mercoledì 28 aprile 2010

Ainur


Grande scoperta Ainur.
Lunghe note biografiche per loro e oceanica intervista nel prossimo post.
Da ormai più di 70 anni le opere intramontabili di J.R.R.Tolkien affascinano e influenzano generazioni intere di artisti. Da “Il Signore degli Anelli” sono state tratte opere musicali, cinematografiche, letterarie, teatrali, pittoriche e molto altro: l’autore ha creato un intero mondo, ricco di personaggi, storie, luoghi e colori del tutto verosimile, un mondo in cui una volta entrati difficilmente se ne esce… Gli Ainur sono un progetto nato e cresciuto all’interno di questo mondo. In origine Luca Catalano, Gianluca Castelli e Marco Catalano avevano pensato di realizzare un contributo musicale di brani originali ispirati alle storie narrate ne “Il Silmarillion”, libro padre de “Il Signore degli Anelli”, in cui sono contenuti pressoché tutti i miti e le leggende dell’universo tolkieniano. Il progetto ha preso corpo ed alle prime composizioni tematiche sui singoli personaggi sono seguiti brani su intere vicende tratte dal libro dai toni decisamente orchestrali: così se in principio era prevista la realizzazione di alcuni brani rappresentativi, attualmente il gruppo è fermamente convinto di trasporre in musica l’intero contenuto del libro, dalla genesi tolkieniana (La Musica degli Ainur, da cui il gruppo prende appunto il nome) lungo tutto lo svolgersi dei Giorni Antichi, seguendo Tre Ere del mondo, fino alla Guerra delle Guerre che porrà fine al mondo.
Immediatamente si sono aggiunti due elementi che condividono diversi progetti con Luca, Marco e Gianluca: Giuseppe Ferrante al basso e Alessandro Armuschio alle tastiere (ed in seguito alla voce), entrambi musicisti rock dell’area torinese con molta esperienza alle spalle. Il contributo letterario è sempre risultato determinante all’interno del progetto: l’idea stessa de “La Musica degli Ainur” è nata all’interno del neonato Circolo Letterario Eärendil, luogo d’incontro degli appassionati tolkieniani di Venaria e dintorni. Wilma Collo, professoressa di lingua straniera, autrice di tutti brani originali del progetto è stata coinvolta in questa sede, data la sua straordinaria padronanza dell’inglese (lingua di cui Tolkien era cultore e studioso) ed i prestigiosi contributi da lei apportati a numerose riviste del settore. Anche il contributo di Chiara Neirotti, attiva studiosa di Tolkien di fama nazionale (sovente interviene in dibattiti durante l’annuale ritrovo de “La Società Tolkieniana Italiana”) è stato determinante nella creazione delle parti in prosa ad accompagnamento delle musiche.
Per realizzare il progetto sono stati chiamati diversi cantanti ad interpretare talvolta singoli personaggi delle storie narrate nel libro e talvolta semplicemente a dar voce alle canzoni. I cantanti appartengono a diverse estrazioni del panorama musicale piemontese e non: Simone Del Savio è un importante bass-baritono d’orchestra di estrazione puramente classica, Federica Guido, Urania Pinto e Elena Richetta hanno alle spalle repertori che variano dal rock al folk, al blues e al jazz, Massimiliano Clara ha radici più metal ma non disdegna il canto blues, Barbara Bargnesi invece è un soprano d’orchestra dell’area ligure. Nel corso delle composizioni è emersa sempre più l’esigenza d’inserire strumenti provenienti dal mondo classico e l’organico del gruppo ha visto l’allargamento a ben 19 elementi fissi: Cecilia Lasagno all’arpa, Carlo Perillo alla viola, Luca Marangoni al violino, Daniela Lorusso al violoncello, Chiara Marangoni al Corno francese e Corno da caccia, Chiara Garbolino al flauto, Alberto Paolillo al clarinetto.
Il debutto Live avviene il 13 Gennaio 2005 al Teatro La Concordia di Venaria Reale: gli Ainur suonano alcuni brani (quasi tutti finiranno poi sul primo disco della band “From Ancient Times”) preparati in studio tutti incentrati sulle vicende dei Tempi Antichi de “Il Silmarillion”: si configura subito uno spettacolo diverso dal solito concerto poiché l’approccio è basato su musica e video curati da Marco e Luca Catalano. Il pubblico gradisce ed il gruppo replica a maggio nello stesso posto ed anche in altri contesti torinesi mentre nel gennaio 2006 arriva il primo concerto a Milano in occasione di Tolkieniana I. La svolta accade nel maggio 2006: sebbene insperato, giunge un contatto discografico con l’Electromantic Music di Beppe Crovella, etichetta indipendente di stampo Progressive dell’area torinese che si è dimostrata entusiasta del progetto. Il primo CD esce in Italia a novembre 2006 e si affaccia nel mercato giapponese, europeo e statunitense a fine anno.



A settembre dello stesso anno il gruppo viene chiamato a Milano per una presentazione live del disco ed è in quest’occasione che Luca Catalano, Elena Richetta e Katia Schira presentano i nuovi costumi progettati su misura sullo spettacolo. Nel contempo la componente video del live si arricchisce di girati nuovi e di sequenze programmate ai brani e nel complesso la resa migliora di gran lunga. Inoltre per l’occasione il live viene ripreso digitalmente da un sistema di otto telecamere (il materiale verrà poi inserito nel DVD di “Children of Húrin”) e l’audio viene registrato in multitraccia. Nel corso del 2007 il gruppo esegue diverse presentazioni del disco presenziando a Milano, in occasione del 2° Festival Tolkieniana di Buccinasco, un evento di dimensioni europee, il 1 maggio, anche se i lavori per la realizzazione del secondo disco continuano incessanti: “Narn I Chîn Húrin” (trad. dall’elfico: “Children of Húrin”) doveva esserne il titolo essendo completamente incentrato sul libro di J.R.R.Tolkien “Children of Húrin”, che per un fortunato caso, dopo anni di lavoro da parte del figlio Christopher, era prossimo all’uscita. Nell’ambiente tolkieniano si è mormorato spesso circa l’uscita di questo disco in concomitanza con l’omonimo libro e non sempre è stata vista di buon occhio tale coincidenza. In realtà già nel 2004 Gianluca Castelli, Luca e Marco Catalano avevano cominciato la trasposizione in musica di 3 grandi opere tolkieniane assumendosi ciascuno la responsabilità di una delle tre e precisamente: Gianluca sarebbe stato il principale compositore di “Children of Hurin”, Luca di “Lai of Leithian” (noto maggiormente come il “Lai di Beren & Luthien”) e Marco si sarebbe occupato dell’epopea di “Fall of Numenor” assumendosi ognuno l’onere della realizzazione. In realtà la vastità del progetto ha consentito a tutti e tre i compositori di cimentarsi in ognuna delle opere anche se l’impronta del principale è rimasta in maniera molto profonda.
Nel frattempo avvengono anche alcuni cambi di formazione: Urania Pinto viene sostituita da Eleonora Croce alla voce, Cristiano Blasi (che negli anni ha sviluppato diversi talenti nel suonare i flauti etnici) diventa il nuovo flautista al posto di Chiara Garbolino e Alberto Paolillo lascia il posto a Leonardo Enrici Baion al clarinetto. A dicembre 2007 la prima di queste tre opere ha visto la luce: “Children of Hurin”, secondo disco ufficiale della band, (il gruppo ha poi optato per il nome in inglese e non per l’originale elfico) è stato ufficialmente presentato e interamente suonato dal vivo il 15 dicembre presso il Teatro la Concordia di Venaria (TO), città dove vivono molti degli Ainur. Vista l’occasione speciale dell’uscita simultanea dell’omonimo libro di J.R.R.Tolkien, il gruppo ha realizzato il disco in 2 edizioni: una con solo il disco singolo ed una confezione Deluxe che contiene oltre al CD un DVD ed un Libro Illustrato da Dino Olivieri, artista che da molto tempo collabora con la band. Nel DVD compaiono alcuni filmati di concerti oltre a documentari sulla storia degli Ainur e diversi contributi musicali, letterari ed artistici sull’opera del gruppo e di J.R.R.Tolkien.
Alla fine del 2009, dopo un lungo lavoro di orchestrazione e di rifinitura, esce il terzo disco degli Ainur: è Lays Of Leithian – Lays Of Beleriand Part II. Ancora una volta con la prestigiosa Electromantic di Beppe Crovella, il disco mette in scena una rivisitazione del racconto di Beren & Luthien, l’immortale e contrastata storia d'amore tra l’umano Beren e l’elfa Luthien che avrà poi un forte riflesso nella Terza Era, durante la guerra dell’Anello, tra Aragorn e Arwen. Per raccontare in forma musicale un’opera di ampio respiro come questa gli Ainur hanno pubblicato addirittura un doppio CD in cui s’intrecciano i temi di Beren, Luthien, Finrod, Sauron, Morgoth ed altri personaggi già presenti nei precedenti lavori della band. L’opera, scritta interamente da Luca Catalano, Marco Catalano, Alessandro Armuschio, Wilma Collo e Simone Del Savio, prevede l’ormai consolidata formazione a 19 elementi oltre ad ospitare la prestigiosa Orchestra da Camera “I Musici di San Grato” diretta da Edoardo Narbona in alcuni brani, Alessandro Cammilli del Teatro Regio di Torino all’oboe, Ferdinando Catalano alla voce e Alan Brunetta alle percussioni.

Discografia:

“From Ancient Times”, 2006 Electromantic Music;
“Children of Húrin” (Ed. Singola), 2007 Electromantic Music;
“Children of Húrin” (Ed. Deluxe), 2007 Electromantic Music;
“Lay of Leithian – Lays of Beleriand Part II”, 2010 Electromantic Music.

Formazione:

GIANLUCA CASTELLI - Tastiere, organo, piano
LUCA CATALANO - Chitarre, voci
MARCO CATALANO - Batteria, percussioni, voci
MASSIMILIANO CLARA - Voce
SIMONE DEL SAVIO - Voce Baritono
ELEONORA CROCE - Voce Soprano
FEDERICA GUIDO - Voce
ELENA RICHETTA - Voce, ballo
BARBARA BARGNESI - Voce Soprano
CECILIA LASAGNO - Arpa
GIUSEPPE FERRANTE - Basso
CHIARA MARANGONI - Corno
LEONARDO ENRICI BAION - Clarinetto
CRISTIANO BLASI - Flauto traverso
ALESSANDRO ARMUSCHIO - Tastiere, voce
CARLO PERILLO - Viola
LUCA MARANGONI - Violino
DANIELA LORUSSO - Violoncello

Ainur: www.ainur.it
Electromantic Music: www.electromantic.com
Info stampa: www.snpress44.com



martedì 27 aprile 2010

L'Hammond di Ettore Vigo


Dopo la dichiarazione d'amore per il mio strumento, la chitarra, Ettore Vigo, il mitico tastierista dei Delirium mi ha scritto la seguente cosa, che mi piace pubblicare:

"L’ho conosciuto nel 1967, nel 68 non ho potuto fare a meno di sposarlo, nonostante le sue pretese e i costi di mantenimento, siamo stati felici per tutti gli anni 70 poi per vari motivi mi sono stancato, lo sentivo pesante e a volte ingombrante, ho deciso di divorziare e da allora sono diventato un gigolò, continuo ad avere nuovi e vari rapporti con nuove realtà ma il calore che mi ha dato e l’amore che ho provato , non torneranno mai più,ora che sono passati 30 anni sono pentito e rimpiango i bei momenti passati con il mio... Hammond
ciao Athos
un attimo di nostalgia


domenica 25 aprile 2010

Richard Sinclair a Savona


La lunga settimana che ha visto Richard Sinclair protagonista a Savona è nata casualmente e ha avuto diverse tappe interessanti.
L’incontro tra Bruno Lugaro, bassista dei Nathan, e Sinclair, ex bassista dei Caravan, avviene in Puglia, la scorsa estate, casualmente.
Bruno, Monica( cantante dei Nathan e moglie di Bruno) e Revo sono in quel luogo per il festival di Fasano, e scoprono che da quelli parti vive Richard( in un trullo...questa è vera integrazione!), icona musicale che ha riempito gli anni della gioventù, attraverso dischi magici.
La figura di Revo risulterà fondamentale, perche il concerto di Savona passerà attraverso la sua passione musicale, che lo renderà l’artefice organizzativo.
Da un pomeriggio passato in un orto, a mangiare le ciliegie di Sinclair, si è arrivati all’idea di coronare un sogno: portarlo a Savona ed esibirsi con lui.
I Nathan stanno preparando un loro album, ma sino ad oggi sono stati una cover band dedita alla musica progressiva. Nel caso specifico, in occasione di questo concerto, hanno presentato un solo brano proprio e si sono “donati” anima e corpo a Sinclair, mettendo a sua disposizione capacità tecniche e logistiche, amicizie e Teatro.
Eh sì, il Teatro Chiabrera ha un grande fascino.
E’ lo stesso luogo che nelle ultime “occasioni rock” non aveva trovato il totale consenso di pubblico.
Ma in questo venerdì 23 aprile, ostacolato dalla pioggia, non è bastato lo spazio della platea per soddisfare i presenti, e alla fine tutti i loggioni erano occupati.
Una bella vittoria per chi ha faticato a mettere tutto insieme.
E’ bene sottolineare come questi eventi, che nascono dalla volontà di pochi e non sono fatti per guadagnare denaro, ma per soddisfare la fame di musica antica che spesso ci si porta dentro, molte volte si trasformano in un incubo per che deve tirare le fila:
Ci sarà gente a sufficienza? Saremo all’altezza della situazione? Come reagirà la gente?
Alla fine si tira un sospiro di sollievo, certi di aver portato a casa un risultato decoroso. Sì, perché alla fine chi mette passione nelle cose è sempre un vincente.
Ovviamente questo è solo il pensiero di uno che ha un minimo di esperienza nel settore , e ogni replica o precisazione sarà ben accetta.
Ad aumentare il tasso di difficoltà, il risicato tempo a disposizione per provare insieme.
Poche ore tra mercoledì e venerdì, e volontà di Sinclair di “trasformare”, nella costruzione e nella realizzazione, brani ormai dati per assodati.



Personalmente, dopo aver assistito a un’ora di prove, e dopo aver vista la tipica flemma inglese contrapposta alla concretezza italiana, ho pensato a un arduo lavoro da compiere.
Alla fine del concerto ho raccolto, più o meno volontariamente, alcuni commenti, e come al solito ho trovato entusiasti, normalmente soddisfatti, e delusi. Fortunatamente c’è differenza di opinione! Come da sempre dico, non sono in grado di commentare obiettivamente un evento di cui conosco bene la nascita e la realizzazione.
Tutto ciò che è stato “creato” assume ai miei occhi un grande valore, e qualche accordo fuori posto, o qualche episodio di voce calante, sono irrilevanti ai miei occhi di osservatore. Sul palco c’era la storia della musica, c’era Canterbury e i suoi eroi, e la cornice si è rivelata degna dell’evento.

Nel corso della settimana erano previsti alcuni incontri. Al Van Der Graaf pub di Fabrizio Cruciani, Sinclair ha avuto il suo primo approccio con gli ammiratori più stretti. Mi ha sorpreso la sua disponibilità, la sua voglia di coltivare nuove amicizie e il suo piacere nel prestare attenzione a tutti, compresi i più giovani.



Alle 18 del venerdì, giorno del concerto, la libreria Ubik ha ospitato un incontro, condotto da Riccardo Storti, scrittore musicale e organizzatore del Centro Studi Progressive Italiano. Nonostante il tipico ritardo, un buon numero di appassionati ha potuto seguire i lunghi racconti di Richard, capace di ondeggiare tra ricordi e competenze tecniche, tra aneddoti gustosi e verità musicali. Troppo poco il tempo a disposizione!





Piove a dirotto ma la gente arriva copiosa al teatro.
Con puntualità ferrea inizia lo spettacolo, con Sinclair che regala la sua filosofia di vita, e il suo indirizzo mail diventa di dominio pubblico, affinché nuovi amici possano idealmente entrare nel suo trullo. Riemerge con forza quanto sottolineato nell’incontro pomeridiano: la musica è semplicità, incontri casuali, tranquillità, amicizia e condivisione.
Sul palco, oltre a Richard:
Bruno Lugaro: Basso e voce, Piergiorgio Abba: tastiere, Marco Milano: tastiere, Fabio Sanfilippo : batteria, Michele Menardi: Flauto, Monica Giovannini :voci .
Il modo di proporsi di Sinclair è particolare, e la sua tranquillità( esperienza, carattere o un briciolo di incoscienza?) è evidente, mentre intravedo un po’ di tensione sui volti degli altri musicisti.
I brani si susseguono da “O Caroline” a “Share it”.
Su quest’ultimo brano vorrei citare il commento di Alberto Sgarlato: ” Una canzone che amo - direi morbosamente - da quando ero ragazzino. Per me l'esempio perfetto di come si "costruisce" una canzone: equilibrata, coinvolgente, geniale nelle melodie, elegantemente jazzata.
Condivido.
I Nathan hanno scelto di essere il contorno del concerto, per pudore e rispetto del loro santone( è solo una mia interpretazione), ma sono stati molto di più, per qualità, ma credo anche per il modo di concepire la musica di Richard Sinclair.
Più che citarli singolarmente è preferibile ascoltarli.




E poi l’epilogo con Revo sul palco.







Un ultimo ricordo.
Nel corso della cena di commiato ho chiesto a Bruno se avesse conosciuto Monica attraverso la musica, incuriosito e “invidioso” della situazione.
Risposta negativa... Monica, già cantante precoce, ha riscoperto col tempo passioni ormai sopite. Ma allora è vero che il Prog fa miracoli!?

E ora aspettiamo che Revo ci porti a casa i Gong.


venerdì 23 aprile 2010

ArtemisiA



BIOGRAFIA - ARTEMISIA

Gli ArtemisiA nascono nel novembre del 2006 nella provincia di Gorizia.
Inizia la composizione di brani originali di matrice rock in lingua italiana, registrano un demo che gli permette di partecipare al 1° concorso di Musica in Cantina e di arrivare in finale come secondi classificati, partecipano inoltre al Sumermusiclive (il live è visibile su myspace) e al Musicarci conquistando il secondo posto.

Dopo svariati concerti in regione e diverse interviste, le emittente radiofonica Lattemiele, trasmmette il singolo L’aliante ( registrato presso StudioMax) a seguire Radiogorizia 1 con ben tre brani inediti in rotazione per un mese.Al Festivalband, si ritrovano ancora sul podio.
Contattati in ottobre 2007 dalla casa discografica Videoradio di Beppe Aleo, nel mese di novembre entrano nello studio di registrazione Henry Stills di Andrea Rigonat (noto al grande pubblico per essere il chitarrista di Elisa ) per registrare il loro primo disco ufficiale dal titolo ArtemisiA con dieci brani inediti che li porteranno a promuoverlo in varie sedi come radio Capodistria ed in rotazione su varie radio locali.

A distanza di un anno, si ritrovano nuovamente in studio per il loro secondo lavoro dal titolo Gocce d’assenzio sempre distribuito dalla Videoradio di Beppe Aleo, che comprende undici brani inediti. Attualmente sono concentrati sulla promozione del nuovo lavoro in radio e con live promozionali.

Gli ArtemisiA sono:

Anna Ballarin: voce

Vito Flebus: chitarra

Fabio Corsi: basso

Matteo Macuz: batteria

L' intero CD o singoli brani sono scaricabili sulle piattaforme: Napster, Amazon, Deezer, Emusic, iTunes. L' album è disponibile anche ai "Live" degli ArtemisiA

ArtemisiA : http://www.artemisiaband.it/

Info: http://www.synpress44.com/




Perché vi chiamate ArtemisiA? La band prende il nome dalla denominazione latina dell’assenzio. Olio che veniva usato verso la fine dell’800 dai cosiddetti “poeti maledetti” come Mallarmé, Verlaine e Rimbaud che ne traevano spunto per le loro opere.

Come nasce la voglia di fare un gruppo? Nasce prevalentemente dalla voglia di aggregazione e di comunicazione. Creare assieme musica e confrontarsi con le persone che l’ascoltano è pur sempre una gratificazione personale e la voglia di esprimersi proponendo le proprie emozioni è artisticamente provato che porti a tanta soddisfazione.

Cosa caratterizza il vostro suono? Pensiamo sia il fatto che proveniamo da una scuola d’ascolto un po’ diversa l’uno dall’altro. Vito, il chitarrista, è cresciuto ascoltando Kiss e Black Sabbath; Fabio, il bassista, Guns n’ Roses e Nirvana; Matteo, il batterista, Motorhead, Megadeth; Anna invece predilige Carmen Consoli e Cristina Donà pur adorando Glenn Hughes e Janis Joplin. Tutto questo bagaglio musicale mescolato nel pentolone degli ArtemisiA crea la nostra impronta sonora particolare.

Una donna in una band è un'arma vincente? Nel nostro caso si! Contrapponendo la voce melodica di Anna ad una base decisamente aggressiva, lasciamo intravedere la striscia di velluto che passa attraverso questo “stoner” rock che pulsante è sempre presente nei nostri brani.

Un gruppo giovane che ha ricevuto in breve tempo tante soddisfazioni: fuori il segreto? La voglia di fare è la cosa che ci accomuna tutti e quindi tutto il nostro tempo libero lo dedichiamo alla musica . Creare gli eventi, i live e far si che la gente sia partecipe non è semplice ma con un po’ di buona volontà…. Diciamo che anche l’amicizia che si è creata tra noi è un ingrediente fondamentale.

Raccontateci l'esperienza più emozionante come gruppo. Sicuramente l’arrivo a Milano per firmare il nostro contratto discografico con la Videoradio! Siamo onorati che Beppe Aleo abbia reputato la nostra musica interessante al punto da pubblicarla .

Come siete arrivati al vostro secondo disco "Gocce d'assenzio"? È stata la consapevolezza di una crescita di gruppo. Ci siamo accorti che dopo 3 anni assieme, la sperimentazione dei suoni e dei ritmi ci coinvolgeva al punto da aver il bisogno di creare brani nuovi. Gocce d’assenzio è il sunto di un lavoro più ponderato e maturo rispetto al precedente cd.



Com'è la scena musicale della provincia di Gorizia? Hai una domanda di riserva??? Diciamo che ci sono sempre meno spazi per la musica originale. Anche le cover band fanno a gomitate per suonare nei pochi locali ormai rimasti in zona… Noi rockettari che facciamo musica propria abbiamo vita dura. Puntiamo al di fuori della regione, cercando di suonare nella vicina Slovenia che propone abbastanza strutture consone e pubblico musicalmente più aperto e curioso verso le novità !

giovedì 22 aprile 2010

Hatfield and the North


Il progetto Hatfield and the North nasce nel 1972: i cugini Sinclair, David (tastiere) e Richard (basso e voce), provengono dai seminali Wilde Flowers e dai Caravan, Phil Miller (chitarra) da Delivery e Matching Mole, Pip Pyle (batteria) dai Gong. Nel gennaio 1973 David Sinclair decide di tornare con i Caravan e viene avvicendato alle tastiere da Dave Steward proveniente da Egg e Khan.
Scritturati dalla Virgin incidono nel 1973 l'album d'esordio, omonimo, in puro spirito canterburiano sia nella musica e nei testi che nella copertina.
Armonie complesse, testi ricchi di nonsense, un collage di foto con gli Hatfield insieme ai protagonisti del telefilm "Bonanza" e agli illustri ospiti, ovvero Robert Wyatt, reduce dal triste incidente che lo ha paralizzato (voce in "Calix"), Geoff Leigh (Henry Cow, ai fiati), Jeremy Baines ai campanellini e le Northettes (cori). Singolare fra i ringraziamenti quello a Bob Hope per la notevole compostezza esibita durante il concorso Miss Mondo 1972.
La musica propone al meglio le istanze canterburiane: composizioni fluide, elaborate, sprazzi caotici che si risolvono in inserti godibilissimi, un equilibrio forse unico fra gli aspetti più sperimentali e free di Miller e la dolcezza melodica delle composizioni di Sinclair, fra l'impostazione classica di Stewart e le complicate figure ritmiche jazzy di Pyle.
L'anno successivo nel novembre 1974, esce uno dei più bei singoli del progressive comprendente "Let's eat (real soon)" e la magica "Fitter Stoke has a bath" con splendido assolo finale di chitarra di Miller. I due brani sono inclusi nella versione su cd del primo album. La voce di Richard Sinclair, leggera e malinconica, si conferma una delle più belle del progressive.
Il "loro DJ favorito" John Peel organizza per il 13 aprile 1974 un concerto allo storico Roundhouse di Londra (dove il 15 ottobre 1966 avevano suonato Pink Floyd e Soft Machine nel concerto-happening per l'inaugurazione della rivista di controcultura IT, uno dei primi grandi eventi della nascente era psichedelica) con Lol Coxhill, Geoof Leight, Jeremy Baines, Alan Gowen, Steve Miller, Jimmy Hastings, Robert Wyatt e le Northettes, in pratica la "crema" di Canterbury.
Il cd relativo è "Hatfield & the North & friends".
Nel marzo 1975 esce "The rotter's club" che sfodera come guest stars di rilievo: Jimmy Hastings (flauto, sax soprano e tenore), Mont Campbell (che aveva anche fornito una linea melodica al primo album, al corno francese), Lindsay Cooper (oboe) e Tim Hodgkinson (clarinetto) entrambi Henry Cow, e di nuovo le Northettes (Amanda Parsons, Barbara Gaskin, Ann Rosenthal) con i loro inconfondibili cori. La musica è ancora più raffinata e con incremento del bel cantato di Sinclair (ma le melodie sono tutt'altro che banali).
Il 16 marzo 1975 gli Hatfield partecipano al concerto per la chiusura dello storico teatro Rainbow dove ricevono pochi applausi e molti fischi da un pubblico impreparato (cd "Cheap phylosophy"). Di lì a poco lo scioglimento. Miller e Stewart fondano i National Health, raggiunti in seguito da Pyle mentre Richard Sinclair fallisce nel proposito di continuare l'avventura degli Hatfield ("Richard Sinclair & the South") per poi militare brevemente nei Camel.
Nel 1979 esce "Afters" antologia con inediti, questi ultimi riproposti nella versione su cd di "The rotter's club".
Nel 1990 una reunion con relativo tour ("live1990").
(Rottersclub)

 Alberto Sgarlato mi ha fatto conoscere il brano seguente utilizzando queste parole:
Una canzone che amo - direi morbosamente - da quando ero ragazzino. Per me l'esempio perfetto di come si "costruisce" una canzone: equilibrata, coinvolgente, geniale nelle melodie, elegantemente jazzata..."





mercoledì 21 aprile 2010

Karmakanic


Da una recensione di Raffaele Salomoni.



Se tutti i side-project fossero validi come questi Karmakanic, saremmo a cavallo, questo è poco ma sicuro! La band, nata come sfogo personale di Jonas Reingold, bassista dei Flower Kings, giunge con questo “Who's The Boss In The Factory” al terzo lavoro, di una discografia che mostra una band sincera e priva di qualsiasi ragionamento meramente commerciale. Come ha affermato lo stesso Jonas, il progetto prende vita e si sviluppa come un divertimento, nei rari momenti di tranquillità tra un disco e l'altro dei Flower Kings. E ascoltando i sei brani contenuti nel nuovo lavoro pubblicato dalla label tedesca InsideOut, non possiamo fare altro che augurarci tanto 'tempo libero' per Jonas. Un omaggio al neo-prog più classico, con uno smalto che talvolta scarseggia nelle esibizioni della band madre, con un inevitabile sguardo al passato, tuttavia sempre tenendo conto del presente. Ecco che prendono forma gioielli come la suite “Send A Message From The Heart”, ovvero un viaggio che da Flower Kings attraversa il prog-metal dei Dream Theater fino alle contaminazioni orchestrali del Neal Morse solista, convincendo su tutta la linea, grazie ad una produzione stellare e alla performance strepitosa di Goran Edman, cantante richiestissimo, e famoso per la sua collaborazione con Malmsteen su “Eclipse” e “Fire & Ice”. Chitarre acustiche e ritmi brillanti in “Let In Hollywood”, dove lo spettro di Neal Morse aleggia imponente, per palesarsi completamente nella title-track. Come se non bastasse, i Karmakanic si divertono a citare i Pink Floyd più oscuri e minacciosi, arricchendo il prodotto di stratificazioni ed emozioni. “Two Blocks From The Edge” convince solo a metà, suonando eccessivamente come un out-take dagli archivi dei Flower Kings, avvitata su se stessa e poco concludente a livello melodico. Segue un emozionante intermezzo di pianoforte, “Eternally Pt. 1”, ottima introduzione per la seconda parte, che va a chiudere l'album in modo estremamente malinconico, romantico, passionale. Una fisarmonica disegna atmosfere sognanti, lasciando alla band il solo onore di emozionare. Un brano che difficilmente si può dimenticare anche dopo un solo ascolto. Dal canto nostro non possiamo fare altro che inchinarci davanti ad una simile dimostrazione di bravura.




martedì 20 aprile 2010

La mia chitarra



Qual è il rapporto tra un musicista e il proprio strumento?
Maniacale? Irrazionale? Rispettoso? Trascurabile?
E ancora … occorre essere professionisti per avere “ l’autorizzazione” a creare tale rapporto o la passione è più che sufficiente per far si che un qualunque strimpellatore o percussionista o tastierista possa immaginare di avere una “ relazione seria” con un mandolino, una batteria o una tastiera?
Risponderei all’ultima domanda dicendo che … sì, per esperienza personale, uno strumento musicale può essere molto di più di un mezzo capace di emettere suoni, e può diventare qualcosa di cui non si può fare più a meno, anche se non lo si suona per molto tempo.
Io posso parlare della chitarra, strumento che suono da sempre, in maniera superficiale, ma che non mi abbandona dall’età di sedici anni.
Ho ancora oggi la mia prima sei corde elettrica, comprata con qualche sacrificio dai miei genitori che intravedevano in me un genio musicale.


La mia vecchia “Framus” vintage ha un suono che non ho mai amato, ma sino a sei mesi fa era la prima cosa che veniva sbattuta in faccia a chiunque fosse entrato in casa mia, ladri compresi.
Non saprei descriverla tecnicamente e ammiro tutti quegli esperti che parlano di circuiti, di pick up, di materiali. So però che è bellissima, e qui entriamo nell’irrazionale.
E’ di un colore marrone intenso, legno antico e qualche “ruga” provocata dal tempo. Ha curve sinuose, senza difetti, e ogni parte è in perfetta simmetria e armonia.
Profuma ancora o forse sono io che riesco a riprodurre gli odori della mia storia.
La tocco, la giro sottosopra, la accarezzo, faccio scorrere le dite sul manico e la curo come si fa con le persone care. A volte mi ritrovo sul divano a guardarla tra una pubblicità e l’altra.
La qualità della chitarra non c’entra niente e nemmeno potrei dire di aver avuto grosse soddisfazioni nell’usarla, ma è come una bella donna, che però sono certo non mi tradirà.
La scorsa estate, nel tentativo di aggiungere qualità tecnica alla già buona estetica, l’ho affidata al mio amico Albertino, che in Toscana conosce un infallibile “medico per chitarre”. Obiettivo “cerare”( isolare) i pick up rumorosi e “infornare” (sì..mettere nel forno) per una notte la mia Framus.
Sono le diciotto e sto camminando con mio figlio quando l’amico mi telefona , e con voce da funerale mi racconta con estremo imbarazzo che la sua macchina è stata manomessa e la mia e la sua chitarra(una Strato di reale valore)sono state rubate. Mutismo per un lungo minuto e mentre mio figlio mi chiede cosa sia successo, tutte le imprecazioni del mondo spingono per uscire violentemente dalla mia bocca:
Ma perché mi sono separato da lei dopo trentacinque anni? Perché mi sono fidato di Albertino? Non potevo tenere quel fastidioso sibilo?”
Era uno scherzo , uno scherzo ben fatto, ma uno scherzo …. per fortuna.
E così l’ho riaccolta in casa, anche se per poco.
Ho “dovuto” abbandonarla, almeno momentaneamente, anche se ora è in un luogo consono, appropriato, in mezzo a tanti altri strumenti, nel mio box trasformato in "stanzadolescenzialesclusivamentemusicale".
Qual è il motivo dell’ignobile tradimento?
La scelta di una chitarra è spesso legata a ciò che si è visto e sentito, e l’influenza che i nostri miti di ogni tempo esercitano è enorme.
Io sono cresciuto a Gibson LP e SG, migrando poi verso Fender, Stratocaster o Telecaster.
Questa affermazione pomposa non ha niente a che vedere col reale valore tecnico dello strumento, ma quelle sono le chitarre che associo al mio percorso musicale, e solo con “quelle” (Framus a parte) potrei ( se le possedessi) arrivare al rapporto simbiotico a cui accennavo. Per essere chiari, sono le uniche chitarre che coccolerei come un bimbo piccolo.
Questo è l’irrazionale che colpisce da adolescenti e ci segue per tutta la vita!
Conta solo il suono? Certamente, ovvio, ma l’estetica e la storia evocata hanno enorme valenza.
Ma anche il lato economico non è trascurabile, e spendere considerevoli cifre per cose superflue( nel mio status di suonatore occasionale e solitario) non è quasi mai opportuno. Per “buttare via” mille/duemila euro in un cimelio ci voleva un’occasione speciale, e per me l’occasione per antonomasia è l’acquisto sul posto, con l’alibi del cambio vantaggioso.
Due anni fa, trovandomi in America per lavoro, il poco tempo disponibile mi aveva fatto arrivare davanti al magazzino Gibson, a Memphis, alle 21.30, fortunatamente troppo tardi per soddisfare i miei costosi desideri.
Nel settembre scorso un’altra opportunità lavorativa mi ha portato in South Carolina e il caso ha voluto che un nutrito negozio di strumenti fosse proprio vicino al mio Hotel, e a metà settimana ho coronato un sogno.
Inutile descrivere l’emozione di comprare una Fender Stratocaster direttamente negli USA, quella di poter provare, discutere e contrattare con l’esperto di turno.


Era mercoledì e da quel momento è subentrata in me un po’ di apprensione : ”Potrò portarla in aereo, senza doverla immaginare sballottata in differenti stive? E se la perdessi come spesso mi capita con i bagagli? E se ritornasse a casa dopo aver girato il mondo senza di me?”
Al sabato la gentile impiegata del check in mi spiegava che al massimo … potevamo provarci, ma poi sarebbe dipeso dall’equipaggio.
Tutti molto comprensivi, chitarra in aereo con me, due volte consecutivamente, con qualche controllo supplementare a Francoforte, con accurato test antistupefacenti.
E ora la mia Strato blue notte ha preso il posto della Framus, messa da parte per un po’, come a volte si fa con chi si ama, spesso sbagliando.
Ma i musicisti veri come si comportano?
Come non ricordare la distruzione della SG da parte di Pete Townshend o il fuoco sulla Strato di Jimi Hendrix?
Ma era poi tutto vero o era solo spettacolo? Nessun musicista potrebbe trattare così male la donna del cuore!
E che dire di Steve Howe che in tournèe prenotava sempre due biglietti aerei, uno per se uno per la sua chitarra, che prendeva posto accanto a lui?
E che dire di Clapton che in Tennessee acquistò sei Stratocaster (in quel momento poco di moda)a prezzi stracciati, e dopo averne regalata una a George Harrison e una a Steve Winwood decise di miscelare le quattro rimaste per ottenere ciò che desiderava, saccheggiando e ricostruendo un pezzo di storia?
Il nostro strumento del cuore, qualunque esso sia, è un nostro prolungamento e assume significati importanti, che racchiudono una vita, gioia, dolore, pianti, sorrisi, persone care non più presenti e quelle che ancora ci circondano. E nonostante i nostri umori e le nostre vicissitudini è sempre lì a tenerci compagnia, fedele e paziente.
Ai miei figli, tra il serio e il faceto ho detto che tra cento anni, quando io sarò in altri lidi ad ascoltare musica, potranno anche disfarsi delle mia “orchestra”, ma la Framus e la Strato no, sarebbe bello conservarle.

lunedì 19 aprile 2010

ANGLAGARD



Utilizzo una recensione di Michele Dicuonzo per raccontare qualcosa di ANGLAGARD

ANGLAGARD
Epilog
(Exergy Music - 1994)
Attivi dai primi anni Novanta, gli svedesi Anglagard fanno parte della notevole triade (al pari di Anekdoten e Landberk) di progster scandinavi che hanno contribuito a rilanciare il genere in una fase di stanca. Partendo da basi crimsoniane, una delle referenze più spiccate nel loro tessuto sinfonico, i nostri hanno peraltro saputo reinterpretare in chiave moderna le partiture sognanti dei primi Genesis, giungendo in scioltezza al successo meritatamente riscontrato nei ProgFest americani.
Nella loro musica risulta comunque palese la componente puramente 'nordica', che si evince negli spaccati maestosi che si stagliano con forza nei brani del platter di debutto, "Hybrid", dato alle stampe nel 1992. "Epilog" é per certi versi più ricercato, cerebrale, elusivo, e si caratterizza per i suoi scenari spiritati, nervosi, che albergano un sentore di minaccia incombente: siamo all'opposto della leggerezza armonica del quarto tassello, quello più noto al grande publico, del progressive rock svedese, rappresentato dai gioviali Flower Kings (più prossimi alla solarità degli Yes). Gli Anglagard assemblano un mosaico misterico, ontologicamente legato alle manifestazioni (sopran)naturali della loro terra, tale da sprigionare un vortice fiabesco/stregonesco che ben si esplicita nello splendido artwork che accompagna questa loro ultima release.
Episodi del calibro di "Höstsejd" e "Sista Somrar", articolate suite di oltre quindici primi, illustrano a dovere tale modus operandi: inquietanti fraseggi di Hammond emersoniano (cfr. il classico "Tarkus", ma anche la lezione dei primissimi Goblin) si alternano ad aperture intimiste struggenti e trasognate, appena increspate da un soffio di flauto, oppure dolcemente ricamate per tramite di nostalgici fraseggi pianistici. Pieni e vuoti che fluiscono ineffabilmente in un affresco umorale ed impressionista, laddove la dolcezza infinita dei silenzi crepuscolari impalma la drammaticità dei cataclismi atmosferici: il disco é interamente strumentale, e tanto basta per lasciar viaggiare la mente verso territori surreali ed inusitati.
Gli ascoltatori più smaliziati riconosceranno ambientazioni analoghe nelle parentesi acustiche dei connazionali Opeth (cfr. l'ultimo "Damnation", nello specifico), ma é innegabile che la componente classico/sinfonica resti quella dominante negli Anglagard: "Prolog" e la toccante "Saknadens Fullhet" altro non sono, in fondo, che soffusi quadretti 'da camera', ricercati tasselli di un ambizioso disegno complessivo. Il supporto incondizionato dei fan, esaltati da tale talento visionario, non basterà ad evitare l'inopinato split del gruppo nel 1995. "Epilog" diventa preda dei collezionisti accaniti, platter favoleggiato ed introvabile. Corre oggi voce, a quasi dieci anni di distanza, di un'insperata reunion dei nostri: ed ecco che i loro due mitizzati dischi vengono (finalmente) ristampati in un elegante digipack, per la gioia di tutti gli amanti della buona musica. Musica, come si diceva, ricca di mille emozioni. Suoni leggiadri, cibo per l'anima e per la mente.
Michele Dicuonzo




sabato 17 aprile 2010

Atto primo-Plurima Mundi



Donato Zoppo mi ha passato questa preziosa informazione.

Arriva da Taranto la nuova formazione progressive: un sestetto agguerrito, tra rock, fusion, classica e melodie mediterranee. Il disco d'esordio 'Atto I', con Lino Vairetti degli Osanna come special guest, è menzionato nei ProgAwards 2009
Il primo atto di un nuovo gruppo prog:
Plurima Mundi!


ATTO I
Il nuovo disco dei Plurima Mundi


Maracash Records
4 tracce, 26 minuti


Atto I è il nuovo disco dei Plurima Mundi, nuova formazione dedita al miglior rock progressivo, interpretato con un ottimo piglio melodico e un buon mix di energia, sensibilità e respiro.I Plurima Mundi sono guidati dall'esperto violinista
Massimiliano Monopoli, docente al Conservatorio nonchè appassionato cultore e studioso della composizione progressive: nati nel 2004, si consolidano dopo un'apprezzata collaborazione dal vivo nel 2005 con il grande Richard Sinclair (alfiere del suono di Canterbury con Caravan, Hatfield and the North, Camel) e la partecipazione alla rassegna Romaestate nel 2007.

Dopo questo doppio test dal vivo, il sestetto pugliese decide di registrare un primo blocco di composizioni, ispirate alla grande tradizione del prog italiano (Banco, PFM, Orme, Osanna etc.) e straniero (ELP, King Crimson, Curved Air): nasce così
Atto I, uno strumento di presentazione ma al tempo stesso un punto d'arrivo, con la speciale partecipazione di un ospite di lusso, il leggendario Lino Vairetti degli Osanna, che presta alla band la sua inimitabile voce in Aria. Il marchio di fabbrica della band è nel riuscito incontro tra le diverse influenze che animano i sei membri: rock, musica classica, jazz, funky, world music e fusion.

Il cd è stato presentato con successo dal gruppo al completo in diverse occasioni (Taranto, Matera, interviste radio e tv) in compagnia del giornalista Donato Zoppo. Subito dopo l'uscita, Atto I è stato immediatamente apprezzato dalla stampa specializzata straniera, ottenendo lusinghieri pareri dai redattori di testate come ProgArchives, Harmonie Magazine e Sea Of Tranquillity. E' stato inoltre inserito nella rosa dei dischi partecipanti al Progawards 2009 e nominato nella categoria dei migliori album d'esordio. Attualmente i Plurima Mundi stanno lavorando alla stesura di nuovo materiale e all'organizzazione di un imminente tour estivo.

Plurima Mundi:
Massimiliano Monopoli: Violino
Grazia Maremonti: Voce
Massimo Bozza: Basso 6 corde
Vincenzo Zecca: Chitarra
Pierfrancesco Caramia: Batteria
Francesco Pagliarulo: Pianoforte

Musiche: Massimiliano Monopoli
Testi: Grazia Maremonti
Special guest: Lino Vairetti (Osanna)

Plurima Mundi:
http://www.myspace.com/plurimamundi

Maracash:
http://www.maracash.com

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