lunedì 30 luglio 2012

Claudio Sottocornola-Working Class




Ho incontrato casualmente - virtualmente - Claudio Sottocornola nel momento giusto, nel periodo in cui mi sto interrogando, in buona compagnia, su cosa si possa fare per diffondere la cultura musicale, su come si possa entrare nel mondo della scuola per una buona semina, su quali siano i mezzi corretti per “costringere” i nostri giovani a superare la barriera della superficialità per lasciarsi trasportare in un mondo che non conoscono, che non dovrà obbligatoriamente affascinarli, ma che potrebbe riservare loro delle sorprese positive.
Nell’intervista a seguire, le prime riflessioni di Claudio riportano ad un problema di cui possiamo identificare l’inizio, ma non certo prevedere la fine, e probabilmente non esiste una sola verità, ma variegate sfaccettature che permettono di assumere posizioni differenti a seconda del momento. Mi riferisco a quell’atteggiamento particolare che porta a giudicare e a decidere quale sia la musica degna di essere chiamata con tal nome, e a denigrare/deridere/ non considerare ciò che è ritenuto facile, commerciale, di presa immediata.
Io faccio parte del gruppo degli intransigenti… moderati, anche se i ragionamenti come quelli di Sottocornola mi fanno tirare il freno a mano, per una sosta prolungata nel campo del dubbio: esiste la musica di seria A e quella di serie B?
Probabilmente non è molto importante rispondere, in fondo non si potrebbe vivere senza la musica da cui siamo circondati, e se ad assolvere il compito di arricchimento quotidiano è un brano da tre minuti piuttosto che una suite di stampo classico, beh, entrambi troveranno una giustificazione esistenziale e presenteranno la giusta dignità.
Claudio Sottocornola, intellettuale, filosofo e studioso della materia, porta in giro le sue idee, la sua musica e il contesto in cui è nata e ha vissuto, e in questo suo viaggio sul territorio l’elemento didattico si  sposa con quello ludico e favorisce l’interattività.
Ogni occasione è buona… una scuola, un circolo culturale, l’Università della 3° età, in una dimensione personale che miscela la performance canora alle parole. Questo è la traduzione pratica del “fare cultura musicale”, ed è un esempio da cui d’ora in poi trarrò spunto.
Ma tanto lavoro sul territorio ha trovato uno sbocco divulgativo importante, la rete, ed è nato il progetto Working Class, una sorta di collage video dei sui eventi, visibile dal suo sito ufficiale, diviso in cinque sezioni proposte con cadenza mensile.
Il quarto appuntamento, l’ultimo uscito, è riservato ai Cantautori.
A fine post sono riportati tutti i link utili per approfondire, e il video allegato chiarirà meglio i concetti appena espressi.
Imperdibile per chi è dotato di curiosità musicale e un po’ di onestà intellettuale.





L’INTERVISTA

Leggendo la tua storia, la prima cosa a cui ho pensato è relativa al mio cambiamento nel corso degli anni, partendo dall’adolescenza, quando certi nomi del mondo della musica leggera risultavano innominabili, mentre ora sono ben disposto verso qualsiasi prodotto “gradevole”. Esiste secondo te uno spartiacque tra buona musica  e musica con … minor dignità?

Molto spesso si tratta di una questione di affinità, che possono cambiare nel corso degli anni e allargarsi ad includere esperienze sempre più vaste ed eterogenee, al contrario di quanto accade nell’adolescenza, dove si è sollecitati ad accettare esclusivamente ciò che conferma e rafforza la propria immagine identitaria. Nella mia attività giornalistica ho incontrato due personaggi che mi hanno illuminato su questo problema, entrambi identificabili col periodo degli anni ’70. Georges Moustaki mi sottolineò nel corso di un’intervista che ogni canzone, anche quella apparentemente più stupida, è frutto di un qualche processo creativo che va rispettato e valorizzato, mentre Nicola di Bari, che incontrai a Canale 5, quando la sua carriera si era già in gran parte trasferita all’estero, insistette molto sul riconoscimento che merita qualsiasi interprete che ha il coraggio di esibirsi su un palco, e quindi di affrontare anche le critiche. Soprattutto, sono convinto che la qualità non vada mai identificata con un genere, ma che all’interno dei diversi generi si può individuare una gerarchia di intensità e valore. Attualmente comunque io ascolto solo ciò che mi dà stimoli nuovi o, in alternativa, ciò che mi corrobora nella mia identità e memoria profonde.

Che tipo di soddisfazione ricavi dal contatto con il pubblico? Riesci a realizzare anche una certa interattività?

La comunicazione è sempre bidirezionale e interattiva. Lo vedo anche nelle mie lezioni di filosofia, ove mi accorgo che il confronto con gli studenti, che sollecitano con domande, obiezioni, riflessioni personali, mi obbliga a chiarire, ridefinire, riformulare  il mio pensiero in rapporto con l’interlocutore, allargandone così lo spettro di efficacia ed inclusione dei diversi punti di vista. Nelle lezioni-concerto, per esempio, il contatto col pubblico, che interagisce sia con la sua reattività  fisica ed emotiva che con domande e osservazioni, mi ha aiutato a sdrammatizzare maggiormente il momento esecutivo, acquisendo un po’ più di “leggerezza” rispetto ai tempi in cui conducevo le mie ricerche in studio e l’interpretazione, come si evince dalla trilogia “L’appuntamento”, pubblicata qualche anno fa, è molto più drammatica ed esistenzialistica, e nella sua versione video anche un po’ “claustrofobica”, a differenza di quanto accade nei cinque live di “Working Class”, attualmente in Rete.

Ho delle esperienze negative legate al rapporto scuola/musica, laddove la materia musicale è intesa solo in senso tradizionale, o esiste un indirizzo strumentale specifico, mentre sono dell’idea che, ad esempio, un album potrebbe essere oggetto delle riflessioni e del lavoro di gruppo da svolgere nelle ore di letteratura. Qual è la tua esperienza specifica?

Condivido le tue valutazioni. A scuola la musica è scarsamente insegnata e, quando lo è, viene concepita come apprendistato tecnico (il solito corso di clarinetto o di chitarra…) o, al più, come Storia istituzionale (la musica classica!). Io stesso ho dovuto affrontare qualche scetticismo e ipercriticità nel proporre le mie lezioni-concerto, perché relative alla musica pop, rock e d’autore contemporanea, e basate sulla riesecuzione e interpretazione vocale dei brani stessi ( è semmai più tollerata la semplice storicizzazione). I problemi coinvolti sono di due tipi. Da un lato c’è una visione museale del sapere, per cui conta solo ciò che è già “passato in giudicato” e può quindi essere conservato e trasmesso, con una forte penalizzazione del contemporaneo. Dall’altro, ancor più grave, c’è una didattica con finalità esclusivamente intellettualistiche, che non si preoccupa di educare il “cuore”, la sensibilità – anche estetica – degli studenti, e quindi non li coinvolge in esperienze di ascolto e percezione, emotivamente forti e partecipative.

Vivo e lavoro (per passione) nel web, e ho sperimentato la potenza del mezzo divulgativo e la facilità dell’elemento organizzativo. Quanto è importante per te utilizzare internet, e quali sono gli aspetti negativi per te più evidenti?

Credo che ad ogni aumento di potenza corrisponda un aumento di opportunità ma anche di pericoli, come vediamo dagli stessi sviluppi della tecnologia. Internet rappresenta quindi una rivoluzione paragonabile a quella della Stampa di Gutenberg, che conduce all’immane guadagno di una divulgazione scientifica, artistica e culturale in genere aperta a tutti, in cui io stesso mi muovo e a cui attingo, come si vede dalla scelta di pubblicare “Working Class” in Rete. Ma presenta anche il limite di dare amplificazione a forme di comunicazione talvolta banali, incontrollabili e deresponsabilizzanti. Spero quindi che il tempo porterà ad un’autoregolamentazione etica sempre più efficace, limitando il rischio che l’aumento della comunicazione in estensione porti ad un suo radicale impoverimento, rischio peraltro già strutturale alla velocità del mezzo, che comporta una evidente contrazione dei passaggi linguistici e argomentativi.

La poesia, le parole, le immagini, la musica... elementi essenziali che ci accompagnano nel nostro percorso di vita. Eppure della cultura in senso lato si sente parlare - molto -  solo in determinati momenti, quando fa più comodo. E’ una visione troppo pessimistica la mia?

Forse sì, perché la “cultura” nel senso più profondo, e cioè antropologico, è coessenziale all’umanità, che non ne potrà, né mai ha potuto, farne a meno. Mi spiego meglio: se noi ipotizzassimo, per un attimo, la scomparsa di tutti i mezzi espressivi attualmente a disposizione, e quindi immagini, suoni, colori, gesti e parole, resterebbe che un essere umano in tali condizioni ancora sentirebbe, penserebbe, gioirebbe o si rattristerebbe, e quindi ancora sarebbe un soggetto “culturale” che, invece di suoni, colori o parole…, forse genererebbe semplici vibrazioni… Insomma, come sottolineano gli anglosassoni, la cultura è il modo in cui viviamo, mangiamo, preghiamo, ci divertiamo, pensiamo la nostra condizione… E’ però vero che la qualità culturale del presente è fortemente influenzata dalla visione che pone al vertice dei valori quelli economici, e quindi risulta impoverita di molteplici altri aspetti (per esempio ludici ed espressivi) essenziali alla nostra vita.

Come nasce il progetto “Working Class”?

Come per altre esperienze, mi piace cristallizzarle in un’”opera”, quando giungono ad un certo compimento, utilizzando il materiale raccolto durante la loro realizzazione. Così si può dire che il progetto “Working Class” abbia accompagnato il mio tour di lezioni-concerto dal 2004 ad oggi. Nel corso di questi live sul territorio infatti, a contatto col pubblico più vario delle scuole, dei teatri, di Centri Culturali e Terza Università, ho sempre raccolto la documentazione che amici, colleghi, fonici, video operatori (uno speciale ringraziamento va a mia sorella Augusta che ha seguito e ripreso tutto il tour), andavano realizzando, e alla fine ne ho ricavato un archivio cospicuo, da cui ho selezionato gli estratti più significativi in relazione ai diversi temi trattati. Alla fine si tratta di una ottantina di brani simbolo della canzone italiana, reinterpretati a modo mio e, soprattutto, storicizzati e contestualizzati a tracciare una storia sociale e del costume del Novecento in Italia, con particolare attenzione al periodo che va dagli anni ’50 ad oggi. La selezione e poi il montaggio delle immagini sono stati faticosissimi, perché le riprese effettuate sono molto “on the road”, girate in presa diretta e a volte casuali, ma è proprio questo che differenzia e caratterizza la mia proposta rispetto al circuito del puro consumo musicale, il suo proporsi come ricerca e momento di educazione anche estetica, testimoniando che musica non è solo intrattenimento ma anche apprendimento, crescita, formazione. “Working Class” documenta così l’interpretazione, l’interazione col pubblico, il discorso di storicizzazione a partire dalla canzone. Il tutto è ora disponibile sui siti www.claudiosottocornola-claude.com  e www.cld-claudeproductions.com , nonché sul canale CLDclaudeproductions di Youtube , e lo sarà successivamente anche in versione cofanetto dvd.

Attraverso i tuoi lavori ripercorri la storia della musica e della gente attraverso un buon numero di lustri. Esiste un fil rouge, una linea guida musicale che unisce tutte le epoche che descrivi?

La relazione fra tempo storico ed espressione artistica è una costante che io tendo a mostrare nelle mie lezioni-concerto a tema (dai teen-agers di ieri e di oggi all’immagine della donna nella canzone,  dagli anni ’60 ai cantautori), ove sono particolarmente attento agli episodi musicali innovativi e di rottura (le influenze americane, il beat, la canzone d’autore, le interpreti…) per mostrare, come voleva Heidegger, che la grande arte, di cui la musica è parte, non solo è prodotta, ma produce Storia… Questo è il fil rouge che mi spinge a guardare con ottimismo al divenire storico… ma soprattutto, alla nostra capacità di influenzarlo e orientarlo nei micro cambiamenti e nelle micro relazioni quotidiane, come attraverso la creazione artistica.

Ho posto recentemente una domanda, apparentemente retorica,  ad un famoso cantautore, relativa alla musica senza liriche, avendo letto di un suo pianto adolescenziale per una trama di Mozart. E non posso dimenticare dell’amore profondo per la musica d’oltremanica, quando non capivamo una parola della lingua inglese. Qual è il tuo pensiero sul rapporto musica /testi?

Nel mio ascolto e nella mia percezione sono olistico: sono quindi colpito dall’atmosfera, dal gesto scenico, dalla maschera teatrale e, non ultimo, dalla voce, che tuttavia avverto come suono, timbro, risonanza d’essere, e amo quindi ascoltare abbastanza al livello della musica e non sovraesposta, come piace a molti tecnici del suono italiani. Credo però che anche la comprensione delle parole (il cui contenuto evoca concetti, sentimenti e immagini) aiuti a realizzare l’atmosfera in cui ha luogo la  rivelazione…  artistica.

Anche a me capita di piangere -  e ora non ho più nessun pudore nel farlo - per una particolare musica che mi colpisce nell’intimo. Se dovessi stilare una scala di valori che comprendesse tutto ciò che è in grado di smuovere le anime, che ruolo attribuiresti alla melodia e alla possibile poesia annessa? C’è qualcosa di mistico e metafisico nel rapporto che ognuno di noi ha con il mondo dei suoni?

Da un punto di vista istituzionale penso, con Hegel, che arte, religione e filosofia siano gli ambiti di rivelazione e manifestazione dello Spirito al suo più alto livello. Della prima fa parte la musica, che io colgo soprattutto nella sua dimensione scenica, interpretativa, estetica e vocale, e quindi diventa sinergica a tutte le altre arti. Il ruolo che le attribuisco è quindi altissimo, incommensurabile, sublime, con degli esiti di tipo mistico-spirituale. Immodestamente, è qualcosa che io vado cercando quando canto – una rivelazione – che spero sempre possa a flash e bagliori arrivare a me come al pubblico che partecipa o ascolta a casa. Ma, per lo più, la musica del nostro tempo è edonisticamente avvitata su una modalità di esecuzione e proposta banale e massificante, finalizzata alla vendita e al consumo, sempre più in crisi e pertanto sempre più nevrotica.

Guardiamo un attimo al futuro. Qual è il progetto a cui ambisci e che non hai ancora avuto il modo di realizzare?

Mi piacerebbe girare l’Europa, portando alla ribalta di un pubblico vario e cosmopolita la Storia della canzone italiana nei suoi brani simbolo e nei suoi snodi stilistici ed epocali, raccontando al contempo l’evoluzione sociale e del costume nel nostro Paese, da “Nel blu dipinto di blu” a “Vita spericolata”, da “Ma l’amore no” a “Meravigliosa creatura”. E poi vorrei finalmente pubblicare un’antologia delle mie migliori interviste, realizzate soprattutto fra gli anni ’80 e ’90, ai grandi personaggi storici della canzone e dello spettacolo in Italia, da Gianni Morandi a Rita Pavone, da Enzo Jannacci a Milva, da Carla Fracci a Nino Manfredi, da Wanda Osiris ad Alberto Lattuada.


INFORMAZIONI UFFICIALI Claudio Sottocornola:
                                             http://www.cld-claudeproductions.com

Comunicato stampa Working Class:

Comunicato stampa 4° appuntamento (Cantautori): http://www.synpress44.com/01Comunicati.asp?id=1913

Ufficio stampa Synpress44: http://www.synpress44.c