martedì 23 dicembre 2025

Gianna Williams e il Dulcimer appalachiano-Intervista all'artista

 


A volte gli incontri più interessanti avvengono per puro caso. Pochi giorni fa ho conosciuto Gianna Williams, una musicista dalla solida formazione come arpista che, negli ultimi due anni, ha intrapreso un viaggio affascinante verso un oggetto sonoro tanto raro quanto suggestivo: il Dulcimer appalachiano (o mountain dulcimer). Inutile dire che sono rimasto immediatamente incantato dalle potenzialità di questo antico cordofono, dalla sua apparente semplicità e dall’entusiasmo contagioso di Gianna.

Sapevo che, negli anni '70, il dulcimer era stato il compagno di viaggio di miti del rock e del folk come Joni Mitchell (che ne fece l'ossatura dell'album Blue) e Brian Jones dei Rolling Stones. Ma vederlo dal vivo rivela una magia tecnica del tutto particolare. Si suona disteso sulle ginocchia e, a differenza della chitarra, presenta una tastiera diatonica (simile ai soli tasti bianchi del pianoforte); questa caratteristica gli conferisce quel sapore arcaico e dolce tipico della musica celtica e folk.

La sua voce è resa unica dal sistema "a bordone": mentre si modula la melodia su una corda, le altre emettono una nota costante, creando un tappeto sonoro ipnotico simile a quello delle cornamuse. Ma descriverlo solo tecnicamente, pensando ad un solo metodo performativo, sarebbe limitativo: Gianna Williams, che ha alle spalle una storia personale incredibile e intensa, ha trovato in questo "legno" una nuova forma di espressione.

Ecco l'intervista che le ho fatto per scoprire questo mondo.

Gianna, tu vieni da uno strumento regale e complesso come l’arpa. Cosa ha fatto scattare la scintilla per il dulcimer appalachiano? È stato un incontro casuale o una ricerca deliberata?

Avevo già incontrato il dulcimer cantando in uno spettacolo celtico a Genova vent’anni fa, ma non aveva catturato la mia attenzione più di tanto, proprio mentre avevo appena iniziato a suonare l’arpa celtica. Poi, esattamente due anni fa, la Vigilia di Natale, mi trovavo a casa di mio cognato irlandese, che colleziona strumenti musicali. Notando un dulcimer appeso al muro, gli chiesi se potessi provarlo. Lui lo staccò, me lo mise in braccio e disse: “Te lo puoi prendere!”. In quel momento me ne sono innamorata. Poco dopo ho scoperto, grazie a una virtuosa americana dello strumento, Jessica Comeau, il modo moderno di suonare il dulcimer, cioè con gli accordi e non solo a bordone. La facilità tecnica dello strumento (che può comunque raggiungere vette di virtuosismo impressionanti nelle mani esperte) non impedisce di creare arrangiamenti capaci di arricchire anche le melodie più semplici. Un principiante si sente subito gratificato, e non è un caso che in molte scuole americane il dulcimer venga usato come introduzione alla musica, al posto del flauto dolce. Per esempio, viene dato ai bambini che vorrebbero suonare la chitarra ma non riescono ancora a maneggiarla.

Da quanto mi hai raccontato, la tua storia personale è carica di vissuto. Puoi sintetizzare il tuo percorso? E in che modo le tue esperienze di vita hanno influenzato la necessità di abbandonare la “perfezione” dell’arpa per cercare un suono più nudo e ancestrale come quello del dulcimer?

Sono un’italiana nata in Australia; da lì ci siamo trasferiti prima negli Stati Uniti e poi in Inghilterra. È proprio a Chicago, da bambina, che mi sono innamorata della musica irlandese. A quei tempi si diceva che ci fossero più irlandesi a Chicago che in Irlanda… In seconda elementare portarono in classe un’arpa classica, e ricordo che, seduta ad ascoltarla, pensai: “È lo strumento più bello del mondo, ma sarà troppo difficile per me”. A otto anni mi sembrava enorme, con tutte quelle corde di colori diversi e sette pedali: impossibile. Così, ogni volta che pensavo a quale strumento volessi suonare, scrivevo “arpa” in cima alla lista, ma poi la cancellavo subito, scoraggiata da quella prima impressione. Tutto cambiò mentre preparavamo quello spettacolo a Genova. Ero stata coinvolta come cantante dopo essermi esibita in uno spettacolo amatoriale in onore di Fabrizio De André a Ceriana, dove abitavo, un paese famoso per i suoi cori e la tradizione dei canti dialettali. Un’attrice che collaborava con il flautista Gian Castello mi “scoprì” e mi propose di partecipare allo spettacolo Merlino l’Incantatore al Teatro Garage di Genova. In quell’ensemble mi trovai davanti per la prima volta un’arpa celtica e, ormai adulta, mi resi conto che non era affatto così complicata come avevo pensato. A 35 anni iniziai a studiarla con tale assiduità che compagno e familiari cercavano di dissuadermi: dicevano che trascuravo il lavoro, che spendevo troppo (le arpe, soprattutto quelle classiche, costano!). Ma la passione era troppo forte. Con l’arpa celtica riaffiorarono anche le canzoni irlandesi della mia infanzia. Il mio percorso arpistico è sempre stato fortemente folk-celtico: una musica che sa di antico, essenziale, ma anche di delicatezza. Quando un’arpista classica prende in mano la mia arpa, a volte mi viene da mettermi le mani nei capelli per l’eccessiva forza e ricchezza del loro stile, che trovo un po’ istrionico e melodrammatico. Una volta un’arpista classica mi ha persino spaccato la cassa armonica, strappando gli accordi con troppa violenza… Per questo il dulcimer si inserisce perfettamente nella mia concezione della musica antica, celtica, sognante, delicata, giocosa come un folletto.

Passare dalla postura verticale dell’arpa a quella orizzontale del dulcimer cambia completamente il rapporto fisico con la musica. Come è stato rieducare il corpo a questo nuovo modo di “abbracciare” lo strumento?

Sia l’arpa che il dulcimer possono risultare difficili da tenere in equilibrio all’inizio. L’arpa deve rimanere sospesa, appoggiata appena sulla spalla destra del musicista, in bilico. Il dulcimer, invece, tenuto sulle gambe, spesso sembra scivolare via, soprattutto quando un principiante tende a premere troppo forte per compensare l’imprecisione delle dita vicino ai tasti. Esistono però vari accorgimenti per migliorarne la stabilità, come la cintura da chitarra o i possum pads, cuscinetti antiscivolo applicati alla base. La mia difficoltà maggiore deriva dalle dita iperflessibili, che non riescono a mantenere la forma curva quando devono premere qualcosa. Con l’arpa non ho problemi, perché le dita tirano le corde; con il dulcimer, invece, devono premere, e tendono a cedere. Mia sorella ha dovuto rinunciare al violino per la stessa ragione. Disperata, mi sono rivolta a Internet e ho scoperto degli anelli che aiutano a sostenere le dita. Non risolvono completamente il problema, ma insieme alla ridotta necessità di pressione tipica dei principianti, mi permettono di gestirlo. All’inizio mi imbarazzavano, ma poi ho notato che suscitano curiosità negli ascoltatori e negli altri musicisti.

Il dulcimer è caratterizzato dal sistema “a bordone”, quel ronzio costante che accompagna la melodia. Cosa provi quando quel tappeto sonoro ipnotico inizia a vibrare sotto le dita?

Il bordone è un suono ancestrale. In un gruppo dove suono con una ghironda e una piva emiliana, anch’esse a bordone, la combinazione colpisce davvero tutti. La natura ritmica del bordone del dulcimer, unita alla trompette della ghironda, crea un’energia e uno slancio sorprendenti, perché non appartengono ad altri generi musicali, dal pop alla classica. È un suono antico, folk, che evoca visioni di guerrieri nella nebbia delle foreste nordiche. Nelle session di dulcimer, inoltre, il bordone permette ai principianti di suonare insieme ai più esperti: basta fare il bordone e funziona. Ma ciò che mi entusiasma di più è la facilità con cui posso prendere una melodia semplice e, giocando con i tasti, far emergere arrangiamenti ricchi e sorprendenti, che non mi vengono quando arrangio la stessa melodia all’arpa. È il piccolo miracolo di queste tre umili corde: metà delle volte trovo accordi stupendi senza sapere nemmeno come si chiamano.

A differenza della chitarra, il dulcimer è uno strumento diatonico. Questo limite è per te un ostacolo o una libertà?

Esiste anche il dulcimer cromatico, ma molti musicisti obiettano che, a quel punto, tanto vale comprarsi una chitarra. Per me, abituata all’arpa celtica – anch’essa fondamentalmente diatonica, perché si può modulare solo interrompendo l’esecuzione per alzare o abbassare una levetta – il dulcimer è perfetto. I dulcimer moderni hanno adottato il tasto 6+, cioè un tasto intermedio tra il sesto e il settimo, e, più raramente, il tasto 1+, che mi ha cambiato la vita. Permette modulazioni tipiche della musica antica e rinascimentale, modalità che amo inserire negli arrangiamenti. È molto più facile creare nuovi arrangiamenti con uno strumento diatonico, soprattutto se consente un minimo di modulazione.

Il dulcimer vive di accordature aperte. Come scegli l’accordatura per i tuoi brani e quanto influisce sul “colore” della storia che vuoi raccontare?

Oggi i dulcimer sono quasi sempre accordati in Re, talvolta abbassati in Do a seconda dei musicisti o dei cantanti con cui si suona. Con il capotasto al primo tasto si ottiene il Mi minore, e queste sono le tonalità principali. Nella musica irlandese – che costituisce una parte importante del repertorio tradizionale del dulcimer, grazie agli irlandesi e scozzesi emigrati negli Appalachi – molti brani sono in Re, Sol o Mi minore. Nella musica tradizionale celtica la tonalità non si cambia, ed è anche per questo che musicisti che non si conoscono possono suonare insieme immediatamente: una giga nata in Re sarà sempre suonata in Re. Niente spartiti, niente leggii. Mi è capitato di trovarmi in un pub nell’Irlanda del Nord con un’arpa e di suonare insieme a perfetti sconosciuti: le melodie della tradizione sono impresse nelle dita. È una conversazione tra estranei in un’unica lingua comune, l’esperanto della musica.

Negli anni ’70 artisti come Joni Mitchell e Brian Jones hanno portato il dulcimer nel rock. Ti senti parte di quella tradizione o stai cercando nuove sonorità?

C’è un grande interesse per la musica antica e rinascimentale, che sta rivoluzionando il repertorio dello strumento, tradizionalmente legato al folk irlandese e scozzese. Questo mi entusiasma molto, ma ho anche l’ambizione personale di inserire brani popolari italiani nel repertorio del dulcimer. Con il mio gruppo Mormorè sto scoprendo molta musica tradizionale piemontese e lombarda, e vedo che il dulcimer vi si inserisce benissimo. Recentemente abbiamo registrato Calissun con dulcimer, ghironda e piva: è stato accolto con grande entusiasmo dalla comunità britannica del dulcimer e sarà incluso in una raccolta natalizia, cosa che mi ha fatto molto piacere. Ad aprile spero di insegnare Calissun in un festival nel nord dell’Inghilterra e di suonarlo dal vivo. Con una cantante abbiamo musicato tre canzoni di Ceriana per dulcimer, presentate la scorsa estate alla festa di musica tradizionale di Santa Brigida, a Dolcedo. Un’insegnante americana di origini italiane, Nina Zanetti, sta lavorando per recuperare e arrangiare canzoni italiane per dulcimer, organizzando lezioni nei festival online – oggi il principale metodo di formazione per questo strumento – e sta pubblicando un libro di arrangiamenti italiani. Con lei collaboro correggendo le traduzioni dei testi e suggerendo brani.

Qual è l’ostacolo più grande nel far capire al pubblico moderno il valore di uno strumento così antico?

Quando presento il dulcimer negli stage o suonando per strada, la gente rimane sempre molto colpita e fa molte domande; spesso lo prende in braccio e si entusiasma. Ho persino fatto stampare un bigliettino che spiega le sue origini e include i contatti del gruppo Facebook Amici del Mountain Dulcimer. Gli ostacoli, quindi, sono pochi, se si riesce a far conoscere lo strumento. Quando l’anno scorso ho organizzato la visita di due insegnanti americani, i loro concerti erano gremiti e rappresentavano i due principali filoni dello strumento: uno legato alla cultura degli Appalachi e l’altro alla musica medievale europea, che la seconda insegnante aveva arrangiato per dulcimer.

Il dulcimer è spesso definito uno strumento “democratico” e facile da approcciare. Concordi?

Io lo vedrei benissimo sostituire il flauto dolce come primo approccio alla musica nelle scuole, come avviene in molte scuole americane. In pochi minuti anche i bambini riescono a suonare semplici melodie, con grande soddisfazione.

Qual è il tuo sogno o il tuo prossimo progetto per riportare il dulcimer appalachiano al centro dell’attenzione?

Grazie all’influenza della musicista Jean Ritchie, negli anni ’50 il dulcimer ha vissuto una rinascita negli Stati Uniti, influenzando poi la musica pop e rock, dai Rolling Stones a Joni Mitchell fino a Cyndi Lauper. Oggi in Gran Bretagna c’è una bellissima comunità di dulcimer che mi sostiene da quando ho iniziato. Il mio sogno è creare una comunità anche in Italia. Qualunque strumento che riporti le persone – bambini e adulti – a fare musica, per piacere personale o per condividerla, attingendo anche alla nostra ricchissima tradizione, merita ogni sforzo. Esistono dulcimer per principianti facilmente acquistabili e poco costosi, belli anche da appendere al muro e che non occupano spazio. Dopo i due stage che ho organizzato nel Ponente ligure l’anno scorso, stiamo preparando con il Sermig di Torino uno stage a giugno, con un docente molto conosciuto e amato: Rob Brereton. L’evento includerà lezioni, un concerto dei docenti (in contemporanea ci sarà anche uno stage di cetra con Maguy Gerentet) e il saggio finale degli allievi. Spero anche di coinvolgere i liutai italiani che costruiscono dulcimer da anni. La scorsa estate ho scritto un articolo per la rivista del Nonsuch Dulcimer Club, presentando il liutaio italiano Valerio Gorla, attivo da molto tempo. Spero che al Sermig possa nascere un festival del dulcimer a 360 gradi, dove partecipanti, liutai e pubblico possano condividere il loro entusiasmo per questo strumento. Nel frattempo, sono felicissima di presentarlo ovunque: nelle scuole, nei mercatini, nei festival. Vorrei solo essere più brava nel dimostrare tutte le possibilità sonore e tecniche del dulcimer, davvero infinite nelle mani giuste.

Da parte mia, l’auspicio è di poter approfondire ulteriormente il dulcimer e, magari insieme a Gianna, dare vita a un workshop che contribuisca a farlo conoscere e apprezzare anche nel nostro territorio.


CONTATTI E LINK UTILI:

gianna.quaglia@libero.it

giannatheharper.it  

Facebook

Amici del Mountain Dulcimer (FB)