venerdì 30 settembre 2011

Fabio Zuffanti



La terza giornata della X rassegna di rock progressivo “Impressioni di Settembre”, organizzata dal CSPI di Genova, che si svolgerà domani, sabato 1 ottobre con inizio ore 18.30, vedrà di scena Fabio Zuffanti.

A fine post i dettagli dell’evento.

Ho proposto a Zuffanti uno scambio di battute e ciò che ne è emerso è una interessante panoramica sulla musica in generale, non solo sulla sua.
Per saperne di più su di lui cliccare sul link seguente:



L’INTERVISTA

La mia ultima immagine “viva” di Fabio Zuffanti è legata alla mattina del 7 novembre scorso quando, senza conoscerci (o meglio, tu non conoscevi me), abbiamo fatto colazione nello stesso hotel romano, alla fine della Prog Exhibition. Ho dei bellissimi ricordi di quella due giorni. E tu, che bilancio potresti tracciare?

Beh, dal mio punto di vista è stata una due giorni veramente formidabile. Iaia de Capitani ha superato se stessa nell’organizzare un festival perfetto da quasi tutti i punti di vista. Una cosa del genere non si era mai vista in Italia e per chi come me è abituato al modo di lavorare nei grandi festival prog internazionali (Nearfest, Progday, Baja prog, ecc…) dove tutto è calcolato a puntino, la sorpresa della Prog Exhibition è stata grande. Inoltre non pensavo certo che un festival di rock progressivo potesse attirare così tante persone. Una gran bella sorpresa!

Il 1° ottobre, nell’ambito della rassegna “Impressioni di Settembre”, “racconterai” il tuo nuovo lavoro solistico, “La Foce del Ladrone”. Le note sulla locandina suggeriscono un evento che non è solo una rappresentazione musicale, ma molto di più. La maggior parte dei nuovi incontri musicali che ho occasione di fare mi dimostrano che i musicisti hanno bisogno di esprimersi in maniera più globale, utilizzando musica e testi assieme ad altre forme d’arte, come il teatro, la letteratura, le immagini. Quale è il tuo punto di vista? Subisci o sei promotore della tua personale evoluzione musicale?

Il 1 ottobre mi esibirò nella mia città in un concerto acustico dove presenterò alcuni brani tratti dal mio ultimo lavoro e anche qualche cover ad hoc. ‘La foce del ladrone’ è per me una sorta di ‘summa’ della mia carriera musicale e ho scelto di accompagnare la presentazione dello stesso con alcuni brani che hanno gettato i semi per costruire il mio cammino e la mia evoluzione musicale. Insieme alla canzoni ci saranno un po’ di chiacchiere tra un pezzo e l’altro così da raccontare com’è nato l’ultimo disco, il perché di certe cover, aneddoti, ecc. Per quello che riguarda i concerti di supporto a ‘La foce del ladrone’ ho scelto di raccontarmi un po’ sul palco. Come dicevo prima il disco per me rappresenta una sorta di traguardo dal quale ripartire e mi sembra carino raccontare cosa ha portato a questo traguardo, delle mie scelte musicali, del perché ho deciso di fare un album del genere e tante altre cose che mi fa piacere condividere con chi mi ascolta.

Nel blog del CSPI, datata luglio, c’è la notizia del ritorno de I Finisterre e di un conseguente concerto svoltosi poi ad agosto. Come siete arrivati a questa decisione e come sta andando il progetto rinnovato?

All’inizio di quest’anno ho ricevuto l’invito per esibirci con i Finisterre al Crescendo Festival, in Francia. Questo ha fatto scattare in me la voglia a di riunire la band che non suonava dal gennaio 2007. Diciamo che più che scioglierci ci eravamo un po’ allontanati l’uno dall’altro proprio per mancanza di occasioni in cui esibirci. Suonare dal vivo in questi anni è diventato sempre più difficile e i Finisterre hanno risentito di ciò perdendo un po’ quella linfa vitale che permette ad un gruppo di musicisti di lavorare insieme. La nostalgia però c’è sempre stata; credo che la musica dei Finisterre abbia caratteristiche molto speciali e alla prima prova che abbiamo fatto insieme, lo scorso giugno, mi sono reso conto di quanto fosse un peccato avere tralasciato delle composizioni così valide. Queste considerazioni e il piacere di suonare di nuovo insieme ci hanno quindi fatto venire voglia di rimettere in moto la macchina. A questo si è aggiunto il grande successo in Francia; le 2000 persone presenti al festival sembrava non aspettassero altro che i Finistere. Ci hanno tributato una calorosissima accoglienza e hanno gustato il concerto in ogni suo dettaglio rendendoci felici ed orgogliosi del nostro lavoro. Quello che vorremo fare al momento sarebbero una serie di concerti ‘antologici’ e poi più avanti dedicarci ad un disco nuovo. Diciamo che non abbiamo una grande fretta di fare un nuovo album, per ora ci basterebbe ricominciare a calcare qualche palco e ridare alle persone la possibilità di ascoltare la nostra musica.

La lista dei tuoi progetti e la biografia esauriente presente sul tuo sito denotano un’ enorme mole di lavoro (anche se non è un bel termine se riferito alla musica). Non ho conoscenza di tutta la tuA produzione e allora ti chiedo una tua analisi sulla qualità di ciò che hai proposto sino ad oggi… sei soddisfatto di tutto o cambieresti/cancelleresti alcune cose?

Direi che sono soddisfatto di quasi tutto ciò che ho realizzato fino ad oggi. Ciò che farei diversamente sono alcune scelte operate negli anni tra il 1994 e il 1998, anni nei quali la mia/nostra (parlo soprattutto di Finisterre) inesperienza ha fatto si che fossero pubblicati degli album a mio avviso non del tutto convincerti, non a livello artistico ma a livello sonoro. I primi due album del gruppo ad esempio, dischi ora visti come ‘essenziali’ ma che a mio avviso peccano di registrazioni pessime. Stessa cosa per i primi due Hostsonaten. Diciamo che dal 98 con la realizzazione di ‘In ogni luogo’ le cose sono cambiate e abbiamo cominciato a capire anche che tipo di suono volevamo e come ottenerlo. Certo, qua e la nei vari album ci sono cose che forse oggi farei in maniera diversa, ma in generale non ho molto di cui essere pentito, riascolto sempre con piacere i lavori ai quali ho partecipato, ne sono fiero e se vuoi una lista (non in ordine di importanza) di quelle che reputo le opere (che ho realizzato da solo o in gruppo) più riuscite ed ‘essenziali’ per chi non mi conosce a fondo direi: Finisterre – In limine, Hostsonaten – Springsong, Fabio Zuffanti – La foce del ladrone, Quadraphonic – Le fabbriche felici, Aries – Aries, LaZona – Le notti difficili, La Maschera Di Cera – Il grande labirinto, Merlin, The rock opera, Rohmer – Rohmer, R.u.g.h.e. – r.u.g.h.e.

Mi lego un po’ alla domanda precedente: esiste un treno che non hai preso per eccesso di cautela, pentendoti a posteriori della poca intraprendenza?

Credo di no, nella musica che faccio e nell’ambiente in cui mi muovo ho sempre tenuto (e tengo) le antenne ben drizzate e ho cercato di captare i segnali per cogliere le occasioni interessanti al meglio cercando di non lasciarmi sfuggire nulla. A volte ho rifiutato o mi sono allontanato da cose che non mi sembravano adatte ma devo dire che non mi sono mai pentito di nulla. Se poi sono passati altri treni senza che io ne fossi a conoscenza non lo so, ma per le cose che mi sono successe fin’ora direi che ho preso tutto e di più di quello che mi è capitato in sorte di ricevere. Spero però che di treni ne passino ancora molti e mi auguro di trovarmi sempre nelle stazioni giuste per acchiapparli.

Sapresti individuare i “colpevoli”, nomi e cognomi, che con il loro esempio ti hanno portato sulla via della musica di impegno(credo che il termine “prog” sia riduttivo)? Che mezzi (album) hanno utilizzato?

Mio padre Luigi a 12 anni mi ha insegnato i primi rudimenti alla chitarra ma prima che potesse farlo io avevo già subodorato tanta musica ‘strana’ grazie a mio fratello Saverio, bassista negli anni settanta in svariate formazioni, anche prog (con nessune delle quali però ha mai inciso nulla), e dotato di una sorta di ‘camera magica’ con una chitarra, un basso e piena di dischi dalle copertine fantastiche e dalla musica incredibile. Ti lascio immaginare di quali dischi si potesse trattare. Tra i 6 e i 12 anni sono stato immerso nella camera di mio fratello a scoprirne i segreti, cosa che tutt’ora ricordo con una sorta di magia. Il responsabile della mia voglia di mettermi a fare musica è invece Franco Battiato; ascoltando i suoi dischi nei primi anni ‘80 ho cominciato veramente a costruire un mondo mio che inglobava le cose scoperte grazie a mio fratello (prog anni ’70) ma anche le mie scoperte ‘autonome’ (pop, new wave, ecc…). Grazie a Battiato inoltre ho avuto una vera e propria illuminazione ascoltando a breve distanza ‘La voce del padrone’ (all’epoca appena pubblicato) e ‘Fetus’. Fu un bello chock! Se un artista poteva fare due dischi così belli, ma così diversi, perché non avrei potuto farlo anche io? Da lì credo sia nato il mio amore per il muovermi in ambiti musicali diversi e la mia voglia di sperimentare.

Qual è il tuo rapporto con il pubblico in fase live? Cosa ami e cosa ti infastidisce on stage?

Suonare dal vivo mi piace tantissimo e mi piacciono anche tutti i ‘rituali’ del concerto, il viaggio, il soundcheck, le cene assieme, gli alberghi, il ritrovarsi con gli altri del gruppo e passare ore in allegria. Quando sono sul palco poi tendo a liberare tutta l’energia che è in me e non mi risparmio di certo. Certo, una cosa è suonare come bassista della MDC o dei Finisterre, un conto è trovarsi di fronte ad un microfono in qualità di cantante solista nei miei concerti da solo. Questa è una cosa che tutt’ora mi spaventa un poco perché non mi sento ancora così sicuro delle mie doti di vocalist e, in generale, di frontman. Rappresenta però una bella sfida che voglio affrontare per crescere come musicista (e non solo) e che alla fine, se tutto va bene, mi riempie di gioia. Cosa non mi piace: un certo atteggiamento del pubblico italiano che tende ad assistere al concerto in maniera fissa ed immobile. Questo all’estero non succede e spesso vedo le persone scatenarsi sulla nostra musica, ciò mi carica di un’energia che posso poi restituire a chi ascolta.

Cosa pensi, in generale, dell’utilizzo delle nuove tecnologie applicate alla musica?

Tutto il bene possibile; grazie a tali tecnologie posso registrare in casa in maniera che solo pochi anni fa sembrava impensabile. Posso inoltre, con una semplice tastiera, pilotare tutti i suoni che voglio, avere campioni perfetti di moltissimi strumenti e chi più ne ha più e metta. Io sono un musicista autodidatta e quindi tutto quello che può aiutarmi a sviluppare al meglio e in maniera non troppo difficoltosa le mie composizioni è benvenuto. Certo, di base ci vogliono delle idee, idee che nessuna tecnologia ti può regalare.

Come giudichi lo stato della musica italiana? C’è crisi di talenti, di idee o va abbastanza bene?

Ti dirò, è un po’ che (a parte un paio di eccezioni che segnalo più sotto) non ascolto un disco italiano che mi colpisca e penso che in svariati ambiti ci sia una crisi che si sta trascinando da un po’ troppo tempo. Crisi di idee soprattutto e poca inventiva. Di musica ce c’è tantissima, di buona musica, che dica veramente qualcosa, pochissima. So di dire cose banali ma purtroppo è così. E mi spiace molto perché non sai quanto sarei felice di parlare bene di un artista Italiano che ha sfornato un disco degno di questo nome. Nota bene: non ricerco l’originalità a tutti i costi, ricerco solo delle canzoni concepite con un tocco di magia e di sorpresa. Purtroppo invece tutto mi sembra annacquato e poco stimolante. Nell’ambito del mainstream tutti conoscono già le mie feroci posizioni sui ‘cantanti più famosi d’Italia’ quindi evito di ripetermi, in ambito indie ci sono fenomeni superpompati che producono musica decisamente brutta e senza senso e non si capisce perché debbano essere così sopravvalutati, in ambito prog c’è una grande mancanza di ispirazione e ultimamente incredibili ritorni direttamente dagli anni settanta sui quali mi permetto di nutrire delle grandi perplessità. Nonostante il panorama desolante due dischi che ultimamente mi sono sembrati sopra la media sono l’ultimo del cantautore Giancarlo Onorato (‘Sangue bianco’, nel quale ho anche avuto il piacere di suonare) e il cd de la Coscienza di Zeno, prog fatto ricercando ancora quella scintilla che sembra scomparsa e che rende magico questo genere.

Come si è evoluto il businnes musicale dai tuoi inizi ad oggi? Puoi dirmi il tuo parere sull’influenza che internet può avere sulla visibilità di nuovi e vecchi artisti?

Quando ho realizzato il primo disco dei Finisterre (1994) internet in Italia era appena arrivato ma già si cominciava a sentir parlare dei primi masterizzatori, ecc…da lì è poi arrivato il file sharing e tutto il resto. Internet ha facilitato di molto il lavoro promozionale di noi musicisti indipendenti perché con i vari social network in un attimo puoi fare sapere, ascoltare e mandare tutti gli aggiornamenti del caso in tutto il mondo. Inoltre l’artista può vendere online la propria musica in svariati formati e gestire il proprio lavoro, anche senza bisogno di un’etichetta. Questo è il lato positivo, quello negativo è che internet e il conseguente download selvaggio hanno reso molto difficile (se non impossibile) potere fare grandi numeri con le vendite dei dischi. Da un lato quindi ci questo mezzo ha dato tanto, dall’altro ci ha tolto molti sogni. Per fortuna in ambito prog molti miei ascoltatori amano ancora acquistare l’oggetto, cd o vinile che sia, e quindi mi garantiscono buone vendite però veramente non so come la situazione potrà evolversi in futuro. Credo in ogni caso che il vinile sia destinato a non scomparire, i segni già si vedono, per tutto il resto invece le cose sono al momento molto confuse e personalmente non penso che il cd o il download legale avranno ancora una vita duratura.

Il consiglio che mi sento di dare ai più giovani (lo faccio sempre con i miei figli) è quello di perseguire la via che porta ad un lavoro che coincide con la propria passione ( e già questa è per me una possibile definizione di felicità). Di sola musica difficilmente si riesce a campare e da qui può nascere un’enorme frustrazione. Che consiglio ti sentiresti di dare ad un ragazzo capace, che vuole a tutti i costi intraprendere un viaggio in musica, senza peraltro cercare le scappatoie illusorie dei Talent Show?

Purtroppo questa dei Talent show è diventata un’ingannevole scappatella che molti giovanissimi pensano di percorrere per arrivare prima al successo. E il fatto che tutti puntino al ‘successo’ fa riflettere, anche perché la musica dovrebbe essere la prima cosa che si ha in mente, tutto quello che può venire insieme ad essa se si ha fortuna, ovvero soldi, fama, ecc… sono solo conseguenze di un grande lavoro alle spalle (o di un colpo di c..o ma i colpi di c..o così veloci come sono arrivati se ne vanno). Personalmente credo che la musica deve essere dentro di te, non deve farti pensare quasi a null’altro e ci vuole molta molta costanza e attenzione a non farsi distrarre. Quello che voglio dire è che al talent show ci puoi anche andare ma se dentro di te brucia solo la voglia di fama e tv non vai da nessuna parte. Se invece arde la passione musicale a quel punto puoi avere qualche chance. Si può però cercare benissimo di bypassare i talent (cosa assai consigliabile, non per i talent in se ma per il tipo di musica brutta e plastificata che propongono) ma bisogna veramente mettere in gioco tutto se stesso e non ascoltare chi ti dice che tanto è un mondo difficile, che ce ne sono tanti ecc…In poche parole andare dritto per la propria strada pensando quanto più possibile con la propria testa. Sono un po’ contrario poi a scuole di musica varie, se vuoi la tecnica studia il giusto che ti serve e poi molla lì; certi personaggi cercano apparentemente di guidarti ma in realtà ti tengono fermo perché guai se esci dall’orbita della scuolina. La cosa più importante per me è questa: fai da te, ascolta tanta tanta tanta musica perché grazie all’ascolto potrai farti una tua personale idea di quello che vuoi suonare e cantare, svilupperai una tua personalità, non sarai un burattino in mano a qualcuno e sarai più forte per affrontare il duro cammino che ti aspetta. In qualunque modo poi vada almeno avrai seguito il tuo istinto e avrai fatto le cose a modo tuo.

Cosa vorresti ti accadesse, nei prossime tre anni, musicalmente parlando?

Mi piacerebbe tantissimo collaborare con Franco Battiato, sono anni che lo inseguo e spero che prima o poi la cosa potrà realizzarsi. Non so poi se riuscirò nei prossimi tre anni ma mi piacerebbe inoltre che le persone cominciassero a considerarmi non solo come ‘quello che ha mille progetti’ ma come un musicista che ha come peculiarità (abbastanza rara in Italia) quella di offrire un lavoro ampio, differenziato, aperto mentalmente e musicalmente. Mi sento molto affine s personaggi come Brian Eno che sono diventati più scienziati, filosofi, validi osservatori della realtà musicale e produttori piuttosto che musicisti tout court. Questa è la strada che mi piacerebbe intraprendere, anche magari per mettere la mia esperienza al servizio di altri musicisti. Oltre ciò continuare a creare musica che possa spaziare e che abbia ragione d’essere proprio nella sua ‘spazialità’.



Comunicato ufficiale

Il Centro Studi per il Progressive Italiano vi invita a

IMPRESSIONI DI SETTEMBRE
X Rassegna di rock Progressivo

Terza Serata

FABIO ZUFFANTI presenta LA FOCE DEL LADRONE
Conversazione tra ricordi, suoni e serenate all’istituto magistrale.
Ingresso libero

Fabio Zuffanti (voce e basso) sarà accompagnato da:
Sylvia Trabucco: violino
Mau Di Tollo: chitarra, cori
Matteo Nahum: chitarra
Luca Scherani: piano

Nella suggestiva cornice del numero 10 di Via Garibaldi, tra sale affrescate e cortili addobbati di alberi secolari, Fabio Zuffanti racconterà il suo ultimo lavoro solistico, La Foce del Ladrone. Il bassista dei Finisterre e de La Maschera di Cera, però, ci regalerà qualcosa in più. Grazie all’intervento di alcuni collaudati amici musicisti, Zuffanti snoderà il proprio itinerario creativo con curiose varianti di percorso, che toccheranno un controverso must della canzone d’autore italiana, La Voce del Padrone di Franco Battiato. A trent’anni di distanza con ironica devozione.


giovedì 29 settembre 2011

Francesco Ferrazzo-"Goccia dopo Goccia"


Goccia dopo Gocciaè il primo album di Francesco Ferrazzo, cantautore giovane, ma già ricco di esperienza.
Trenta minuti di musica suddivisi su sette brani, episodi che riassumono dieci anni di vita che, seppur obbligatoriamente condensati, danno il senso di un primo bilancio, tra note e ritmi, tra gioie e dolori.
Ferrazzo fa parte di quella nutrita schiera di musicisti che danno il senso dell’evoluzione alla parola “cantautore”, figura nata in altra epoca, tra politica e testi criptici, tra impegno assoluto e una comoda bandiera protettiva sulle spalle.
E spesso il manifestare i propri sentimenti significava sconfinare immediatamente nella parola "commerciale".
Francesco (fortunatamente è in buona compagnia) racconta di sé, del sociale, del quotidiano, tutti elementi che danno mille spunti di riflessione e che spesso sono riconducibili a situazioni già vissute, ma il modo di porsi potrebbe fare scuola, perché raramente ci si trova di fronte a tale equilibrio e a un tocco così delicato, tanto che viene immediatamente da immedesimarsi, arrivando a pensare che “quel mettere in mostra certi sentimenti” era ciò che avremmo voluto fare, ma le parole giuste non arrivavano.
Si avverte l’esperienza rock, e si percepiscono gli anni di gavetta alle spalle, ma credo che la chiave di volta sia proprio la capacità di presentare la sua, la nostra vita in musica, con gli alti e bassi che la caratterizzano, alleviati però da melodie e ritmi che sanno toccare i nostri strati più profondi.
Una voce intensa, con una certa “tipicità”, dei buoni musicisti al contorno, delle liriche di assoluto spessore.
Per me, una bella scoperta.



INTERVISTA di SYNPRESS

Come è nato il tuo percorso d'autore?
Ho iniziato a scrivere canzoni verso i venti anni, dopo aver suonato come tastierista in diverse formazioni pop-rock e aver fatto anche alcune esperienze come arrangiatore. Ho sentito l’esigenza di “creare” dei brani partendo dalla musica, successivamente aggiungendo i testi e cantando. Poi un po’ per gioco ho partecipato a concorsi come il Premio Recanati (ora Musicultura) arrivando in semifinale o, come nel caso del Premio Lunezia, tra i vincitori. Queste esperienze mi hanno spinto ad andare avanti, a migliorarmi e trasmettere le mie canzoni agli altri, ed eccomi qui.

Quali sono i connotati stilistici della tua proposta?
Pur rimanendo legato al genere cantautorale italiano, il mio stile riflette molto le influenze musicali di altri generi. Nelle mie canzoni c’è melodia ma ci sono anche contaminazioni con varie culture musicali: penso alla classica, alla musica irlandese o al rock, al progressive, a certe ritmiche orientali o africane, il jazz, la musica latina. Con il tempo mi piacerebbe approfondire ulteriormente queste commistioni di stili. E’ molto stimolante.

In un tuo brano nascono prima le parole o prima la melodia?
Dipende dall’ispirazione, a volte “l’intuizione” è musicale (ho registrato ore di musiche su vecchie cassette, o file audio), altre volte invece parto da una parola, o da una frase, un concetto, un argomento, quindi il lavoro inizia da lì e la musica viene aggiunta in un secondo tempo. Spesso mi accade di annotare dei pensieri volta per volta, in tempi diversi, scoprendo che sono accomunati da un filo conduttore, e li compongo come si fa con i pezzi di un puzzle o un mosaico. Nel mio stile compositivo raramente mi capita di comporre un brano in cinque minuti, come succede ad alcuni (o tanti). Ci lavoro molto, magari lascio sedimentare una canzone per lunghi periodi prima di riprenderla e di perfezionarla, le do tempo di maturare. In generale comunque cerco sempre di dare la medesima importanza sia alla musica che al testo, e di fare in modo che entrambi siano fortemente legati.

Nella tua composizione esistono argomenti ricorrenti oppure cerchi di affrontare tematiche sempre diverse?
Normalmente parto da spunti o riflessioni personali, da mie esperienze, o osservazioni di ciò che mi circonda, per poi lavorarci cercando di arricchire tutto questo con elementi non per forza autobiografici, e di rendere i miei testi più “universali” e condivisibili. Spesso mi capita di voler approfondire aspetti dell’animo umano, dei sentimenti, ma anche di fotografare alcune tematiche sociali che particolarmente mi colpiscono, l’ho fatto per esempio in Di cosa ha bisogno la gente. In generale posso dire che i miei testi non parlano solo di me ma allo stesso tempo, direttamente o indirettamente, ne parlano molto.

Di cosa ha bisogno la gente faceva parte della compilation Make Up Not War: che tipo di esperienza è stata?
Make Up Not War nacque sotto il patrocinio del Comune di Verbania, e con la realizzazione di Cooperativa Caleidoscopio allora capitanata da Matteo Pelletti, che ne curò la produzione artistica. Era un progetto incentrato su tematiche sociali, atto a diffondere e approfondire una cultura di pace, valorizzando le realtà artistiche musicali di Verbania. In questo contesto sono nate collaborazioni molto stimolanti che hanno consentito di creare e pubblicare Di cosa ha bisogno la gente, diventato poi il mio primo “singolo”, nonchè punto di partenza per arrivare a realizzare questo cd, quindi considero Make Up, Not War, un’esperienza sicuramente molto importante e formativa.

Raccontaci come è nato il disco Goccia dopo goccia.
Goccia dopo goccia nasce dall’esigenza di cristallizzare in un cd gli ultimi dieci anni della mia musica, dai primi lavori ad oggi, sintetizzando i momenti salienti e disponendoli come in un percorso. Non a caso il cd inizia con uno dei primissimi brani composti (Guardarsi dentro) e termina con una canzone scritta pochi giorni prima dell’ultima registrazione (Tranne che a te). Ho aspettato molto tempo, e questo mi ha permesso di lavorare alla realizzazione di Goccia dopo goccia (titolo molto simbolico in questo senso) con la maturità e l’esperienza di adesso, dedicandomi quindi anche alla produzione in tutti i suoi aspetti. Grazie poi alla collaborazione con ottimi professionisti come Alberto Gallo e Marco Leo e musicisti di alto livello, che hanno preso a cuore questo progetto con grande passione, sono riuscito a realizzare il mio primo cd proprio come volevo che fosse.

Quali sono le tematiche di questo tuo ultimo progetto?
Il titolo del disco rappresenta un po’ la maturazione e la sedimentazione delle esperienze e delle canzoni scritte in questi anni. Come dicevo poc’anzi affronto spesso temi legati all’osservazione e introspezione dei sentimenti e dell’animo umano, partendo dal mondo interiore (Guardarsi dentro, A testa in giù) o osservando gli sguardi altrui e cercando di interpretarne gli stati d’animo (Goccia dopo goccia), affrontando anche temi sociali attuali come in Di Cosa ha bisogno la gente, o invocando una spensierata positività, come in Stai sereno. A concludere i brani cantati c’è Tranne che a te, una canzone d’amore. Forse la più intensa che abbia scritto, alla quale segue il finale vero e proprio del cd, Departure, un brano strumentale che cerca di fotografare un momento estremo e definitivo, dove le parole sono superflue.

Ogni canzone vede alternarsi diversi musicisti: qual è il motivo di questa scelta?
Ho cercato in primo luogo di fare in modo che questo cd, nascendo da mie idee, fosse comunque il risultato di tante collaborazioni e di contaminazioni. A mio avviso questo dovrebbe sempre succedere. La gestazione è stata di tre anni, in luoghi e momenti diversi. I brani Goccia dopo goccia, A testa in giù e Stai sereno sono realizzati in collaborazione con Marco Leo (Bluescore Entertainment – Milano), mentre Di cosa ha bisogno la gente è un singolo pubblicato in precedenza e inserito poi in questo cd. Infine la registrazione di Guardarsi dentro, Tranne che a te, Departure, il mix e il mastering sono stati realizzati da Alberto e Alessandro Gallo (Digital Lake Studio – Gravellona Toce - VB). Per ognuna di queste fasi, nello scegliere i musicisti ho sempre cercato artisti il cui stile ma soprattutto la sensibilità musicale fosse compatibile con le mie canzoni, e persone che non fossero solo semplici “turnisti” ma musicisti con cui trovarmi bene anche dal punto di vista umano, e che si dedicassero a questo progetto facendolo proprio. Approfitto per nominare i musicisti uno per uno: Fabrizio Paggi (basso), Christian Albano (batteria), Alessandro Gallo (chitarre), Sergio Rigamonti (batteria), Ferdinando Mazzuca e Fabio Bonomi (basso) e, in vesti di coriste, le cantautrici Ilaria Pastore e Maria Lapi.

Come ti esprimi meglio, in studio o dal vivo?
In tutto il processo artistico che va dalla stesura di un brano alla rappresentazione dello stesso dal vivo, il momento che più mi affascina è quello in cui una serie di appunti e di note diventano una canzone, quando le idee di colpo sembrano destinate a confluire nello stesso brano. Quindi sicuramente prediligo la parte creativa e, legata ad essa, la fase in cui la canzone “grezza” prende forma in studio, prima in una fase intima, poi in condivisione con i musicisti. È un lavoro assai minuzioso, meticoloso. Io sono molto pignolo e autocritico in questo, ma dopo tanto lavoro, giungere al brano o al cd finito dà una soddisfazione unica. Invece vivo il fatto di portare le proprie canzoni su un palco più come un aspetto del “mestiere”, che richiede altrettanta concentrazione, lavoro, e autocritica interpretativa, ma a mio avviso perde un po’ della parte creativa, anche se ha i suoi lati positivi. Il fatto di ricevere il riscontro immediato del pubblico (è una cosa che non ha prezzo) o il fatto di riproporre i brani con una energia diversa, rivederli e correggerli, di suonarli con altri musicisti, da cui nascono nuovi scambi e nuove collaborazioni, anche questo è molto motivante.

Come sta la canzone d'autore oggi?
Beh penso che risenta molto di tutto ciò che sta succedendo negli ultimi tempi. C’è un inaridimento generale che porta la “massa” ad ascoltare sempre più in maniera distratta le canzoni, e la recessione forse non è solo una questione economica ma anche culturale. In questa situazione le case discografiche e il “carrozzone” dello spettacolo (ormai è assodato) non investono più se non in progetti usa e getta (penso ai talent show). Quindi la canzone d’autore si rifugia sempre di più in una nicchia di (non so se chiamarlo più così) mercato che per fortuna esiste e resiste. Bisogna non perdersi d’animo e continuare a crederci. Io ci credo ancora, sono riuscito finalmente a compiere questo importante lavoro, e voglio fare di tutto per dargli il giusto risalto.



Biografia

FFrancesco Ferrazzo nasce nel 1976 a Verbania; sin da piccolo si accosta al mondo della musica studiando pianoforte. A 13 anni la sua prima esibizione dal vivo. Si diploma in telecomunicazioni e farà poi parte di vari gruppi pop-rock. In seguito conosce la cantautrice Luisa Parrelli, con la quale collabora negli arrangiamenti musicali e produce il brano Temporale da un motel. Colleziona esperienze come autore di canzoni e cantautore, arrangiatore di colonne sonore per spettacoli teatrali, partecipando a vari illustri concorsi, come il Premio Città di Recanati arrivando in semifinale nelle edizioni del 2001 e 2002, il Premio Lunezia 2002, classificandosi secondo con il brano Così (la divisa da militare), e il Premio De Andrè del 2005 con il brano Goccia dopo Goccia arrivando anche in questo caso in semifinale. Realizza un primo cd-demo che prende il nome di uno dei suoi più significativi brani, A testa in giù. Sarà poi la volta del singolo Di cosa ha bisogno la gente inserito nella compilation Make Up, Not War, di artisti vari della provincia del Verbano, e patrocinata dal Comune di Verbania. Si è esibito successivamente in formazioni live acustiche. Dopo una gestazione di 3 anni esce alla fine dell’estate 2011 il cd Goccia dopo Goccia, contente 7 brani scritti negli ultimi 10 anni e prodotto da Francesco stesso in collaborazione con Alberto Gallo e Marco Leo, e con la partecipazione di diversi musicisti. Attualmente è già partita con alcune date estive la presentazione live del cd.


mercoledì 28 settembre 2011

Convention Itullians 2011 (Cortemaggiore)




Ancora una volta mi appresto a commentare “la mia Convention Itullians”, la terza dopo Novi L. e Alessandria.
In questi casi le opinioni sono sempre molteplici, differenti i pensieri e gli stati d’animo, perché ci sarà sempre qualcosa che si giudica meglio o peggio della volta precedente, esisteranno sempre lamenti ed eccessi di gioia, ma ogni piccola testimonianza rappresenta un valore aggiunto, un tassello all’evento per eccellenza del Fan Club Itullians, e magari sarà un prezioso aiuto per chi si dedicherà alle organizzazioni future. Occorre comunque riflettere sull’impegno che una Convention richiede, lavoro estenuante e stressante (di pochi) di cui non si ha quasi mai la corretta visione, ma che io credo di comprendere, e questo risulta alla fine determinante e mi permette di entrare felicemente nella categoria dei fan contenti e soddisfatti … a prescindere.
Tutto ciò non mi può impedire di raccontare il vissuto, con le differenziazioni e i distinguo del caso, paragonando il tutto alle manifestazioni precedenti a cui ho partecipato.
La locazione scelta per questa data di fine settembre è stata il Fillmore di Cortemaggiore, a Piacenza, spazio storico per gli appassionati di un certo tipo di musica.
Il programma prevedeva un’apertura al pubblico alle 18, per favorire l’incontro tra fan, vecchi e nuovi, l’acquisto di eventuali documenti “storici” del mondo tulliano e, attraverso l’angolo del merchandising, appropriarsi dei ricordi tipici delle Convention.
A seguire un ricco buffet.
Di fatto il Teatro è costituito da galleria, platea e, all’interno, ampio angolo bar per la socializzazione del caso, e tutto mi pare abbia funzionato correttamente.
Per quanto riguarda il cuore della serata, la musica, è stata creata una barriera temporale tra l’esibizione di Ian Anderson (e band) e ospiti (o padroni di casa, a seconda dei punti di vista).
Alle 21 si inizia infatti con la Beggars’ Farm al gran completo (e qualcuno in più) che verrà arricchita dalla presenza di alcuni amici consolidati : Clive Bunker, Bernardo Lanzetti e Lincoln Veronese.
Dalle 22.45 il palco è stato consegnato a Ian Anderson nella sua versione acustica, con John O’Hara e Florian Opahle. Anche in questa seconda parte un paio di ospiti, ancora Lanzetti e poi la sconosciuta Eva Basteiro-Bertoli, non inserita nel programma ufficiale.
Sono rimasto molto soddisfatto da ciò che ho ascoltato.
Conosco perfettamente i contesti in cui si muove Franco Taulino, leader della Beggar’s, e parlare di qualità diventa superfluo, seppur piacevole. Ogni spettacolo da lui confezionato assieme ai “suoi” musicisti e ai suoi “invitati” è una garanzia di successo, e sottolineo che ciò non si ottiene con la sola tecnica, seppur raffinata.
Repertorio Jethro, tranne in un’occasione, quando Bernardo Lanzetti ci riporta alla PFM con Chocolate Kings.
Ma ho rivisto con piacere Lincoln Veronese che mancava dalla Convention del 2006 a Novi Ligure. Non si è limitato a cantare e suonare la chitarra, ma ha aggiunto (novità per lui) il mandolino con cui si è esibito in due brani (ho perso il primo, ma ho ascoltato una bella versione di “Love Story”).
Bunker non stupisce più, anche se resta da chiedersi dove trova una simile energia alla veneranda età di 65 anni… picchia sulle pelli e non sui tasti di un piano!
Si spazia dal repertorio più “epoca Bunker” sino a quello meno antico, per terminare con Dharma for One che consente a Clive di esibirsi nel solito assolo ad effetto.





Pubblico incandescente e… surriscaldato, per effetto di un caldo “tropicale” e un deficitario ricambio d’aria.
Il passaggio tra la prima parte di spettacolo e la seconda permette quindi di rinfrescarsi e reintegrare i liquidi.
Dalla mia postazione di favore, quasi a contatto col palco, ho seguito i dettagli, come mai mi era capitato e ciò ha avuto enorme valore quando Ian e soci sono arrivati on stage.
Non avevo mai visto Il gruppo versione acustica, ed è stato piacevole. Per diversi motivi.
Intanto sottolineo che la rivisitazione di brani che ascolto da anni in modo tradizionale mi ha pienamente convinto. Un esempio su tutti è Locomotive Breath, brano che viene propinato in ogni concerto come bis e che faccio estrema fatica ad accettare. Il “vestito” acustico ha donato nuova linfa e ho ritrovato una certa voglia di ascolto. Ma acustico non significa privo di ritmo (preoccupazione di molti), e molti tools sono stati aggiunti agli strumenti tradizionali, come il tamburello sotto al piede di Anderson, o una discreta serie di piatti e piccole percussioni al contorno delle tastiere (più uno strano strumento/ giocattolo utilizzato da O’Hara in “Up The Pool”). Non posso dimenticare il contributo percussivo di Ophale.
E proprio quest’ultimo è stato per me sorprendente. Sapevo della sua giovane età e della sua provenienza(Germania), ma non lo avevo mai visto dal vivo. Mi è sembrato mostruosamente bravo, tecnico, fantasioso e a proprio agio col classico/acustico, nonostante l’amore metal.
Fantastici i fraseggi con Ian e sorprendente la sua semplicità d’esecuzione, tanto che, osservandolo da vicino, dimostrava un’assoluta disinvoltura, da artista consumato che non conosce la tensione da palco.
Che dire di Ian. Sempre il solito istrione con poca voce, giocherellone e fantastico musicista; detta i tempi ma lascia spazio agli altri, persino ad un divertito Lanzetti che con la band propone Impressioni di Settembre.
Il successo di pubblico è stato tale che ho subito malignamente pensato ad un po’ di disappunto di Ian ( che notoriamente è il re del palco), ma Bernardo mi ha rimesso sulla buona strada dicendo:” ma noo… mi ha persino richiamato per i saluti finali!!”
Un piccolo aneddoto (quelli che di solito piacciono…) riguarda l’incontro pomeridiano tra i due. Lanzetti era stato istruito a dovere sulle piccole manie del nostro flautista e quindi … non gli ha porto la mano, ad esempio. Ma anche Ian si era cimentato in qualche ricerca “googleando “ Lanzetti, preoccupato dal fatto di trovarsi davanti un… settantenne. Piena intesa alla fine sul palco e simpatico il siparietto del “gomito a gomito”.
Torno alla musica e a O’Hara, spesso bistrattato, ma dall’atteggiamento tecnico pregevole. E’ vero… a volte sembra capitato sul palco per caso, con l’aria un po’ sognante, ma mi è apparso come “l’uomo giusto al posto giusto”.
Mi è sembrata in chiaro disagio la giovane Eva. Nessuno, salvo gli addetti ai lavori, sapeva della sua presenza. E’ salita sul palco presentando una sorta di autogiustificazione ironica, essendo conscia, credo, che nelle occasioni precedenti gli ospiti si chiamavano Barlowe, Pegg, Conway e persino Jeffrey Hammond.
Due brani, il primo, senza nome, tutto suo, arrangiato da Ian e soci, e come seconda proposta The Poet & The Painter. Bene il lato compositivo (ho riascoltato il pezzo anonimo e mi piace), ma carente l’aspetto vocale per effetto, forse di una tonalità inadeguata.
Sbagliato il contesto (anche se Eva era già presente alla Convention spagnola)… gli afecionados delle convention e dei Tull in genere non hanno compreso.
Brani rivisitati dicevo, come Aqualung e Bourèe, ormai standardizzati e in questa occasione tornati “freschi”.
Cento minuti, questa la durata di una performance che potrebbe l’unico futuro di Ian.
E lui come è stato? Verso la fine si è preoccupato di persona di andare a redarguire, con flauto e occhiatacce, un giovane un po’… alticcio che in piedi, attaccato al palco si rivolgeva al pubblico incitandolo con un improbabile : ” … stand up!”. Nessuno ha seguito il suo consiglio e l’uomo si è dileguato, forse convinto dall’avvicinarsi di una minacciosa montagna vivente.
E poi, sorpresa delle sorprese, si è fermato sul palco è ha distribuito autografi e si è fatto fotografare (e Gian Piero Chiavini ha perso il sonno dopo la conquista!) con insolita disponibilità.

Conclusioni e pensieri.

Detto della musica occorre spendere qualche parola sul contorno, cioè su quello che rappresenta veramente una Convention che dovrebbe riunire fan che si reincontrano o si guardano negli occhi dopo una lunga conoscenza virtuale, o si ritrovano casualmente, spinti dallo stesso obiettivo.
Personalmente mi è mancato un po’ il contatto che iniziava con i concerti del pomeriggio (parlo di Novi e Alessandria), momenti supplementari che favorivano la socializzazione. Forse era anche alta la percentuale di chi era li per un concerto vicino a casa e non per la Convention… forse era anche poco simpatico il brusio di chi beveva e chiacchierava al bar mentre era in corso il concerto… ma sono piccole cose rispetto alla portata globale dell’evento.
Chi ha organizzato, Aldo Tagliaferro in primis, ha fatto dei miracoli che spero siano stati apprezzati.
Una via da seguire per il futuro potrebbe essere quella di avvicinare l’evento verso il centro Italia, nella speranza di coinvolgere anche i fan del centro sud.
Finale di serata in uno splendido castello trasformato in hotel, con nessuna voglia di dormire, e con tantaadrenalina ancora in corpo.
Qualche viso sarà per sempre associato alla Convention 2011… Ale Gaglione, Wazza e Gemma e i romani, Tagliaferro, Caterina, Valerio, Alessandro, Andrea, Fulvio, Marco, Bernardo, Amneris, Franco, Lincoln, Erica, Manuel, Giampiero, Carolina… al di fuor di retorica, una Convention è fatta anche di questo, piccole fotografie che resteranno per sempre!

martedì 27 settembre 2011

Botta e risposta tra Innocenzo Alfano e Glauco Cartocci


Come spesso accade, pubblico oggi un articolo di Innocenzo Alfano.

Come già accaduto, esiste una necessità di replica, in questo caso di Glauco Cartocci.


Quella strana “morte” di Paul McCartney

di Innocenzo Alfano

Un paio d’anni fa sentii parlare di uno strano, e per certi versi straordinario, libro. Il titolo era (ed è) Il caso del doppio Beatle. Il più completo dossier sulla “morte” di Paul McCartney, di Glauco Cartocci. Decisi di informarmi, e così mi recai in libreria, intenzionato all’acquisto del volume. Ma, una volta in libreria, mi è bastato sfogliare l’introduzione, più alcune decine di pagine dei vari capitoli del libro, perché mi passasse la voglia di leggerlo integralmente e soprattutto di spendere i soldi per l’acquisto. Nelle tre o quattro paginette dell’introduzione, infatti, c’era già scritto tutto.

Il fatto di cui si parla nel lungo saggio di Cartocci (360 pagine) è, dicevamo, straordinario. Lo è per un motivo: perché, come tutti sanno, Paul McCartney è vivo e gode di ottima salute. Questo però solo in apparenza, poiché secondo l’autore del volume, e anche secondo molte altre persone che la pensano come lui, McCartney potrebbe essere invece morto. Quando? Il 9 novembre del 1966. In realtà Cartocci non dice espressamente che, secondo lui, Paul McCartney sia morto; dice che esiste la possibilità, in base ad una serie di “indizi” riscontrati o riscontrabili nelle canzoni e sulle copertine dei dischi dei Beatles successive al 1966, che il bassista e cantante dei Fab Four tra il 1967 e il 1970 fosse non più Paul McCartney bensì un sosia, un ex poliziotto canadese di nome William Campbell il quale pare che somigliasse come una goccia d’acqua al baronetto inglese, oltre ad avere la sua stessa abilità nel comporre canzoni, suonare vari strumenti musicali e naturalmente cantare, per giunta con la stessa voce di “Macca”. Più che un sosia, un clone!

Nel libro di Glauco Cartocci ci sono molti “indizi” – quasi 200, e quasi tutti a dir poco fantasiosi – sulla presunta morte/scomparsa/sostituzione di Paul McCartney, e anche la teoria secondo cui McCartney sarebbe stato assassinato in circostanze accidentali. Una delle principali tesi del libro è infatti quella secondo la quale McCartney sarebbe morto in un incidente d’auto provocato dalla Cia e/o dai servizi segreti inglesi con lo scopo di uccidere non lui ma Brian Epstein, manager del gruppo e soprattutto omosessuale. Alle due potenti organizzazioni di intelligence pare che i gay, all’epoca, stessero parecchio sulle scatole, perciò avevano deciso di liquidarne qualcuno, a cominciare da uno che loro ritenevano “prestigioso”. Solo che, per qualche ragione, sbagliarono obiettivo e invece di uccidere Epstein provocarono la morte di McCartney. Piuttosto distratti, questi 007...

In ogni caso, dopo aver commesso l’errore, i servizi segreti avrebbero dovuto corrompere o minacciare un numero molto grande di persone affinché nessuno rivelasse la verità, e cioè che McCartney non era in realtà McCartney. Questo lo ammette anche Cartocci, che anzi fa un lungo elenco di tutti quelli che si sarebbero dovuti accorgere immediatamente dell’avvenuto scambio di persona: fidanzata, parenti, amici, colleghi musicisti, personale impiegatizio e dirigente della Emi britannica, il produttore George Martin, oltre, naturalmente, agli altri tre Beatles. È chiaro infatti che un sosia può sostituire (in parte) fisicamente una persona, ma non può certo riprodurne in maniera esatta gesti, abitudini, tic, tono della voce nelle conversazioni, modo di ridere, di sorridere, di piangere, di arrabbiarsi, di urlare, di salutare e di chiedere scusa, ma anche di alzarsi da una sedia, bere acqua da un bicchiere, allacciarsi le scarpe, camminare, pettinarsi, guidare un’automobile, ballare ad una festa e così via. Eppure, stranamente, nessuno si accorse di nulla. Ripetiamo, più che un sosia, a prendere il posto di Paul McCartney dev’essere stato un clone, se la disgrazia si è davvero verificata.

E poi rimarrebbe in piedi un altro mistero, importante quanto il primo, ma sul quale non risulta che Cartocci abbia ancora svolto delle indagini. Il secondo mistero è il seguente: se è vero che William Campbell ha preso il posto di Paul McCartney, chi è che ha preso il posto di William Campbell? Sarebbe fondamentale saperlo, anche perché è evidente che William Campbell – ammesso che sia mai esistito, in Canada, un poliziotto con questo nome e per di più somigliante a Paul McCartney come un gemello monozigote – non può essere sparito nel nulla. Cartocci però su questo punto non dice nulla, trascurando un particolare che anche il più sbadato degli investigatori si prenderebbe la briga di verificare un attimo dopo l’avvio delle indagini.

A mio giudizio, con il suo libro Glauco Cartocci si è prodotto soltanto in un bell’esempio di cattiva filosofia (bello perché il libro, da quello che ho potuto vedere, è in effetti scritto bene ed è anche divertente, soprattutto se uno non fa caso al livello di infantilismo che lo pervade). La cattiva filosofia, tipica anche delle elaborazioni di alcuni grandi filosofi, si ha quando viene prima enunciata una tesi, dopodiché si cercano le prove che la confermino, facendo in modo che quelle che non la confermano non abbiano la stessa forza delle tesi che dimostrano invece, o dimostrerebbero, la fondatezza dell’evento. Per essere chiari, il colore di un fiore sulla copertina di un 33 giri, portato come indizio a favore della tesi della morte di McCartney, in un contesto serio – e ammesso che dal colore di un fiore si possa far dipendere la morte di una persona che non ha mai smesso di suonare e di fare concerti in tutto il mondo – non dovrebbe essere messo sullo stesso piano della incongruente e stravagante teoria del sosia venuto da lontano che è però uguale in tutto e per tutto all’originale. Ma Cartocci, per l’appunto, lo fa.

La musica pop, dispiace dirlo, continua ad avere un grave difetto. Un difetto che resta lì dov’è nonostante il passare degli anni e dei decenni: la musica pop è, purtroppo, un genere musicale dove gli appassionati sanno tutto o quasi tutto della vita e anche, a quanto pare, della presunta morte delle loro amatissime rockstar, ma, nel contempo, ignorano allegramente che cosa sia un accordo di do maggiore e qual è la sua differenza con un accordo di la minore. Cioè ignorano persino l’abc della teoria musicale, per non parlare della pratica. Una bella inchiesta anche su questo argomento penso che sarebbe davvero il momento di condurla. In fondo, non dimentichiamolo, i musicisti rock (anche gli eventuali sosia...) sono prima di tutto persone che suonano strumenti musicali, e dunque fanno e creano musica. Poi la loro musica potrà piacere o non piacere, ma pur sempre di musica si tratta. Vogliamo dunque cominciare finalmente a capire com’è fatta questa benedetta arte dei suoni, anziché perdersi, e perdere tempo, dietro alle teorie più strampalate?

P.S. Una versione più ampia di questo articolo comparirà nel mio prossimo libro dedicato alla musica rock, di prossima pubblicazione. A proposito, la foto ritrae McCartney nel 1965, un anno prima di morire...

Nota Bene L’articolo è stato pubblicato su “Apollinea”, Rivista bimestrale del territorio del Parco Nazionale del Pollino, Anno XV – n. 5 – settembre-ottobre 2011, pag. 27.


La replica di Glauco Cartocci

Incredibile. E' davvero incredibile vedere una recensione di un libro fatta da uno che ammette candidamente "ho letto solo l'introduzione e ho dato una sfogliata qua e ". Encomiabile esempio di giornalismo "approfondito e accurato" (... non so se si coglie l'ironia).

Allora, il sig Alfano "crede" di sapere come io la pensi in merito al PID, e parte dall'assunto (dato come postulato) che "siccome Paul McCartney è vivo", parlare di questo "caso" è una perdita di tempo.
Alfano non sa (non avendo letto) che io nel libro mi propongo di NON dimostrare nessuna tesi, ne quella di chi è convinto che Paul sia morto, né l'opposta, ne tutte quelle intermedie (lui non lo sa, non avendo letto, ma ci sono anche ipotesi che prendono in considerazione un "ritiro dalle scene" del primo Paul e una sostituzione pilotata).
Alfano non sa (non avendo letto) che io ho scritto un SAGGIO su questa vicenda con l'intento di fornire un database completo in modo che ognuno possa formarsi una propria opinione, al limite la stessa sua (vivaddio), cioè che Paul sia vivo e mai sostituito. Ma a tale conclusione bisogna arrivarci DOPO aver esaminato tutti i termini della questione, non "per fede..." come fa lui.
Mi sembra proprio uno dei Saggi della Commissione che non volevano guardare nel cannocchiale di Galileo, convinti a priori che avesse torto, la Terra non poteva girare intorno al Sole.
Alfano non sa (non avendo letto) che io sono il primo che si incarica di smontare, o di ridimensionare "indizi" cervellotici o che hanno poca valenza dimostrativa.
Alfano non sa (non avendo letto) che io non sostengo certo l'ipotesi di "William Campbell poliziotto Canadese": io elenco (per documentazione, lo sa cos'è la documentazione???) varie ipotesi fatte negli anni (Campbell, ma anche William Shepard, Phil Ackrill, Tara Browne, etc) su chi avrebbe potuto essere il sostituto, sempre nel caso (che io non do per scontato!!!!) che ci sia stata una sostituzione.

Dire che "una delle principali tesi del libro è dimostrare che McCartney sarebbe morto in un incidente d'auto provocato dalla CIA... (...) con lo scopo di eliminare Brian Epstein" è un'assoluta falsità, signor Alfano: Lei mi scambia con Sun King e con altri che ne hanno parlato in Rete, ma NON AVENDO LETTO, non ha visto che io non solo prendo le distanze da tale tesi, ma in alcuni punti la irrido pure!

E allora, come faccio io a replicare a uno che "crede" con sublime superficialità, di sapere cosa io dica?
Se il problema è spendere 15 euro, il libro glielo regalo io, volentieri, Sig. Alfano, ma eviti di parlare di cose che non sa, leggendo solo le introduzioni (e legge anche male, aggiungo io, perché nell'introduzione si dice chiaramente che io non sostengo alcuna tesi, ma le presento, facendo una ricerca accurata e seria.)
Complimenti, davvero! Lei ha eguagliato il record di quel famoso giornalista che recensì un concerto di Diana Ross che era stato annullato, e non si era mai tenuto! Lui non lo sapeva, perché non si era sprecato ad andarci, Lei non sa perché... perché non legge, giudica e pontifica sulla base di un'introduzione e una "sfogliatina"!

Parlare di "cattiva filosofia" di "infantilismo" e di "dimostrazione di una tesi aprioristica" è davvero ridicolo, perché Lei non ha la benché minima idea di dove vada a parare il mio scritto.
E' lei che fa del "cattivo giornalismo" "infantile" (perché crede di sapere come è andata una faccenda complicatissima, senza documentarsi); è Lei che parte da una "tesi aprioristica", ovvero che Paul non POSSA essere morto... perché è vivo!
L'affermazione "è impossibile, perché continua a fare concerti" è una banalità assoluta, dimostra che Lei non conosce nulla delle contraddizioni di tutto l'entourage Beatles sulla vicenda, non sa nulla delle recenti comparazioni craniometriche, etc.
Anche dire che l'attuale Paul è "in tutto e per tutto uguale all'originale" è un'affermazione di fede, discutibile, visto che esistono tante documentazioni che proverebbero (notare il condizionale ipotetico) esattamente il contrario, differenze nel fisico, e anche nella grafia.
Guardi bene: NON STO cercando di convincerla che Paul è stato rimpiazzato, perché semplicemente NON LO SO neanche io.
Ma se ci sono dei dubbi, o delle discrepanze, o delle stranezze, il dovere dell'investigatore è presentarle a chi legge, anche riflettendoci su criticamente, come faccio io, e ben lo sa chiunque si è "sprecato" a leggermi.
Avrei molto da dirle in merito a questa "diceria PID" che potrebbe essere anche un grande gioco intellettuale perpetrato dai Beatles, come potrebbe essere altro. Ma sinceramente, non posso discutere con chi non ne sa nulla, così come non potrebbe un commentatore della Domenica Sportiva discutere con un tifoso che non sa manco cos'è il fuorigioco.
Lei legga, si documenti, e poi potremo confrontarci.

Ma una cosa glie la voglio dire da subito: tutta l'altra tiritera che fa Lei su "chi non sa nemmeno che cos'è un do maggiore", testimonia ancora una volta che Lei non mi ha letto.
Io non solo so di musica, e di teoria, ma nel libro affronto anche problemi tecnici come registrazioni, backwards, analisi dei Sonagrams, rallentamenti, tonalità etc.
Inoltre analizzo tutto quanto concerne le liriche dei brani, con rimandi anche a canzoni di cui Lei forse non conosce nemmeno l'esistenza. Conosco bene la storia dei Beatles, e anche del Rock, e so mettere in relazione accaduti ed episodi significativi, e so scartare quelli campati per aria. Inoltre faccio anche lunghi excursus sulla Storia di quegli anni, su Manson, su La Guardia, su Crowley, su Dylan, su Morrison, tutto il contesto. So anche di grafica, quindi posso parlare con cognizione di causa a proposito degli indizi sulle copertine. Parlo anche del Mito del Sosia, e cito anche psicologi e letterati.

Quindi "vogliamo cominciare a capire come è fatta questa benedetta arte dei suoni?" è un invito che rimando al mittente. Anzi, lo estendo: "vogliamo cominciare a capire che prima di aprire bocca è bene documentarsi e studiare?"