mercoledì 10 novembre 2010

Prog Exhibition 2010


Ho vissuto due giorni da sogno…”
Questa la risposta a quanti mi hanno chiesto un pensiero “bignamico” alla fine della “Prog Exhibition” svoltasi a Roma il 5 e 6 novembre.
I miei giudizi entusiastici abbondano sempre quando sono rivolti agli eventi musicali, perché la musica, quella che amo intendo, ha questo enorme potere, quello di farmi stare bene e di farmi sentire parte integrante di un mondo con cui convivo da svariati lustri, e allora… perché non enfatizzare il momento con affermazioni che escono spontaneamente dal profondo del cuore? Potrei scrivere un libro intero su questa due giorni, soffermandomi su una miriade di particolari che vanno dagli artisti italiani agli ospiti stranieri, dagli amici che non vedevo da tempo a quelli trovati sul campo, dagli aneddoti legati ai singoli musicisti alle vicende umane che ho potuto captare.
Quello che però posso fare in questo spazio è condensare le mie emozioni di quarantotto ore, mantenendo qualche piccolo segreto, forse nemmeno troppo interessante, ma lasciando traccia concreta di un evento importante, che così, in minima parte, potrà essere vissuto anche da chi non ha potuto essere presente.
Il racconto sarà certamente condizionato dal fatto che sul palco c’era parte della mia storia, quella che ha caratterizzato la mia adolescenza e che, cosa rilevante, molti degli artisti sul palco sono diventati miei conoscenti personali . Ma non è di gara tra differenti band che voglio parlare, non ho interesse alcuno nello stabilire graduatorie di merito, perché l’evento mi è apparso come al di sopra di ogni valutazione tecnica, e ciò che ci è stato regalato diventerà un patrimonio personale, inattaccabile da qualsiasi errore tecnico, incidente di percorso o incomprensione.
La manifestazione rimarrà nella storia, ne sono sicuro.
Dal palco è stata posta la domanda:” … ma qualcuno dei presenti era all’Isola di Wight?”
Nella memoria degli appassionati di rock esistono tappe internazionali fondamentali, e la stessa cosa vale per la musica di casa nostra, per cui se Woodstock Wight sono ricordate da tutti nel mondo, in Italia facciamo spesso riferimento ad appuntamenti come “Il festival Pop di Caracalla”, il “Festival di Musica Pop e Nuove Tendenze” di Viareggio o quello di Villa Pamphili. Questa “Prog Exhibition” ha coniugato un’importante rappresentanza della musica prog italiana (in alcuni casi conosciuta anche all’estero) con ospiti di caratura mondiale, ancora attivi sulla scena. Ma spesso gli ospiti si rivelano presenze inutili, magari imposte, spesso svogliate.
In questo caso specifico ritengo che dagli “stranieri” sia arrivato vero valore aggiunto, e l’impressione avuta dall’esterno è che sul palco si sia creata una buona complicità, un certo piacevole divertimento, e una reciproca soddisfazione nel trovarsi, assieme, davanti a migliaia di persone affascinate da ciò che si stava materializzando davanti a loro.
Qualche esempio concreto.
Il clou della prima serata era rappresentato dall’esibizione della PFM, con la presenza di Ian Anderson in un paio di brani( diventati poi tre). Chiunque sa di vicende “tulliane” è al corrente della “spigolosità” di “Re Ian”, che di fatto ha sempre un gruppo che deve esaudire i suoi desideri.
Forse Ian non ha mai avuta l’opportunità, almeno in tempi recenti, di suonare con una band così importante e capace(non solo sulla carta) come quella di Di Cioccio, e mentre “Sua Maestà” godeva di tanta maestria, la stessa PFM sembrava molto appagata dal poter “sfruttare” le innegabili qualità di Anderson.
Insomma, sembravano davvero un gruppo coeso, magari con il bisogno di trovare una maggiore sincronizzazione, ma sicuramente amalgamato … nello spirito.
Questo è quello che io chiedo a chi mi suona davanti … non estrema abilità tecnica, ma momenti di “felicità musicale”.
In questa ottica, ancora una volta potrò dire:” Io c’ero..”
Tutti i gruppi storici visti sul palco, come già accennato, non erano per me delle novità.
Ai concerti degli ultimi anni di OrmeBancoPFM Osanna, passati nella mia città di recente, posso associare le loro performance degli anni 70 a cui ho avuto la possibilità di assistere, e quindi mi sembra doveroso evidenziare qualche analogia e qualche differenza.
Gli anni passano, inesorabili, per chi suona e per chi “subisce attivamente” la musica.
Francesco Di Giacomo, sempre prodigo di pillole di saggezza, ci ha ricordato, pragmaticamente e con un velo di tristezza, che”noi non siamo più quelli di allora”, inutile illudersi e chiudere gli occhi. Francesco non é più quello di un tempo e io nemmeno, e non sarà un buon festival condito da ciò che preferiamo a farci ringiovanire. Ma sempre Francesco ha evidenziato che, purtroppo, al nostro cambiamento non è seguita una modifica del mondo che ci circonda, anzi, in alcuni casi la regressione è evidente. In questo chiosare di Big Jack c’è la triste ammissione che cambiare il mondo con la musica era utopistico, o forse obiettivo troppo ambizioso.
Il Banco è stato l’ultimo ad esibirsi e forse Francesco ha voluto chiudere la festa riportandoci alla realtà, perché è obbligatorio, dopo i bei sogni, riaprire gli occhi e ritrovare la giusta dimensione.
Ma anche i sogni possono darci soddisfazione se riusciamo a dare loro delle “corrette coordinate” e a far si che rimangano ricordi indelebili.
La musica presentata non era materiale nuovo e gli spettatori erano li per quella, senza necessità di faticare nel tentativo di nuove assimilazioni, perché il bridge di quarant’anni, fornito di doppio senso di circolazione, doveva obbligatoriamente portare all’origine, al punto di partenza, per affermare con estrema forza che ciò che era stato creato era patrimonio di tutti e, dal punto di vista prettamente musicale, immutato e immutabile rispetto ai cambiamenti dei nostri fisici, del mondo che ci circonda e della società in cui viviamo.
Ma se la musica è quella di un tempo, cosa ha presentato il palco di diverso, rispetto a otto lustri fa? C’è stato un accenno di “ricambio generazionale”, elemento di cui si ha sempre bisogno, in qualunque campo ci muoviamo?
Non posso purtroppo parlare dei quattro gruppi “opening” perché non ero presente alle loro performance (perdonatemi … vi sono debitore!), ma ogni gruppo “storico” ha utilizzato e utilizza normalmente nuova linfa. Sono innesti di qualità, ragazzi che spesso hanno esperienze variegate, che vanno dal classico al blues, dal rock alla musica etnica, e sicuramente hanno una preparazione più importante di quella che i loro mentori potevano avere 40 anni fa. Pregevole il loro soffermarsi su un genere che, di questi tempi, non può rappresentare fonte di sostentamento, e quindi trattasi di vera passione. I frutti di tale passione erano visibili on stage.
Un altro elemento che mi ha colpito, paragonando le due epoche, è una sorta di contraddizione che riguarda il modo di presentarsi al pubblico.
Esistevano “tre” Orme ed esistevano tre Trip, ad esempio. Ora i palchi sono pieni di validi musicisti e ne sono felice. Ma la musica “da strada”, quella che tutti abbiamo fatto o ascoltato nella nostra giovinezza, quella degli stabilimenti balneari, dei piccoli dancing, è passata dal classico gruppo nutrito a … un solo essere umano e la sua tastiera … un solo essere umano che costa poco ( e in cambio da poco).
Ma la musica eletta, così io giudico la “mia “ musica, non guarda al businnes, perché non crea illusioni, e chi ci si avvicina spesso sceglie di nutrire l’anima piuttosto che lo stomaco, utilizzando altri mezzi e altre occasioni per gli ovvi aspetti materiali.
Sintesi: di buona musica spesso non si campa, ma … allevia le sofferenze!
Il pubblico ha risposto alla grande e in molti hanno avuto fede nel progetto D & D di Iaia De Capitani che, dal punto di vista di un esterno, è sembrato un completo successo.
Evento sold out, con presenze di persone provenienti da lontano … molto lontano. Stati Uniti, Giappone, Costarica, Usa, ecco un campione di paesi rappresentati, presenti a Roma, città scelta per rispettare un certo equilibrio geografico in ambito italiano.
Dopo un iniziale invito ( poco rispettato) a non effettuare riprese video (ma come si faceva a resistere alla tentazione di “rubare” un pezzo di storia della musica?), le svariate telecamere hanno inquadrato il pubblico in delirio, e anche io, presente in terza fila e dotato di una buona dose di vanità musicale, spero di ritrovarmi nel futuro DVD dedicato all’evento … e che ai miei figli rimanga l’immagine di una padre che a 54 anni sa ancora emozionarsi come un ragazzino, al cospetto di una buona musica!
Primo gruppo della serata i Trip, preceduti da Sinestesia e Maschera di Cera (con cui ancora mi scuso per la mia assenza “non volontaria”).
Utilizzo il nome “Trip” per spiegare che cosa io e molti fan abbiamo avuto l’occasione di vivere in questi giorni. Vidi i Trip nel 1974. Joe Vescovi, tastierista e mente del gruppo, è mio concittadino e avevamo a lungo discusso, mesi fa, della reunion del gruppo.
Abbiamo infatti assistito al primo concerto dei nuovi Trip, e speriamo non resti un atto unico.
Appena arrivati all’hotel (eravamo in sei), si è scoperto che il Teatro Tenda a Strisce era a pochi metri di distanza, e all’interno dell’Holiday Inn erano sistemati molti musicisti, probabilmente la metà, e l’altra metà era nell’hotel di fronte. Nello spazio di cinquanta metri due “ contenitori” pieni zeppi dei nostri miti musicali, non solo italiani, e tutti, chi più chi meno, avvicinabili. Le prime persone incontrare, appena messo piede nella hall, sono state dunque Joe Vescovi, Wegg Andersen e seguito. Siamo stati immediatamente coinvolti e ci siamo sentiti parte della compagnia, e questo che potrebbe sembrare un aspetto infantile, ha aiutato a creare quel clima di festa , amicizia, e abbattimento delle barriere mentali, che a noi ammalati di musica fa solo stare bene. Può essere significativo il fatto che ho parlato con David Cross delle rispettive vacanze fatte con lo stesso mezzo? Io, mero portatore sano del germe musicale, che discuto di vacanze con un ex King Crimson, visto dal vivo quando avevo 16 anni? Io ho ovviamente la risposta.
Gli italiani
Trip hanno quindi aperto la serata degli “storici”, ed era la prima volta dopo una vita di latitanza. Vescovi ha gli stessi capelli di un tempo, ma … di colore diverso, e… il talento e la capacità esecutiva non si sono persi per strada. Wegg ha problemi fisici legati a un incidente stradale e può solo, al momento, cantare, ma la sua voce ha mantenuto intatto il fascino. Furio Chirico è campione di forza e tecnica mentre i giovani Perini (basso) e Chiarelli(chitarra), fanno parte del nuovo a cui accennavo. Da non dimenticare un altro pezzo di storia tra il pubblico, Pino Sinnone, membro storico che partecipò alla realizzazione dei primi due album.
Un po’ di “Atlantide”, un po’ di “Caronte” e i Trip ci hanno fatto ritrovare il sound di allora, inossidabile al tempo che è passato, e alla fine dell’esibizione la speranza mia e dei miei vicini di poltrona era quella di ritrovare il gruppo con un progetto stabile( come è nella volontà comune)perché la loro musica non ha perso l’efficacia che tutti conosciamo.
Tra i differenti set si è riempito il gap con interventi di stampo giornalistico, con la presentazione di alcuni libri a tema( la musica), come “Prog 40” di Maurizio Galia, “ “Impressioni di Settembre” di Stefano Ferrio, “Destinazione Isola di Wight” di Antonio Oleari, “Com’era nero il vinile” di Glauco Cartocci e “Autobiografia alla batteria” di Bill Bruford.
Il secondo gruppo della prima serata era formato da due terzi delle ORME, tre quarti se si considerano i trascorsi di Tolo MartonToni Pagliuca e Aldo Tagliapietra, a cui si è unito un giovane batterista, ci hanno riportato al passato e a qualcosa di più se si considera che per molti dei presenti “Collage” ha rappresentato il primo disco di prog italiano.
La magia si è ripetuta; l’alchimia che accompagna solo certi esseri baciati da doni superiori (e qui la tecnica non c’entra) ci ha fatto rivedere e rivivere le atmosfere che mai abbiamo dimenticato, e che speriamo di ritrovare con continuità.
Anche in questo senso “Prog Exhibition” dovrebbe fornire la motivazione ai musicisti e a chi deve investire su di loro, per poter dare continuità a un patrimonio che è di tutti. Noi “ascoltatori” la motivazione l’abbiamo di già!
Nel caso specifico, quello delle “New Orme” (io posso anche chiamarle così), la chitarra del grande Tolo Marton può essere la variante per una formazione che miscela gusto, classe e ricordi infiniti.
Più avanti accennerò agli ospiti stranieri.
Ed è arrivato il turno dalla PFM. Accanto alla vecchia guardia( Di Cioccio, Djivas e Mussida), Lucio Fabbri( ma è anch’esso della vecchia guardia) e Gianluca Tagliavini.
Un miscela micidiale che riesce a fare ciò che dovrebbe essere, secondo me, lo scopo della performance dal vivo, e cioè il coinvolgimento totale. Brani super conosciuti, come “Harlequin “ “Celebration”, “La carrozza di Hans”e un siparietto “estero” da sogno. Naturale il bis richiesto con forza da chi non vorrebbe vedere finire una serata simile.
E arriviamo alla seconda giornata di musica.
La zona dedicata alle vendite ha dato l’opportunità di acquistare prodotti legati ai singoli gruppi, ed essendo ampia ha rappresentato un pregevole punto di incontro tra nuovi e vecchi amici … e io ne ho contato davvero tanti, molti dei quali non vedevo da tempo. Mi piace segnalare la conoscenza del re del web( la sua enorme attività gli aveva persino procurato una “cacciata “ da facebook), Hiroshi Poseidon Masuda, arrivato direttamente dal Giappone per assistere ai concerti. Tra i prodotti in vendita ce n’era uno che credo rimarrà nella storia di questo “Prog Exhibition”, e cioè la T-Shirt che ricorda i quarant’anni di prog ( bella la scritta “Ciao 2010” con i caratteri del famoso “Ciao 2001), realizzata dal già citato Glauco Cartocci su idea del mitico Wazza Kanazza, “l’uomo che tutto ha visto..”
Dopo i due gruppi di apertura, Periferia del Mondo e Abash, è stata la volta della “Raccomandata Ricevuta Di Ritorno”, guidata dal “vecchio “ leader e cantante Luciano Regoli.
La band, da poco riunitasi col l’aggiunta dell’aggettivo “Nuova”, ha confezionato un album che ha dato seguito al primo, realizzato negli anni 70, e sul palco si è avvalsa della collaborazione di Claudio Simonetti, vecchio collaboratore di Regoli. Una bella proposta e una bella risposta da parte del pubblico che ha dimostrato apprezzamento incondizionato.
A seguire gli Osanna e la Prog Family di Lino Vairetti che ormai è una realtà consolidata, con ospiti che in realtà ospiti non sono, ma sono membri effettivi di questo gruppo antico, che mischia le differenti forme musicali che rientrano nel contenitore prog con la cultura napoletana, presentando uno spettacolo dove il teatro si unisce alla musica e alla poesia.
Musicisti fantastici con l’aggiunta di una figura mitica, che appare sempre negli show degli Osanna. Parlo di Gianni Leone del Balletto di Bronzo, che irrompe sul palco e se ne impossessa, passando attraverso le note di “YS”.
Tocca al Banco del Mutuo Soccorso chiuderela serata e l’evento.
Di Francesco DI Giacomo e delle sue parole ho già detto. Ma più che della loro musica, sempre fresca ed emozionante, che spesso ho ascoltato dal vivo negli ultimi tempi( e ho avuto il privilegio di vedere i fratelli Nocenzi di nuovo assieme, pochi mesi fa), evidenzio ancora il loro “riportarci con i piedi per terra”, ricordandoci con il loro “Canto nomade per un prigioniero politico”, brano che mi è stato detto non riproponevano da anni, che anche questo bel sogno durato due giorni stava per finire per lasciare posto alle differenti e difficili realtà, diverse per ognuno di noi, ma legate da un filo conduttore ben saldo.
Gli stranieri
Ad eccezione dei Trip, completamente “italiani”, gli altri gruppi hanno avuto ospiti stranieri di estrema rilevanza.
David Cross ha accompagnato “le ex Orme” e ha utilizzato il tipico violino “multieffetto” che caratterizza il suo suono. Non credo ci sia stato molto tempo per la preparazione, ma il risultato è stato ottimo e il tocco di classe di Cross resterà nella mente dei presenti.
Di Ian Anderson ho già detto.
La sua entrata è stata preparata dalla PFM che ha anticipato l’intro di Bourèe e Ian Anderson ha iniziato il suo spettacolo. Come già evidenziato, mi è apparso un solista capace anche di cantare nel coro e credo che anche per lui, sapere di poter contare su simili musicisti, e davanti a un gran pubblico, sia stato motivante. “My God”, presentata subito dopo, è stata un colpo basso.. per me. Troppo facile farmi vacillare!
Probabilmente la sintonia generale ha portato Anderson a chiedere un brano supplementare e quindi lo abbiamo rivisto in occasione de “La Carrozza di Hans”.
Grandi tutti!
Thijs van Leer è di per se un personaggio, enorme da tutti i punti di vista. Mi è stato detto che da un lato del palco incitava altri gruppi, coinvolto anch’esso nell’emozione generale. E’ entrato come nono elemento nel corso della performance della RRR, col flauto tra le mani, e da subito ha dato dimostrazione del suo enorme talento, con un assolo di gusto assoluto che ha preceduto la famosa “The House of The King”, cavallo di battaglia dei leggendari Focus, di cui era anche il tastierista. Enorme!
Mi sembra strano introdurre Dave Jackson tra gli ospiti, essendo praticamente in pianta stabile con gli Osanna. Nella descrizione della nuova musica del gruppo, avevo omesso un ingrediente, e cioè la sezione fiati di Jackson, elemento di per se naturale per Vairetti e soci, viste le origini della band( Elio d’Anna docet), ma portare il sound dei Van Der Graaf all’interno della Prog Family può provocare sensazioni uniche, e con grande divertimento, di pubblico e musicisti.
Lascio per ultimo John Wetton, unitosi al Banco nell’atto finale. Per descrivere i suoi trascorsi musicali ci vorrebbe un libro, ma mi piace ricordarlo bassista e cantante con i King Crimson, e il brano principale della sua esibizione, “Starless and Bible Black”, ha rappresentato uno dei momenti più intensi della serata, e difficilmente dimenticheremo il suo timbro vocale.
Il sipario si chiude ma nessuno ha voglia di andare via e gli ultimi saluti diventano oceanici. La felicità mista a nostalgia prevale sugli altri sentimenti.
Non è solo la “fine delle festa” che provoca il disagio tipico che si prova all’epilogo di qualcosa di straordinariamente bello, ma forse la consapevolezza che occasioni simili non potranno ripetersi facilmente, e nemmeno la certezza di essere stati “protagonisti” (passivi) di qualcosa di storico attenua il sapore amaro, che anche in questo momento sto provando.
Il pubblico era fatto di “maturi “ come me, e anche qualcosa in più, ma non mancavano le nuove leve. A loro è stato fatto un grande regalo, che potrebbe anche essere l’unico di queste dimensioni, ma comunque è arrivato, direi anche inaspettato. C’è solo da ringraziare.
La musica, i messaggi , l’amicizia, la voglia di condivisione, la tranquillità, la semplicità, la convivenza, la tolleranza, il rispetto, la felicità ( accanto a qualche piccolo dolore), sono stati messi in scena in questa “Prog Exhibition”, che è il frutto di fatica e duro lavoro, e questo è un grande successo. Probabilmente molte cose non hanno funzionato come nelle previsioni … probabilmente ci saranno state delle ingiustizie … probabilmente il businnes ha pesato … probabilmente antiche ruggini hanno avuto qualche rilevanza, ma … noi sensori esterni non ce ne siamo accorti, e quando abbiamo avuto la sensazione che qualche cosa non era esattamente come l’avremmo voluta, abbiamo chiuso almeno un occhio pensando che in fondo non si poteva chiedere di più.
Sono stato prolisso in questo mio racconto, ma l’evento lo richiedeva. Ho omesso molto di quanto ho realmente percepito, dal punto di vista umano, ma … tra quarant’anni, in occasione di una nuova celebrazione, conto di presentare il mio libro che ricorda nei dettagli questa magnifica due giorni musicale … chissà se Iaia De Capitani mi chiamerà sul palco a presentarlo!
E ora qualche ricordo concreto.


I GRUPPI





GLI OSPITI