In questo 6° blocco
lasceremo per un attimo da parte (ma solo relativamente!) i Jethro Tull e il
loro leader per mettere al centro del palcoscenico un personaggio senza il
quale, molto probabilmente, il sito che ci ospita non sarebbe mai nato.
Qualcuno di voi avrà già capito a chi mi riferisco. Sì, cari Itulliani vecchi o
giovani che siate, stiamo parlando di quel grande musicista – per molti aspetti
artisticamente scorretto, cioè troppo originale per rientrare in qualunque
rigida etichettatura jazzistica – che è stato Rashaan Roland Kirk.
Nato nel 1935 a Columbus (Ohio) e divenuto cieco in
giovanissima età, Ronald (questo il vero nome di battesimo, cambiato poi in
Roland) è stato un artista difficilmente catalogabile: usando la tecnica della
respirazione circolare suonava praticamente tutti i fiati, dai sax e clarini tradizionali
ad altri di sua stessa concezione (come lo stritch o il manzello), fino a tutta la famiglia dei flauti (incluso
il celebre nose flute) molto spesso
contemporaneamente. La sua concezione musicale, pur rifacendosi agli stilemi
più consolidati del jazz, era sostanzialmente un insieme di varie influenze, a
volte contraddittorie, ma tutte legate da un elemento fondamentale: l’urgenza
di esprimere il proprio buio mondo interiore attraverso la manipolazione e
l’esasperazione melodica e armonica di ogni tipo di materia sonora. Incluso un
orologio a cucù, acquistato durante un tour, che gli ispirerà l’intro del suo
brano flautistico forse più noto, Serenade to a Cuckoo,appunto (1964). Cioè quello che la leggenda tulliana narra essere
stato il primo pezzo in assoluto suonato sullo strumento da Ian Anderson, che
ha influenzato la sua tecnica e che poi è diventato la traccia numero 5 del
primo album dei neonati Jethro Tull, This
Was. In questo video, Kirk lo ripropone al pubblico durante la sua
partecipazione al Montreux Jazz Festival, 1972:
Già cantata da Ian, con nostalgia domestica da emigrante nella grande
Londra (“The Smoke below”), in Up the ‘Pool
(album Living in the Past, 1972),
Blackpool, città del Lancashire e una delle principali località balneari del
Regno Unito, torna ad essere protagonista 4 anni dopo in Big Dipper (album Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die,
1976). Il titolo richiama un’istituzione della città, le montagne russe, parte
del grande parco divertimenti (“the Pleasure Beach”) che si staglia, insieme alla celebre torre di
ferro stile Eiffel, sullo skyline del Golden Mile, il lungomare di Blackpool.
In questa
specie di Rimini inglese, tra un bagno nelle fredde acque del mare d’Irlanda e
una tazza di tè, non mancano certo le occasioni per tentare la sorte in qualche
coloratissima sala giochi. Anzi, nelle numerose penny arcades, dove
l’azzardo è lecito e regala ai turisti illusioni a buon mercato.
IPSE
SCRIPSIT-DIXIT
“Normally we have a drink at the hotel and then go to
bed to read Agatha Christie novels. Or we sit around and say: "Hey,
remember the time back in '73 when ..." and that's all we talk about”
(Di
solito ci facciamo un drink all’hotel e poi ce ne andiamo a letto a leggere i romanzi
di Agatha Christie. Oppure restiamo seduti dicendo “Ehi, vi ricordate quella
volta nel ’73 quando…” ed è tutto quello di cui parliamo)
Altro che vite dissolute da rockstar, sesso,
droga e rock’n’roll… Forse è proprio grazie a questa ordinaria e in fondo
rassicurante normalità che Anderson e compagni sono ancora in giro alive and well and living in !
“Happiness”
è l’album solo di Fernando Saunders, il polistrumentista e
produttore americano che spesso abbiamo visto accanto a stelle del rock di
prima grandezza.
Si è soliti applicare la proprietà
transitiva anche a chi calca i palchi, e se un session man suona
accanto ad un “Dio”, sarà… minimo un santo! E di solito è così, il talento
richiama talento. Ma essere virtuosi di uno o più strumenti non significa
automaticamente saper condurre un’orchestra, e quindi ci si avvicina sempre con
un po’ di curiosità a chi si cimenta nella “produzione propria”, deviando
leggermente il proprio percorso.
Fernando è stata per me una grande
rivelazione.
L’intervista a seguire chiarirà nei
dettagli le dinamiche e i risvolti che hanno portato alla realizzazione di “Happiness”, ma il viaggio personale che
si sviluppa nelle tredici tracce dell’album è caratterizzato da dimensioni che
oltrepassano le tipiche caratterizzazioni. Rock? Pop, Soul?
Direi… una vita di musica rovesciata
in un contenitore capace di miscelare generi e sentimenti, e in grado di restituire emozioni che cambiano ad ogni
passaggio. Sono questi i casi in cui un album - ma capita anche con un libro -
diventa il primo bilancio di un’esistenza, e lo sforzo che si compie è elevato,
perché concentrare lunghi periodi di storia in minuti di musica - o poche righe
di book - è impresa ardua. Fernando riesce nell’intento, con una buona dose di
semplicità e linearità, con il solo lasciarsi andare agli istinti, e con largo
uso di un’intelligenza specifica affinata nel tempo.
I suoi ospiti principali - Suzanne Vega,Jan
Hammer e Lou Reed - impreziosiscono il disco, è evidente,
ma occorre sottolineare che sono i normali compagni di viaggio di Fernando, e
il compito che lui ha loro assegnato è preciso, studiato per le loro
caratteristiche e per il contesto, come sottolineato nello scambio di
battute a seguire.
“Happiness”
è anche un disco che può arrivare ad un’audience variegata, perché brani come “Reviens
Cherie”, “Feel Like Crying” o “Plant
A Seed”toccano i nervi scoperti che tutte
le anime sensibili posseggono, e quando le trame vocali si intrecciano a
liriche cariche di significati e musica d’impatto, il risultato che si ottiene
è maggiore della somma dei singoli, o ogni regola matematica viene superata
dall’arte.
Vorrei spendere una parola in più per un brano che di parole non ne ha, “The Soul ofOstrava”, una rincorsa
tra fisarmonica e basso fretless, scritta da Fernando in collaborazione con Zdenek
Tlach, tre minuti e mezzo di struggenti atmosfere, e note che … piangono.
Solo la musica ha il potere di pilotare le emozioni!
Fernando Saunders ha risposto alle
mie domande.
Sta
per vedere la luce “Happiness”, l’album che uscirà per Videoradio. Come nasce
la collaborazione con l’etichetta
italiana?
La collaborazione nasce per merito di un mio amico italiano,
Giovanni Pollastri; ci siamo conosciuti pochi anni fa, quando stava lavorando
con la Venus Records, promuovendo il mio album, “I will break your fall”. Da quel momento siamo rimasti in contatto
e ritrovandoci dopo qualche anno abbiamo pianificato di lavorare ancora insieme ad un nuovo progetto
che fosse completamente di “Fernando Saunders”, e che potesse rappresentarmi
come un artista completo, cantante, bassista, chitarrista ecc.., e abbiamo vagliato
differenti opzioni. Come tu sai la vita riserva sempre nuove sorprese … si
entra in un grande cerchio alla ricerca di risposte e… io le ho trovate in
Italia, e il momento magico è arrivato quando Giovanni mi ha presentato a
Videoradio e RaiTrade, ed è stato un matrimonio realizzato… in Paradiso! Mi è
stata concessa totale libertà creativa, che per un artista è un sogno, ma tutto
ciò comporta una grossa responsabilità, che conosco bene essendo anche io un
produttore, obiettivo e onesto con me stesso. Videoradio, RaiTrade, Giovanni ed
io siamo stati a stretto contatto nel corso della registrazione dell’album. In
più abbiamo utilizzato alcuni brani che facevano parte di un disco che non è
stato realizzato in Italia, così sono stati remixati con l’aggiunta di un nuovo
feeling e nuovi “colori”.
Qual
è l’elemento conduttore che lega i brani del tuo nuovo album?
Il collegamento tra i vari brani è… il “piantare nuovi semi”. Quando tutto sembra perduto la vita ci
riserva una seconda chance, anche quando la perdita riguarda qualcuno che
amiamo o amici che ci circondano. I genitori sono come alberi, e gli alberi
fanno crescere le foglie, ma anche l’albero un giorno morirà, e le foglie, che
sono i figli, diventeranno il nuovo albero. Non è una buona metafora?
L’album racconta differenti storie di vite, dove tristezza e
gioia si alternano. La prima canzone è ”Feel Like Crying”, dove duetto con Suzanne Vega. E’ una canzone su
come tutti ci possiamo sentire, con la voglia di piangere o di morire, ma continuiamo a provarci … e l’ultimo brano
“Faith Losing Time”, ha per tema la
fede e il suo mantenimento. Direi che “Happiness”è un divertente viaggio di vita,
tra musica, liriche e… guarigione.
In
“Happiness” sono presenti grandi ospiti internazionali, da Susan Vega a Jan
Hammer sino a Lou Reed. Come avvengono le scelte? I brani in cui compaiono sono
particolarmente adatti alle loro caratteristiche o esistono altre motivazioni
tecniche o … sentimentali?
Sì, ogni canzone è particolarmente adatta alle caratteristiche
degli ospiti, Suzanne
Vega, Jan Hammer e Lou Reed. Dal momento che, in un modo o
nell’altro lavoro con tutti loro, avevo una visione chiara di ciò che sarebbe
stato più funzionale al progetto. Siccome ho completato l’album nella
Repubblica Ceca (Ostrava e Praga), ho
pensato sarebbe stato bello mostrare il mio rispetto a Jan Hammer - che è nato in
quella zona - facendolo suonare in “Reviens
Cherie”, che scrissi anni fa, quando lo incontrai. Lui è stato anche uno
dei primi grandi artisti con cui suonai quando arrivai a New York, una band che
presto diventò il "Jeff
Beck/ Jan Hammer Group". Mi ha insegnato molto sulla musica ed è
stato lui ad introdurmi in Europa. Così l’ho chiamato e gli ho detto: ” Sono nella tua patria per registrare il mio
nuovo album, vuoi farne parte?”. Gli
ho mandato a New York, dove lui vive, la traccia audio di “Reviens Cherie”, e il brano gli è piaciuto molto e lo ha
impreziosito con un suo fantastico “solo”.
Che dire di Suzanne Vega... stavo
facendo uno show con lei, Lou Reed e Joan Baez per il presidente Vaclav Havel,
l’ultimo della Cecoslovacchia. Nell’occasione le diedi supporto morale e lei si
è offrì di cantare con me non appena io avessi realizzato un nuovo disco.
Lou Reed… avevo cantato con lui molte volte la canzone “Jesus”; io amo la musica gospel e così
ho sentito che sarebbe stato bello aggiungere una performance live al disco. Ho
prodotto una registrazione dal vivo, mia e di Lou, mentre cantiamo “Jesus”, che poi ho remixato con Giovanni
Pollastri: molti fan di Lou Reed non sanno che è una sua canzone, e pensano
l’abbia scritta io, essendo Lou ebreo. Ma lui è innamorato del gospel e del
soul. Come vedi per ciascuno di questi ospiti esiste una motivazione
sentimentale.
Ho anche altre idee relative a collaborazioni future, con artisti con cui
ho già lavorato, come Jeff Beck, Steve
Winwood, Slash, Anthony & The Johnson, Joan Baez ... etc…
è una lista molto lunga!
Mi piace miscelare il vecchio ed il
nuovo, ma come possiamo vedere oggigiorno il …”vecchio è il nuovo!”.
Nell’album
suoni il basso, la chitarra, canti, e di mestiere fai anche il produttore. Qual
è la veste in cui ti trovi maggiormente a tuo agio?
Mi sento a mio agio in tutti i ruoli che hai elencato. Suono il
basso, canto, faccio il produttore e
molto altro… come i colori di una tela, tutti gli strumenti, compresa la voce,
sono per me colori. Il “produttore” che c’è in me rispecchia il mio lato
organizzativo, quello da dove nascono tutti i sentimenti.
Quali sono
le collaborazioni musicali del passato che ti hanno dato maggiore
soddisfazione?
Ricordo con
piacere Hamilton Bohannon, quando ero
un adolescente e vivevo a Detroit… oppure Marianne Faithfull, Larry
Young, Kip Hanrahan, Jeff Beck , Eric Clapton, Jimmy Page,
Anthony & The Johnson, Lou Reed, John Mclaughlin e molti altri.
Comunque puoi vedere la lunga lista entrando nel mio sito:www.fernandosaunders.net
Come definiresti
il tuo genere musicale?
Il mio stile è un misto di esperienze che ho elaborato lavorando
con i diversi artisti a cui accennavo; è come fare un minestrone e la mia
grande influenza deriva dalla Detroit Motown, caratteristica del luogo in cui
sono nato. La melodia e i cori sono molto importanti … è una vecchia concezione
musicale ma funziona; anche Bob Marley era un grande fan di quel movimento e lo
puoi dedurre ascoltando la sua musica: melodia e cori. Direi quindi che la mia
musica è un misto di soul, pop, gospel, rock e folk, e credo che potrei dire di
essere la schizofrenia applicata alla musica!
E’
previsto un tour di presentazione dell’album nel nostro paese?
Sì, il tour è in preparazione, ma
occorre individuare la giusta agenzia per organizzarlo efficacemente, perché è fondamentale
trovare il modo corretto per presentarmi come
artista “solo”, e far conoscere la mia musica al pubblico italiano.
Come
giudichi l’attuale stato del businnes legato alla musica?
Sento che il businnes musicale sta cambiando… come tutte le cose
DEVE cambiare, ma non so dire se è incanalato verso un miglioramento o, al
contrario, ci aspettano momenti ancora più bui. Le cose si muovono in modo
circolare e credo che per i CD succederà come per i libri, perché siamo umani e
amiamo il contatto fisico che si può avere con un CD o un libro, ma da’altra
parte è bello avere la possibilità di scaricare dalla rete la musica che ci
piace.
Il grande problema che vedo è che il 30% della gente nel mondo
non crede nell’utilità dell’acquistare CD , e vede la musica come una totale
fruizione gratuita. Anche youtube è una grande idea, ma chi ha più bisogno di
comprare un CD o una canzone quando può ascoltare, scegliere e scaricare dalla
rete? E’ anche vero che in questo mondo digitale si può raggiungere facilmente
un vasto pubblico, ma naturalmente è molto difficoltoso per gli artisti e per
le etichette discografiche sopravvivere. Il businnes della musica troverà forse
un compromesso, utilizzando un po’ di “vecchia scuola” e riportandola sulla strada,
invece di dipendere da facebook e youtube. Ma sono contento che gli artisti
abbiano maggior libertà creativa senza dipendere dalle case discografiche, e in
questo modo si può trovare la via per lavorare di comune accordo.
Io vedo il mondo della musica in continua crescita, e il mio
album “Happiness” può essere un buon esempio di prodotto in piena
collaborazione tra artista, etichetta discografica e management: lavorare in
team è sempre vincente!
Che
importanza dai alla la tecnologia nel tuo lavoro quotidiano?
Amo l’evoluzione tecnologica, è
importante nel mio lavoro e negli aspetti comunicativi. Ma la tecnologia deve
essere controllata e non deve essere lei a controllare noi, e poi… è
fondamentale mantenere il contatto umano, laddove è possibile.
Potresti
definirti un uomo… felice?
Sì, un uomo e un gentiluomo; di
tanto in tanto esce l’adolescente che c’è in me, e quando canto con tonalità
molto alte emerge il mio lato femminile, che io chiamo scherzosamente
“Fernanda”.
Ho letto qualcosa di veramente
bello scritto da Bruce Springsteen a proposito dell’essere uomo: “ E’ tempo di vivere diventare un uomo”. La
stessa citazione potrebbe andare bene per una donna.
Sì… sono molto felice, e
orgoglioso del mio nuovo album “Happiness”. Realizzare questo disco mi ha spinto
ad andare in profondità, guardarmi dentro ed aprire molte porte che erano rimaste
chiuse… e questo nuovo inizio come artista solista mi ha portato ad iniziare un
nuovo capitolo della mia vita.
Biografia
Nato a Detroit, Michigan (USA), Fernando Saunders non è solo conosciuto
come un ottimo bassista, ma anche come compositore e produttore. Sin dagli anni
Ottanta ha solcato i palchi di tutto il mondo, lavorando con artisti della fama
di Lou Reed e Marianne Faithfull, con i quali ha scritto e prodotto alcuni dei
loro ultimi album; in passato ha fatto parte come elemento chiave del
prestigiosissimo progetto a cavallo tra rock e jazz The Jeff Beck/Jan Hammer Group. Enorme anche l'attività dal vivo
che lo ha visto collaborare, tra i tanti nomi, con Joan Baez, Jimmy Page, Eric Clapton, Steve Winwood, John McLaughlin,
Joe Cocker, Slash, Tori Amos e persino
Luciano Pavarotti.
Rolling Stone Magazine ha definito i brani del suo album 'I Will Break
Your Fall', pubblicato nel 2006, come 'bellissime pop song d'autore, che
arrivano a toccare il cuore delle corde'.
Il suo stile varia dal pop al rock, dal latin al soul, e Fernando
si sente a suo agio in ognuno di questi territori musicali, che fanno da sfondo
alla sua vellutata voce tipicamente soul.
Venerdì 30 novembre alle ore 21.15 nelle splendide sale del Castello Canevaro a Zoagli (GE) si terrà "Word
Sculptures - racconti e note di una leggenda...",
un incontro con il leggendario vocalist, bassista e chitarrista
inglese Greg Lake.
L'evento arriva all'inizio del tour
italiano di Lake, assente dal nostro paese dal 1997, nel pieno di un suo
intenso periodo di riflessione autobiografica: non a caso il suo
nuovo tour solista di chiama Songs Of A Lifetime: An Intimate
Evening With Greg Lake, presentato proprio con il motto "La
musica, gli aneddoti, domande e risposte con il pubblico e molto altro".
Greg Lake ha dichiarato: "L'idea
di una performance intima e autobiografica è una grossa sfida, è qualcosa di
talmente stimolante che il solo pensarci mi emoziona: ho voglia di creare uno
show diverso ogni notte, memorabile e unico, inatteso e d'impatto. Un evento
intimo e imprevedibile insieme al pubblico".
Nato a Poole il 10 dicembre
1947, dopo aver militato con gruppi underground come Shame, Shy Limbs e
Gods, debutta nel 1969 con i King Crimson di In
The court Of the Crimson King. Sua la voce nell'indimenticabile
capolavoro del progressive, di cui interpreta l'atteggiamento più sfrontato e
virtuosistico - incarnando anche lo slancio melodico e la vocalità suadente -
con il supergruppo Emerson Lake & Palmer. Il trio, nel quale
canta e suona basso elettrico e chitarre, è tra i protagonisti del rock
internazionale degli anni '70: durante il decennio Greg collabora anche con Pete
Sinfield, fonda l'etichetta Manticore, dopo lo scioglimento del
gruppo lancia la propria carriera solista. E' un'avventura longeva
e di grande successo, tra collaborazioni importanti (da Bob Dylan a Ringo
Starr) e reunion con Emerson e Palmer, come quella del 2010 a
Londra. Nel 2005 Greg Lake torna dal vivo con la sua band e
ancora oggi è attivo on stage, con tanta voglia di raccontarsi.
Dopo la serata di Piacenza (28
novembre) e prima dei successivi cinque concerti (Roma, Bologna, Verona,
Trezzo sull'Adda e Firenze), Greg approfitta del suo soggiorno italiano per
incontrare il pubblico al Castello Canevaro, in una
serata organizzatadal Comune di Zoagli in
collaborazione con il promoter Paola Tagliaferro per ARTUPART e
il Festival Internazionale di Poesia di Genova, che già ospitò
Pete Sinfield e Peter Hammill. Ingresso gratuito posti a esaurimento.
Con l'artista inglese ci sarà Max
Marchini, firma di Rockerilla e autore del nuovissimo
libro Word Sculptures dedicato a Lake, che accompagnerà
il pubblico nella lunga e ricca carriera dell'artista tra musica,aneddoti,
racconti e ricordi.
L'amico Wazza Kanazza ci ricorda che... Novembre (nel bene e nel male), mese tulliano.
Il "Gerovital" era un farmaco contro l'invecchiamento,
noi abbiamo il "Jethrovital",
che ci aiuta a non invecchiare (almeno nella testa). Vorrei ricordare ai
Tulliani alcune ricorrenze novembrine… felici e tristi (meglio tardi che mai).
Novembre è il mese ricordato generalmente per i "morti", e
senza doppi sensi, vi ricordo che...
Il 2 novembre (per l'appunto) del 1947, nasce Dave Pegg, grande bassista, mandolinista e "caucciù", che
non è uno strumento ma è il tubo per svuotare le taniche di vino!, Mai visto
bere uno cosi! Fairport Convention e
Jethro Tull, sono i gruppi della sua
vita. (Happy Birthday Dave)
xxxxxxxxxxxxxxxxx
Il 17 (guarda caso) novembre del 1946 nasce Martin "Lancelot" Barre, mitico chitarrista dei Jethro
Tull, dal 1969 al 2011, poi accantonato da Anderson per "nuovi
progetti" - ma che glielo avrebbe "messo in quel posto" era da
anni nell'aria (vedi foto allegata!). Happy Birthday Martin.
Il 17 (guarda caso) novembre del 1946 nasce Martin "Lancelot" Barre, mitico chitarrista dei Jethro
Tull, dal 1969 al 2011, poi accantonato da Anderson per "nuovi
progetti" - ma che glielo avrebbe "messo in quel posto" era da
anni nell'aria (vedi foto allegata!). Happy Birthday Martin.
Sempre il 17 (poi dicono che è solo superstizione!) novembre del 1979, moriva John Glascock, basso e cori, dei Jethro Tull, pochi ma intensi
anni, con grandi album pubblicati,(la formazione a cui sono più legato
"sentimentalmente"). RIP John.
Un'altra disgrazia, sempre a novembre.
Il giorno 26, nel 2005, dopo una vana lotta contro un tumore al pancreas, moriva Mark Craney, batterista dei Jethro Tull
nel 1981, dotato di grande tecnica, apprezzato dai migliori batteristi
americani, grande amico di Doane Perry.
RIP Mark.
E per non farci mancare niente va ricordato (per molti fans una disgrazia),
che il 18 novembre 1983, usciva"Walk into light", primo lavoro
solista di Ian Anderson.
All'epoca si diceva che se c'era un artista che non aveva bisogno di fare
un album solo era proprio Ian Anderson… la grande delusione fu che tutti si
aspettavano un album di ballate folk-acustiche, con overdose di flauti,
mandolini, tin whistle, chitarre acustiche, e invece spiazzò tutti con un
mix tra Ultravox e Depeche Mode, in piena "coerenza" con i maledetti (musicalmente)
anni '80.
Anderson "giustificò" questo lavoro così: "Pensavo che mi avrebbe divertito molto registrare un album senza il
gruppo. Quando un gruppo registra un nuovo album, la maggior parte dell'anno se
ne va via in registrazioni, promozione, tour. Mi sono quindi deciso di
intraprendere questo mio progetto, non solo per il semplice fatto di creare
suoni, ma anche per imparare a registrare negli anni'80, in termini di nuove apparecchiature.
Con i Jethro Tull abbiamo sempre lavorato con un tecnico e anche se nel ruolo
di produttore ho una certa conoscenza di questioni tecniche, non mi sono mai
sentito totalmente responsabile e volevo imparare ad esserlo. Un'altra ragione
per cui ho deciso di tirar fuori un mio album è stata quella di evitare le
stesse persone... volevo lavorare da solo e scoprire da solo nuove cose. Poi
c'era il fatto che potevo lavorare in casa, stare vicino alla famiglia, per un
anno senza tour, imparare di nuovo a fare un disco in casa!".
Personalmente quando lo comprai, vedendo la copertina mi vennero dei
"sospetti"… capelli corti e stirati, look da impiegato dell'Inps… ma
dopo qualche sbandamento ho recepito il messaggio; Walk into light è un
lavoro a 4 mani, aiutato dal giovane prodigio dell'elettronica Peter John Vettese, che
avviò Anderson nel nuovo mondo dei "suoni campionati",
ed è praticamente un "tirocinio" alle nuove esigenze di
registrazione.
L'album vendette poco o niente, la critica non se lo filò più di
tanto, e i fans come sempre si divisero fra i "traditi" e gli
"innovatori"
Lo preferisco di gran lunga ad "Under
Wraps", e brani come Made in
england,Toad in the hole, End Game, non sono affatto male, e se fossi Anderson
li riproporrei dal vivo arrangiati alla Jethro… farebbero certamente un altro
effetto!
Penso che sia un album da rivalutare o almeno riascoltare senza
preconcetti, come sarebbe da rivalutare Vettese, entrato nei Jethro Tull rispondendo
ad un annuncio di "Melody Maker", diventato in seguito
un apprezzato tastierista e produttore di molti artisti di successo, reo
per i fans di aver "condizionato" Anderson alla svolta elettronica...
ma dai Anderson vi sembra uno che si fa condizionare!? Detto alla
Totò.."ma mi faccia il piacere!"
Infine il 30 novembre parte il "Thick as a Brick Italian" Tour,
dal Teatro Gex di Padova... per sei concerti. il Jethrovital funziona!!!
1° DICEMBRE AT MUDDY WATERS – J-J-J NIGHT THE
ROSE PER JANIS JOPLIN AL VOSTRO SERVIZIO - RIDERS ON THE STORM PER I DOORS E
DANIELE FRANCHI TRIO PER JIMI HENDRIX !
THE ROSE
"I The Rose sono il tributo Internazionale di Janis Joplin più autorevole e conosciuto d'Italia; la band ha un
attivo di circa 80 show all'anno in tutto il paese e anche all'estero.
Tara Degl'Innocenti, cantante professionista
e fondatrice della Band, è la leader indiscussa, non solo come frontwoman nei
panni di Janis Joplin, ma definita e consacrata da tutte le più importanti
testate di giornale del nostro paese come "MIGLIORE INTERPRETE ITALIANA DI
JANIS JOPLIN".
La testata
svizzera " Il Giornale del Popolo" definisce la talentuosissima
cantante come " LA JANIS JOPLIN ITALIANA" in occasione della seconda
apparizione di Tara al più importante Festival di Lugano, il: " BLUES TO
BOP FESTIVAL".
La band si è esibita con i BBHC,
band originale di Janis Joplin con i quali i The Rose hanno suonato il 1°
Novembre 2010 presso il locale Druso Circus di Bergamo, in uno show organizzato
dalla cantante Tara Degl'Innocenti che ha partecipato anche allo show “Woodstock
all'Emiliana”, insieme al chitarrista
Andrea Braido che omaggiava Jimi Hendrix.
Lo show
dei The Rose è ad alto impatto emotivo… la band cura minuziosamente ogni minimo
particolare dal sound fedele a quello magico degli anni '60 all'aspetto visivo,
e i musicisti sono vestiti a tema hippie e la cantante Tara possiede costumi
fatti su misura identici a quelli di Janis, oltre ovviamente ai leggendari
accessori come occhiali rotondi, boa, bracciali ecc..
Fra i prestigiosi locali e festival che ospitano
i The Rose si ricorda: Naima Club Forlì, Hard Rock Cafè Bucarest,Zurigo
Festival, Blues to Bop di Lugano, Sashall Firenze, Brudstock Festival, e molte
importanti rassegne e Festival Europei ecc.
L'attuale formazione dei Riders On The
Storm nasce a Genova nel 2009 dall'amore e dalla passione che tutti i membri
della band nutrono per i Doors, con l'intenzione di ricreare sia musicalmente
che spiritualmente l'atmosfera della storica band californiana.
La somiglianza vocale e
l'interpretazione del cantante fanno da traino ad una accuratissima
riproduzione strumentale dei pezzi, sostenuta dall'utilizzo della medesima
strumentazione che i Doors utilizzavano per i loro concerti.
Il repertorio della band si estende a tutta la discografia di Jim e soci,
comprendendo sia le hit più famose, sia numerose chicche per intenditori.
La scelta di avere il basso in
formazione ha lo scopo di poter riprodurre fedelmente non solo l'aspetto live
della band ma anche quello in studio.
Giovane chitarrista genovese, inizia la carriera professionale all’età di
diciotto anni accompagnando artisti del calibro di Daniele Silvestri e Beppe
Dettori dei Tazenda.
Calca numerosi palchi italiani e non con
la band Zibba&Almalibre, aprendo concerti di Jack Bruce, Gary Husband e
Robin Trower.
Con Zibba partecipa al Premio Tenco
all’Ariston di Sanremo, trasmesso su Rai2, ed al programma televisivo di Serena
Dandini e Dario Vergassola “Parla con Me” su Rai3.
Attualmente è all’attivo col “Daniele
Franchi Trio” composta da Davide Medicina al Basso ed Andrea Tassara alla
batteria proponendo un repertorio sofisticato tra il Blues e il Rock.
Nel Marzo 2012 esce il suo primo disco
"FREE FEELING" con ospiti quali Paolo Bonfanti, Sean Carney,
Francesco Piu, Ray Scona.
mentre
iniziavo a conoscere i nuovi profeti della musica “progressive”, incappai in
quello che per me ha sempre rappresentato l’inizio prog in Italia.
Parlo di “Collage “ delle Orme.
Ricordo
come fosse adesso quel giorno in cui il mitico Fulvio, sempre all’avanguardia
in fatto di informazione musicale, mi disse che era uscito un disco delle Orme,
e mi raccontò minuziosamente, come solo lui era capace di fare, ogni singolo
pezzo, lato A e lato B, con descrizione dell’eterea copertina.
Che stupore!
Le
Orme per me erano quelli di “Irene”, ovvero una canzonetta, bella, ma non certo
impegnativa. Acquistai il disco.
Sempre
attraverso Fulvio, avevo conosciuto gli ELP e l’accostamento
tra i due gruppi mi venne facile.
La
formazione a trio, la stessa tipologia di strumenti, le arie classicheggianti,
il bassista che canta….
Davvero
un bel disco.
Come
ho spesso raccontato su queste pagine, l’informazione del tempo passava
attraverso “Ciao 2001” ed oggi utilizzo la recensione originale per
proporre, attraverso gli occhi di Maurizio Baiata, il pensiero del tempo.
Il
contenuto può essere discutibile, ed è in ogni caso il sentimento di un
particolare momento, in un contesto di estrema eccitazione musicale.
Eravamo
molto giovani e sapevamo prendere con molto entusiasmo tutto “il nuovo” in
arrivo.
Evidenzio
comunque che le recensioni di Ciao 2001 avevano la possibilità di influenzare
pesantemente i giudizi e… gli acquisti.
Questo
è facilmente capibile, dal momento che non esisteva alternativa informativa, e
quel giornaletto era una specie di vangelo musicale.
IL
RIMPIANTO.
Ho
buttato via tutta quella “cartaccia” che riempiva la stanza troppo piccola.
Era
il momento in cui “Ciao 2001” rappresentava il passato, ma io ero ancora troppo
giovane per sentire l’esigenza di mantenere “le cose” che alimentano i ricordi.
Ovviamente
sono pentito e mi piacerebbe tanto avere ancora quei mini poster che un tempo
attaccavo alle pareti della stanza e sulle ante dell’armadio.
Fortunatamente
esiste internet e sono quindi in grado di proporre la recensione a seguire.
A
mio giudizio è un bel documento.
LE
ORME
Collage - Philips (1971)
"Era
molto tempo che in Italia si attendeva un disco veramente interessante. Fra i
cantautori avevamo avuto solamente un superlativo Francesco Guccini
("L'isola non trovata"), mentre lo stesso Battisti ha per buona parte
deluso con il suo "Amore e non amore". Fra i gruppi, dopo i tentativi
degli esordient, fra i quali segnalai i Trip ed i Gleemen, ed i
"ringiovanimenti" della vecchia guardia ("Id" della Nuova
Equipe 84 contiene qualche spunto interessante), sono usciti i New Trolls con
il loro "Concerto grosso", un medley gruppo-orchestra ad imitazione
dei Deep Purple, ed i Formula Tre con il loro secondo LP. Ma questo album delle
Orme mi sembra fra tutti decisamente il migliore.
"Collage"
premia gli sforzi di uno di quei gruppi nostri che fin dall'inizio hanno
cercato strade nuove, handicappati tuttavia dalla necessità dei 45 giri
commerciali, e dall'imitazione straniera fin troppo evidente.
Anche
qui i modelli stranieri sono facilmente lievabili: i Traffic in alcune linee
melodiche di vago sapore folk (Stevie Winwood ha influenzato sempre da vicino
la produzione dei Toni Pagliuca); e Keith Emerson, la cui recente esplosione ha
incoraggiato l'organista italiano in quel discorso di riaggancio al classico
già suo da tempo. Certe affinità espressive, la formazione triangolare (organo
e piano, basso e chitarra acustica e canto, batteria e percussioni), l'uso
temperato dell'elettronica, senza esagerato effettismo o sapore scenico,
avvicinano le Orme a quello che viene oggi definito il più preparato gruppo
inglese, gli ELP:
C'è però nello stesso tempo un lavoro di assimilazione personale da parte del
trio italiano, per cui Pagliuca, Aldo Tagliapietra e Micki De' Rossi approdano
ad un sound assai originale nell'attuale panorama nazionale. Nel barocchismo
formale della bellissima prima facciata, come nella moderata sperimentalità
della seconda, nei cantati che non tradiscono una certa impostazione
prettamente italiana (ogni tano fa capolino Battisti), come nelle porzioni
esclusivamente strumentali, che prevalgono, è sempre presente una linea comune,
che supera l'apparente frammentarietà dell'album, e ne costituisce la spina
dorsale al di là di ogni definizione stilistica.
"Collage",
che apre l'album e gli dà il titolo, è un pezzo di chiara fattura
classicheggiante, nelle forme ora trionfali dell'organo, ora quasi
minuettistiche del clavine. "Evasione totale", quasi sette minuti,
cerca un nuovo linguaggio espressivo mescolando il classico all'elettronico.
Gli altri brani hanno sapore realistico nei testi, e musicalmente evidenziano
temi ed arpeggi delle tastiere sorretti da un background ritmico eccellente.
Notevolissima "Cemento armato", che supera gli otto minuti.
I titoli sono tutti firmati Pagliuca-Tagliapietra, anche se al primo vanno i
meriti maggiori. E' presente a tratti l'orchestra diretta da Giampiero
Reverberi.
Un album "Collage" che dovrebbe occupare le primissime posizioni
della classifica italiana, in attesa di altre due speranze, i Panna Fredda e la
Premiata Fonderia (sic) Marconi.
Maurizio Baiata"
Il
filmato che propongo non è tratto da "Collage", ma è davvero antico,
e soprattutto conforta quanto appena scritto a proposito della similitudine con
gli ELP, dal momento che "Rondò" è lo stesso brano
"cavalcato" dai Nice di Emerson.