Ho conosciuto Gianni Venturi come frontman dell’Altare
Thotemico, e seguendo nel tempo il suo percorso musicale ho imparato ad
apprezzarlo come artista completo, come portatore sano di messaggi pesanti, con
la propensione all’azione iconoclasta.
Non conoscevo invece Lucien Moreau, altro musicista musicalmente eterodosso, e trovo che l’abbinamento possa sfociare nel
matrimonio perfetto, nell’empatia assoluta, nella spontanea condivisione dei
compiti in fase creativa, con un disegno conclusivo che provoca una botta
terrificante, capace di scuotere le coscienze e le menti di chiunque si
avvicini alla loro attuale proposta, l’album “Molock”, 72 minuti di comunicazione attiva, suddivisi
su 15 tracce: tanta roba, se si pensa alla media tempo di un album, poca cosa
dopo aver appreso i contenuti. La qualità e l’efficacia non sono funzione di un
tempo determinato, ma gli argomenti trattati suggerirebbero un martellamento
continuo perché, è un dato di fatto, viviamo nella tragedia quotidiana.
Rubo due frasi scritte da altri per sintetizzare
l’essenza dei due artisti:
Gianni
Venturi…
di lui si può dire che ha lavorato,
scritto, suonato, dipinto, recitato e, infine, vissuto…
Lucien
Moreau…
è nato su di un’isola e morirà su
un’isola: nel frattempo cerca nuove strade per raccontare il dentro…
La suddivisione dei compiti è netta, con stesura
dei testi e proposizione vocale di Venturi, e tutta la parte compositiva e
strumentale ad appannaggio di Moreau.
Il disco è dedicato a figure di
riferimento, muse ispiratrici ben identificate - Allen Ginsberg, Frida Kahlo,
William Blake, David Bowie - ma l’attenzione è viva su “centinaia di altri artisti, nostri fratelli e sorelle, coraggiose icone
di una vita senza compromessi”, chiosano i due musicisti.
Disco di estrema denuncia sociale, a fine
ascolto mi appare molto più semplice di quanto mi aspettassi: un bene e un male
al contempo. Provo a spiegare.
La premessa - la lettura del comunicato
stampa, le parole di Venturi e Moreau, proposte a seguire - mi portava a pensare
alla necessità di una buona dose di concentrazione, ad un’attenzione rigida al
copione per captare i significati più reconditi, ad un utilizzo della ragione
che poteva escludere il puro piacere d’ascolto, quel godimento inconscio che arriva
quando le trame musicali colpiscono a tradimento.
Beh, non è certo un contenitore semplice,
ma sicuramente capace di accoglienza, senza che siano necessari particolari sforzi.
Non è un problema estetico, o di solo contenuto, ma tutto ciò che Venturi e
Moreau ci urlano in faccia è il nostro dramma quotidiano, talmente grande e
diffuso che elencarne i punti salienti diventa quasi mortificante, umiliante, perché
la convivenza è diventata un’abitudine e perché il bispensiero inventato da
Orwell si è impadronito di chiunque abbia il potere di muovere i fili del
nostro teatro.
La guerra, le ideologie andate in fumo, le
differenze culturali e di genere, le diversificazioni sociali… e l'assuefazione è una mannaia più grande del problema stesso!
Studiare la storia, si dice, aiuta a capire
chi siamo e a costruire un futuro: “Storia magistra vitae”, ma pare proprio
che l’uomo sia privo del buon senso necessario, perché il potere e il denaro
sono sempre di più l’obiettivo della vita: “Senza
profitto non c’è conflitto”, recita “Kaddish”, uno dei brani dell’album, nel meraviglioso video che propongo a seguire.
E’ un grande circo il nostro, “Il
Circo Dei Normali”, che
appiattisce verso il basso, e solo raramente si trova il coraggio di rialzare la testa per non
rischiare di uscire dall’uniformità di pensiero e di atteggiamento, che
rassicura gli ignavi e gli accidiosi.
Il grido di denuncia è al contempo una
preghiera, perché resta la speranza che la protesta, forte e circostanziata,
riesca a far aprire gli occhi a chi per mestiere o codardia preferisca la
controllata cecità.
La musica di Venturi e Moreau è poesia,
urlo di dolore, pugno allo stomaco e tacitamente una via di uscita, tortuosa,
ma che ha come goal l’intento di distruggere il paesaggio distopico ormai
diffuso nelle nostre vite, nelle nostre città e nei nostri pensieri.
Difficile etichettare un album come “Molock”: sperimentale? Elettronico?
Progressivo?
Ecco, è quest’ultima la definizione che
preferisco, idealizzando il prog al di fuori del pensiero comune, riferendomi invece
alla libertà espressiva, al cambiamento, al continuo divenire di idee e
sonorità.
Un gran lavoro, di elevato impatto emotivo
e didattico, da esportare sui palchi più disparati, adatto ad ogni situazione
in cui si voglia e si possa utilizzare
la musica per dare la scossa e mettere in connessione cuore, cervello e
muscoli.
Un mio flashback… e come tale va preso… Gianni
Venturi e Lucien Moreau mi hanno fatto ritornare ad un’arte gioiosa e primitiva,
poco spendibile all’epoca - gli anni ’60 - quella prolificata nella Factory di
Warol, luogo in cui, tra dissolutezza e pazzia, nascevano libere le idee, a
volte eccentriche, ma rispettose del genere umano, un esempio pacifico e
sfrontato, condizionato dagli eccessi, ma finalizzato ad una creatività non
violenta.
Confronti inopportuni? Solo feeling da
ascolto per un album notevole, il cui peso specifico sarà evidente dopo lo
start al video di fine articolo.
Voto elevato per “Molock”.
L’INTERVISTA
Non
conoscevo il progetto MOLOCH: come nasce la collaborazione con Lucien Moreau?
Ci
siamo conosciuti improvvisando, lui con il violoncello io recitando testi in
una galleria d’arte a Ferrara! Due performance nello stesso giorno. Un energia
fortissima ci scorreva fuori e dentro…
Qual
è il vostro punto d’incontro… l’anello di congiunzione tra anime differenti?
Età
differenti, ma anime molto simili, anche se io musicalmente vengo dal
progressive, lui a volte è più progressivo di me; tutto per Lucien è in
divenire, in costante trasformazione, facile per me trovare punti d’incontro
con lui. Non abbiamo nemmeno bisogno di parlare, siamo onde nello stesso mare.
L’album
appena rilasciato presenta forti messaggi di denuncia sociale: mi racconti come
è nato e che cosa contiene il lungo percorso di quindi tracce?
Noi
crediamo che l’arte abbia il dovere di tenere gli occhi spalancati sul tessuto
sociale; a volte esprimere concetti importanti necessita di tanto tempo,
crediamo che 15 tracce siano il minimo per raccontare il percorso di “Moloch”!
Prendiamo ispirazione da Allen Ginsberg e tutta la beat generation, quando le
parole dei poeti cominciavano ad irrompere nel mondo della gente in maniera
dirompente. Ricordate il processo a Ferlinghetti per avere pubblicato ”Urlo”! Quel processo vinto ha aperto la
via ad una nuova poesia, ad un arte sempre più connessa con il mondo e le sue
pene.
Come
definireste la vostra proposta dal punto di vista squisitamente musicale?
Rock
teatrale elettronico di matrice progressiva!
Parlare
di musica mi sembra però riduttivo… sperimentazione, teatro, poesia, arte senza
alcuna limitazione: esiste un pubblico particolare a cui è rivolto il vostro
lavoro?
Crediamo
fermamente che il pubblico spesso sia più preparato di quanto pensi la grande
industria discografica. Me ne rendo conto dal vivo, a volte la gente è
sorpresa, colpita, ma sinceramente interessata. Una nicchia? Magari si, ma in
espansione. Noi ci rivolgiamo ad un pubblico “umano”, nel senso completo della
parola. Un pubblico ancora preso dall’emozione, che sa ancora indignarsi di
fronte al dolore. A chi sa gridare, gioire, correre, essere controtempo, magari
un pubblico fuoritempo... e non politically corretly!
Leggendo
le biografie di Venturi/Moreau emergono percorsi articolati e fuori dal comune:
che ruolo vi siete ritagliato, più o meno volontariamente, in un mondo musicale
carico di stereotipi e sempre più complicato?
Sì,
complicato lo è, ma divertente; sappiamo che con la musica non diventeremo
ricchi, e siamo consapevoli che, soprattutto in Italia, difficilmente avremo
grandi consensi. Ma proprio questa consapevolezza ci permette di scrivere,
comporre quello che più ci piace. Ci sarà un motivo perché questo lavoro sta
piacendo in Germania, Olanda, Francia… forse perché da noi il pubblico è molto
più superficiale? Anche chi recensisce spesso mi delude in Italia, ma non per
il parere negativo o positivo, questo è soggettivo, ma per l’esigenza di collocare,
catalogare, etichettare, e spesso senza la cultura musicale o artistica
sufficiente. Credo che il nostro ruolo sia di proporre arte svincolata e non
stereotipata. Bella? Brutta? Ai posteri l’ardua sentenza.
Il bellissimo video ufficiale, “Kaddish”, utilizza immagini e testo molto forti per sottolineare l’orrore delle guerre, prive di ogni logica giustificazione, dietro alle quali si cela sempre potere e denaro: quanto può essere efficace l’utilizzo del “visual” per passare idee forti, ma in generale per raccontare la propria musica?
Il bellissimo video ufficiale, “Kaddish”, utilizza immagini e testo molto forti per sottolineare l’orrore delle guerre, prive di ogni logica giustificazione, dietro alle quali si cela sempre potere e denaro: quanto può essere efficace l’utilizzo del “visual” per passare idee forti, ma in generale per raccontare la propria musica?
Le
immagini sono forti perché l’argomento è drammatico. Facciamo fatica ad
apprezzare l’ironia sul dolore, ad esempio chi parla di cose brutte come guerra
crisi, dolore, violenza, e lo fa con musichette e sorrisini, creando magari
piccoli slogan accattivanti. Si tratta di mercificazione del dolore! Se dico
guerra, voglio che tu per un istante senti la commozione di una madre che vede
il suo bimbo saltare su di una mina antiuomo! Credo che il “visual”, se ben
usato, sia utilissimo per raccontare la musica e i concetti che la animano!
E’
”Molock” un contenitore che si presta alla proposizione live?
Assolutamente
sì, ma il live non sarà mai uguale al disco, di volta in volta avremo ospiti, e
video, e improvvisazione! Il live è certamente da non perdere. Il modo in cui
usciamo dal virtuale per divenire anime visibili!
Qualunque
siano i vostri pensieri sul mondo musicale un disco come “Molock” va diffuso il
più possibile: come avete pianificato la pubblicizzazione?
Il
nostro ufficio stampa sono la gente! Utilizziamo tutti i social network, You
tube, passaparola, live, tutto il possibile con meno spesa possibile! Anche
questa intervista!!!
Un’ultima
cosa: il progetto “Molock” avrà un seguito?
C’è
già pronto un altro album!
Tracklist
1.Dorje Phurba 01:50
2.Eindao 04:11
3.Kaddish 05:10
4.Tiger Tiger, ft.
Chiara Megan Munari 03:21
5.Il Circo dei
Normali 05:28
6.Rivoluzione 05:12
7.Satori, ft. Alice
Lobo 04:11
8.Anime Erranti
04:41
9.Bambina di
Fragola, ft. Alice Lobo 07:49
10.Urlo (La
Frequenza) 05:56
11.La Soluzione
04:16
12.Canto Armonico
del Silenzio 04:33
13.Qohèlet 06:11
14.Libera la
Follia, ft. Alice Lobo 04:06
15.Lo Sciamano, ft.
Chiara Megan Munari 05:02
Rilasciato nel febbraio del
2016
Composto
ed eseguito da Gianni Venturi e Lucien
Moreau.
Musicisti
Gianni "Jonathan" Venturi – voice and vocals
Lucien Moreau – music composition
Featuring Alice Lobo – vocals
Featuring Chiara Megan Munari – vocals
Federico Viola – additional electronics / effects
Registrato e mixato da Federico Viola
all’Animal House Studio
Fotografie di Simone Anomalia Furia