domenica 30 novembre 2008

Ian Siegal, il giorno dopo.



Nel post precedente ho pubblicizzato la presenza di Ian Siegal a Savona.

Prima della performance ufficiale, alle 22.30, Ian si è esibito per un gruppo ridotto di persone, qualche adulto , e tante anime immacolate.

Sto parlando ovviamente di bambini.

Tra le iniziative del Raindogs, c'e' anche questa, e cioè il tentativo di far avvicinare il pubblico minore alla musica e agli artisti.
Qualche brano, inframezzato da domande di grandi e piccini , una sorta di uno contro tutti , al quale i musicisti si prestano con piacere.

Ian Siegal , nonostante la band, si è esibito per noi da solo.

Leggendo il post precedente , e quindi la sua intervista, si capisce l'importanza del personaggio.

A questo pensavo ieri, riflettendo sul luogo dell'esibizione.

Il Raindogs è luogo prestigioso e ambito , ma la capienza potrebbe essere un limite quando ad esibirsi è gente di questa caratura.

A domanda specifica il bassista mi ha "rassicurato".

Il problema non è la capienza, semmai la qualità del pubblico . E proprio il giorno precedente, su un altro palco, l'apporto completo dell'audience è venuto a mancare e :"..se non è calda la platea anche noi non riusciamo a dare il meglio, è un dare avere che non ha niente a che vedere con i calcoli..." ha concluso il musicista.

Non so se la piccola schiera di bimbi seduti a terra era sufficientemente appassionata, ma Ian ha dato segni di apprezzamento e ha dimostrato una disponibilità che non è mai scontata, quando si parla di stelle di prima grandezza.

E così, dalle domande dei presenti, scopriamo che Siegal ha iniziato a suonare a diciott'anni, che suona 4/5 ore al giorno, che considera il mandolino ed il banjo strumenti tradizionali nel blues, che Bill Wiman è una persona piacevole e , ad una domanda legata al particolare pubblico della pre serata , risponde dicendo che è un vero piacere avere di fronte dei bimbi.

Per quelli come me , che solo nel corso della settimana hanno saputo dell'esistenza di Ian, è stato un grande piacere scoprire la sua tecnica chitarristica, accompagnata da una voce incredibile.

Mi rimane il rimmarico di non aver potuto assistere alla performance di tarda sera, delusione bilanciata in parte dal "ricordo per sempre", garantito dalla foto che ho scattato con lui sul palco.


venerdì 28 novembre 2008

Ian Siegal


Ancora un grande avvenimento al Raindogs di Savona.

Domani sera gli amanti del blues potranno ascoltare Ian Siegal.
Provo a presentarlo, attraveso il "lavoro di altri", essendo per me un artista tutto da scoprire.

Le vie del blues secondo Ian Siegal: l’intervista di Massimo Baraldi.

C’è chi sostiene che il blues sia la musica del diavolo e, in queste cose, ognuno è libero di pensarla un pò come vuole. Certo, dopo aver assistito a un concerto di Ian Siegal, è difficile non cominciare a crederlo: tanto scalcia, sibila, barrisce e strepita che pare averne un’intera orda dentro di sé: suona come se stesse andando a fuoco, ma fosse troppo impegnato a tenere il ritmo per preoccuparsi di spegnere le fiamme.

Classe 1971, devoto a Muddy Waters e Son House come a Tom Waits, Ian è un personaggio che sembra fatto su misura per il palcoscenico. Interprete carismatico e appassionato, unisce uno stile chitarristico ruvido e vigoroso a una voce camaleontica che non può non impressionare per estensione e mutevolezza. Forse le ragioni non saranno tutte qui, ma già queste spiegano perché oggi si parli di lui come di uno dei bluesmen più rappresentativi non solo della scena britannica attuale, ma dell’intero Vecchio Continente.

MB: La prima volta che ho incontrato te e la tua National Triolian del 1929 è stato grazie a Norman Hewitt e al suo “Blues to Bop”, a Lugano, nel 1999. Allora eri una brillante promessa, oggi sei riconosciuto come uno dei più influenti bluesmen del Regno Unito. Niente male, non hai di che lamentarti.
IS: Oh no, non mi lamento affatto! Non ho ancora capito esattamente perché sia successo, ma ne sono estremamente felice. Le cose mi stanno andando piuttosto bene ora. Ai tempi del Festival ero agli inizi, e non posso che ringraziare Norman per avermi offerto quell’opportunità. È un gran bravo tipo, per essere un inglese.

MB: Ma non sei inglese anche tu?
IS: Sì, appunto.

MB:Se mio padre fosse ancora vivo, direbbe: "Questo è il mio ragazzo!”, a dirlo è stato Big Bill Morganfield, il figlio di Muddy Waters, parlando di te. Se è vero che suo padre è il tuo eroe musicale, non mi viene in mente un complimento migliore!
IS: Già. Lo è. Sai, Muddy aveva un sacco di “figli” che non erano propriamente suoi: Johnny Winter o Paul Oscher, per esempio. Lui ha “adottato” quei ragazzi bianchi e se li è portati a casa, per insegnar loro il blues. Big Bill sostiene che la stessa cosa sarebbe successa con me, se solo mi fossi trovato in giro al momento giusto. Lo considero un bellissimo complimento, è una cosa bella da dire. Sono parole che non dimentichi.

MB: So che sei stato in tour con Big Bill.
IS: Sì, diverse volte. Lui dice che siamo fratelli, di sangue. Certo, però, se fosse vero sarebbe piuttosto strano! È un tipo in gamba. Un enorme orsacchiotto.

MB: Sei solito alternare performance acustiche in solitaria a concerti con la tua band. L’atmosfera è completamente diversa… a volte fai entrambe le cose, altre no. In quale situazione ti senti maggiormente a tuo agio?
IS: Da solo sei libero, non devi preoccuparti di tenere insieme nessuno, ma con una band c’è più eccitazione, divertimento, rock ‘n’ roll. Non ho una preferenza, mi sento a mio agio comunque.

MB: Hai lavorato duro per molto tempo, poi nel 2003 e 2004 hai avuto un’ottima visibilità aprendo i tour europei di Bill Wyman e i suoi Rhythm Kings. Com’è andata? E in che occasione lo hai incontrato, la prima volta?
IS: Non ricordo esattamente quando è stato; avevamo lo stesso sassofonista, è così che venni a sapere che stavano cercando qualcuno a cui affidare l’apertura. Fu lui a mostrargli il video di un mio concerto al Festival di Edimburgo, e Bill deve aver pensato “Va bene, questo è uno a buon mercato, uno facile.” È stata una grande esperienza, di lui posso dire che è stato estremamente gentile. Prima di me non si erano mai portati in giro nessuno. Soggiornavamo negli stessi hotel, viaggiavamo sullo stesso bus, per qualche ragione, mi hanno concesso di essere parte della band. Eravamo come una famiglia. È stato bello. Loro sono alcune tra le persone migliori che io abbia mai incontrato.

MB: Continuerai a lavorare con lui?
IS: L’ultima volta che ho visto Bill è stato alla festa per il suo settantesimo compleanno, in un club londinese. Se ce ne sarà la possibilità senz’altro, ma certo non possono usare sempre la stessa persona. Sono rimasto in contatto, comunque. Spero che saranno loro a supportare me, un giorno. Quella gente mi ha dato davvero una grande opportunità.

MB: La stessa cosa avvenne in passato con gli Animals e Chuck Berry…
IS: Esattamente. Parliamo di gente che non cerca di tenere il successo per sé stessa, ma di condividerlo con gli altri. Questo è positivo.

MB: Nel 2006 hai sperimentato il circuito blues della West Coast americana. Com’è andata? Pensi che da quelle parti i tempi siano maturi per una nuova “Blues Invasion”, o stanno cavandosela bene per conto loro?
IS: Non se la stanno cavando affatto. Non si può parlare di una vera scena blues laggiù; direi che le cose vanno più o meno come in Inghilterra. Certo, ci sono tanti musicisti di talento capaci di suonare del buon blues, ma il posto giusto dove andare è l’Europa, ora: Olanda, Belgio, Germania, Scandinavia. È stata un’esperienza interessante, ma non sono molto interessato a tornare. Chissà, forse il blues sopravvive nel Sud, nella West Coast ho trovato più che altro rock ‘n’ roll. È in Europa che voglio costruire la mia carriera, ed è qui che ci sono i veri appassionati di blues. Certo, in Italia la comunità è ancora piccola, ma penso che concentrerò la mia invasione proprio verso questo paese e la Spagna. Si tratta di educare la gente al blues.

MB:Standing In The Morning”, nel 2002, ha rappresentato una svolta significativa dal blues tradizionale a una selvaggia, paludosa, musica urbana. La connessione col passato resta chiara, seppur contaminata da influenze diverse.
IS: La mia casa discografica ha sostituito l’etichetta “Blues”, attribuitami inizialmente, con “Americana”, perché suono ogni tipo di musica che abbia radici americane. La prossima settimana farò il mixaggio di un album solo che ho appena terminato di registrare… col blues non ha nulla a che fare, se non per un pezzo. Tutto il resto è country, gospel, bluegrass. Quella musica ha il blues in sé, comunque. Come del resto il blues ha in sé il country. Musica americana, questo è ciò che amo. Quanto a “Standing In The Morning”, ho cercato di concentrarmi il più possibile sulla scrittura dei pezzi e dei testi, in qualcosa che ricorda lo stile di Tom Waits.

MB: È un grande album.
IS: Grazie! Ma non è stato così popolare quanto quelli che lo hanno seguito… “Meat And Potatoes” e “Swagger” hanno avuto un impatto molto maggiore. Per quel che mi riguarda lo considero la cosa migliore che abbia mai fatto, peccato però che la gente non sembri pensarla allo stesso modo!

MB: Anche “Hard as…” non era affatto male. Ho ancora la mia copia, che conservo gelosamente.
IS: Pare che qualcuno ne abbia rimediato una copia su eBay a centocinquanta euro, io però non mi sono beccato niente! È una cosa folle che qualcuno sia disposto a pagare una cifra del genere, ma anche un grande complimento. A saperlo glielo avrei venduto io per dieci.

MB: Stai dicendomi che ho fatto un buon affare?
IS: Sicuro. Mettilo su eBay e facciamo a mezzo.

MB: Scordatelo. Non ho nessuna intenzione di venderlo. Piuttosto, nel 2005 è venuto “Meat and Potatoes”, “Swagger” nel 2007 e entrambi sembrano ulteriori passi nella direzione presa con “Standing In The Morning”. Stai avvicinandoti alla tua idea di suono?
IS: Non ho niente del genere in testa. Non solo tratto ogni album come una cosa a sé stante, ma ogni singola canzone. Non so mai che cosa farò, a priori. A volte scrivo i pezzi direttamente in studio, mentre stiamo registrando. Non è molto professionale, la band odia questa mia abitudine. Funziona un po’ come: “Ok, ora che facciamo?”,Non lo so, non preoccupatevi”. Non saprei proprio dire quale sia il suono che ho in testa, quindi… ma forse un giorno lo troverò. Ciò che faccio è suonare, e questo è tutto. L’influenza blues è sempre presente, Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Little Richard, Tom Waits… ma anche Hank Williams e tutti i ragazzi del country .Vedremo. Penso di non avere ancora raggiunto il mio pieno potenziale come autore, ma ci sto provando. Farti esperienza nella vita aiuta, perché puoi scriverne. Sono sempre in cerca della prossima canzone. Se un giorno potessi tirar fuori qualcosa come “Honky Tonk Women”, bè, sarei un uomo felice. Nonché milionario.

MB: E cosa mi dici del nuovo album al quale accennavi prima?
IS: Non ha un titolo, ancora. Dentro c’è B.J.Cole alla pedal steel guitar; è stato eccitante averlo con me! Lui ha suonato con John Cale, Sting, Albert Lee, Emmylou Harris e tantissimi altri. Attualmente lavora con Bjork. Quello strumento ha un suono semplicemente meraviglioso, sembra provenire da un altro pianeta.

MB: Uscita prevista?
IS: All’inizio di giugno, lo porterò nei festival quest’estate. La mia band non la prenderà bene, ma un solo ogni tanto ci vuole.

MB: C’è qualcosa che vorresti aggiungere? Di cui ti va di parlare?
IS: Spero, ed è la stessa cosa che direi agli inglesi, che i giovani italiani aprano le loro menti a questa musica. Sai, quando la sentono la amano, sempre, ma è necessario che la incontrino, altrimenti non c’è futuro. In Svezia, la scorsa settimana, il pubblico era di cinquantenni, e per lo più uomini. Proprio come in Inghilterra. Ma… e i ventenni? Se non cominciano a uscire e ascoltare, per chi suoneremo? Mi auguro che i giovani imparino a capire e apprezzare il blues. Solo così potremo garantirci un futuro.

MB: Perché pensi che accada? Non si può dire che in Inghilterra non abbiate una solida tradizione…
IS: Posso dirti, e molti musicisti lo confermerebbero, che spesso ti si presenta un ragazzino con un: “Hey! Sono qui perché i miei mi ci hanno portato. Pensavo che il blues fosse solo Eric Clapton o Gary Moore… non sapevo nulla del resto, e non avrei mai pensato che potesse essere così interessante, divertente, sexy! Questa roba non è deprimente!”. E proprio questo è uno dei problemi: la gente è convinta che il blues sia una roba che se la senti poi ti ammazzi. Posso però assicurarti che dopo la prima volta tornano, e si portano pure gli amici; non possono essere forzati, però, devono venire spontaneamente. In Olanda, e in generale in quell’area, i ragazzini lo fanno. E spero che in futuro accadrà anche altrove.

MB: Forse questo spiega perché molti musicisti americani stiano facendo base nel Nord Europa…
IS: Sicuro, è perché le condizioni economiche sono molto più favorevoli. Sai, in California ho suonato con alcuni ex componenti della Elvin Bishop Band, veri professionisti, tra i migliori con cui mi sia capitato di lavorare. Li pagavo cento dollari a testa per ogni serata e nel farlo ero davvero imbarazzato, ma là è normale. Non potrei mai ingaggiare un inglese per la stessa cifra. È impossibile, con quei soldi non ci campi, ma loro sono soddisfatti. È così che gira, semplicemente. Non c’è da sorprendersi se decidono di venire in Europa, dove possono spuntare mille o duemila dollari a sera. Non è la stessa cosa!


giovedì 27 novembre 2008

Fairport Convention


Parlare in maniera esaustiva dei Fairport Convention è cosa davvero complicata.

Le formazioni, gli intrecci e le storie che si sono succedute, impediscono la realizzazione di una sintesi efficace , adatta ad un contenitore come il blog.
Ma mi piace rendere omaggio a questo gruppo storico, ancora attivissimo sulla scena internazionale.
Il mio desiderio è anche alimentato dal fatto che da pochi giorni ho visto all’opera Dave Pegg e Gerry Conway, in occasione della Convention dei Jethro Tull, ad Alessandria.
Nell’occasione ho anche potuto verificare la disponibilità di Dave, la sua simpatia e la semplicità con cui vive il proprio ruolo.
Vista la premessa, presenterò un minimo di biografia generale e qualche nota su gli attuali componenti.


Fairport Convention sono un gruppo inglese folk rock.
Fondati da Simon NicolRichard ThompsonAshley Hutchings e Shaun Frater, i Fairport Convention, iniziando come gruppo di cover di rock della West Coast, sviluppano presto un loro stile che mescola il rock con la musica tradizionale folk inglese, contendendosi il titolo di più grande folk rock band inglese con i Pentangle.
Dopo numerosi cambi di formzione si sciolgono nel 1979 per riformarsi per un concerto nel 1985, e da allora continuano a suonare e pubblicare dischi.

In parte il continuo successo che ancora oggi hanno i Fairport Convention è dovuto all'annuale festival di Cropredy, nell'Oxford shire, ora rinominato Fairport's Cropredy Convention e che riunisce ogni anno almeno 20.000 fans sin dal 1974.


Qualche nota su gli attuali Fairport Convention

Dave Pegg (Birmingham, 2 novembre 1947)) è un bassista, noto soprattutto per essere stato membro dei Jethro Tull, durante buona parte degli anni ottanta.


Pegg diventò musicista di professione verso la metà degli anni sessanta. In questo periodo fallì la sua prima audizione come chitarrista per The Uglys, un gruppo rock guidato da Steve Gibbson il quale però gli offrì un posto come bassista.
Il 1970 è un anno particolarmente significativo nella vita di Pegg in quanto entra a far parte dei Fairport. Infatti Ashley Hutchings, , fondatore e bassista della band, abbandonò la stessa per creare gli Steeleye Span e così Pegg lo sostituì.
Nel 1979 i Fairport si dissolvono e Pegg si unisce ai Jethro Tull come sostituto di John Glascock, deceduto nel novembre di quell'anno.
I Fairport decidono però di riunirsi nel 1985 e Pegg li segue senza però abbandonare completamente i Jethro Tull. Anzi nel 1987 nasce una sorta di gemellaggio fra le due band in seguito ad un concerto dei Jethro negli USA con i Fairport che aprivano i concerti.
Attualmente Pegg vive a Banbury, nell' Oxfordshire. Dalla moglie Christine (da cui ha divorziato) ha avuto due figli: Stephanie e Matt, anch'egli bassista di buon livello.


Simon Nicol (Londra, 13 ottobre 1950) è un chitarrista e cantante, di genere electric folk.


È uno dei membri originali dei Fairport, nonché il membro che vanta la più lunga militanza nel gruppo, nonostante la pausa sabbatica che si è preso tra il 1971 e il 1975/6, durante la quale ha registrato diversi album e partecipato a tournée. Il suo ritorno coincise con il rilascio dell'album Gottle o' Geer da parte del gruppo.
È anche strettamente legato alla Albion Band, nelle sue varie incarnazioni, e a Richard Thompson.

Ric Sanders nasce l’8 dicembre del 1952 e cresce a Birmingham.

Entra nei Fairport Convention nel1985. Il violino è il primo amore di Ric, che si avvicina allo strumento da giovanissimo. Il suo primo impegno professionale è del 1972, quando è in tour in Europa col Red Buddah Theatre di Stomu Yamashta.

Verso la metà degli anni Settanta, Ric è molto richiesto come solista jazz e lavora, tra gli altri, con Michael Garrick, Johnny Patrick e il leggendario pianista jazz Jaques Dieval.
Sul finire degli anni Settanta segue i propri interessi folk e jazz come membro, rispettivamente, della Albion Band e dei Soft Machine. È in tour e registra con entrambe le band.
Con la Albion Band, si esibisce al National Theatre.
Nel 1980, Ric e il chitarrista dei Soft Machine John Etheridge danno vita ai Second Vision.
Registreranno un album e faranno diversi tour.
Ric si unisce poi al chitarrista Vo Fletcher in progetti didattici musicali: il duo supporta l’iniziativa dell’Unione dei Musicisti nelle scuole e registra per la TV della BBC.
Dal 1985, Ric suona a tempo pieno coi Fairport Convention, pur
continuando a coltivare un interesse attivo verso il jazz e altre forme musicali.

GerryConway: batteria e percussioni.

Gerry nasce l’11 settembre del 1947 e cresce a Londra. Si unisce ai Fairport Convention nel 1998.

Sin da bambino, Gerry sognava di diventare un batterista, ottenendo la sua prima vera batteria all’età di undici anni. Da quando ha lasciato la scuola, la sua vocazione si definisce chiaramente con l’andare a lavorare alla EMI nella speranza di un provino.
L’occasione arriva, e Gerry si trova a suonare la batteria coi Jet Set, che fanno ska e soul.
Il passo successivo è con la band della leggenda del blues Alexis Korner.
Dopo un anno con Korner, Gerry si unisce a Trevor Lucas negli Eclection, che chiudono i battenti nei primi Settanta.
Gerry entra nei Fotheringay ma, nonostante il buon successo a livello di critica e la presenza di Sandy Denny e Trevor Lucas, la band avrà vita breve.
Dopo una seduta di studio con Cat Stevens, Gerry viene invitato a unirsi alla band e passa
sei anni in giro per il mondo con lo stesso Stevens.
Nel 1979 si sposta negli Stati Uniti, dove vivrà per qualche anno, lavorando principalmente con Jerry Donahue.
Negli ani Ottanta è per un anno in tour coi Jethro Tull e poi con la band di Richard Thompson. Nel 1985, si unisce ai Pentangle e da allora è nell’organico del gruppo di Jacqui McShee.

Chris Leslie: voce solista, violino, mandolino, bouzouki.
Chris nasce il 15 dicembre del 1956 e cresce nel nord dell’Oxfordshire.
Entra nei Fairport Convention nel 1996.

Ispirato dai musicisti della sua zona, Chris comincia a suonare il violino all’età di tredici anni.



Tra le sue principali influenze quello che, più tardi, diventerà il suo mentore Dave Swarbrick.
Nel 1976, Chris e suo fratello John Leslie cominciano a esibirsi in duo e registrano un album nello stesso anno. Chris suona anche col cantautore Steve Ashley, con cui è spesso in tournée nel Regno Unito e nell’Europa continentale.
Ha studiato liuteria nel Nottinghamshire e ha completato il suo corso triennale nel 1983.
Tornato nell’Oxfordshire, viene invitato in tour da Dave Pegg, per promuovere il suo album solista. Dave Swarbrick inviterà Chris a fondare il pionieristico gruppo acustico dei Whippersnapper, una band che ha prodotto molti dischi e girato Regno Unito, Europa e Stati Uniti.
Chris è stato anche in tour col gruppo rock All About Eve.
Negli anni Novanta, lavora in duo col chitarrista dei Whippersnapper Kevin Dempsey, collabora col pianista folk Beryl Marriott e fa parte del Mandolin Quartet di Simon Mayor.
Suona anche il violino nei tour dei Jethro Tull di Ian Anderson.
Nel 1995 Chris entra nella Albion Band, con cui è in tour e in studio prima di congiungersi, l’anno seguente, ai Fairport Convention.
Oltre che da musicista, Chris ha contribuito alla scrittura di molti brani del repertorio dei Fairport.

Vive in una cittadina nel nord dell’Oxfordshire.



Le ultime parole famose:

"Veicoli per andare sott'acqua? Servirebbero solo ad annegare gli equipaggi!" (H.G.Wells, scritttore britannico, 1901)


mercoledì 26 novembre 2008

Andy White


Domani sera , 27 novembre, al Raindogs di Savona,sarà di scena Andy White.

Scopriamolo assieme, attraverso qualche nota trovata in rete.

Andy White è un cantautore irlandese nativo di Belfast.
L’interesse di Andy White nei confronti del linguaggio, della musica e della politica risulta chiaro da sempre, grazie anche all’ambiente creato in famiglia da un padre editorialista politico e da una madre pianista.
La sua prima poesia (scritta a 9 anni) si intitolava “Riots” e fu la scena punk di Belfast a convincerlo che prendere in mano la chitarra e mettere in musica le proprie poesie non era poi una cattiva idea.
Il suo singolo di debutto “Religious Persuasion”, pubblicato nel 1985 per l’etichetta indipendente Stiff Records, lo portò all’attenzione di Peter Jenner, scopritore dei Pink Floyd e figura chiave nell’ascesa alla fama dei Clash.
Dopo aver pubblicato dischi per Polygram e Warner, negli ultimi anni White ha trovato una libertà di manovra non indifferente grazie al lavoro con la Cooking Vinyl e da “ANDY WHITE” ha iniziato a pubblicare per la ALT Recordings, etichetta creata per dare sfogo all’omonimo trio (ALT, appunto) da lui creato assieme a Liam O’Maonlai e Tim Finn dei Crowded House, con i quali ha inciso due album nel ’95 (“ALT” e “BOOTLEG”).
Oltre ad essersi affermato come performer appassionato, Andy White è da tempo legato alla sfera organizzativa del Womad di Peter Gabriel e infatti quando Andy ha suonato in Sicilia per la causa, lo si è visto eseguire “Religious Persuasion” con due percussionisti iraniani.
Andy ha sempre avuto un rapporto molto stretto con il nostro paese, sin da quando nel 1986 il mensile BUSCADERO lo descrisse, agli esordi (con RAVE ON ANDY WHITE).
Da allora Andy ha sempre avuto un occhio di riguardo per la nostra terra e il destino ha voluto che l'incontro con Edoardo Bennato a Dublino nel 1998 portasse a una collaborazione tra i due.


Ciò che più sorprende di questo personaggio, è la sua capacità di aver mantenuto un profilo estremamente sobrio e definito, pur affiancando spesso il proprio talento a quello di altri grandi artisti internazionali, quali Peter Gabriel e Neil Finn dei Crowded House, arrivando a sopravanzare Bono e Van Morrison sulla stampa nazionale come miglior autore irlandese. Insomma, sembra proprio che Andy White abbia la capacità istintiva di essere sempre al posto giusto nel momento giusto.
Vive dal 1998 in Svizzera dove, sebbene lontano fisicamente dalla scena irlandese, si è conquistato uno spazio in Internet e poi, riesce ad arrivare in Italia in tre ore d'auto, per assaporare lo stile di vita italiano che tanto ama (.."l'Irlanda col sole", definisce così il nostro Bel Paese).
Insomma, un cantautore per i tempi moderni, e il suo tempo è proprio qui e adesso al Raidogs di Savona.




martedì 25 novembre 2008

Perigeo



Spesso più vicino al jazz che al rock, il Perigeo...

gruppo italiano degli anni settanta, viene comunque unanimemente inserito negli elenchi dei gruppi del "pop italiano".
Lo stile del Perigeo si può definire un misto tra fusion e progressive italiano tipico di quegli anni. Guidato da Giovanni Tommaso, composto da elementi con formazione jazz , presenta forti richiami alla musica jazz-rock degli album dei Soft Machine.
Nel loro primo disco, Azimut (1972), che raggiunge subito buoni risultati, emergono le forti radici Jazz dei cinque musicisti .
Nel successivo album, Abbiamo tutti un blues da piangere (1973) vengono invece
inseriti brani orientati verso il rock, dando così origine al jazz-rock e al jazz-prog, ossia la prima vera materializzazione delle tecniche moderne apportate da Tommaso.
Il successivo album Genealogia (1974) comprende brani, sempre di alto livello, ma più orecchiabili, con maggiore utilizzo del sintetizzatore e del moog (suonato dallo stesso Tommaso) .



Ne La valle dei Templi (1975), che si avvale della presenza di Tony Esposito alle percussioni, viene data particolare importanza alla ritmica, e il gruppo ottiene un buon riconoscimento commerciale. Con Non è poi così lontano (1976), il Perigeo esalta al massimo le doti tecniche dei musicisti, ma chiude con il jazz rock. L'album continua a mettere in mostra le abilità tecniche dei singoli componenti del gruppo, cedendo, però a canoni più commerciali.
Discreto successo dell'epoca, fu "Fata Morgana", incluso anche nella compilation "Pop Villa Pamphili", una raccolta che rende omaggio al luogo in cui si svolse, negli anni Settanta, una delle più importanti manifestazioni del progressive italiano. Non mancano, infine, sprazzi di classico walzer viennese, tratti da "New Vienna".
Fiacco seguito ai lavori precedenti, il disco segna il crepuscolo della band, che si scioglie nello stesso anno. I componenti del gruppo iniziano così a dedicarsi completamente alla carriera di sessionmen e a numerose collaborazioni esterne, realizzando anche dischi da solisti e svolgendo attività didattica presso i conservatori e altre prestigiose scuole di musica jazz.
Nel 1980, dopo una lunga pausa durante la quale il gruppo è ufficialmente disciolto, avviene una reunion per la produzione del doppio album Alice, nel quale il jazz rock si alterna a brani più pop. Sull'etichetta del disco la denominazione del gruppo è Perigeo Special, ma si tratta ancora dei componenti originali.
Successivamente, Giovanni Tommaso riforma il gruppo con nuovi membri, e dà vita al New Perigeo. Questa formazione partecipa alla realizzazione di Q Concert, un EP con Rino Gaetano e Riccardo Cocciante e dell'LP Effetto amore, dopo i quali si scioglie
Nel 1981, i New Perigeo pubblicano l'album Effetto amore, oggi praticamente introvabile, con almeno un paio di tracce degne di nota ("Mediterraneo", "Bocca di notte").
Nonostante il progetto sia stato di breve durata, il Perigeo fu sicuramente il più riuscito tentativo di fusione tra jazz e rock avvenuto in Italia, grazie a una sapiente conciliazione tra improvvisazione e momenti studiati a tavolino. Tale esperimento, il cui successo fu dovuto all'abilità tecnica e compositiva dei cinque, sarebbe stato intrapreso molto presto da vari gruppi prog italiani.






lunedì 24 novembre 2008

Dave Matthews Band


La Dave Matthews Band, conosciuta anche ...

con l’acronimo di DMB, è una jam band americana, formata nel 1991 a Charlottesville, Virginia da Dave Mattews (voce e chitarra acustica), LeRoi Moore (sassofono), Stefan Lessard (basso), Boyd Tinsley (violino elettrico), Carter Beauford (batteria), Peter Griesar (tastiere), che ha lasciato la band nel 1993.
Tutti i membri della band incontrarono Dave a Charlottesville.
Dal 1998 si esibiscono, durante i live, con il tastierista Butch Taylor, che sebbene non figuri ufficialmente come membro della band, è oramai un turnista fisso sul palco della DMB.
Nel 2005 al gruppo si aggiunge il trombettista Rashawn Ross. Moore, Beauford, Tinsley e Taylor spesso contribuiscono come seconde voci.
Sembra ormai essere opinione comune quella di considerare la DMB come una garanzia per quanto riguarda le performances dal vivo, considerate tra le migliori della musica rock contemporanea.


Il 19 agosto 2008 il sassofonista LeRoi Moore è deceduto in seguito a complicazioni dovute ad un incidente con un ATV avvenuto il 30 giugno dello stesso anno.

Curiosità:

Hanno eseguito una delle 5 performance totali tenutesi al Great Lawn, Central Park di New York (gli altri sono Diana Ross, Paul Simon, Simon and Garfunkel, e Garth Brooks).



Citazione del giorno:

"Le circostanze possono far diventare coraggioso anche chi non lo è" (Esopo)


venerdì 21 novembre 2008

Martha Wainwright


Martha Wainwright (New York, 8 maggio 1976) è una cantautrice statunitense, di origine canadese.
È sorella di Rufus Wainwright e figlia dei cantantautori Loudon Wainwright III e Kate McGarrigle.
Sebbene nata a New York, cresce a Montreal in Canada, con la madre e il fratello. La passione per la musica è di famiglia così anche Martha cercherà di trovare la sua strada.
L’inizio è difficile, infatti per diversi anni si fa le ossa come corista per il più noto fratello Rufus e collaborando sporadicamente con la madre, la zia e il padre.
L’album di debutto arriva solo nel 2005, sostenuto dalla critica verrà distribuito anche in diversi paesi europei e asiatici.
Tra le più recenti e interessanti collaborazioni c’è quella con il gruppo britannico degli Snow Patrol con cui ha inciso il singolo Set the Fire to the Third Bar nel 2006. Per la fine del 2007 è attesa l’uscita del suo secondo album.


DISCOGRAFIA ESSENZIALE

-Martha Wainwright- 2005
-I Know You're Married, but I've got Feelings Too 2008






Citazione del giorno:
"Essere mamma non è un dovere; non è nemmeno un mestiere: è solo un diritto tra tanti diritti." (Oriana Fallaci)

giovedì 20 novembre 2008

Dies Irae


Utilizzo la seguente fonte per raccontare un po’ di storia di “Dies Irae”.

http://progblog.splinder.com/post/18043675/DIES+IRAE+-+First

I Dies Irae sono autori di un unico disco realizzato a cavallo tra il 1971 e il 1972.
Pubblicato per l'etichetta d'avanguardia Pilz, vede la supervisione dell'onnipresente Konrad Plank.
Lo stile di partenza è il blues psichedelico a tratti anche molto heavy. Rimane un disco dalle influenze diramate ma assemblate in modo originale e piacevole.

Formazione:

Gerd Wahlmann - Vocals, Harmonica
Harald Thoma - Guitar, Vocals
Robert Schiff - Bass
Andreas Cornelius - Drums

I temi oscuri di Lucifer aprono il disco alternando sapientemente momenti blues molto vivaci scanditi dall'armonica, a momenti altamenti psichedelici dominati dalla chitarra elettrica.
L'intermezzo ironico di Salve Oimel introduce Another Room, brano sostanzialmente heavy come si nota subito dal riff portante di chitarra elettrica. Interessanti gli spunti strumentali.
Il brano più psichedelico è sicuramente Trip, elemento intuibile già dal nome. All'introduzione strumentale segue una psichedelia in crescendo, coinvolgente e trascinante in un unico viaggio d'insieme.
Harmagedon Dragonlove torna ad esplorare i sentieri dell'heavy in stile Black Sabbath, sempre alternando momenti molto melodici.
Tired è un brano esclusivamente blues con l'armonica a catalizzare nuovamente la scena.
Witches Meeting è il brano più lungo del disco con lunghe parti strumentali dominate dalla chitarra elettrica. L'impostazione di base è sempre quella del blues, ma la psichedelia tende sempre ad affiorare durante l'intera durata del brano.
Red Lebanese part I è un heavy blues un pò più interessante nella parte finale che crea una sorta di frattura con Red Lebanese part II metà acustico psichedelico e metà heavy blues.
Chiudono il disco i 35 secondi ironici di Run Off.

Trip

martedì 18 novembre 2008

Il Viaggio di Colombo


Il genere Progressive sta riemergendo.
Il vinile è nuovamente oggetto di culto.
E' stato davvero emozionante avere tra le mani la copertina de "Il Viaggio di Colombo", album de Il Cerchio d'Oro, gruppo storico di Savona.


Inutile soffermarsi sul fascino dell'involucro, elemento noto a tanti della mia generazione; semmai risulta una sorpresa il CD , veramente curato e solo un figlio minore, per dimensione, del Long Playing.
 Ma la sostanza?
E chi è il Cerchio d'Oro? 
Partiamo dal secondo punto, dal chi sono questi "ragazzi" che propongono musica di nicchia.
 Su "contrAPPUNTI" di qualche mese fa scrivevo, tra le altre cose :
"Il Cerchio d’Oro, nasce attorno al 1974, su iniziativa di Franco Piccolini (tastiere), Gino (batteria/voce) e Giuseppe Terribile (basso/voce). Ai tre si aggiungono Giorgio Pagnacco (tastiere) e Roberto Giordana (chitarre)".
Poi la vita conduce questi musicisti verso strade diverse sino a che, dopo 25 anni, il gruppo si ricompone , e al nucleo originario si uniscono Giordana e Piuccio Pradal.

 "Spinti dall’amore, mai venuto meno per il genere Progressive, e dalla voglia di creare ancora .. si lanciano in un nuovo progetto, “Il Viaggio di Colombo”, negli intenti un vero concept album , in puro stile seventies prog".

Ed eccomi quindi alla sostanza, il disco, dal 18 ottobre ufficialmente sul mercato.
 Ho avuto il privilegio di ascoltarlo in anteprima, un anno fa, e a distanza di tempo ho confermato il mio giudizio positivo.
Da molto tempo conosco i gemelli Terribile, e ho stretto una salda amicizia con Piccolini.
E' anche questo il motivo per cui ho chiesto aiuto per la recensione... per essere sicuro dell'obiettività di giudizio.
 E' venuto in mio soccorso Ferdinando Molteni, esperto di musica rock, e alla fine il suo pensiero sarà molto vicino al mio.

Leggiamolo.
I primi anni Settanta sono stati, per la musica italiana, un momento d'oro. Chi c'era, probabilmente, non se ne rese completamente conto. Erano anni difficili, tuttavia. Di lì a poco autoriduttori e teppisti avrebbe svuotato il Belpaese da rockstar (ricordate le fughe di Zeppelin e Santana?) e cantautori (il “processo” a De Gregori?). Eppure, in quegli anni, la musica italiana vendeva all'estero, si meritava il rispetto degli appassionati di tutto il mondo, riempiva i sogni di tanti adolescenti.

A quegli anni – quelli belli del progressive e della nuova canzone d'autore – fanno riferimento i cinque ex-ragazzi del Cerchio d'Oro. Ma il loro approccio è tutto meno che nostalgico. Il quintetto fa, con questo album-concept “Il viaggio di Colombo”, un'operazione squisitamente e appassionatamente artistica. Decide, per esprimere creatività, talento compositivo, gusto esecutivo, di far riferimento ad un'epoca ben determinata, cioè i primi cinque anni, grosso modo, del decennio Settanta. Fa esattamente quello che un jazzista fa quando decide di suonare hard-bop o swing, oppure un gruppo rock quando si immerge nel brit-pop o nel rock-blues. Fa, in definitiva, una scelta artistica ed estetica perché il linguaggio prog è quello che meglio si attaglia al suo mondo.
Detto questo, veniamo al disco. Che dire? “Il viaggio di Colombo” è davvero il disco che non ti aspetti di ascoltare. Quelle voci, quei suoni deliziosamente vintage, quei testi un po' così (il prog ci ha abituato a musicalissime bizzarrie linguistiche), quei cambi di tempo, e le aperture melodiche (che ricordano, per funzione, più l'aria d'opera che il ritornello di una pop song), gli assolo, gli impasti; tutto congiura a far sì che “Il viaggio di Colombo” sia uno di quei dischi che difficilmente l'appassionato riuscirà a togliere dal piatto.
Le composizioni (undici) sono tutte di livello equivalente. Ogni canzone (anche se il termine in qualche caso è riduttivo) contiene un'idea, uno spunto melodico, o ritmico, e legato all'arrangiamento. Ogni frammento di questo disco ha una sua ragion d'essere. E ce l'ha perché dietro c'è un sacco di lavoro, di passione, di tempo. Quel tempo che oggi, gli ex-ragazzi del Cerchio d'Oro, strappano alle loro vite di tutti i giorni, ma che rappresenta la conquista più preziosa.
I cinque musicisti hanno tutti decenni di musica sulle spalle. Musica sovente assai diversa da quella che suonano in questo album e che, probabilmente, suoneranno dopo questo album.
Molti di noi (chi scrive, chi va ai concerti, chi strimpella nel segreto della propria stanza uno strumento) hanno desiderato, una volta nella vita, di fare un disco così. Un prodotto di cui essere fieri, da poter consegnare al pubblico con la serenità di aver ben lavorato. Loro, il Cerchio d'Oro, l'hanno fatto. La speranza è che, in realtà, questo non sia che un inizio. Quanto meno di una nuova bella storia di musica, fatta soprattutto di concerti.
Di solito, quando si ascolta un disco “di genere”, bisognerebbe citare tutto il citabile. Io proverò a non farlo (conosco anche io Balletto di Bronzo, Rovescio della Medaglia, i Trip del grande Joe Vescovi e conosco ovviamente Genesis, Nice, Yes e compagnia). Non lo voglio fare perché sarebbe irriguardoso nei confronti di musicisti che hanno scelto liberamente un linguaggio col quale esprimersi. Che non è tutto loro, ma che è anche loro.
Viva il Cerchio d'Oro e viva “Il viaggio di Colombo”, dunque. Ora smetto di scrivere. Voglio riascoltare “Sognando la meta”. Lo confesso: è la mia preferita.

Ascoltiamoli e vediamoli in abiti d'epoca

lunedì 17 novembre 2008

Espers



Mi sono stati suggeriti gli Espers, ed ecco il risultato della ricerca.

Gli Espers si formano a Philadelphia nel 2002, dall'incontro di Greg Weeks, Meg Baird e Brooke Sietinson, e col tempo diventano un sestetto, con l'aggiunta di Otto Hauser, Helena Espvall e Chris Smith.
Le loro canzoni sono di stampo Folk e Psichedelic Rock .
Il loro Lp di esordio è l'album omonimo del 2003 seguito da "The Weed Tree" (2005) e "II" (2006).
La loro è una ricerca della sonorità perfetta, creata dall'alchimia tra corde di chitarra, violoncello, fiati, flauto, synt analogici e tastiere. I toni sono cupi (manca la solarità dei gruppi folk anni 60) e i testi si rivolgono più all'introspezione, grazie anche alla voce sognante della Baird che ben si intreccia con quella di Weeks.

Ecco cosa dice di loro Onda Rock , recensendo "Espers", il loro primo lavoro.



Se la purezza si misurasse in attimi di tempo rubati al normale scorrere del quotidiano, diremmo che gli Espers sono la purezza nella sua forma più incontaminata. Perché il loro disco riesce ad astrarre il sogno dalla realtà, l'incanto dal concreto, perché la loro musica è il tuffo in un limbo imperituro, dove il suono è stato cristallizzato in un istante dilatato all'infinito. Greek Weeks, già autore di due buone prove soliste, Meg Baird e Brooke Sietinsons sono il nucleo centrale del gruppo di , autore di un folk psichedelico d'alta classe, memore della lezione di Fairport Convention e Incredibile String Band, condita con l'atemporale ed evocativo fatalismo della regina delle tenebre, Nico.
Ebbene sì, suonano una sorta di psychedelic folk gli Espers, una musica triste e sognante, a tratti straniante, soprattutto quando cuspidi elettriche vanno a violentare quell'innocente incedere acustico. Otto ballate, otto piccoli preziosi gioielli, che eccellono per scrittura e arrangiamenti, già perfette e mature, non come una band all'esordio, ma come l'ennesimo disco di un collettivo alla spasmodica ricerca della perfezione in musica; gli Espers l'hanno già raggiunta al primo colpo. Sinuosa ed evocativa si snoda "Floowery Noontide", perfetto pezzo d'apertura che dischiude agli animi sensibili quell'incontaminato mondo dei sogni abitato dalle incantate gracilità di Joni Mitchell, dai carrillon dorati di Sandy Denny che irradiano polvere di stelle. "Meadow" è un cortocircuito temporale di fine fattura, dove la sinergica fusione canora della Baird e di Weeks è accompagnata da uno stuolo d'archi fluttuanti in sottofondo, che contrappuntano lo strimpellare delicato della chitarra; emozionante come i migliori Dirty Three. Anche i feedback più chiassosi sono impregnati di estatica dolcezza, come in "Riding", che parte acustica e si dispiega in interessanti divagazioni psichedeliche. Tanti sono i richiami al passato, al tempo glorioso del British folk, ma lungi dall'essere semplice impeto revivalistico, perché il sound degli Espers si autoalimenta della sensibilità dei suoi autori, di una visione evoluta della musica, che non ha paura di sperimentare, pur nel rispetto della tradizione; testimonianza diretta ne è "Travel Mountains", una sorta di spirale psichedelica che mescola incestuosamente Popol Vuh, Fairport Convention e Charalambides, così vicina al richiamo sibillino di una sirena che attrae naviganti in un mare in tempesta. In "Voices", maestosa celebrazione dei propri luoghi d'origine, un tappeto d'archi in statica progressione, alla Silver Mt Zion, fa da culla ai ricordi del tempo che fu, sotto forma di sussurri e melanconiche mescolanze di suoni antichi. Mentre "Byss & Abyss" richiama i mondi fiabeschi dei primi Ling Crimson, il disco trova la sua realizzazione definitiva nella composizione più semplice, "Daughter", chitarra voce e archi per tre minuti e tre secondi di languido estraniamento dalla realtà. Un disco incredibile, un'esperienza indescrivibile, canzoni che riescono a raggiungere gli anfratti più oscuri dell'animo umano e a donarvi una luce fioca ma rigogliosa allo stesso tempo.

Riding





Citazione del giorno:

"Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano" (Antoine De Saint-Exupery)

giovedì 13 novembre 2008

Ane Brun


Una carriera tanto fulminea quanto prolifica, quella di Ane Brun...

... sorprendentemente ricca di riconoscimenti che forse altrove avrebbero potuto portare a una maggiore visibilità di quella che le ha riservato finora il distratto vecchio continente. La trentaduenne di origini norvegesi Ane Brunvoll, da diverso tempo residente in Svezia, ha imbracciato per la prima volta una chitarra solo undici anni fa, e già si ritrova alle spalle un album live, un “duets” e due album in studio, il secondo dei quali, “A Temporary Dive”, le ha permesso di ottenere diverse nomination per premi scandinavi ed europei, nonché il riconoscimento del prestigioso “Best Female Artist” conseguito ai Norwegian Grammy Awards del 2005. La quinta fatica discografica di Ane Brun nasce sotto una scintillante stella, poiché a produrre l’album è quello stesso Valgieir Sigurosson il cui nome si è già affiancato a numerosi artisti di spicco della scena musicale alternativa(Bjork,Mum). “Changing Of The Seasons”, terzo lavoro in studio di Ane, si presenta con un piglio più deciso e un impatto più “estroverso” rispetto al precedente “A Temporary Dive”, col quale condivide ancora un particolare approccio cantautoriale al pop, evidente sia nell’intima delicatezza dei testi che nel fragile lirismo di alcuni passaggi strumentali, arricchiti qui da un picking chitarristico fortemente emozionale (“Changing Of The Seasons”, “Raising My Head”, “Gillian”) e da un intenso e talvolta inusuale (“The Puzzle”, “Armour”) intrecciarsi di pianoforte e archi.A completare il quadro è la straordinaria voce di Ane, principale protagonista della scena, che col suo sentore vagamente profumato d’anice inebria completamente l’ascoltatore, sprofondandolo in un sogno avulso da ogni realtà, scevro dalla consapevolezza del tempo che passa. Questo lavoro pecca purtroppo di una certa incostanza nell’esito dei vari brani, fattore probabilmente legato alla (comunque ammirevole) volontà di osare maggiormente rispetto a quanto fatto in precedenza, ciò comportando una certa disomogeneità nel risultato corale, dove il seppur apprezzabile tentativo di spaziare in territori stilistici diversi si scontra con il rischio di “slegare” eccessivamente i singoli elementi tra di loro, dando a volte la sensazione di un ascolto “a singhiozzi”. Tuttavia, “Changing Of The Seasons”, forse anche in virtù del coraggio dimostrato, risulta essere un lavoro piuttosto interessante, indice di una personalità curiosa e dinamica, protesa verso un processo maturativo che con queste tredici tracce già si preannuncia caratterizzato da una raffinata delicatezza e da una disinvolta padronanza tecnica (da Ondarock) .

Ascoltiamola

The Puzzle



Citazione del giorno:

"Le parole che non abbiamo pronunciato sono i fiori del silenzio" (Proverbio Giapponese)

mercoledì 12 novembre 2008

Elbow


Gli Elbow sono ....

Mark Potter (chitarra), Richard Jupp (batteria), Craig Potter (organo), Pete Turner (basso) e Guy Garvey (voce).
Si incontrano all'inizio degli anni '90 in un college a nord di Manchester, decidendo di formare una band, i Soft.
Dopo il cambio di nome a Elbow, arriva anche un cambio di genere: dal funk degli esordi passano a un prog-rock che permette loro di firmare con la Island, nel 1998.
Il gruppo si ritira nella campagna francese per incidere, ma resiste per 16 ore: la convivenza finisce in litigata e la Island rescinde il contratto.
Per fortuna degli Elbow, la V2 offre loro la possibilità di pubblicare due EP (New Born e Any Day Now), cui segue, nel 2001, Asleepin the Back, l’LP di debutto del gruppo: il disco ottiene un riscontro di critica notevole, vincendo il prestigioso Mercury Prize.
Nel 2004 arriva Cat of Thousands, il cui titolo si riferisce ad un coro di migliaia di persone registrate durante un concerto a Glastonbury.
Leaders of the World arriva nel 2005, mentre nel 2008 è la volta di The Seldom Seen Kid, che permette alla band di vincere nuovamente il Mercury Prize.


DISCOGRAFIA ESSENZIALE

ASLEEP IN THE BACK
CAST OF THOUSANDS
LEADERS OF THE WORLD
THE SELDOM SEEN KID


The bones of you



Citazione del giorno:

"La cultura è un ornamento nella buona sorte, un rifugio nell'avversa" (Aristotele)


martedì 11 novembre 2008

Amy Macdonald



Amy Macdonald è nata nelle vicinanze di Glasgow.

In giovinezza le sue giornate erano spese sognando pellegrinaggi ai vari festival musicali come il "T in the Park", dove avrebbe voluto ascoltare la musica di cantanti famosi.
A 12 anni, ispirata dall'abilità di cantautore di Fran Healy, frontman dei Travis, iniziò ad usare la chitarra del padre, ex componente di un gruppo pop, e imparò da sola seguendo gli aiuti di "how to play a guitar" su internet piuttosto che seguendo lezioni tradizionali.
A 15 anni, dopo un incontro a scuola con una music community, chiamata Impact Arts, e composta da musicisti locali, venne spinta ad esibirsi in shows dell'area di Glasgow, organizzati dalla stessa Impact Arts e nei quali, oltre alle proprie composizioni, suonò anche cover come "Everybody Hurts" dei R.E.M. e una versione lenta di "Mad World" (quella del film Donnie Darko).
Grazie a questi shows ottenne la possibilità di esibirsi in Coffeehouse della Starbucks, a Glasgow ed Edimburgo e col successo ottenuto venne invitata a seguire in un mini-tour scozzese proprio i Travis (seguiti nello stesso periodo anche da Paolo Nutini), partecipando anche a festival musicali come Glastonbury Festival, Hyde Park Calling, V festival e T in the Park, che aveva tanto sognato da ragazzina.
Grazie a queste partecipazioni si assicurò un accordo con la Vertigo Records, già parte dell'Universal Music Group e casa discografica dei The Killers e dei Razorlight, e pubblicò i primi due singoli, "Poison Prince", il 7 maggio 2007, una canzone sulla torturata vita di Pete Doherty, inizialmente rilasciata in edizione limitata solo on-line, e Mr Rock & Roll, che la portò finalmente nella Top 20 del Regno Unito.
Ha anche presentato una versione live della canzone "Mr. Brightside", dei The Killers, registrata al King Tut a Glasgow.
Il suo album di debutto, "This Is the Life", è stato pubblicato il 30 luglio 2007 raggiungendo la 2° posizione nella classifica album della Gran Bretagna dopo una settimana dall'uscita e capace di arrivare alla prima posizione sei mesi dopo la data di uscita, il 13 gennaio 2008.
Oltre a questi ha pubblicato altri due singoli di minor successo, " L.A." e "Run".




Dal 24 maggio 2007 ha iniziato un tour che l'ha portata ad esibirsi in molte città del Regno Unito e in molte grandi centri nord-europei, con conlusione il 17 agosto 2008 al V Festival.

This is the Life