“Non venire, quando
sarò morto, a versare le tue inutili lacrime sulla mia tomba, a calpestare il
suolo intorno alle mie spoglie, a infastidire la polvere infelice che non hai
saputo salvare. Che sia il vento lo spazzino, e sia il piviere a piangere: ma
tu va via”.
Alfred Lord Tennyson
Sono queste le parole con cui Keith Emerson chiude la prefazione del libro “Lucky Man- Autobiografia di un tastierista rock”, rilasciato nel
2004.
Solo chi gli era realmente vicino può comprendere appieno il
suo stato d’animo di quei giorni, ma quello che mi preme, a poche ore dalla
notizia della sua scomparsa, è tentare di far capire come possa nascere un
rapporto così forte, tra un artista e un uomo del pubblico, un ascoltatore, un
fruitore di arte altrui.
Non vorrei ripercorrere la sua carriera, facile da apprendere
in rete, ma ci terrei maggiormente a passare un messaggio ai più giovani, nella
speranza che anche a loro, attraverso la musica che più amano, possano provare
quello che ho vissuto io assieme a milioni di persone, un momento di passaggio
epocale trasformatosi in amore per la vita, perché Keith Emerson è diventato il
simbolo di una generazione che è riuscita a cambiare la musica, creando
qualcosa che ha assunto l’odore dell’immortalità.
Ricordo come fosse ora quel pomeriggio in cui un amico,
sempre all’avanguardia, mi portò a vedere e toccare l’album di esordio di Emerson, Lake & Palmer: eravamo per
strada ed era il 1970, avevo 14 anni, e il tutto mi risultò nuovo e
affascinante.
Ascoltarlo significò apprendere che esistevano altri
orizzonti musicali, altre strade, novità e sperimentazione che sino a quel
momento mi erano oscure: la musica classica abbinata al rock, strumenti come
l’hammond collegato al leslie, il moog, il ribbon - più avanti -, l’elettronica
avanzata nelle mani di un musicista.
Nel 2013 ho avuto la possibilità di intervistarlo, grazie
alla conoscenza del suo agente, Corrado Canonici, e la sua risposta legata
all’argomento “tecnologia” fu la seguente:
“Naturalmente la tecnologia ha cambiato la mia vita.
Il computer è un fastidio e un pesticida di cui vorrei fare a
meno.
Sono molto triste quando vedo i giovani passare il tempo con
i loro piccoli gadget, con un’intensità difficile da descrivere.
Leggete un libro, guardate l’altra gente ... parlate, andare
a fare una passeggiata… non potete preoccuparvi dei problemi dell’alcolismo,
delle droghe o degli abusi sessuali, mentre
siete seduti davanti a un maledetto computer, a vegetare per dodici ore!
Sono della vecchia scuola, e scrivo con carta e penna. Questo
è un dato di fatto!”. Credo di essere stato molto più creativo negli anni ‘70
perché non c'erano fastidiose interferenze
derivanti da e-mail, facebook, twitter, blog, ecc.”
E questa era la
visione dell’uomo maturo!
Ma quando la sua
figura incominciò ad imporsi, a cavallo tra anni ’60 e ’70, Emerson era già avanti
anni luce, intriso della voglia di guardare oltre i confini conosciuti.
Il pubblico italiano,
quello più esteso e easy, lo conoscerà successivamente e molto bene, grazie al
brano, “Honky Tonk Train Blues”,
sigla della trasmissione televisiva “Odeon”, ma lui era molto di più, e credo
che le sue creazioni e intuizioni dovrebbero trasformarsi in pura didattica,
materiale da proporre ogni volta che si prova ad insegnare l’evoluzione
musicale.
Vidi ELP dal vivo il
15 giugno del 1972, al Palasport di Genova, acustica pessima ma spettacolo da
ricordare, tra musica e aspetti visual; ricordo scenografie ampollose, tipiche
del periodo, quando un tour di una band di grido provocava il movimento di
svariati TIR.
E poi vestiti ad effetto e atteggiamenti che hanno fatto la storia, come l’accoltellamento dell’hammond, cavalcato e maltrattato come elemento ostile, ma suo prolungamento naturale.
E poi vestiti ad effetto e atteggiamenti che hanno fatto la storia, come l’accoltellamento dell’hammond, cavalcato e maltrattato come elemento ostile, ma suo prolungamento naturale.
Raccontare la sua
musica, prima con i Nice, poi con ELP, e successivamente nei suoi altri
progetti, significherebbe disegnare un periodo storico di quasi 50 anni, una
rivoluzione positiva di cui Keith è stato assoluto protagonista, potendo
vantare su solide basi classiche ed esperienze jazz, messi poi a disposizione
del fenomeno della musica progressiva, il genere migliore possibile per un
artista desideroso di spaziare senza limiti.
Umanamente lontano
dallo stereotipo della star, al contrario, molto semplice e dotato di un forte
senso ironico, è considerato uno dei migliori tastieristi della storia del
rock, sempre in competizione - almeno nei giudizi dei critici dell’epoca - con l’altro mostro sacro, Rick
Wakeman, ma il suo sorriso era sempre un marchio di estrema serenità, almeno
per chi lo rimirava da lontano.
Io ho avuto la fortuna
di ritrovarlo pochi anni fa - questa volta ero a pochi metri di distanza -, nel
2006, quando era di scena con la sua band in una location da favola, la
Fortezza del Priamar di Savona.
Due ore e mezza di
musica con una variante sulle trovate sceniche, non più coltellate allo
strumento ma… la corrente elettrica sparisce e lui è “costretto” a proporre un
lungo solo al piano! La luce ritorna e Keith si tuffa sul sintetizzatore,
suonato però al contrario.
Quel giorno sono
tornato adolescente, al cospetto di un musicista straordinario che ha colorato
in toto la mia vita. Almeno una volta a
settimana clicco sul brano “Trilogy”…
mi fa stare bene la magia creata da quei tre… la voce di Lake, il drumming di
Palmer e… la mano di Emerson: giuro, ogni volta sono brividi!
Provare per credere: TRILOGY
Non so quale sia il
motivo della sua scomparsa, le voci si moltiplicano, ma lui ci ha lasciato una
grande eredità, un patrimonio artistico che solo i geni sanno creare, perle
musicali che sono fresche a distanza di lustri e che rimarranno per sempre, anche
quando la splendida e fortunata generazione dei seventies sarà completamente
esaurita.
Un compagno di
viaggio, un amico, un donatore di emozioni forti: ecco cosa è stato e
continuerà ad essere Keith Emerson per chiunque abbia avuto la fortuna di
essere toccato dalla sua musica.
E per i più giovani,
quelli che per ovvi motivi sentono solo ora l’esaltazione del suo nome,
suggerisco di approfondire, la musica di qualità la si percepisce all’istante e
non la si lascia più!
Ciao Keith, grazie di
tutto, fuor di retorica.
E all’improvviso ci
trovammo di fronte una musica diversa…