
Mi giro intorno ancora una volta e mi chiedo come si possano ammortizzare le spese di uno spettacolo del genere.
Il concerto inizia alla 21.45 e, nonostante i divieti di utilizzo di electronic device, tutti si arrangiano con telefonini, fotocamere digitali e videocamere.
Salgono sul palco.
Emerson ha una camicia bianca completamente aperta, come avveniva negli anni 70 con il suo gilet damascato.
A quei tempi era decisamente più snello, ma ora ha assunto la fisionomia di un play boy con aria vagamente intellettuale che difficilmente potrebbe essere spacciato per il gran musicista che in realtà e’.
Marc Bonilla, il chitarrista, e’ il più anacronistico del gruppo e sembra uscito da un disco dei Deep Purple .
Il bassista , Phil Williams , ha la faccia del primo della classe mentre Riley, il batterista, ricorda un V.J. ventenne di MTV.
Iniziano .
Il repertorio sarà quello vecchio, con escursioni sui Nice e su Bob Dylan.
Come potrei “raccontare” i singoli pezzi!
Che importanza hanno le note sbagliate!?
Sul palco c’e’ lo spettacolo, c’e’ un animale da palcoscenico, c’e’ il ritmo, la melodia, la pazzia, il divertimento… la straordinaria tecnica passa in secondo piano.
Ad un certo punto le tastiere di Keith si ammutoliscono.
Guasto tecnico o forse scenetta voluta.
La bacchetta passa agli altri maestri sino a che LUI si mette al piano acustico e tutti insieme improvvisano, tra rock, jazz e classico.
Sono molto concentrato, ma sento/vedo gente che non sta più nella pelle, che si dimena più o meno discretamente, e anche quelli delle primissime file, i musicisti pronti a dare un giudizio tecnico, mi sembrano trascinati dal sound.
In coro cantiamo “Luky man” .
Ma c’e’ Tarkus”, “ From the beginning” “America”, reminiscenze di “Odeon”, insomma, la storia.
Lo spettacolo risultera’ lunghissimo, due ore e mezza, con tanto di bis canonico .
Loro sono davanti a noi, a 10 metri da me, tutti e quattro vicini, e appaiono molto soddisfatti, almeno quanto gli spettatori.
Vorrei salire sul palco per raccontare a Keith di quando, per colpa sua, subii le ire di mio padre per essere stato due giorni a Milano.
Sfiliamo verso l’uscita mentre qualche super esperto se la prende con il tecnico al mixer, reo di aver oscurato la chitarra a favore delle tastiere.
Sarà, ma io la chitarra l’ho sentita bene e mi sono gustato lo spettacolo.
L’ultima cosa che mi passa per la mente sono le graduatorie di bravura, i paragoni col passato, le comparazioni con altri gruppi, le disquisizioni sulla vetustà del genere proposto.
La buona musica e’ buona musica, i bravi musicisti suonatori a cui si può perdonare qualche peccato veniale, e noi comuni mortali dobbiamo ringraziare e basta.
E’ stata un’altra serata indimenticabile, di quelle che spesso cerco di spiegare ai miei figli e a mia moglie, mentre loro fanno finta di capire e simulano interesse…
ad ognuno il proprio microcosmo!